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LA SATIRA

letteratura latina



LA SATIRA


La satira è un genere della letteratura, del teatro e di altre arti caratterizzato dall'attenzione critica alla vita sociale e, spesso, personalisticamente alla condotta di taluni soggetti di pubblica notorietà. La satira ha in genere un contenuto etico, soggettivamente ascrivibile all'autore, sebbene di pretesa generale condivisibilità, ed effettivamente il messaggio trasmesso è per solito coincidente con le relative inclinazioni popolari; anche per questo spesso ne sono oggetto personaggi della vita pubblica che occupano posizioni di potere.

Le sue origini sono molto antiche e molti studiosi ne intravedono i primi caratteristici connotati già in opere della Grecia antica, come la Lisistrata di Aristofane, sebbene sia con l'età Romana che il genere comincia a seguire una sua strada autonoma, ed anzi Quintiliano la rivendica come il primo vero genere romano non influenzato dalla letteratura ellenica (satura tota nostra), dunque come il primo originale filone della letteratura latina. Nel tempo, però, alcuni autori come Varrone (ma anche Seneca e, s 646g62g econdo alcuni, anche Petronio) lavorarono alla satira menippea, vagamente ellenizzante ed ispirata alla diatriba cinico-stoica di Menippo di Gadara.



Nel significato popolare contemporaneo, si tende ad identificare la satira con una delle forme possibili dell'umorismo e, in qualche caso, della comicità; generalmente, si intende per satira, indiscriminatamente, qualsiasi attacco letterario o artistico a personaggi detentori del potere politico, sociale o culturale, o più genericamente vi si include qualsiasi critica al potere svolta in forma almeno salace.

Da un punto di vista strettamente letterario è pertanto assai difficile mantenere oggi una definizione stabile del genus, se non in senso storico, poiché il pur sperabile dinamismo delle forme letterarie risente attualmente di una certa leggerezza e di una pesante ridondanza, non sempre disinteressate, nella classificazione.

Le origini del genere, che i romani chiamarono sàtura, erano piuttosto incerte già per gli intellettuali latini, che però ne riconoscevano l'origine autoctona.

La teoria per la quale il termine sarebbe da ricondurre al greco sàtyros (satiro) è oggi quasi unanimemente considerata erronea, anche se antica.

Il termine etimologicamente risale, più probabilmente, all'espressione satura lanx che indicava nella Roma arcaica (ma per alcuni la locuzione sarebbe etrusca) un piatto di primizie offerte agli dei, da cui derivò l'etimologia del procedimento giuridico detto lex per saturam, che riuniva stralci di vari argomenti in un singolo provvedimento legislativo, è quindi probabile che il valore di «mescolanza, varietà» fosse quello originario.

Lo sviluppo della satira presuppone, è stato detto, un pubblico interessato alla poesia scritta, desideroso di una letteratura aderente alla realtà contemporanea e capace di afferrare i riferimenti letterari, le allusioni, le parodie.

Le prime testimonianze della satira come genere della letteratura latina compaiono in alcuni frammenti di Ennio (239-169 a.C.) dai quali emergono alcune caratteristiche precipue del genere: varietà di argomenti, voce personale dell'autore, impulso realistico. Ennio contribuì notevolmente allo sviluppo dell'autocoscienza del poeta; non è noto se la sua satira contenesse spunti di polemica ed attacchi a personaggi contemporanei, mentre era certamente presente l'elemento autobiografico dal quale sono state tratte notizie sulla vita dell'autore.

Questa forma di poesia, varia per metro e per temi, e personale, ossia aperta alla voce del poeta ed al realismo quotidiano, offrì a Lucilio un ideale mezzo espressivo da perfezionare. Lucilio è assai importante nella storia della letteratura latina perché si concentrò esclusivamente sul genere della satira, che invece Ennio aveva praticato come un genere minore.

Da fonti indirette si sa peraltro che anche un tal Pacuvio ebbe a dedicarsi alla satira nel III secolo,ma di lui non ci sono pervenute opere.

Lucilio, riconosciuto da Orazio come il fondatore della satira, codificò l'esametro come verso tipico della satira, ribaltandone la funzione. Se in precedenza l'esametro era il verso epico per eccellenza, Lucilio lo impiegò invece come ritmico supporto per la provocazione ironica, adattando al «verso eroico» una materia quotidiana ed una dizione colloquiale, spesso popolareggiante.

In seguito, l'esametro diventò con Orazio l'unico verso usato per la satira. Orazio, però, rimproverò al maestro una forma letteraria poco elegante.


L'indipendenza di giudizio, la verve polemica, l'osservazione arguta della vita contemporanea riuscivano bene ad un eques colto e benestante, che non viveva del proprio lavoro letterario. L'appartenenza di Lucilio alla ricca aristocrazia provinciale ed il suo inserimento nell'ambiente scipionico, preservandolo in una posizione di relativa tranquillità di fronte alle eventuali ire dei potenti, gli consentivano di attaccare liberamente alcuni degli uomini più in vista della Roma contemporanea, talvolta anche con polemiche gratuite e personali.

Elementi caratteristici basilari del genere, ben evidenti nell'opera di Lucilio, sono la varietà di argomenti e gli spunti autobiografici. La destinazione dei componimenti è la colta cerchia di amici, cui si rivolge col tono della conversazione costruttiva, sorridente, confidenziale e che presuppone una lettura individuale.

Non è sicuro che il titolo Saturae risalga a Lucilio stesso, ma Orazio usa il termine satura in un contesto programmatico per designare il genere di poesia inaugurato dall'opera di Lucilio.

Nei frammenti, Lucilio chiama le sue composizioni poemata o sermones (Ludus ac sermones, «chiacchiere scherzose»). Forse, il titolo originale dell'opera di Lucilio era, con nome greco, schédia (improvvisazioni). La sopravvivenza di numerosi frammenti è dovuta alla dovizia di parole rare e difficili, che offrirono molto materiale ai grammatici tra il II e V secolo d.C. Un'ampia composizione, nota come Concilium deorum, per la mescolanza di parodia letteraria e contenuto libellistico sembra anticipare l'Apokolokyntosis di Senecacolo AC, ma non ne è pervenuta alcuna traccia letteraria.

Orazio era figlio di un liberto e già aveva maturato un problematico passato politico; la differente condizione sociale rispetto a Lucilio gli precluse la possibilità di lanciarsi altrettanto liberamente in attacchi diretti a personaggi importanti. Si dedicò, perciò, a personaggi fittizi o poco importanti, che rappresentavano dei "tipi esemplari" il cui attacco personale era collegato ad una ricerca morale che non voleva essere universale, bensì una risposta etica valida per sé e per i pochi amici e per chi altri avesse voluto condividerla. Orazio non si atteggiava a maestro di vita, ma si limitava a proporre dei rimedi alle storture morali che le vittime dei suoi strali palesavano.

Il poeta mutuò da Lucilio la metrica, facendo dell'esametro il verso della satira, ma la forma letteraria fu certo assai più curata. anche nell'opera oraziana permangono la caratteristica varietà di argomenti e gli spunti autobiografici. Caratteristica di Orazio è la moderazione, che viene dal buon senso e da una notevole componente epicurea. Ben diversa dalla benevola satira di Orazio fu l'arcigna satira dei suoi continuatori: Persio (34-62 d.C.) e Giovenale (50-127 d.C.).

Persio mantenne il riferimento alla poesia satirica di Lucilio e di Orazio, ma rinnovò tale genere letterario. Il poeta si pose su un piano di comunicazione distaccato e di alto profilo, si rivolse ad un pubblico generico e si atteggiò a censore del vizio. La satira di Persio non era destinata alla lettura privata, bensì alla recitazione in pubblico ed assunse la forma dell'invettiva, intrisa di quel moralismo arcigno e intransigente che Orazio aveva rifiutato, pregna di manierismo anticlassico e retorica.

Moralista intransigente, infatti, Persio affermava che la sua poesia era ispirata dall'esigenza etica di smascherare e condannare il vizio. La poesia contemporanea indicava una degenerazione del gusto indice di indegnità morale. Il tema della libertà vi è svolto secondo una corrucciata dottrina stoica, che contrappone ai vizi umani più diffusi la libertà del saggio, che si affranca dalle passioni e si fa guidare dalla propria coscienza. Il linguaggio ricorre spesso all'ambito lessicale del corpo e del sesso ed indulge alla deformazione macabra ed allucinata del reale, tipica di un moralismo esasperato.

I personaggi sono tipi fissi, Persio privilegia la descrizione del vizio rispetto agli aspetti positivi della rettitudine e mentre Orazio, con indulgenza, cerca un valore morale, Persio è il maestro inflessibile che enuncia dogmaticamente una morale prestabilita e mostra un'aspra aggressività.

Anche la satira di Giovenale era destinata alla recitazione Giovenale si atteggiava a censore del vizio, riprendendo da Persio invettiva, moralismo arcigno, manierismo davanti ad un pubblico generico ed anche anticlassico e retorica pur mantenendo il riferimento alla poesia satirica di Lucilio e di Orazio.

Giovenale esprimeva disgusto per le declamazioni alla moda e la corruzione morale, ma, per premunirsi contro odi e vendette, attaccava le generazioni passate. Non credeva, in realtà, che la sua poesia potesse influire sul comportamento degli uomini, che riteneva irrimediabilmente corrotti, quindi, la sua satira astiosa si limitò a denunciare.

Rifiutata la morale consolatoria basata sulla filosofia stoica (indifferenza di fronte alle cose concrete, esteriori, ironia e distacco, coltivare i beni interiori), nell'opera di Giovenale trapela invece il rancore dell'emarginato costretto all'umiliante condizione del cliente, che attacca le donne emancipate e libere e, nonostante la rabbiosa protesta contro le ingiustizie, l'oppressione e la miseria, esprime disprezzo verso il volgo, i rozzi e gli indotti e verso chiunque eserciti attività manuali o commerciali, ostenta orgoglio intellettuale ed astio nazionalistico contro greci e orientali che danneggiano i clienti romani, rivendica agiatezza e riconoscimenti sociali.

Nella seconda parte dell'opera, Giovenale si riavvicina alla tradizione della satira ripiegando su una riflessione più rassegnata di fronte all'insanabile corruzione del mondo, anche se a a tratti, riaffiora la rabbia. Lo stile elevato, mutuato dall'epica e dalla tragedia, trasforma il codice formale del genere satirico bandendo il ridicolo e accostando la satira alla tragedia.

L'opera di Giovenale fornisce peraltro una ricca documentazione sulla vita quotidiana del tempo, deforma le figure e tratteggia quadri di violenta crudezza.Oggi per satira intendiamo uno dei generi più importanti nell'ambito dell'umorismo che consiste nel criticare in maniera non negativa ma comica un personaggio famoso, in particolar modo chi detiene un certo potere, sia sociale, che politico o culturale. La critica può essere rivolta anche a un aspetto determinato della vita sociale. Esempio calzante della satira moderna possono essere vignette fumettistiche, per le quali è recentemente scoppiato uno scandalo a livello europeo, programmi televisivi con fini umoristici o derisori,e non ultima la stessa attività di molti comici,italiani e stranieri,che mirano alla messa a nudo di aspetti negativi di personaggi influenti o dello stesso sistema politico e sociale. La satira oggi è sicuramente un modo per non perdere la libertà di espressione e di opinione che molte volte appare minacciata; si tratta di un mezzo di comunicazione sicuramente forte ma al tempo stesso sdrammatizzante ed efficace. Tuttavia la satira odierna spesso tralascia una certa dose di rispetto delle diversità e si scaglia anche su argomenti sui quali alle volte sarebbe preferibile mantenere un certo riserbo.




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