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I PRINCIPALI PRODOTTI DEL MONDO VEGETALE ED ANIMALE

lettere



I principali prodotti

del mondo vegetale ed animale

1. Problemi di classificazione

Il criterio più razionale, dal punto di vista economico, per classificare le piante coltivate, è quello basato sugli scopi della produzione. In base ad esso è possibi 424h75e le distinguere tre categorie di piante.

La prima categoria comprende le piante alimentari, che sono utilizzate per l'alimentazione degli uomini e che rappresentano la parte più consistente della produzione mondiale; la seconda categoria comprende le piante foraggere destinate all'alimen­tazione degli animali allevati; la terza categoria, infine, include le piante industriali, che sono lavorate dalle industrie per ricavarne o materie prime, come ad esempio, il cotone, o prodotti per consumi voluttuari, come il caffè e il tabacco.



La distinzione, comunque, non è netta, poiché molte piante servono contemporaneamente a scopi diversi: i loro prodotti, infatti, possono essere consumati dall'uomo, usati come mangimi per gli animali o trasformati dall'industria.


2. I cereali

I cereali rappresentano uno degli alimenti fondamentali nell'alimentazione dell'uomo per tre motivi: 1) hanno un alto valore energetico e nutritivo, in quanto contengono grassi, proteine e zuccheri; 2) possiedono una scarsissima percentuale di acque e scorie, per cui sono altamente digeribili ed assimilabili; 3) sono facili da trasportare e conservare, per cui si prestano bene al commercio su lunghe distan­ze. Molti di essi, inoltre, possono essere usati come foraggio o trasformati dall'industria.

Sono cereali: il frumento, l'orzo, l'avena, la segale e il riso, il miglio, il sorgo e il grano saraceno.

I cereali sono coltivati in tutti il mondo ed occupano da soli il 70% della terra coltivata, fornendo molte delle calorie e delle proteine consumate dall'umanità.

I motivi di questa grande diffusione sono svariati: innanzitutto i cereali si adattano alle più diverse condizioni climatiche e infatti crescono sia nelle regioni umide tropicali sia nelle zone subpolari, dove il periodo vegetativo è inferiore a 100 giorni, oppure nelle zone di montagna dove frequenti sono le gelate; inoltre da queste piante si ricavano granaglie che possono facilmente essere conservate, immagazzinate e trasformate in cibo.


3. Il frumento ed i cereali minori

Fra i cereali il frumento è il più importante perché è diffuso in molte regioni del mondo e da solo fornisce cibo ad oltre metà della popolazione terrestre. Ciò deriva principalmente dal fatto che esso si adatta ad ambienti pedoclimatici differenti, potendo essere coltivato sia in pianura che in montagna, sia in regioni temperate che in regioni semiaride, sia pure con rese diverse. Le varietà coltivate, in rapporto alle diverse condizioni naturali, sono numerose, ma si possono distinguere in due categorie che hanno una loro specifica localizzazione: il grano tenero, ricco di glutine, usato soprat­tutto per la preparazione del pane, nelle regioni con clima sufficientemente piovoso, e il grano duro, più ricco di amido, che si presta meglio alla fabbricazione della pasta, nelle regioni con clima continentale o più arido. Comunemente si suole distinguere anche il grano invernale da quello primave­rile. La distinzione si basa esclusivamente sul fatto che il primo si semina in autunno ed il secondo dopo l'inverno, in modo da evitare i danni delle gelate.

Tra i maggiori produttori di frumento il primo posto spetta all'Europa, dove si distinguono quattro zone frumenticole: le pianure dell'Europa atlantica e centrale; le pianure dell'Europa danubiana; i paesi mediterranei; l'Unione Sovietica, con particolare riferimento all'Ucraina, alle pianure del Volga e alla Siberia. Nelle fredde distese siberiane il frumento si è diffuso in seguito alla creazione di una varietà a breve ciclo vegetativo, chiamata Carnet, che è i in grado di crescere e di maturare nell'arco di circa 100 giorni tra l'ultima gelata di primavera e la prima gelata d'autunno.

L'Asia costituisce la seconda grande area frumenticola della superficie terre­stre, seguita dall'America settentrionale, dall'Argentina e dall'Australia.

L'Argentina ed l'Australia, insieme con gli Stati Uniti ed il Canada, sono i principali esportatori del mondo.


Tra gli altri cereali adatti per fare il pane l'unico è la segale. Rispetto al frumento, essa è meno esigente per quanto riguarda il suolo e il clima, ma dà rese inferiori per quantità e qualità. La sua farina è comunemente impiegata anche nell'alimentazione del bestiame e può dare, per fermentazione, un whiskey assai diffuso in America.

La sua area di diffusione è concentrata in massima parte nell'Europa centrale ed orientale, dove occupa una fascia di regioni che si estende dal Belgio e dall'Olanda fino all'Unione Sovietica. Fuori d'Europa la segale è coltivata, soprattutto come pianta da foraggio, in Turchia, negli Stati Uniti, nel Canada e in Argentina. Essa non è oggetto di scambi internazionali se non nell'ambito dell'Europa centro-orientale.


Molto più diffusi della segale sono alcuni cereali cosiddetti minori, come il miglio, il sorgo e il grano saraceno, che però svolgono una importante funzione per l'alimentazione umana solo nei paesi sottosviluppati, costituendo tipi­che colture di sussistenza, mentre nei paesi sviluppati sono impiegati per l'ali­mentazione animale e per l'industria. Più importanti sono, invece, l'orzo e l'avena, che, a differenza degli altri cereali minori, danno luogo a scambi di una certa entità.


L'orzo ha un ciclo vegetativo molto breve, di appena due mesi, perciò può crescere sia alle alte latitudini subartiche, approfittando della breve estate, sia alle basse latitudini subtropicali, sfruttando il breve periodo delle piogge. Dai granelli di orzo, opportunamente macinati, si ricava farina usata per l'alimentazione umana, ma soprattutto animale, anche se l'impiego principale è legato alla produzione del malto, materia prima per la fabbricazione della birra. Ciascuno dei due impieghi richiede varietà colturali diverse: per i foraggi occorrono varietà ad alto tenore proteico, mentre per l'orzo destinato alla fabbricazione della birra avviene esattamente il contrario.

L'orzo da birra si coltiva soprattutto nell'Europa occidentale e centrale; l'orzo da foraggio, occupa, invece, notevoli superfici nell'ex Unione Sovietica, che ne è il primo paese produttore, nella Cina, nei paesi del Vicino Oriente, in Spagna e nell'America settentrionale.


L'avena, come l'orzo, ha un ciclo vegetativo abbastanza breve e preferisce un clima freddo-umido, per cui è diffusa soprattutto nelle regioni situate a media ed alta latitudine. Essa, comunque, presenta due aree di particolare concentrazione: la vasta regione che si estende dall'Europa atlantica fino all'interno dell'Unio­ne Sovietica, dove serve essenzialmente come mangime per gli animali da lavoro; l'America settentrionale, dove invece è usata come foraggio verde o fieno per l'ingrasso dei bovini. In Europa, però, è una coltura in declino, dato che la meccanizzazione dell'agricoltura ha ridotto il numero degli animali da lavoro.


4. Il mais

Il secondo cereale per quantità prodotta è il mais, una pianta originaria dell'America che cresce bene in territori caldo-umidi. Esso, infatti, esige una certa quantità d'acqua dalla semina alla fioritura; ma può essere coltivato anche nei paesi piuttosto aridi se c'è la possibilità di sopperire con l'irrigazione alla deficienza delle piogge. Dal mais di ricava farina usata per l'alimentazione umana e animale, e si estrae anche olio, amido e alcol. La farina di mais, però, si deteriora facilmente e può provocare la pellagra: una malattia molto diffusa tra i popoli che ne fanno forte consumo.

Dall'America, il mais venne introdotto da Cristoforo Colombo in Europa, dove viene chiamato granoturco, cioè "grano straniero". Dall'Europa si è poi diffuso in Asia ed in Africa, adattandosi a diverse condizioni climatiche.

I maggiori paesi produttori di mais sono gli Stati Uniti, la Russia, il Brasile e l'Argentina. In Italia la coltura del granoturco è diffuso in tutte le regioni, ma soprattutto nella regione Padano-veneta.


5. Il riso

Il riso, dopo il frumento, è il cereale più importante per l'alimentazione umana, per il suo alto potere nutritivo. La coltura del riso è caratteristica dei paesi tropicali. Infatti questo cereale per crescere ha bisogno di caldo e umidità. Ma, con l'irrigazione, può crescere anche in zone temperate.

Sotto l'aspetto botanico si contano circa 2000 varietà di riso diffuse nelle varie parti della superficie terrestre. Sotto l'aspetto geografico, invece, esse sono riconducibili a due categorie: il riso di montagna ed il riso di pianura.

Il riso di montagna è coltivato senza l'irrigazione, con l'ausilio delle sole piogge. Il riso di pianura, invece, svolge gran parte del suo ciclo vegetativo immerso nell'acqua.

Originario dell'Asia, il riso è coltivato in tutti i continenti. L'Asia monsonica, tuttavia, fornisce intorno al 90% della produzione mondiale. I maggiori produttori sono la Cina e l'India.

In Cina la risicoltura è praticata in quasi tutto il territorio, coprendo una superficie che è superiore a quella dell'intera Italia. Esso costituisce la coltura predominante perché ha un potere nutritivo superiore a quello degli altri cereali e, pertanto, riesce a sostenere una densità di abitanti che è la più alta della Terra. Nelle risaie, inoltre, si allevano pesci e animali da cortile (trote, anatre) che procurano altre sostanze alimentari.

Il riso mobilita quasi interamente la popolazione rurale, poiché tutto il lavoro è compiuto a forza di braccia e senza alcun ausilio di macchine, e richiede una serie di operazioni così lunghe e meticolose che, come è stato osservato da uno studioso, compie il suo ciclo vegetativo «per metà nel suolo e per l'altra metà nelle mani dell'agricoltore».

Nelle pianure settentrionali, per risparmiare spazio da destinare al riso, molti contadini vivono in villaggio sotterranei, scavati nel loess, al di sopra dei quali si stendono le risaie.

In India il riso occupa una superficie di gran lunga superiore a quella della Cina ma, a causa della minore cura che gli viene dedicata, presenta una produttività molto bassa e, per conseguenza, procura una produzione complessiva molto inferiore a quella cinese. Esso è particolarmente diffuso nelle pianure deltizie dei fiumi Gange e Brahmaputra e lungo le fasce costiere, soprattutto su quella occidentale irrorata dalle piogge monsoniche estive.

In Italia la coltura del riso, probabilmente importata dagli Arabi, è concentrata quasi tutta nella bas­sa pianura padana, in modo particolare nella sezione piemontese e lombarda. Situata fuori dell'ambiente caldo-umido, la risicoltura italiana compie un ciclo vegetativo molto più lungo rispetto a quello dei paesi monsonici. Ma ciò costituisce un elemento positivo per la qua­lità del prodotto, perché ne migliora il sapore e le capacità nutritive.


6. Le leguminose da granella

Le leguminose sono piante di forma erbacea o arborea che crescono allo stato spontaneo in tutto il mondo, adattandosi con estrema facilità ai vari ambienti pedoclimatici. Esse rivestono notevole importanza economica in quanto costituiscono un cibo altamente nutritivo per l'uomo, per gli animale e per il terreno, poiché hanno la proprietà di fissare l'azoto atmosferico al suolo, svolgendo così una funzione fertilizzante.

Le specie selezionate e coltivate a scopo alimentare sono costituite soprattutto da fagioli, piselli, fave, lenticchie e ceci, i cui prodotti hanno un elevato potere nutritivo perché contengono molti minerali e proteine.

Dato il loro alto contenuto proteico, le leguminose rivestono particolare importanza nei paesi in cui l'allevamento ha scarso sviluppo, dove sopperiscono in parte alla carenza di proteine animali. Esse sono maggiormente diffuse nell'Asia, nell'Africa, nell'America latina e nell'Europa mediterranea.


Le piante da tubero e da radice

Nella zona intertropicale umida, soprattutto dell'Asia e dell'Africa, si coltivano numerosissime specie di piante che forniscono bulbi o radici ad alto tenore di amido e talvolta di grosse dimensioni, come il taro, una pianta acquatica, e l'igname, diffuso in maniera particolare nell'Africa occidentale. Si tratta però di colture che, pur svolgendo ruolo fondamentale nell'alimentazione della popolazione locale, restano circoscritte nell'ambito del'economia di sussistenza ed hanno scarsa importanza.

Per la sua larga diffusione in tutta la zona tropicale merita un cenno particolare la manioca, originaria della foresta pluviale del Brasile. Essa è una radice amara e velenosa, che per diventare commestibile viene lavorata a lungo, fino a che non se ne ottiene una farina chiamata tapioca, che serve per confezionare torte, biscotti, pane e polenta; ma può essere utilizzata anche per produrre amido. La manioca si può raccogliere secondo il bisogno, potendo restare nel terreno senza deteriorarsi.

Una diffusione estesa a tutta la zona intertropicale presentano pure le batate, o patate dolci, che sono originarie dell' America. Esse sono ricche di vitamine e di sali minerali e, soprattutto negli Stati Uniti meridionali, danno luogo ad una certa attività commerciale. Rispetto alla manioca, inoltre, hanno il vantag­gio di un ciclo vegetativo più breve.

La più importante tra tutte le piante da tubero è la patata comune. Originaria delle regioni fredde ed umide dell'America meridionale, essa fu introdotta in Europa sia attraverso la Spagna e l'Italia sia attraverso le isole britanniche, e poi si è estesa rapidamente a tutti i continenti per la sua facilità ad adattarsi alle più diverse condizioni pedoclimatiche. Si è diffusa soprattutto in Irlanda, dove i cereali sono esclusi, divenendo l'alimento base della popolazione povera del paese.

La patata viene largamente impiegata per l'alimentazione umana ed animale, per la produzione di farina alimentare, la fecola, per l'estrazione di amido e la preparazione industriale dell'alcool.

In testa alla produzione mondiale si pongono i paesi europei, in particolare la Polonia e la Germania; seguono poi la Russia, la Cina e gli Stati Uniti.

La patata, merce pesante che si deteriora facilmente nel trasporto, viene consumata in massima parte nei luoghi di produzione. Tuttavia l'Italia ed altri paesi mediterranei, dove si ottengono produzioni precoci, ne esportano una certa quantità nell'Europa centrale ed occidentale, in cui invece il raccolto è più tardivo.


7. Gli ortaggi

Gli ortaggi, piante erbacee coltivate e utilizzate per l'alimentazione umana, per il loro alto contenuto di sostanze minerali oltre a proteine, zucchero e grassi, comprendono una grande quantità di specie che possono dividersi in varie categorie: 1) da radice, quali la carota, la rapa, il ravanello; 2) da bulbo, quali l'aglio e la cipolla; 3) da foglie e fusti, quali l'asparago, la bietola, la verza, la cicoria, la lattuga, il finocchio, ecc.; 4) da infiorescenza, come il cavolfiore, i broccoletti,e il carciofo; 5) da frutto, quali il cetriolo, il cocomero, la melanzana, il peperone e le zucchine; 6) da condimento, come il basilico, il prezzemolo e il sedano. Comunemente vengono considerati ortaggi anche i legumi consumati allo stato fresco (fagiolini, fave, piselli, ecc.) e le patate.

La maggior parte degli ortaggi preferisce regioni caratterizzate da climi tropicali e subtropicali con estate asciutta, dove però c'è la possibilità di ricorrere all'irrigazione. Le aree in cui l'orticoltura è maggiormente sviluppata, pertanto, sono: i paesi mediterranei, tra cui si distinguono la Francia meridionale, l'Italia e la Spagna; alcune regioni degli Stati Uniti, come la California e la Florida; e alcune regioni della Russia, come la Crimea, il Caucaso e l'Asia centrale.

Per evitare i danni di improvvise gelate o per ottenere prodotti extrastagionali, cioè precoci o tardivi, che danno rese unitarie molto alte, gli ortaggi molto spesso vengono coltivati in serre.

Gli ortaggi richiedono assidua cura e molto lavoro manuale, sia nella fase di crescita che in quelle di raccolta del prodotto. Essi, perciò, nella maggioranza dei casi vengono coltivati in aziende di piccole o piccolissime dimensioni, dove crescono contemporaneamente prodotti diversi a maturazione differita. Tipici sono gli orti irrigui del Napoletano, delle huertas spagnole e dell'Africa settentrionale.

Fino alla metà del nostro secolo gli ortaggi occupavano superfici piuttosto limitate ed erano coltivati soprattutto attorno alle grandi città poiché, data la loro deperibilità, dovevano necessariamente localizzarsi a contatto con il mercato di consumo. Poi, sollecitati dalla crescente domanda e dal miglioramento dei mezzi di conservazione e di trasporto, gli ortaggi sono usciti dalle periferie urbane e si sono diffusi ovunque le condizioni pedoclimatiche e le disponibilità idriche lo hanno consentito.


8. Le piante da frutta

Le piante che producono frutta possono essere arboree, arbustive ed erbacee. Alcune di esse si adattano ad ambienti climatici diversi, altre invece richiedono condizioni climatiche specifiche. I loro prodotti si presentano sotto forma di frutta pomacea, come le pere e le mele, polposa, come le ciliege, le amarene, le pesche e le albicocche, e secca, come le noci, le nocciole e le mandorle.

Fino al secolo scorso gli alberi da frutta occupavano superfici piuttosto limitate ed erano destinati all'autocon­sumo della famiglia coltivatrice. La frutticoltura commerciale, praticata cioè in maniera specializzata e su grande scala, ha cominciato a svilupparsi come conseguenza della crescente popolazione urbana e del migliorato tenore di vita, il quale porta a differenziare i regimi alimentari. Alla sua espansione, come è accaduto per gli ortaggi, ha contribuito anche il progresso dei mezzi di trasporto e dei sistemi di trasformazione industriale della frutta, che può essere facilmente ridotta in marmellate, succhi, sciroppi e bevande alcooliche. Alcune specie di frutta, così hanno assunto una posizione rilevante negli scambi internazionali; la primo posto nel commercio mondiale si pongono gli agrumi.


9. Gli agrumi

Gli agrumi raggruppano diversi tipi di frutta appartenenti al genere «citrus». Le specie più diffuse riguardano arance, mandarini, limoni e pompelmi, che sono ricchi di vitamina C e possiedono notevoli varietà terapeutiche. La maggior parte della produzione è consumata fresca; ma una quota non trascurabile viene trasformata in succhi e marmellate. Alcune specie, come l'arancio amaro o il bergamotto, sono utilizzate anche per l'industria dei profumi.

Gli agrumi sono piante sempreverdi originari dell'Asia monsonica, per cui esigono un clima temperato-caldo ed acqua abbondante. Queste pinte infatti non resistono al freddo e hanno inoltre bisogno di una continua e abbondante irrigazione. Esse temono il vento, per cui l'ambiente più adatto per la loro coltivazione è la pianura.

Allo stato attuale, la coltura di queste piante è praticata più o meno estesamente lungo le coste del Mediterraneo, nei paesi dell'Asia tropicale sino al Giappone e nelle zone subtropicali dell'America.

Nel bacino del Mediterraneo la coltura degli agrumi, soprattutto limoni e aranci amari, fu introdotta dagli Arabi; fino agli inizi del nostro secolo, però, essa ha avuto importanza limitata. Il suo sviluppo, in effetti, è iniziato con la bonifica idraulica delle pianure costiere e con l'espansione della rete irrigua, che sono opere piuttosto recenti.

Il primo paese produttore dell'area mediterranea è l'Italia, dove gli agrumeti pur comparendo su piccole zone del litorale ligure e sulle sponde del Lago di Garda, trovano le condizioni migliori nelle regioni meridionali. Essi sono particolarmente estesi in Sicilia, dove occupano le pianure litoranee della costa ionica e tirrenica risalendo anche sulle pendici dei Monti Peloritani, dell'Etna e dell'Altopiano Ibleo. L'isola detiene il primo posto nel mondo per la produzione di limoni, la cui coltura è quasi tutta localizzata in una compatta fascia situata ai piedi dell'Etna, tra Taormina e Catania. Il resto della produzione agrumaria è fornito essenzialmente dalla Calabria, la quale per altro si distingue per la coltura del bergamotto e del cedro; dalla Campania, dove gli agrumeti costituiscono la componente dominante del paesaggio soprattutto nella Penisola Sorrentina; dalla Puglia, dalla Basilicata e dal Lazio meridionale.

Il secondo paese agrumicolo del bacino mediterraneo è la Spagna. La sua produzione è quasi uguale a quella italiana ed è localizzata soprattutto nelle pianure irrigue che si stendono attorno al Golfo di Valencia. Essa, per circa un terzo, è costituita da clementine: un tipo di agrume che è stato ricavato dall'incrocio dell'arancia con il mandarino, per cui viene anche chiamato mandarancio, ed ha la proprietà di essere dolce e precoce.

Importanza crescente, soprattutto per le arance, va acquistando l'agrumicol­tura nella Grecia, nello stato d'Israele, in Turchia, in Egitto e nel Marocco, paesi che creano seri problemi di concorrenza all'Italia, in quanto la loro produzione è meno cara, dati i più bassi costi della mano d'opera; più precoce, usufruendo di condizioni climatiche mediamente più calde; ed è più rispondente alle esigenze del mercato internazionale, essendo fornita da impianti recenti che producono soprattutto frutti grossi e senza semi.

Nel continente americano gli agrumi sono stati introdotti dai colonizzatori europei e si sono diffusi in tutta la fascia intertropicale. ­ I maggiori produttori sono: il Brasile, con particolare riferimento agli Stati di San Paolo e Rio de Janeiro; gli Stati Uniti, dove la California è specializzata per gli agrumi da consumare freschi e la Florida per quelli da trasformare in succhi; e il Messico, dove però la qualità del prodotto è piuttosto mediocre. L'America assicura circa metà della produzione agrumaria mondiale ed alimenta consistenti flussi di esportazione soprattutto per quanto riguarda le arance ed i pompelmi. Nei paesi americani, inoltre, si coltivano vari altri ibridi di agrumi, che sono invece poco noti ed apprezzati sui mercati internazionali. Si ricorda in particolare il tangelo, che produce eccellenti frutti succosi ottenuti dall'incrocio del mandarino con il pompelmo.


10. Gli altri alberi da frutta dei paesi mediterranei e temperati

Numerosi alberi da frutta possono crescere sotto climi temperati di tipo diverso (oceanico, continentale, mediterraneo) e, quindi, presentano una larga diffusione spaziale. Solo pochi, però, danno prodotti che, per quantità e caratteristiche commerciali, assumono una certa importanza per il mercato mondiale.

Si distinguono in particolare le mele, le pere, le ciliege, le amarene, le susine, le albicocche e le pesche, la cui produzione è localizzata in massima parte nei paesi europei. Al di fuori dell'Europa i maggiori produttori sono gli Stati Uniti, l'Argentina, il Giappone, la Nuova Zelanda, l'Australia e la Repubblica Sudafricana.

Più strettamente circoscritti a pochi paesi mediterranei sono alcuni tipi di frutta secca che, oltre al consumo diretto, sono utilizzati dall'industria dolciaria e generano una certa quantità di scambi, come le mandorle, di cui l'Italia e la Spagna sono i massimi produttori; le noci, prodotte soprattutto in segnalano la Francia, in Italia, in Iugoslavia e in Turchia; le nocciole, che assumono maggiore importanza in Turchia, in Italia ed in Spagna; e il pistacchio, che è particolarmente diffuso nell'Asia occidentale e si coltiva anche in Italia (Sicilia). Ad essi occorre aggiungere i fichi, che vengono consumati soprattutto essiccati e perciò da gran tempo sono oggetto di scambio tra i paesi mediterranei e l'Europa continentale. I maggiori esportatori sono, attualmente, la Turchia e la Grecia. Tutti questi prodotti, per effetto della colonizzazione europea, si sono diffusi anche in paesi con clima simile a quello mediterraneo, come la California, l'Africa meridionale e l'Australia.


11. Le piante da frutta tipiche della zona tropicale

Tra le piante da frutta tipiche della zona tropicale si ricordano soprattutto: il mango, che è originario dell'India e produce grossi frutti aromatici; la papaia, pianta erbacea originaria dell'America centrale; l'albero del pane, così chiamato perché presenta grandi frutti farinosi che possono essere consumati crudi, cotti, arrostiti ed in altre forme; e l'avogado, i cui frutti hanno un alto contenuto di grassi ed anch'essi possono consumarsi crudi o cotti in diversi modi. La loro produzione, comunque resta di importan­za locale. Solo due specie di frutta tropicale contribuiscono in misura consisten­te al commercio internazionale: gli ananas e le banane.


L'ananas è originario dell'America meridionale e richiede un clima caldo con due stagioni ben distinte, una umida e l'altra asciutta, ma è poco esigente nei riguardi del terreno. L'ananas è una pianta erbacea che cresce sotto forma di cespuglio con foglie spesse e carnose, al centro della quale spunta il frutto. Essa si riproduce per talea, cioè interrando il pezzo di un'altra pianta, ed assicura da 2 a 4 raccolti prima di essere sostituita. Solo una parte del prodotto è consumato allo stato fresco, il resto è inscatolato o trasformato in succhi.

Grandi piantagioni di ananas si trovano nelle Isole Hawaii, nella Florida, nel Messico, nelle Filippine e nell'Australia.


I banani sono originari dell'Asia meridionale e richiedono temperature medie molto elevate, piogge abbondanti e suoli permeabili. La coltura dei banani mostra due aree di diffusione: l'una compresa entro i tropici, dove usufruisce delle sole piogge, l'altra più esterna, dove invece è praticata con l'aiuto dell'irrigazione.

La produzione commerciale di banane rientra nell'ambito della più tipica agricoltura di speculazione, essendo organizzata in grandi piantagioni apparte­nenti a grosse società finanziarie straniere. Significativo, a questo riguardo, è l'esempio della United Fruit Corporation, che controlla l'esportazione mondiale di banane nell'America Latina. Essa possiede anche linee ferroviarie, banche, porti ed una flotta specializzata per il trasporto di banane, insieme con una catena di centri commerciali nei paesi importatori.

La coltura del banano, soprattutto nei paesi tropicali, dà un reddito molto alto. Esso, però, esaurisce piuttosto rapidamente la fertilità del suolo, per cui ogni ventina di anni le piantagioni devono cambiare sede. Le società, inoltre, installano le loro piantagioni con­temporaneamente in diverse località tra loro distanti per ridurre i danni dovuti agli uragani, che sono nelle zone tropicali piuttosto frequenti, oppure alle malattie delle piante ed alle difficoltà di ordine politico.


Una delle piante più importanti della zona tropicale asciutta, infine, è la palma da datteri, i cui frutti, data la facilità di conservazione e di trasporto da sempre sono stati oggetto di scambi commerciali. La pianta esige abbondante acqua e alte temperature, prospera perciò ai margini del deserto o nelle oasi, dove la falda acquifera può essere raggiunta dalle radici o dove si può praticare l'irrigazione. I datteri possono essere consumati allo stato greggio, essiccati oppure trasformati in farina, impasti, succhi e vino.

I maggiori produttori di datteri sono l'Iraq e l'Iran, dove ricoprono in maniera compatta la bassa Mesopotamia, e i paesi dell'Africa settentrionale. In Europa essi assumono una certa importanza solo nella Spagna, ma i loro frutti sono poco pregiati.


12. La vite

La vite, originaria dell'Asia occidentale, pur essendo una pianta tipica del clima mediterraneo, si è diffusa anche nelle regioni con clima di tipo continentale e, pertanto, dalle zone costiere si è diffusa con successo in varie regioni interne.

Essa presenta radici molto profonde che le consentono di superare sia le lunghe estati secche, quando gli strati superficiali del suolo inaridiscono, sia gli inverni rigidi, purché la temperatura non scenda troppo sotto zero. Pure adattandosi a vari tipi di suoli, prospera meglio e fornisce prodotti migliori nei terreni permeabili di natura calcarea o vulcanica, che non mantengono l'umidità. Preferisce, inoltre, i terreni collinari che, specialmente se esposti a sud, favoriscono una buona maturazione dell'uva.

I sistemi con cui la vite viene coltivata cambiano da una regione all'altra in rapporto sia alle tradizioni contadine che a cause di ordine fisico. In genere nelle aree più asciutte, per ridurre l'apparato fogliare e quindi l'evaporazione, la vite si alleva ad alberello. Nelle regioni in cui le precipitazioni sono piuttosto abbon­danti o il suolo è alquanto umido, si cerca di aumentare la superficie evaporante favorendo lo sviluppo dell'apparato fogliare con opportune potature facendo sviluppare i tralci fino ad una decina di metri. A tale scopo la vite viene consociata agli olmi o ad altri alberi che servono come punto di appoggio per i tralci. Nelle valli chiuse si usa distendere i tralci su fili di ferro sostenuti da pali di legno o di cemento, sistema detto «a spalliera», in modo da esporre meglio al sole i grappoli d'uva. Per i vigneti destinati alla produzione d'uva da tavola, infine, si preferisce adottare il sistema del pergolato.

La qualità dell'uva e del vino è strettamente legata alla condizione del clima e del suolo, per cui i vini sogliono portare i nomi dei luoghi dove si producono.

La produzione mondale di uva viene in larga misura vinificata, per il resto è consumata allo stato fresco oppure secco (uva passa). Alla testa della produzione mondiale di uva e di vino si alternano, a seconda degli anni, l'Italia e la Francia.

In Italia la viticoltura rappresenta uno dei settori fondamentali dell'agricoltura ed è praticata dalla metà di tutte le aziende. Data la varietà degli ambienti pedoclimatici, essa assicura una produzione molto diversificata, con leggera prevalenza dei vini rossi o rosati su quelli bianchi.

Nell'Italia settentrionale la vite riveste i versanti soleggiati di molte vallate alpine, le colline prealpine, soprattutto nel Veneto e nel Piemonte, le colline litoranee della Liguria meridionale, specialmente nella zona delle Cinque Terre, ed infine ampie zone dell'Emilia Romagna. Essa è quasi ovunque sistemata su ripidi terrazzi e produce una larga gamma di vini pregiati.

Nell'Italia centrale i vigneti signoreggiano soprattutto sulle colline della Toscana, dove si produce il famoso Chianti, sulle colline vulcaniche del Lazio, note per i cosiddetti vini dei Castelli, e su molti tratti del versante litoraneo abruzzese.

Nell'Italia meridionale, infine, la vite drappeggia le pendici esterne dei rilievi campani e calabresi, ma diventa vera e propria monocoltura in vaste zone della Pu­glia e nella Sicilia occidentale. I vini che se ne ricavano sono robusti, ma in genere poco tipicizzati, per cui vengono in buona parte espor­tati nelle regioni settentrionali e tagliati con i più leggeri vini locali per innalzarne la gradazione alcolica. Solo il Marsala, prodotto nella Sicilia occidentale, s'im­pone all'attenzione del mercato nazionale ed internazionale per il suo sapore li­quoroso.

Il Mezzogiorno, pur con una superficie viticola di gran lunga superiore a quella dell'Italia settentrionale, produce una minore quantità di vino. Ciò è dovuto a due motivi: da un lato alla lunga siccità estiva, che riduce e spesso danneggia i raccolti, dall'altro alla notevole diffusione che vi hanno i vigneti per uva da tavola, allevati per lo più con il caratteristico sistema a pergolato, in modo particolare nella Puglia e nella Sicilia.

In Francia le regioni viticole più note sono: la Linguadoca ed il Rossiglione sul versante mediterraneo; la bassa pianura della Garonna, famosa soprattutto per i vini di Bordeaux e per il cognac, sul versante atlantico; la Valle della Loira, la Borgogna e la Champagne, rinomata per i suoi spumanti, nella Francia interna; e l'Alsazia, al confine con la Germa­nia. La Francia registra il consumo di vino pro capite più alto del mondo ed è importatrice di vini, soprattutto pregiati, dagli altri paesi mediterranei.

Grossi produttori di vino sono anche la Spagna ed il Portogallo, dove si producono vini ad alta gradazione alcolica che vengono in parte trasformati in acquavite.

Tra gli altri paesi mediterranei riveste una notevole importanza soprattutto la Grecia. Essa pro­duce sia ottima uva da tavola, una parte della quale viene esportata come uva appassita, la cosiddetta uva passolina, sia vini molto pregiati per il loro grado alcoolico e per il loro sapore abboccato, come i vini Samo, di Santorino e Corfù.

Nei paesi mediterranei di cultura musulmana la vite è poco diffusa non perché manchino le condizioni naturali, ma perché la religione islamica vieta l'uso delle bevande alcooliche. Essa riguarda soprattutto la produzione di uva da consumare fresca e da seccare. Solo in Algeria si produce una certa quantità di vino; ma i vigneti risalgono al periodo della colonizzazione francese e sono in fase di contrazione per lasciare spazio alla cerealicoltura.

Per motivi religiosi opposti, invece, nel Medio Evo la vite si è diffusa in molte regioni dell'Europa centrale ed orientale, dove è stata introdotta dai monaci cattolici, i quali solevano coltivare attorno ai monasteri piccoli vigneti per produrre il vino necessario alla celebrazione della messa. Essa è presente soprattutto: in Germania, dove sono celebri i vini del Reno; in Ungheria, in cui si segnalano i vini del Tokaj; in Bulgaria; in Romania; e in Russia, che costituisce il terzo paese produttore di vino del mondo.


13. I prodotti nervini: caffè, cacao, tè

Nella civiltà moderna hanno assunto grande importanza i cosiddetti prodotti nervini, cioè il caffè, il cacao ed il tè, le cui bevande agiscono sul sistema nervoso arrecando sollievo negli stati di affaticamento. Essi sono diventati parte integrante dell'alimentazione e del costume di molti popoli Alcuni gruppi però sono eminentemente bevitori di tè, come in genere i popoli orientali, altri preferiscono il caffè, come i popoli latini, ed altri infine apprezzano entrambe queste bevande.


Il caffè è un albero d'ambiente tropicale originario dell'Africa, dove cresce anche allo stato spontaneo. Ne esistono due varietà principali: il caffè d'Arabia ed il caffè di Liberia.

Il caffè d'Arabia prospera nelle regioni montuose dell'Africa orientale. Preferisce, infatti, terreni collinari o montuosi e teme l'eccessiva luminosità, per cui viene coltivato all'ombra di altri alberi più alti. Il 90% della produzione mondiale è dato dal caffè d'Arabia. Il caffè di Liberia, invece, viene coltivato prevalentemente nelle regioni pianeggianti dell'Africa e dell'Asia. Esso si sviluppa nelle zone basse senza il bisogno di essere ombreggiato, è più resistente alle malattie e dà un prodotto più abbondante, ma meno aromatico, il quale viene impiegato per la preparazione delle miscele.

Sebbene sia originario dell'Africa, oggi la maggior parte del caffè è prodotto nell'America centrale e meridionale, dove la sua coltura è stata introdotta dai colonizzatori europei. In testa alla produzione mondiale si pone il Brasile, il cui contributo però è in diminuzione rispetto al passato, sia a causa di una grave crisi di sovrapproduzione verificatasi agli inizi degli anni '30, quando il governo fu costretto a bruciare circa 5 milioni di tonnellate di caffè per sostenerne i prezzi, sia a causa della concorrenza degli altri paesi tropicali, dove invece la coltivazione è in fase di notevole sviluppo.

In America l'ambiente più favorevole alla coltura del caffè è costituito dagli altipiani, dove le piantagioni non hanno bisogno di essere ombreggiate perché nelle ore più calde della giornata dal mare spira verso l'interno un vento carico di umidità che genera una sottile nebbia e così difende le piante dall'intensa radiazione solare.

Tra gli altri paesi dell'America si distingue la Columbia, che detiene il secondo posto nel mondo per la produzione di caffè e fornisce una qualità pregiata usata soprattutto per confezionare miscele.

Anche l'Africa fornisce una certa percentuale del raccolto mondale. Qui le piantagioni si trovano soprattutto sugli altipiani vulcanici; le varietà migliori si ottengono sull'acrocoro etiopico, in particolare nella zona di Caffà, dove il caffè pare che sia originario ed abbia derivato il nome.

Terza grande area produttrice di caffè è, infine, l'Asia. Per quantità prodotta si distinguono l'Indonesia e l'India; per qualità, invece, si segnalano le montagne dello Yemen, dove si produce il noto caffè Moka, che prende il nome dal porto attraverso cui nel passato esso era esportato. Ora, però, le coltivazioni si sono fortemente ridotte perché hanno ceduto il posto a piantagioni di droga.


Il cacao è una pianta originaria della foresta amazzonica e, quindi, richiede un clima equatoriale. I suoi frutti, detti cabossi, sono simili ad un cetriolo e crescono direttamente sui rami o addirittura sul tronco dell'albero. Dai semi, mediante torrefazione e macinazione, si ricava il cacao in polvere, alimento di elevato valore nutritivo, facilmente digeribile, e il cosiddetto burro di cacao, che viene usato in farmacia e in cosmetica

Fino alla metà del secolo scorso il cacao era presente solo in America; poi esso fu diffuso anche in Africa, quasi esclusivamente nei paesi situati sul Golfo di Guinea. L'area di maggior diffusione comprende la Costa d'Avorio, il Ghana, la Nigeria ed il Camerun, che danno oltre metà della produzione mondiale. In America i principali produttori sono, invece, il Brasile e l'Ecuador.

Il cacao viene coltivato in piccole aziende familiari, perciò il mercato dell'offerta, frazionato in un elevato numero di produttori, è piuttosto concorrenziale. Al contrario il mercato della domanda tende all'oligopolio, essendo dominato da una dozzina di grosse società (Nestlè) che fabbricano cioccolato. L'80% della produzione mondiale di cacao, infatti, è trasformato in cioccolato, la cui industria è concentrata soprattutto nei paesi che sono forti produttori di latte, quali gli Stati Uniti, la Svizzera, l'Olanda e la Germania.


Il è originario dell'Asia monsonica, dove ancora oggi cresce allo stato spontaneo. Esso è un albero che allo stato selvatico può raggiungere i 15-20 metri; ma nelle coltivazioni è tenuto sotto forma di arbusto per facilitare la raccolta delle foglie e dei teneri germogli, che sono le parti della pianta che vengono utilizzate. Le foglie vengono raccolte una alla volta: l'operazione, quindi, richiede copiosa mano d'opera.

Si dice che il tè «soffre il freddo e teme l'eccessiva umidità . Infatti lo sviluppo migliore della piante avviene in clima caldo umido e in posizioni bene esposte al sole. Le piantagioni di tè richiedono numerosi e frequenti lavori, per cui questa pianta si è largamente diffusa anche nelle regioni in cui è disponibile mano d'opera abbondante e a basso costo. La resa, tuttavia, cambia notevolmente da un ambiente climatico all'altro: essa è massima nella fascia equatoriale, dove la pianta germoglia tutto l'anno, è minima nelle regioni situate lontane dall'equatore, dove la stagione fredda interrompe per un certo periodo lo sviluppo delle foglie.

La principale area di coltivazione del te resta ancora la sua patria di origine: cioè l'Asia Orientale. Al di fuori dell'Asia monsonica si segnala la Turchia, le cui coltivazioni si concentrano nella zona che si affaccia al Mar Nero. Nell'America meridionale, comunque, si preferisce coltivare il matè, che cresce spontaneo tra il fiume Paranà e l'Oceano Atlantico. Dalle sue foglie si ricava un infuso simile al tè, ma di gusto più forte.

Fino alla metà degli anni '50 la produzione mondiale di tè era consumata per oltre metà nei paesi industrializzati, per cui dava luogo a notevoli scambi. Allo stato attuale, invece, i paesi coltivatori consumano in loco la maggior parte della produzione e l'esportazione si è ridotta. Il principale paese importatore è la Gran Bretagna, dove il consumo di tè risulta il più alto del mondo.


14. Il tabacco

Il tabacco è originario dell'America tropicale, precisamente della zona com­presa tra il Brasile ed il Messico, dove l'usanza del fumo era diffuso tra gli indigeni prima che arrivassero gli Europei. Esso richiede climi caldi con un afflusso moderato di piogge e con una stagione asciutta durante il periodo di maturazione delle foglie; tuttavia, essendo una pianta molto resistente e presentando numerose varietà, si è adattato a climi molto diversi, per cui è coltivato fin nella Scozia e nella Scandinavia. Le qualità più pregiate, comun­que, sono prodotte nelle regioni tropicali e subtropicali.

In linea di massima si può dire che la temperatura molto alta ed un alto grado di umidità relativa favoriscono lo sviluppo di foglie grandi, sottili ed a basso tenore di nicotina; il clima secco e torrido provoca, invece, la formazione di foglie più piccole, più grosse e ad alto tenore di nicotina; la ridotta illuminazione determina la crescita di foglie sottili ed elastiche, utilizzate per avvolgere i sigari.

La coltura del tabacco richiede molto lavoro manuale soprattutto per le operazioni di piantatura, di raccolta e di essiccazione delle foglie, le quali si prestano poco ad essere meccanizzate. Perciò essa preferisce i paesi in cui la mano d'opera risulta abbondante ed a basso costo.

Il principale produttore di tabacco è la Cina, che fornisce quasi al metà della produzione mondiale, ma il consumo interno assorbe quasi tutto il prodotto. In America, secondo produt­tore mondiale, il tabacco è coltivato nel Corn Belt e in una parte del «profondo sud». Il terzo produttore mondiale è l'India,done buona parte della produzione è destinata al consumo interno. Quasi sullo stesso piano si collocano la Tur­chia, che ha acquistato una reputazione come produttore di tabacco leggero e biondo, detto «tabacco turco» benché sia prodotto anche da altri paesi, e il Brasile che, con l'Indonesia e Cuba, è tra i maggiori esportatori mondiali. La Russia, con una produzione vici­na a quella della Turchia, ha sostan­zialmente un mercato interno.

In Europa, più per ragioni economiche strutturali che per ragioni climatiche, i principali produttori sono i paesi medi­terranei: Bulgaria, Grecia, Iugoslavia e Italia. Nell'Europa continentale il principale produttore è la Polonia. Bulgaria Grecia e Italia sono anche tra i maggiori i esportatori

Ogni paese ha adattato la sua industria alle prospettive del mercato interno e della vendita all'estero e si è specializzato nella fabbricazione di particolari prodotti: ad esempio, i sigari per Cuba e i tabacchi da pipa per i Paesi Bassi.

Nel passato gli Stati hanno cercato di frenare l'uso del tabacco con divieto di vario genere, tanto che un secolo fa nella maggioranza dei paesi europei era proibito fumare per le strade. In seguito, invece, essi hanno preferito gravare la produzione di sigarette con imposte molto elevate, ricavandone alti profitti


15. Le piante saccarifere

Lo zucchero, oltre a costituire un prodotto importante per l'alimentazione umana, è utilizzato come materia prima nella fabbricazione di molti manufatti: dalle materie plastiche ai concimi, dai prodotti farmaceutici agli esplosivi. Esso si ricava essenzialmente da due piante che hanno esigenze climatiche molto diverse: la canna e la barbabietola.


La canna da zucchero è una pianta graminacea pluriennale di grandi dimensioni i cui steli contengono una polpa ad alto tenore di saccarosio. Lo zucchero si ricava attraverso operazioni piuttosto complesse: i fusti, privati della parte apicale munita di foglie, sono avviati agli zuccherifici dove si effettua l'estrazione del saccarosio in speciali impianti di evaporazione e centrifugazione. La «bagas­sa», ossia il residuo delle canne spremute, viene poi utilizzata per estrarre il rum, per la produzione di carta o per l'alimentazione del bestiame.

La canna da zucchero è originaria della Malesia e richiede un clima tropicale o subtropicale umido, con una stagione asciutta durante la raccolta del prodot­to. Essa, comunque, cresce bene anche nelle regioni tropicali asciutte in cui è possibile praticare l'irrigazione.

Dall'Asia, venne introdotta dagli Arabi nel bacino del Mediterraneo. Da qui, poi, i coloni europei la portarono nell'America, che ora rappresenta la principale area produttrice di zucchero del mondo.

In Europa, solo la Spagna dedica superficie agraria a questa coltura, ma con produzioni molto modeste.

La coltura della canna da zucchero, nella maggioranza dei casi, è praticata in vaste piantagioni integrate con l'industria di lavorazione. Gli zuccherifici sono sempre localizzai nei luoghi di produzione della materia prima perché la canna, per date la resa massima in quantità e qualità, deve essere sottoposta a lavorazione subito dopo il taglio e, quindi, non può sopportare lunghi viaggi.

A livello mondiale, ol­tre il 60% di zucchero e ottenuto da questa coltura: qualitativamente forse meno pregiato di quello ottenuto dalla barbabietola, lo zucchero di canna e però molto meno costoso.


La barbabietola da zucchero è una pianta originaria dell'Asia Minore e della Caucasia. Essa richiede una notevole quantità d'acqua, fornita dalle piogge o dall'irrigazione, durante il periodo vegetativo ed un prolungato periodo asciutto, durante la fase di maturazione. Perciò cresce bene nelle regioni a clima continentale, dove le lunghe giornate estive con l'abbondante insolazione favoriscono l'aumento del contenuto zuccherino.

La coltura della barbabietola da zucchero si concentra in massima parte in Europa ed interessa soprattutto una lunga fascia che va dalle coste Canale della Manica all'Ucraina, con una grossa appendice nella pianura Padana. Ai primi posti, per produzione, si pongono la Russia, la Francia, la Germania occidentale e la Polonia. Fuori d'Europa la barbabietola presenta una certa importanza solo negli Stati Uniti. Le princiapli aree esportatrici sono, invece, le Antille e le isole Hawai.

Come la canna, anche la barbabietola non sopporta il trasporto a grandi distanze ed è trasformata nei luoghi di produzione. Essa, però, dà rendimenti medi inferiori a quelli della canna e, per non soccombere alla concorrenza, generalmente è protetta dallo Stato.


16. Le piante oleifere a ciclo annuale

L'olio, oltre a costituire un elemento di prima necessità per l'alimentazione umana, trova impiego in parecchie industrie. Esso è prodotto da numerose piante che crescono in differenti ambienti climatici e possono essere di tipo erbaceo, a ciclo annuale, oppure di tipo arboreo ed arbustivo, a ciclo poliennale. Alcune forniscono olio sia commestibile che industriale, altre invece producono olio adatto a soli scopi industriali.


Le principali piante oleifere a ciclo annuale sono la soia, l'arachide, il girasole, il sesamo, la colza ed il ravizzone.   


La soia è una leguminosa simile ad un grosso pisello e può raggiungere l'altezza di un metro. I suoi baccelli contengono numerosi semi rotondi o ovali, di colore giallo, da cui si ricava il 20% di olio e l'80% di sfarinati. L'olio è utilizzato sia a scopi alimentari, per la produzione di margarina, sia nell'industria delle vernici; la farina, invece, è impiegata nella panificazione, nella preparazione di paste alimentari e prodotti dietetici a basso contenuto di amido ed elevato valore proteico. I residui delle varie lavorazioni servono per l'alimentazione del bestiame.

La soia è originaria dell'Asia monsonica, ma dall'inizio del nostro secolo si è largamente diffusa anche nelle regioni con clima continentale, dove viene coltivata anche perché arricchisce il terreno di azoto. Tra i popoli asiatici di religione buddista, nella cui alimentazione non entra la carne, essa è utilizzata non solo per ricavarne olio, ma anche per ottenerne latte, formaggi e tutta una serie di cibi fermentati ricchi di proteine.

Nell'Asia monsonica il principale paese produttore di soia è la Cina. Nelle regioni a clima continentale, invece, la soia si è sviluppata in maniera particola­re in America, la quale fornisce più della metà del raccolto mondiale.


L'arachide, comunemente chiamata anche nocciolina americana, è una leguminosa erbacea originaria del Brasile ed è diffusa nelle zone tropicali e subtropicali. Essa esige una certa quantità di piogge durante il periodo della fioritura, poi preferisce la siccità. Poiché i frutti si sviluppano sotto terra, i suoli più adatti alla sua coltura sono quelli sciolti. L'olio di arachide è ricco di vitamine, per cui, oltre che per uso alimentare, viene impiegato anche in medicina ed in cosmetica. Le arachidi, comunque, sono anche utilizzate per farne minestre, pane e focacce; possono essere consumate come frutta, dopo tostatura, e vengono usate come foraggio per il bestiame insieme con lo stelo e le foglie della pianta.

Data la molteplicità degli impieghi ed il loro alto valore nutritivo, le arachidi sono coltivate in molti paesi del mondo. Circa la metà della produzione mondia­le, però, proviene dai paesi asiatici. Il resto della produzione è dato soprattutto dall'America e dall'Africa occidentale, dove spesso l'arachide costituisce una monocoltura estesa su vastissimi spazi.

L'Africa occidentale rappresenta la principale area di esportazione delle arachidi, che vengono inviate in massima parte nell'Europa occidentale. Alla loro commercializzazione provvede una rete di centri specializzati, dove il prodotto viene essiccato e talvolta sgusciato prima di essere spedito.


Il girasole è una pianta originaria del Messico ed ha esigenze climatiche simili a quelle del mais, con cui viene coltivato in rotazione. Essa presenta un fusto molto alto e grossi fiori gialli che sono sempre rivolti verso il sole, di cui seguono il corso durante il suo apparente moto diurno. Lo stelo e le foglie possono essere utilizzate come foraggio, mentre l'olio si estrae dai semi che sono contenuti nei fiori.

La coltura del girasole è particolarmente diffusa nella Russia e nei paesi danubiani, quali Romania, Ungheria e Bulgaria. Una discreta importanza essa riveste anche nella pampa argentina, con i contigui territori dell'Uruguay, e nei paesi mediterranei, dove si va sviluppando a scapito dell'olivo. Alla base della sua graduale espansione stanno e alte rese unitarie e la facilità con cui si raccoglie il frutto, laddove la raccolta delle olive è un'operazione assai dispendiosa.


Il sesamo è una pianta d'ambiente tropicale a breve ciclo vegetativo che richiede una certa quantità di piogge solo nel primo periodo di crescita. Alta da 60 cm ed oltre 1 m, essa presenta dei fiori con lunghe capsule in cui sono racchiusi i semi oleosi. L'olio che si ricava dalla spremitura dei semi è commestibile purché mescolato ad altri oli; i pannelli residui sono ottimo mangime per il bestiame; mentre la farina, ricca di sostanze proteiche, viene impiegata nella preparazione di pane e focacce.

Il sesamo è coltivato soprattutto in India, Africa, Cina e dal Messico. Le esportazioni del sesamo sono ridotte, ma esso viene consumato in massima parte nei luoghi di produzione.


La colza ed il ravizzone sono piante ambiente temperato che appartengono alla famiglia delle crocifere e sono coltivate per la produzione di foraggio verde nelle varietà primaverili e per la produzione di semi nelle varietà invernali. Esse sono caratterizzate da vivaci infiorescenze di colore giallo e danno un olio di sapore poco gradevole, che è utilizzato soprattutto per uso industriale. La loro area di diffusione è costituita quasi esclusivamente dall'Eurasia. In Asia si distinguono la Cina e l'India, in Europa la Polonia e la Germania.


17. Le piante oleifere a ciclo poliennale

Le principali piante oleifere a ciclo poliennale sono l'olivo, la palma da olio e la palma da cocco.


L'olivo è un albero sempreverde che può vivere anche di poco, cresce persino sulla roccia quasi nuda; l'unica condizione indispensabile per la sua vita è il clima che non deve essere mai eccessivamente freddo. Alto fino a 15 m, assai longevo, comincia a fruttificare verso il decimo anno di vita, e dà buone rese fino a 200-300 anni.

L'olivo è una pianta tipicamente mediterranea; cresce infatti in tutta o quasi la fascia litoranea che fiancheggia questo mare. Ma il primato mondiale della produzione di olio di oliva spetta all'Italia e alla Spagna.

In Italia alberi di olivi costellano le sponde dei laghi prealpini, le colline venete e la riviera ligure, dove talvolta si infittiscono a formare macchie piuttosto compatte. Ma solo nelle regioni centro-meridionali, dalla Toscana alla Sicilia, la loro pre­senza diventa consistente e diffusa, assumendo di solito la forma di coltura promi­scua nelle aree interne e di coltura specializzata nelle zone costiere. In Spagna oltre metà della superfice olivicola è localizzata nell'Andalusia, specialmente nella valle del Guadalquivir. Gli altri paesi dove si pratica l'olivicoltura sono il Portogallo, la Grecia, la Turchia, gli stati dell'Africa settentrionale, gli Stati Uniti e l'Argentina.

L'olivo cresce bene nei paesi mediterranei perché supera le estati quasi completamente prive di pioggia grazie al suo vasto apparato radicale, che riesce ad infiltrarsi anche nelle rocce in cerca dell'umidità sottostante, ed alle sue foglie rigide, che limitano la traspirazione. L'olio migliore, anzi, si ottiene appunto nei terreni pietrosi di natura calcarea. La raccolta delle ulive, però, è molto costosa perché richiede un grande impiego di mano d'opera. E ciò, allo stato attuale, costituisce un fattore di crisi per l'olivicoltura, il cui prodotto non riesce a sopportare la concorrenza dell'olio di semi. In alcuni casi i vecchi uliveti, caratterizzati da alberi alti e contorti, vengono sostituiti con nuovi impianti allevati a cespuglio o a siepone, cioè con piante tenute basse in modo da essere a portata d'uomo e agevolare la raccolta dei frutti; in altri casi essi, come accade in Italia, sono stati abbandonati o eliminati per far posto a colture più redditizie.


La palma da cocco è una pianta d'ambiente tropicale che necessita di un clima caldo, ed è localizzata in particolare nelle regioni costiere, dove crescono anche allo stato spontaneo in seguito alla disseminazione dei frutti che, caduti dagli alberi, vengono trasportati dal mare fino a quando non approdano su una spiaggia, dove germogliano e generano nuove piante.

La palma da cocco è alta fino a 30 m ed è dotata di un tronco snello e non ramificato che termina alla sommità con un pennacchio di lunghe foglie con grappoli di noci che possono raggiungere il peso di 8 kg. Le noci sono formate da un rivestimento esterno lucido ed impermeabile; da un mallo fibroso utilizzato per spazzole, cordami e tappeti; e da un guscio molto duro che contiene una polpa bianca e oleosa, ricca di un liquido dolciastro usato come bevanda rinfrescante. Il liquido, quando il frutto maturo, solidifica ed insieme alla polpa viene disseccato e messo in commerci con il nome di «copra», dalla copra si ricavano grassi impiegati soprattutto nell'industria dei saponi.

I più importanti centri di coltura sono: l'Asia, l'Oceania e l'America. La coltivazione è effet­tuata sia in aziende familiari che in grandi piantagioni; ma la maggior parte della produzione di copra proviene dalle piccole aziende indigene. L'esportazione si dirige in prevalenza verso gli Stati Uniti e verso l'Europa occidentale.


La palma da olio è originaria dell'Africa occidentale, dove cresce diffusa­mente allo stato spontaneo. Può raggiungere un'altezza di 20-30 m e presenta all'ascella delle foglie grossi caschi di frutti simili a prugne, di colore arancione o rosso cupo, che hanno un nocciolo durissimo ricoperto da una polpa carnosa. Dai frutti si ricavano due tipi di olio: uno di colore scuro, utilizzato soprattutto per fini industriali, dalla polpa e l'altro di colore chiaro adatto a scopi alimentari, dai noccioli.

La palma da olio è stata introdotta anche in aree diverse da quella originaria. Essa, comunque, conserva come principale area di elezione l'Africa occidentale, dove è molto diffusa lungo tutta la fascia costiera che va dal Senegal fino all'Angola penetrando nell'entroterra. I maggiori paesi produttori sono la Nigeria e lo Zaire, dove la produzione, pur non mancando le grandi piantagioni, deriva in massima parte da piccole aziende indigene e da milioni di alberi che crescono allo stato selvatico nella foresta equatoriale.

Al di fuori dell'Africa la palma da olio riveste grande importanza nell'Asia di sud-est, dove però è coltivata in vaste piantagioni con sistemi moderni. Anche la raccolta e la lavorazione del prodotto avvengono con criteri razionali, per cui sia le rese che la qualità dell'olio sono migliori rispetto a quelle dell'Africa. La produzione, inoltre, è destinata quasi per intero all'esportazione.


Una notevole quantità di olio si ricava anche, come prodotto secondario, da numerose piante coltivate a scopi diversi: in primo luogo dai semi del cotone e del lino. L'olio di lino, in particolare, ha la proprietà di essere ad essiccazione rapida e, perciò, viene utilizzato nella fabbricazione dei colori, della lacca, della tela incerata e di prodotti analoghi. Allo stesso uso si presta. l'olio di tung, una pianta che è coltivata essenzialmente nella Cina e nell'Ar­gentina, oppure l'olio di ricino, il quale però trova impiego anche in medicina e nella cosmetica. Esso è coltivato soprattut­to in Brasile ed in India. Nei paesi temperati come quelli europei, però, esiste anche una pianta di ricino a ciclo vegetativo annuo che fornisce rese molto modeste.

18. Le piante da fibra

Le piante che forniscono fibra sono numerose, ma solo poche hanno acquistato importanza nell'agricoltura mondiale. Esse sono soprattutto il cotone ed il lino, che producono fibre adatte a fabbricare indumenti, la canapa, la juta e l'agave, che invece danno fibre più rudi utilizzate in massima parte per fabbricare sacchi e cordame.


Il cotone è una pianta che ama la pioggia e l'umidità nel periodo della crescita e della prima maturazione; ma quando il frutto, che consiste in una capsula grande quanto una noce, si apre e ne esce il batuffolo candido del cotone, anche un breve acquazzone è sufficiente per rovinare la fibra, facendola fermentare. Per questo motivo il cotone cresce nelle regioni più calde della Terra, cioè in quelle tropicali. Tra l'altro il calore del sole rende resistenti e morbidi le sue fibre.

Tuttavia, è possibile estendere le coltivazioni anche in aree piuttosto lontane dai tropici, purché con clima mite, dove il fabbisogno di acqua può essere coperto dall'irrigazione.

Le piante di cotone sono di due specie: una erbacea, alta non più di un metro ed a ciclo annuale, l'altra arbustiva, alta fino a 6-7 m ed a ciclo poliennale. La più diffusa è quella di tipo erbaceo.

Coltivato fin dall'antichità in India dove si svi­lupparono fiorenti manifatture, presu­mibilmente intorno al 1200 il cotone venne introdotto in Cina e qualche se­colo più tardi fece la sua comparsa in Egitto. Nel sec. XVIII la coltivazione del cotone, già praticata in alcuni paesi latino-americani, fu avviata dall'In­ghilterra nelle colonie dell'America settentrionale, nelle cui piantagioni si ricorse al lavoro di schiavi africani. Ma il cotone, che era allora un prodotto di lusso, si impose massicciamente sul mercato mondiale solo nel sec. XIX, do­po che le macchine per filare e per tes­sere inglesi ne avevano permesso l'uti­lizzazione su larga scala a prezzi sensi­bilmente più bassi di quelli della lana. Allo sviluppo dell'industria cotoniera corrispose un sensibile incremento della produzione mondiale di cotone che ha continuato ad au­mentare nei primi anni Settanta, nonostante la più dinamica espansione delle fibre ar­tificiali e sintetiche.

A scala mondiale il cotone ricopre una superficie complessiva presso a poco uguale a quella dell'intera Italia ed è coltivato in una sessantina di paesi sparsi in tutti i continenti, ma il grosso della produzione proviene dagli Stati Uniti, dalla Russia e dalla Cina.

Negli Stati Uniti la zona dove la pianta viene coltivatasi chiama «cotton belt», cioè "fascia del cotone", e si estende ad arco, alle spalle del Golfo del Messico, dalle propaggini delle Montagne Rocciose all'Atlantico, ma è presenta anche in California.

Buona parte della produzione di cotone proviene anche dall'Africa. Nel continente africano i più importanti produttori sono l'Egitto ed il Sudan. L'Egitto dà le più alte rese per ettaro ed anche le qualità migliori di cotone, caratterizzate da una fibra lunga e resistente.

Il cotone costituisce uno dei più importanti prodotti agricoli del commercio mondiale: buona parte della produzione, infatti, viene esportato. I maggiori paesi esportatori sono Stati Uniti, Russia ed Egitto; mentre i maggiori importatori sono il Giappone ed i paesi dell'Europa occidentale.


Il lino è una pianta erbacea a ciclo annuale che cresce e matura in tre o quattro mesi. Esso è originario dell'area mediterranea, ma si adatta a vari tipi di clima purché, nel periodo dello sviluppo, usufruisca di temperature piuttosto uniformi e di precipitazioni non troppo abbondanti. La sua coltivazio­ne può essere effettuata per produrre sia fibra che semi, da cui si estrae l'olio. I due scopi, però, non possono essere abbinati perché la pianta, se si semina per un uso, non serve all'altro: quando il seme è maturo, infatti, la fibra risulta inutilizzabile. Di solito il lino viene coltivato per il seme nei paesi caldi, per la fibra nelle regioni a clima umido e fresco. Si tratta di una coltura che esaurisce facilmente le sostanze del terreno e non può essere ripetuta due o più volte sullo stesso campo. Essa, inoltre, richiede abbondante mano d'opera sia per le operazioni colturali che per la raccolta e la lavorazione del tiglio. Ciò riduce la concorrenzialità del lino rispetto alle altre fibre.

Il maggior produttore di lino è la Russia, dove la coltura, dapprima circoscritta alla regione baltica, si è poi andata espandendo verso l'interno fin nella Siberia. Seguono, a grande distanza, alcuni paesi dell'Europa occidentale e centrale, come la Francia, l'Olanda, la Germania e la Polonia. Al di fuori dell'Europa la produzione di lino assume una certa importanza solo in Cina ed in Egitto. Esso, inoltre, alimenta scambi molto ridotti perché la maggior parte del prodotto è trasformato nei paesi d'origine.


La canapa è una pianta erbacea a ciclo annuale, originaria dell'Asia centrale e oggi coltivata in molte regioni a clima temperato o subtropicale. La sua fibra, un tempo destinata prevalentemente alla produzione di tessuti, ora è utilizzata soprattutto per fabbricare tela da vele o da parati e diversi tipi di cordami.

La produzione mondiale di canapa è data da quattro paesi: Cina, India, Russia e Romania. Fino a qualche decennio addietro anche l'Italia forniva una discreta quantità di canapa, che veniva coltivata nella bassa pianura padana e nei dintorni di Napoli. Ora essa ha ceduto il posto a colture ortofrutticole.


La juta è una pianta annuale, simile ad una canna, che richiede un clima caldo ed umido. La fibra, che si estrae dal gambo per macerazione, come nel caso del lino e della canapa, è molto lunga, leggera, morbida, flessibile, di colore giallo e molto resistente allo strappo. Essa viene utilizzata soprattutto per fabbricare tessuti di imballaggio, sacchi, tende, tappezzerie, spaghi e prodotti simili. Il materiale di scarto è, invece, impiegato per la fabbricazione della carta.

La coltivazione della juta è localizzata quasi interamente nell'Asia orientale, dove sfrutta soprattutto le umidi zone deltizie come quella del Gange-Brama­putra. I più grossi produttori sono la Cina, l'India, il Bangladesh e la Thailandia. Una quota piuttosto cospicua del prodotto viene esportata, special­mente dal Bangladesh, verso l'Europa occidentale e gli Stati Uniti.


L'agave sisalana o sisal, infine, è una pianta che cresce soprattutto nell'Africa tropicale. Le sue foglie, grasse e succose, forniscono fibre assai resistenti, che vengono utilizzate per intrecciare stuoie e tappeti e per fabbricare cordami.

Nel Messico dall'agave si ricava anche il «pulque», una bevanda alcolica di colore giallognolo. La maggior parte della produzione di fibre d'agave viene esportata verso l'America settentrionale e l'Europa.

19. Le spezie

Le spezie sono prodotti di origine vegetale utilizzate dall'uomo per condire i cibi allo scopo di miglio­rarne il gusto o conferirgli un determinato aroma. Esse sono prodotte quasi tutte nell'Oriente. Nel passato il desiderio di raggiungerne le aree produttrici ha indotto gli Europei, soprattutto i Portoghesi e gli Olandesi, ad intraprendere arditi viaggi circumnavigando l'Africa ed a scoprire molte terre continentali ed insulari. Il loro commercio recò immense ricchezze soprattutto a Lisbona e ad Amsterdam. Ora la loro importanza è piuttosto limitata, perché i cibi sono più variati e possono essere conservati con l'industria del freddo. Tuttavia alcune regioni ne traggono grandi vantaggi economici. Tra le spezie più usate si ricordano il pepe, la cannella, i chiodi di garofano, la noce moscata e lo zenzero, che sono tutti originari dell'ambiente tropicale umido.


Il pepe è fornito da una pianta rampicante che cresce allo stato spontaneo nella foresta pluviale, dove raggiunge la stessa altezza degli alberi cui si avviluppa con il suo abbondante fogliame. Dai coltivatori, però, è tenuta all'altezza di 4-5 m per favorirne la ramificazione dei rigetti, che sono molto più fertili di semi. Avendo bisogno di un appoggio, la pianta del pepe è spesso associata agli alberi del caffè. Il frutto raccolto immaturo fornisce il pepe nero; raccolto invece a maturazione avvenuta e decorticato fornisce il pepe bianco, che è meno piccante.

Il pepe viene coltivato nei paesi caldi, in zone molto limitate, soprattutto nella Malesia, nelle Indie orientali e nel Sudamerica.


La cannella si ottiene dalla corteccia essiccata dei rigetti di alcuni alberi apparte­nenti al genere cinnamomo. Il maggior produttore di cannella è Ceylon; il resto del prodotto mondiale proviene in prevalenza dalle isole Seicelle e Mauritius e dalla Cina meridionale, dove però la qualità di cannella risulta piuttosto mediocre.


I chiodi di garofano rappresentano i germogli floreali essiccati della pianta di garofano, un albero originario delle Isole Mole Molucche che per lungo tempo hanno detenuto il monopolio del prodotto. Ora la maggior parte del raccolto mondiale proviene, invece, da alcune isole africane dell'Oceano India­no: Madagascar, Zanzibar e Pemba, dove la coltivazione è praticata in piccole piantagioni.


La noce moscata corrisponde al seme di un frutto che è simile ad una pesca ed è prodotto da un albero originario delle Molucche. Le Isole Molucche danno circa i tre quarti del raccolto mondiale; il resto è fornito essenzialmente dall'isola di Grenada, nelle Piccole Antille, e dalla zona costiera del Brasile caratterizzata da un ambiente torrido ed umido.


Lo zenzero è il fusto di una pianta simile all'iris che cresce spontanea nell'Asia meridionale. Essa ha un ciclo annuo ed è coltivata soprattutto in Cina meridionale, India, Malesia, Giamaica e Brasile.


La vaniglia, infine, si ricava dalla silique baccelliforme di una pianta originaria del Messico, dove viene coltivata nelle zone alte della «tierra caliente». Allo stato attuale, però, la maggior parte della produzione mondiale è fornita dal Madagascar e da altre isole dell'Oceano Indiano.


20. Le piante da caucciù

Il caucciù è un lattice che si ricava da parecchie piante della foresta equatoriale e serve per fabbricare la gomma. Il lattice si estrae mediante incisioni operate nella corteccia dell'albero, da dove il liquido lentamente defluisce in appositi recipienti fissati al tronco.

Fino alla fine del secolo scorso l'Amazzonia, grazie al lattice ricavato dalla foresta, deteneva il monopolio nella produzione mondiale del caucciù, che per l'esportazione affluiva quasi tutto ai porti fluviali di Parà, ora detta Belém, e di Manaus: due città che hanno tratto grandi ricchezze da tale attività ed ancora oggi costituiscono importanti mercati della gomma.

Lo sviluppo industriale, e segnatamente quello automobilistico, crearono sempre nuova domanda di caucciù per la fabbricazione di pneumatici e incoraggiarono l'ampliamento delle zone coltivate. Il baricentro della produzione di gomma, allora, si spostò rapidamente verso l'Asia di sud-est, dove la coltura del caucciù si diffuse in grandi piantagioni che divennero ben presto l'elemento più importante del paesaggio agrario su vasti spazi.

Attualmente il sud-est asiatico continua a produrre, con incremento relativamente modesto, la quasi totalità della gomma naturale; il resto proviene dagli altri paesi dell'Asia tropicale e da alcuni paesi dell'Africa occidentale: soprattutto Liberia, Nigeria, Costa d'Avorio e Camerun, dove sono presenti vaste piantagioni appartenenti per lo più a società statunitensi e francesi. La produzione del Brasile, pertanto, è diventata del tutto marginale.

Il caucciù, prodotto quasi totalmente nei paesi in via di sviluppo, viene consumato in massima parte nei paesi industrializzati.

L'aumento continuo della gomma, che trova impiego non solo nell'industria automobilistica, ma anche in numerosi altri rami manifatturieri, ha spinto alla produzione della gomma sintetica, che si ottiene da vari prodotti e per molti usi è preferito al caucciù naturale perché presenta maggiore resistenza agli acidi, alla luce e alla fiamma e si lacera meno facilmente. Circa il 70% della gomma prodotta nel mondo è ormai ottenuto in maniera sintetica.


21. I prodotti alimentari di origine animale: carne, latte, uova

I prodotti alimentari forniti dal mondo animale sono soprattutto la carne, il latte e le uova.

Tutti gli animali di allevamento, praticamente, possono fornire carne: l'unica limitazione, in proposito, è rappresentata dalle usanze locali o dalle prescrizioni religiose che vietano il consumo della carne di determinate specie animali. In realtà, però, la maggior parte della carne consumata dall'uomo deriva dall'alle­vamento dei bovini, dei suini degli ovini e dei polli. Allo stesso modo il latte può essere ricavato da tutte le specie di mammiferi, ma in sostanza esso è prodotto quasi esclusivamente da mucche, capre e pecore.


La carne bovina occupa il 1° posto nella produzione mondiale di carne. L'allevamento bovino è concentrato soprattutto in Asia e in Africa, due paesi che possiedono circa metà del patri­monio bovino mondiale; ma, a parte i divieti religiosi ed altri fattori d'ordine sociale che limitano a pochi paesi l'allevamento commerciale, si tratta di bovini che sono poco adatti alla produzione di carne e latte e vengono utilizzati, più cha altro, per il lavoro dei campi.

Le principali regioni con una zootecnia intensiva specializzata nella produzione di carne o di latte sono l'America del Nord e l'Europa. Forti produttori di carne, almeno in rapporto al numero complessivo degli abitanti, sono anche l'Australia, la Nuova Zelanda e l'Argentina.

La carne bovina viene consumata in massima parte nei paesi che la produco­no. Gli scambi, inoltre, si svolgono generalmente tra paesi vicini. Gli unici flussi intercontinentali di una certa consistenza partono dall'Australia, dalla Nuova Zelanda, dall'Argentina e dal Brasile e sono diretti all'Europa occidentale, agli Stati Uniti ed al Giappone.

Occorre osservare, comunque, che il commercio della carne bovina non è libero. A parte le barriere commerciali rappresentate dalle tariffe e dai contingenti d'importazione, vi sono molte regole sanitarie che di fatto rappre­sentano vere e proprie barriere all'importazione. Anche il latte, data la sua facile deperibilità, alimenta un modesto commercio internazionale. Importanza mag­giore, invece, rivestono i prodotti lattieri, come burro, formaggi, latte condensato o in polvere, forniti soprattutto ai mercati europei.


La carne suina, dopo quella bovina, occupa il secondo posto nella produzione mondiale di carne. I maiali possono essere allevati nella maggior parte delle regioni del mondo, in condizioni di clima sia temperato che tropicale, e si prestano sia all'allevamento intensivo di tipo industriale che all'allevamento domestico di tipo contadino, in quanto richiedono poco spazio e possono utilizzare i rifiuti alimentari della famiglia. Anche le caratteristiche particolari della carne, che può essere facilmente conservata sotto sale o trasformata in prosciutto, sono favorevoli all'allevamento in piccole aziende. Le razze dei suini allevati sono numerose. Esse, comunque, possono distinguersi in due categorie fondamentali: suini a crescita più o meno lenta, piuttosto ricchi di lardo ed utilizzati soprattutto per i salumi o i prosciutti; suini a crescita rapida, piuttosto magri e meglio adatti per il consumo diretto.

I maiali, come ho già detto, possono essere allevati ovunque; ma per motivi religiosi essi sono esclusi dall'India, dall'Asia occidentale e dall' Africa del Nord. Le regioni in cui l'allevamento suino presenta le maggiori concentrazioni sono: 1) la Cina che possiede circa la metà del patrimonio suino mondiale; l'Europa centro-orientale e la Russia, dove molto spesso i suini si associano all'allevamento dei bovini perché utilizzano i sottoprodotti dell'industria casearia; la parte orien­tale degli Stati Uniti; e le coste orientali del Brasile.

Il commercio mondiale di carne suina, rispetto a quello di carne bovina, è del tutto irrilevante. I principali paesi esportatori sono: Olanda, Danimarca e Stati Uniti


In, crescente aumento è, infine, la quantità di carne fornita dai volatili domestici, tra cui le galline sono quelle che detengono il primato sia nella produzione che nello scambio internazionale. La pollicoltura, in effetti, costituisce un'attività integrativa dell'economia agricola: almeno nelle aziende in cui le famiglie risiedono sui campi. Ma, ai fini commerciali, ha importanza soprattutto la pollicoltura industriale che, oltre ai comuni mangimi d'origine agricola, utilizza largamente molti sottoprodotti o scarti dell'industria della carne, del pesce e dell'olio. Essa risulta molto redditizia sia perché richiede poco spazio, dato che i pollai possono essere costruiti a più piani, sia perché consente di recuperare rapidamente i capitali investiti, in quanto carne ed uova cominciano ad essere prodotte nello stesso anno della cova. Uova e carne, inoltre, sono vendibili senza alcuna lavorazione preliminare.

Ai primi posti, per numero di capi allevati, si pongono la Russia e la Cina, seguite dagli Stati Uniti e dal Brasile. Ma per densità di capi, in rapporto al terreno agricolo, si distinguono alcuni paesi dell'Europa occidentale.

Tra gli altri animali domestici rivestono una certa importanza le anatre, le oche ed i tacchini. Le anatre e le oche sono particolarmente numerose nell'Asia orientale e meridionale, dove vengono allevate nelle risaie.

Solo una parte molto limitata della carne e delle uova degli animali da cortile è oggetto di commercio internazionale. In Europa sono paesi esportatori soprattutto la Danimarca, il Benelux e l'Irlanda. Il principale importatore di uova, invece, è la Gran Bretagna.


22. La lana e le pelli

La lana è una fibra tessile naturale ricavata essenzialmente dagli ovini, cioè dalle pecore e dalle capre, e solo in piccola misura da altri animali (cammelli e lama).

Gli ovini, a differenza dei bovini che hanno bisogno di pascoli grassi ed abbondanti, sono in grado di sfruttare anche la vegetazione steppica Essi, quindi, possono essere allevati sia nei paesi caldi che in quelli freddi, sia nelle regioni aride che in quelle umide, con la sola eccezione della fascia equatoriale. L'allevamento ovino, perciò, è praticato sulla maggior parte della superficie terrestre Le aree di più forte concentrazione, comune, comunque, sono: i paesi del Vicino Oriente, la Cina e l'India, dove buona parte del patrimo­nio zootecnico è costituito dalle capre; la Russia; i paesi dell'America meridionale, in modo particolare l'Argentina, l'Uruguay ed il Brasile; l'Africa settentrionale e la Repubblica Sudafricana; l'Australia e la Nuova Zelanda; e i paesi dell'Europa mediterranea ed il Regno Unito.

Nei regimi economici di sussistenza l'allevamento presenta indirizzi produttivi poliva­lenti: si basa, cioè, su razze non specializzate che producono nello stesso tempo latte, carne e lana. L'allevamento commerciale, invece, si basa su razze di pecore che meglio si prestano alla produzione o di carne o di lana. Occorre osservare però che la carne degli ovini (agnello, capretto) è meno apprezzata di quella bovina o suina, dato il suo particolare odore, per cui se ne fa un uso limitato. Essa è consumata soprattutto nei paesi musulmani, dove la religione vieta di mangiare carni suine.

La varietà della lana, oltre che dalle razze ovine, dipende anche dalle condizio­ni climatiche. In linea generale si può dire che le qualità di lana migliori si ottengono nelle regioni caratterizzate da forti contrasti termici tra l'estate e l'inverno, dove le pecore sviluppano un pelo lungo e soffice che, mentre lascia traspirare la pelle nei periodi caldi protegge gli animali dai rigori del freddo. La razza tipica di questi ambienti climatici è rappresenta dalle pecore merinos che, un tempo limitate agli altipiani interni della Spagna, si sono poi diffuse in tutti i continenti e forniscono la maggior parte della lana prodotta nel mondo. Nelle regioni a clima freddo, invece, le pecore sviluppano un vello a lana fitta, grossa e compatta che è poco adatta per i tessuti e viene utilizzata soprattutto per le pellicce. Nelle regioni con clima uniformemente umido, infine, le pecore presentano una lana rada e corta che è di qualità scadente.

Varietà di lana molto pregiate sono prodotte anche da alcune razze caprine. Si ricordano in particolare: la lana mohair, fornita dalle capre d'angora allevate in Turchia, nell'Africa meridionale e nel Texas; la lana cashmir, fornita dalle capre allevate nell'India nord-occidentale (Kashmir), nel Tibet ed in Cina. Oltre metà della lana prodotta nel mondo e consumata in paesi diversi da quelli in cui si ottiene, formando oggetto d'intensi scambi.

I principali paesi esportatori sono l'Australia, la Nuova Zelanda, l'Argentina e la Repubblica Sudafricana. I più importanti acquirenti, invece, sono il Giappone e i paesi dell'Europa occidentale.


Tutte le specie di mammiferi forniscono pelli e pellicce, ma la maggior parte del cuoio e del pellame che entra nel commercio internazionale è ricavata dai bovini, dai bufali e dagli ovini. I principali esportatori di pelli grezze o lavorate sono l'India ed il Pakistan; ma cospicuo è anche il contributo di altri paesi, soprattutto dell'Estre­mo Oriente e dell'America Latina.

Un tipo di pelle molto pregiata è quella delle renne che vivono e sono allevate nelle zone subartiche dell'Eurasia e dell'America. Anche le pellicce sono ricavate da animali che vivono generalmente nelle zone fredde (castoro, martora, visone, ermellino, ecc.). Esse però, più che dalla caccia degli animali selvatici, sono fornite da allevamenti razionali praticati sia negli stessi luoghi in cui gli animali vivono allo stato selvatico che in luoghi del tutto diversi. In alcune regioni si allevano anche alligatori e serpenti per ricavarne pelli che vengono utilizzate nella fabbricazione di borse, cinture ed altri articoli.


23. La seta

La seta è una sostanza fibrosa secreta dalla larva di una farfalla, il baco del gelso, come bava continua per la formazione di bozzoli protettivi nel periodo della metamorfosi. La raccolta dei bozzoli ha però luogo prima della trasformazione in farfalla perché questa per uscire alla luce spezzerebbe il filo in varie parti, rendendolo inutilizzabile. I bachi, quindi, vengono uccisi attraverso il trattamento a caldo, cioè introducendo i bozzoli in apposite stufe.

L'allevamento del baco in ambiente aperto, cioè direttamente sull'albero, richiede climi caldi. Esso, tuttavia, può essere effettuato anche in condizioni climatiche meno favorevoli, ma in locali chiusi ed opportunamente climatizzati. Oltre che di un clima adatto, però, lo sviluppo della bachicoltura ha bisogno di mano d'opera abbondante e a buon mercato poiché la raccolta di foglie e ramoscelli, dove il baco farà il suo bozzolo, ed altre operazioni analoghe, anche se sono lavori leggeri richiedono molto tempo.

L'area d'elezione del baco da seta, sia per le favorevoli condizioni climatiche che per l'alta densità di popolazione contadina, è rappresentata dall'Asia monsonica, dove l'allevamento può essere praticato all'aperto durante tutto l'anno. Secondo fonti storiche, infatti, l'addomesticamento del baco sarebbe avvenuto in Cina intorno al XXVI secolo avanti Cristo. E per lunghissimo tempo la Cina ha conservato il monopolio della seta, vietando con leggi drastiche di farne conoscere i sistemi di produzione agli stranieri. Soltanto intorno al 55o d.C., alcuni monaci persiani riuscirono a portare dalla Cina, nascoste nei bastoni di bambù, un certo numero di uova a Costantinopoli. Il suo allevamento, così, intorno al 700 si diffuse in Sicilia, da dove gradualmente passò in altri paesi dell'Occidente.

La Cina, comunque, resta l'area più importante per la bachicoltura e produce oltre la metà della seta greggia mondiale. Al secondo posto si colloca il Giappone, che in alcuni periodi ha superato la produzione cinese; seguono poi l'India, dove però l'allevamento del baco è limitato a poche regioni perché la religione induista vieta di uccidere le larve dell'insetto nei bozzoli, e la Russia, dove l'allevamento è praticato soprattutto nel Caucaso. Complessiva­mente l'Asia produce il 97% della seta greggia mondiale. Il resto proviene dal Brasile e da alcuni paesi dell'Europa mediterranea, tra cui l'Italia.

Sin dall'antichità il mondo occidentale importa dall'Oriente notevoli quantità di seta, che è il più pregiato dei tessuti per i suoi caratteri di finezza, lucentezza, elasticità e morbidezza. Famosa era appunto la «via della seta», che collegava la Cina alla Siria attraverso carovane di cammelli. Dal Mediterraneo orientale, poi, il prezioso prodotto proseguiva verso l'Europa per via mare. Dal suo commercio hanno tratto grande beneficio le repubbliche marinare italiane. A partire dalla metà del nostro secolo, però, l'esportazione della seta naturale si è fortemente contratta a causa della concorrenza della seta artificiale, ossia del raion, una fibra che si ricava dalla cellulosa e che, sottoposta a diversi processi chimici, acquista particolari caratteri di lucentezza e morbidezza.


24. La distribuzione delle risorse forestali

Le foreste nel passato coprivano circa due terzi delle terre emerse, mentre adesso ne rivestono meno di un terzo. Le aree che presentano i più alti coefficienti di boscosità, espressi dal rapporto tra la superficie complessiva e quella forestale, sono la Russia e l'America; mentre le aree con i coefficienti più bassi, si trovano in Africa ed in Asia, che insieme con le foreste più rigogliose possiedono anche i deserti.

Le foreste possono costituire formazioni chiuse, se sono limitate a zone ben circoscritte, oppure aperte, se si estendono in maniera irregolare su vaste superfici secondo la morfologia e la natura del suolo. In base alla composizione, poi, esse si distinguono in pure, se sono costituite da piante appartenenti alla stessa specie, o miste, se comprendono diverse specie consociate tra loro.

Le foreste sono variamente distribuite sulla superficie terrestre. In termini quantitativi, però, esse si concentrano per la maggior parte in tre grandi zone climatiche: la zona tropicale, la zona temperata boreale e la zona temperata australe.


La foresta tropicale, detta anche vergine o pluviale, è tipica del clima equatoriale e rappresenta circa il 45% della superficie forestale di tutto il mondo. Essa si compone di innumerevoli specie arboree, disposte su 5-6 piani vegetativi. In alto svettano, fino a 50-60 m, alberi dall'ampia chioma; più in basso si addensano palme di vario ge­nere, quindi felci arborescenti e un intricato groviglio di liane. Piante parassite, inoltre, crescono sui tronchi, sui rami e persino sulle foglie degli alberi. Il suolo, infine, è composto da muschi imbevuti d'acqua e da pantani, mentre le aree deltizie e lagunari sono cosparse di mangrovie, piante anfibie dotate di particolari radici che si spingono fuori dalle acque in cerca dell'ossigeno per respirare. La foresta pluviale, in sostanza, costituisce il tipo più complesso di associazione arborea chiusa e domina in due regioni: il bacino del Congo (o Zaire) in Africa ed il bacino del Rio delle Amazzoni in America. Caratteri più o meno analoghi presenta anche la giungla, cioè la foresta che regna nell'Asia monsonica. Essa, tuttavia, risulta meno complessa per fittezza e numero di specie vegetali.


La foresta della zona temperata boreale si differenzia da quella tropicale per la predominanza di una sola essenza su vaste estensioni. Essa può distinguersi in due grandi sottotipi a seconda della latitudine e, quindi, del clima: 1) la foresta di conifere nella zona subartica; 2) e la foresta di latifoglie nelle regioni situate più a sud. Si tratta di un'ampia fascia boschiva che si stende con una certa continuità da un capo all'altro dell'America settentrionale e dell'Eurasia. Nel complesso essa racchiude il 38% delle foreste presenti sulla superficie terrestre.

Nella zona boreale dell'Eurasia il principale distretto forestale è quello della Siberia, dove il bosco, chiamato con termine russo taiga, si espande dagli Urali all'Oceano Pacifico. Naturale prolungamento della taiga siberiana possono considerarsi le foreste della Scandinavia, costituite soprattutto da pini e abeti rossi. Nell'America settentrionale, invece, la più vasta regione forestale si stende nella zona mediana del Canada, dall'Alaska al San Lorenzo, dove i boschi appartengono quasi per intero allo Stato e sono formati in buona parte. da aceri. Negli Stati Uniti il mantello forestale risulta concentrato soprattutto attorno ai Grandi Laghi, nella regione appalachiana, sulle Montagne Rocciose e sulla Catena Costiera, che in alcune regioni possiede i boschi più belli e più imponenti del mondo. Essi sono caratterizzati da sequoie gigantesche e sono stati sottratti allo sfruttamento facendoli rientrare in grandi parchi naturali.


Le foreste temperate dell'emisfero australe, infine, rappresentano la parte minore delle risorse forestali del mondo. Esse occupano larghi settori delle Ande meridionali, delle montagne australiane e della Nuova Zelanda, dove rivestono quasi un terzo del territorio. Per quanto riguarda le essenze, sulle conifere prevalgono nettamente le latifoglie.


25. L'utilizzazione delle essenze legnose

Il legno fornito dagli alberi viene classificato in dolce, o morbido, quello proveniente soprattutto dalle foreste di conifere, e forte, o duro, quelloricavato per lo più dalle latifoglie delle regioni calde. Dal punto di vista commerciale i legni dolci sono i più importanti perché si prestano a diversi usi, essendo nello stesso tempo resistenti e facilmente lavorabili.

Il legno viene impiegato comunemente per la combustione a scopi domestici, per la costruzione di case, specialmente nei paesi freddi, di mobili e di altri oggetti, per la fabbricazione di pasta da carta, per la preparazione di fibre artificiali, come il raion, vernici, materie plastiche, esplosivi ed altri prodotti chimici ottenuti per distillazione. Una serie di processi chimici messi a punto in tempi recenti, inoltre, permette di trasformare il legno in cibo per gli animali ed anche per gli uomini.

Il legno è un prodotto pesante che, prima di essere inoltrato verso i luoghi d'impiego, deve essere assottigliato e fatto a pezzi. Perciò vengono sfruttate soprattutto le foreste più accessibili, dotate di economiche vie di comunicazione come i fiumi, oppure quelle più vicine ai mercati di consumo. Oltre metà del legno utilizzato nel mondo, infatti, deriva dalle foreste boreali dell'America, della Siberia e della Scandina­via. Scarso è invece il contributo delle foreste temperate dell'emisfero australe, troppo lontane dai grossi centri di consumo situati soprattutto in Europa, come pure quello delle foreste tropicali, dove le piante commercialmente utili sono disperse tra le migliaia di specie ed il loro sfruttamento risulta costoso.

Le foreste della fascia equatoriale, tuttavia, forniscono legni pregiati che presentano come caratteristiche essenziali la durezza e la tessitura uniforme, dato che gli alberi non subiscono interruzioni stagionali nella loro crescita. I più ricercati dal mercato internazionale sono: 1) il mogano, un legno durissimo di colore rosso bruno, usato per mobili di lusso; 2) il palissandro, di colore grigio bruno o bruno violaceo; 3) l'ebano, di colore nero, fornito da una pianta simile a quella dei kaki; 4) l'okumé, utilizzato soprattutto per le assi del legno compensato; 5) e il quebracho, che è duro come il ferro e viene utilizzato per le traversine ferroviarie o addirittu­ra per lastricare le strade.

Le foreste delle regioni monsoniche, infine, presentano una sola essenza di grande interesse commerciale: il teak, che fornisce un prezioso legno duro ma facilmente lavorabile. Esso non è attaccato dalle termiti a causa del suo odore particolare, non provoca l'ossidazione del ferro per la presenza di una sostanza oleosa, resiste bene all'acqua e all'usura del tempo. Date queste qualità, è molto richiesto dall'industria dei mobili e delle navi. Caratteristi­co delle regioni monsoniche è anche il bambù che pur non entrando nel grosso commercio internazionale, trova un larghissimo impiego nei paesi di produzione perché il suo legno è tenero e facilmente lavorabile, flessibile e resistente.

La maggior parte della superficie forestale appartiene a grandi società o ad enti pubblici. Il loro sfruttamento, pertanto, viene generalmente effettuato da grosse imprese i cui cantieri si spostano da una zona all'altra con tutto il loro equipaggiamento. I tronchi degli alberi, una volta tagliati, vengono avviati verso i luoghi di lavorazione o verso i porti di esportazione situati per lo più lungo i fiumi, attraverso la fluitazione. Essi vengono affidati alla corrente dell'acqua non isolatamente, ma legati tra loro in modo da formare grandi zattere.

Tra i maggiori centri d'esportazione del legname si ricordano: Vancouver nell'America del Nord, Arcangelo e Riga sulle coste russe, Sundsvall e Göteborg nella Penisola Scandinava.


26. Protezione del bosco e silvicoltura

Il degrado delle foreste a livello locale e l'aumento del costo di tra­sporto del legname da regioni lontane già nell'antichità aveva indotto le autorità a prendere provvedimenti per limitare e razionare il taglio de­gli alberi. I primi tentativi del genere furono fatti nel 450 a.C. a favore dei cedri del Libano, intensamente sfruttati per la costruzione delle na­vi richieste dall'attività marinara dei Fenici e degli altri popoli del Mediterraneo orientale. Ma, in sostanza, fino a tempi recenti l'attività forestale rientrava nell'ambito dell'economia distruttiva.

La restringimento del mantello boschivo è stato particolarmente veloce a partire dalla metà del nostro secolo ed ha interessato soprattutto la fascia tropicale, dove il bosco abbattuto difficilmente si riforma e cede il posto al deserto attraverso il processo di laterizzazione del suolo. Il fenomeno risulta molto grave in Africa, dove è accentuato dall'agricoltura itinerante che si basa sulla pratica dell'incendio, ma non risparmia nep­pure le altre regioni tropicali. Il pericolo maggiore incombe sulla foresta amazzonica, minacciata dalla costruzione di lunghe strade e dallo sfruttamento delle sottostanti risorse minerarie.

Il pericolo di un'eccessiva riduzione del mantello forestale ha impo­sto la necessità di un uso conservativo dei boschi, da lungo tempo rico­nosciuta ma scarsamente rispettata. È nata così la silvicoltura, la quale consiste non tanto nel rimboschimento delle terre nude quanto nella gestione razionale dei boschi secondo principi economici e scienti­fici. In altri termini il bosco viene considerato come una coltura a cresci­ta lenta, ma rinnovabile, piuttosto che una fonte non rinnovabile di le­gname e combustile.

La silvicoltura, pertanto, è una forma di economia non distruttiva che assicura una continuità di sfruttamento dei prodotti forestali con una resa appropriata. Ciò si ottiene soprattutto in due modi: con la sostitu­zione delle specie arboree a crescita lenta con altre a crescita rapida; e con sistemi di rotazione pianificata del taglio degli alberi, secondo cicli variabili in rapporto ai tipi di bosco e alla diversità dei luoghi.

La silvicoltura è praticata in maniera particolare nel Canada e nel­l'Europa settentrionale, dove per accelerare il turno dei tagli si tende a sostituire le latifoglie, che forniscono legni duri, con essenze resinose, che sono più adatte alla produzione di cellulosa. Ciò dipende anche dal­la crescente domanda di pasta di legno, legata soprattutto al grande consumo di carta.





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