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NIETZSCHE E DON CHISCIOTTE

letteratura spagnola



NIETZSCHE E DON CHISCIOTTE

Indubbiamente Federico Nietzsche era affascinato dalla figura di Don Chisciotte. Per un pensatore che aveva dedicato un paragrafo della sua opera più importante, "Così parlò Zarathustra", alla "libera morte", il personaggio di Cervantes cui si "prosciugò talmente il cervello, che perse la ragione" non poteva non ispirargli simpatia. Sappiamo come Don Chisciotte morì: "Il mio intelletto è ora libero e chiaro senza le ombre caliginose dell'ignoranza, in cui l'aveva avvolto la continua e detestabile lettura dei libri di cavalleria. Io riconosco ora le stravaganze e i loro inganni, e mi duole soltanto d'essermene accorto troppo tardi, poiché non mi resta più tempo di compensare il mio fallo con la lettura d'altri libri che possano illuminarmi l'anima. (...)Vorrei morire in modo da far capire che la mia vita non è stata tant 727d38h o cattiva da meritarmi la reputazione di pazzo: perché sebbene lo sia stato, non vorrei confermare questa verità con la mia morte" . E' proprio questo "tipo" di morte che Nietzsche non accetta. Nietzsche amava Don Chisciotte e tendeva ad identificarsi con lui; egli criticava Cervantes per aver reso il suo eroe così ridicolo e non può esservi dubbio sulla paura di Nietzsche di essere non meno ridicolo, al punto tale che nello scritto "Ecce Homo" così si esprime:"...Ho una paura spaventosa che un giorno mi facciano santo: indovinerete perché io mi premunisca in tempo, con la pubblicazione di questo libro, contro tutte le sciocchezze che si potrebbero fare con me...Non voglio essere un santo, allora piuttosto un buffone...Forse sono un buffone....E ciononostante, anzi non ciononostante - perché non c'è mai stato sinora niente di più menzognero dei santi - la verità parla in me - Ma la mia verità è tremenda. Perché fino ad oggi si chiamava verità la menzogna. Trasvalutazione di tutti i valori: questa è la mia formula per l'atto con cui l'umanità prende la decisione suprema su se stessa, un atto che in me è diventato carne e genio. Vuole la mia sorte io debba essere il primo uomo decente, che sappia oppormi a una falsità che dura da millenni (....)Io vengo a contraddire, come mai si è contraddetto, e nondimeno sono l'opposto di uno spirito negatore. Io sono un lieto messaggero, quale mai si è visto, conosco compiti di un altezza tale che finora è mancato il concetto per definirli, solo a partire da me ci sono nuove speranze". Successivamente Nietzsche annota:" Uno dei libri più dannosi è Don Chisciotte "(Schopenhauer als Erziecher 18749- e spiega in una nota successiva:" Cervantes avrebbe potuto combattere l'inquisizione, ma preferiva fare apparire ridicole le sue vittime, cioè gli eretici ed idealisti di tutti i tipi...". L'attacco di Cervantes al romanzo cavalleresco divenne, osserva Nietzsche, la "più generale ironizzazione di tutte le aspirazioni più elevate" ed il libro deve perciò essere considerato un sintomo della "decadenza della cultura spagnola" e " una disgrazia nazionale"(Der Wanderer und sein Schatten. Nella stessa nota Nietzsche protesta contro la conclusione del libro di Cervantes:" Egli non risparmia neanche al suo eroe la terribile illuminazione sulla sua condizione al termine della vita". In un altro appunto Nietzsche fa di nuovo riferimento alla "terribile fine" di Don Chisciotte e così commenta:" L' umanità è sempre minacciata da questa ignominiosa negazione di se stessi alla fine della propria lotta" (Die Morgenrote 1881). Rimane in Nietzsche un desiderio inespresso quindi, ossia quello di voler un'altra morte per Don Chisciotte. Quest'ultimo muore smentendo se stesso. Nietzsche rimane colpito da questa morte "insignificante". La morte di Don Chisciotte non restituisce il preciso significato del vissuto -ante, al contrario rappresenta la negazione di se stessi, la morte del significato di una vita peculiare e la morte del significato di una "libera morte". Don Chisciotte muore togliendosi la maschera che aveva indossato:" Rallegratevi con me, signori miei, perché io non sono più Don Chisciotte della Mancia, ma Alonso Chisciano, a cui gli esemplari costumi meritarono il nome di buono(...)Ormai mi sono odiose tutte le storie mondane della cavalleria errante". Sembra quasi paradossalmente che il personaggio di Cervantes non muore di "libera morte" , "non muore al momento giusto" , muore come molti che "muoiono troppo tardi". infatti Don Chisciotte va incontro alla morte smentendo se stesso, negando proprio le qualità e i caratteri della sua vita, che potevano in qualche modo essere sigillati con una morte diversa, con una "morte come adempimento", la morte che per i vivi diventa stimolo e una promessa". In tal modo Nietzsche sembra prendere le parti di Sancio, il quale sapendo che Don Chisciotte stava morendo disse:" Non muoia , signor padrone, non muoia. accetti il mio consiglio, e viva molti anni, perché la maggior pazzia che possa fare un uomo in questa vita è quella di lasciarsi morir così senza un motivo ,senza che nessuno lo ammazzi, sfinito dai dispiaceri e dall'avvilimento. Su, non faccia il pigro, si alzi da questo letto, e andiamocene in campagna vestiti da pastori come s'è fissato, e chi sa che dietro a qualche siepe non si trovi la signora Dulcinea disincantata, che sia una meraviglia a vedersi. Se Lei muore dal dispiacere d'essere vinto, la colpa la dia a me, dicendo che la scavalcarono perché io avevo sellato male Ronzinante...". Ci piace pensare, a conclusione di questa breve noterella, a una superiore mistificazione romanzesca, che vuole la pazzia di Nietzsche suggellata dall'abbraccio a un cavallo, in una mattina del 3 gennaio 1889, in piazza Carlo Alberto a Torino e pensare che in qualche modo la vita e la morte di Nietzsche si possono volutamente confondere con quella di Don Chisciotte. Un ronzinante lega queste due figure, quando don Chisciotte scende da cavallo torna savio, quando Nietzsche abbraccia un cavallo afferma la sua pazzia. Ma è appunto solo una superiore mistificazione romanzesca.





Don Chisciotte è il desiderio che attraversa il mondo, i suoi ostacoli. Un desiderio che si rafforza ad ogni negazione, si conferma in ogni delusione. Don Chisciotte è anche l'imitazione assidua, meticolosa, ossessiva di un modello: la cavalleria, come è stata vissuta da Amadigi di Gaula. Ma si tratta di un'imitazione che rovescia, in ogni gesto, il senso del modello: perfezione che, cercandosi, si sgretola, ideale che, perseguito, si frantuma, sogno che sognato è vinto dalla realtà. Eppure questa perdita dell'ideale, questa sconfitta del sogno, mostra tutta la miseria del reale. Esalta il potere dell'immaginazione. La follia è la sola saggezza in un universo dove la saggezza è ripetizione del sempreguale, cancellazione dell'altro, diffidenza verso l'impossibile. Don Chisciotte è la trasformazione di una biblioteca - i libri di cavalleria letti con passione - in un'avventura, la trasformazione di un sapere in un'esperienza che insieme dà forma visibile a quel sapere e svuota di senso ogni sua pretesa. Viaggiando per la Sierra Morena, tra osterie e castelli, tra boschi e dirupi, Don Chisciotte oppone il modello alla situazione, l'immaginazione alla realtà. In questa opposizione tutto si modifica: la bacinella del barbiere è un elmo, la contadina Aldonza Lorenzo è Madonna Dulcinea del Toboso, i greggi sono eserciti, le dame principesse, i mulini giganti, le osterie castelli. Una trasformazione che è, allo stesso tempo, riscatto e sogno, redenzione fantastica e ospitalità nel regno dell'immaginazione. Lo stesso personaggio nasce da una trasformazione: il tranquillo Alonso Quijana detto el Bueno è trasformato dal suo autore nell'Ingenioso Hidalgo don Quijote de la Mancha. Sottratto al suo mondo - il curato, il barbiere, il baccelliere Sansone Carasco, i pochi amici, i libri di cavalleria - è portato per tre volte fuori dal suo paese, in un'avventura dispiegata che è rischio, incontro e combattimento, esperienza della frugalità, dell'ascesi, della vigilia. E quest'avventura consiste nel leggere dietro la cosa la sua ombra, la sua lingua perduta, il suo alone svanito. Ricostruire nella finzione questa lingua perduta, questo significato invisibile, e mostrare allo stesso tempo la labilità e l'inconsistenza di questa ricostruzione: ecco il movimento che trascina il lettore in un mondo insieme ideale e fragile, ipotetico e effimero, bello e inesistente.
Don Chisciotte è un viandante. Attraversa una natura nella quale è riflessa la natura che circondava gli eroi cavallereschi. Ogni paesaggio ha per l'hidalgo il richiamo dolce dell'arcadia, ma è anche, per il lettore, la fine di ogni arcadia. In queste cose che finiscono e che resistono in quanto finite, in questa sparizione che lascia la traccia di un passaggio - il passaggio dell'impossibile - consiste la bellezza straordinaria del Don Chisciotte.
Contrappunto e parodia dell'hidalgo, abbassamento del sublime e stentata dichiarazione del buon senso è Sancio Panza: carnevalesca controfigura, richiamo di un reale che non si fa credibile, riduzione grottesca dell'utopia (l'isola promessa da governare). Nel romanzo di Cervantes l'umorismo attinge al tragico, il buffonesco sfuma nella metafisica, la saggezza e la follia si scambiano le parti.
Libro di supreme finzioni, il Don Chisciotte è una fantastica meditazione sul libro stesso, sul gioco che annoda libro e verità. Una meditazione sulla biblioteca, sui suoi intrighi, sui suoi rapporti con la vita. Lo stesso autore, Miguel de Cervantes Saavedra, dopo tante avventure di una vita tutt'altro che libresca, scrive il romanzo nascondendo la sua paternità dietro il nome dell'arabo Hamete Benengeli. E don Chisciotte, nella seconda parte, s'imbatterà a un certo punto in alcuni personaggi che stanno leggendo il seguito apocrifo delle sue stesse avventure (seguito veramente pubblicato nel 1614 da Avellaneda e contraddetto dall'uscita nel 1615 della seconda parte autentica dell'opera di Cervantes). Con cognizione di causa il Cavaliere dalla triste Figura mostra le incongruenze del libro apocrifo, anzi, per confutare in modo definitivo la falsità di quel libro, decide di non andare verso Saragozza, come vuole l'apocrifo, ma verso Barcellona. Nella seconda parte frequenti sono gli incontri di personaggi che già conoscono la storia di don Chisciotte. C'è già nel romanzo di Cervantes una parte della ricerca che sarà di Borges e di Calvino, ci sono già le novecentesche narrazioni "libresche", le scatole cinesi del libro nel libro.
Don Chisciotte, il generoso hidalgo nato dai libri di cavalleria, allevato da essi al desiderio dell'avventura e al sogno, diventa egli stesso un libro, il libro che apre la modernità. Ma l'eroe di una morta cavalleria abbandona presto le pagine del Cervantes, i confini stessi del romanzesco, e diventa una figura che attraversa il tempo della storia, il tempo degli uomini smarriti nel bosco della storia. È interrogato, commentato, proseguito e imitato (da Fielding a Diderot, da Thomas Mann a Borges). Interpretato come emblema di un popolo, delle sue virtù e dei suoi vizi (Unamuno). Osservato come figura cristica, che unisce innocenza e sofferenza, incantamento e smarrimento, umiliazione e leggerezza (Dostoevskij). Letto come il permanere dell'ideale nella "prosa del mondo" (Hegel), come presenza dell'alterità nell'universo dello scambio, nel mondo diventato un immenso mercato (Marx). Visto come segno del differente in un mondo in cui i segni tendono tutti all'equivalenza, all'omologazione, all'adeguazione a un solo significato (Foucault).
Leggere il Don Chisciotte vuol dire interrogarsi sul senso dell'altro in un mondo che si chiude in se stesso, nei suoi pretesi valori, nel grigiore del suo venerato realismo. Vuol dire lasciar passare il vento della finzione nella prigione della concretezza. L'ala dell'impossibile nell'opacità del quotidiano.



(Pubblicato in "Liberazione" del 25 gennaio 2005)



Flaubert scrisse: Quello che v'è di prodigioso nel "Don Chisciotte" è la perpetua fusione dell'illusione e della realtà, che fa di questo un libro tanto comico e tanto poetico.
Don Chisciotte è un hidalgo, un gentiluomo di campagna, che rappresenta quella nobiltà decaduta, di fatto esistita nella Spagna del Cinquecento, economicamente debole, costretta a vivere in modo inattivo, ozioso, meschino , monotono.
Proprio per evadere dalla monotonia d'una vita mortificante dapprima si rifugia nella lettura dei romanzi cavallereschi e poi, suggestionato dagli eroismi narrati, decide di rinnovare le gesta degli antichi cavalieri. E così riadatta l'antica armatura, assume il nome di Don Chisciotte della Mancia, si fa armare Cavaliere della Triste Figura da un volgare oste, eleva a dama dei suoi pensieri una rozza contadina e, cavalcando in groppa ad un misero ronzino, battezzato Ronzinante, intraprende la vita errante. 
Fisso nell'idea d'emulare le gesta cavalleresche, e cioè di dover riparare alle ingiustizie e proteggere gli oppressi, va incontro ad una serie d'avventure dalle quali, puntualmente, uscirà sconfitto. Nella sua fantasia la realtà esterna acquista una nuova parvenza, diviene realtà interiore, e il mondo, nella sua esaltazione, diviene ciò che lui vuole che sia, perdendo completamente il contatto con la vita reale. Ed è così che scambia mulini a vento per smisurati giganti, branchi di montoni per eserciti, osterie per castelli, una dama per principessa prigioniera.
Il personaggio di Don Chisciotte esprime appunto il rapporto tra l'illusione e la realtà, ed incarna perfettamente il disperato bisogno d'evasione: è proprio per evadere dalla realtà che il gentiluomo, ispirandosi agli antichi personaggi del mondo cavalleresco, decide di farsi cavaliere. Da quel momento nella sua fantasia tutto diventa esagerato e portato alla dimensione d'epopea cavalleresca: il semplice cappello di cartone diventa un elmo, un lungo ramo la lancia, il povero ronzino un indomito destriero in grado di competere con i cavalli della mitologia, la donna rozza la dama del cuore alla quale dedicare le imprese eroiche, e il semplice contadino assume la dignità di fedele servitore.
Così armato ed equipaggiato, spinto da un animo puro e generoso, sostenuto da una sfrenata fantasia, si spinge nelle più disparate avventure, perseguendo ideali di pace, giustizia, verità ed amore, proprio come un antico cavaliere.
Ed è Sancio Panza , il servitore, che nel romanzo si pone come elemento di concretezza, che riesce ad equilibrare e a contenere la fantasia troppo sciolta del cavaliere riconducendolo alla realtà. Don Chisciotte, infatti, vive in un suo mondo ideale di sogno, di illusioni, dal quale non si distacca, come del resto non si distaccarono nella realtà tutti coloro che, quando la cavalleria ed il sentimento cavalleresco volsero al tramonto, volendone rivivere gli ideali si trovarono fuori del loro tempo e furono considerati folli.
Sancio, invece , aderisce alla vita quotidiana, è un istintivo che sente la necessità materiale, è la realtà che si contrappone al sogno, un insieme d'astuzia, buon senso e concretezza. Contadino rozzo e goffo, ignorante ma non sciocco, è tuttavia capace di buon senso e ragion pratica che gli impediscono di concepire il sogno.
E' proprio dal contrasto tra i due personaggi che scaturisce la filosofia del romanzo ed anche la sua comicità. Il personaggio di Don Chisciotte resta, tuttavia, quello predominante: sognatore , ricco di umanità, falsamente comico, in realtà drammatico. Costretto dalla vita a condurre un'esistenza meschina ed angusta, in una società priva di valori morali, cerca riparo nell'ideale, nel sogno, per far rivivere un suo mondo scomparso, ove prevalgano senso dell'onore ed eroismo, tuttavia il suo rapporto con la realtà permane ambiguo : da un lato sente il bisogno di certezze, necessita di regole di comportamento, di punti di riferimento (le regole della cavalleria), dall'altro il bisogno di evadere, trasfigurando la realtà , mutandola in sogno.
E da questo sogno Don Chisciotte si risveglierà, ritrovando la ragione, curiosamente, solo nel momento della morte: Visse pazzo e morì savio.









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