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INFERNO - Canto VI - Riassunto

letteratura italiana



INFERNO - Canto VI



Riassunto

Dante, svenuto per il turbamento provocato dal racconto di Francesca, rinviene nel cerchio successivo, il terzo. Qui le anime dei golosi sono punite da una pioggia mista di acqua sporca, grandine e neve che le piega nel fango riducendole come bestie prive di vitalità e di intelligenza; su di loro incombe Cerbero, mostro a tre teste, uomo e bestia assieme, che grida dalle tre bocche, e latra e squarta le anime con i suoi terribili artigli. Cerbero ricorda il loro peccato squartandoli con la stessa a avidità con cui essi afferravano il cibo quando erano in vita e assordandoli con i suoi latrati. Tra i golosi si fa subito riconoscere il fiorentino Ciacco, raffinato buongus 717j91h taio e parassita. Egli rimpiange la vita terrena e Firenze. Della quale, però, denuncia gli odi e le fazioni politiche. In una breve profezia Ciacco delinea il futuro di Firenze ed il destino sventurato del partito dei Bianche, nella cui sconfitta verrà coinvolto anche Dante. Indica poi le cause delle lotte civili nella smania di dominio: avarizia, invidia e superbia. E informa Dante che anche i cittadini più importanti della generazione passata, benché mossi da sincero amore per la patria, sono nell'Inferno per colpe prevalentemente private. Concluso il colloquio con Ciacco, Virgilio spiega a Dante che le sofferenze dei dannati aumenteranno dopo il Giudizio finale, quando le anime rivestiranno i propri corpi. Poi i due si apprestano a scendere nel cerchio seguente, il quarto, sorvegliato dal demone Pluto.




Personaggi

Il Dante che è presente in questo canto è Dante viator e non auctor, molto sensibile alla crudeltà della pena e alle condizioni dei dannati; fedele accompagnatore di Dante è sempre Virgilio che in questo canto si mostra per il fatto di zittire Cerbero con del fango che raccoglie da terra e che gli butta nelle tre bocche avide di cibo. I due personaggi principali del canto sono, però, il demone Cerbero e il compaesano di Dante, Ciacco.

CERBERO: è un animale mitologico, descritto da Dante come animale crudele e mostruoso, fisicamente risulta composto da parti animale ed umane e la sua fisicità è allegoria della condizione di Firenze e dei peccati più commessi dai suoi cittadini. Gli occhi vermigli rappresentano la ferocia del demone, la barba unta l'ingordigia sfrenata e degradante e il ventre gonfio l'avidità smisurata. Le tre teste inoltre sono l'emblema delle discordie intestine nella tra fazioni di una stessa città, rappresentative in particolar modo della città di Firenze.

CIACCO: personaggio di identità non verificata storicamente che mostra il desiderio di parlare con Dante e che lo sfida a riconoscerlo; è un suo compatriota che però Dante non identifica immediatamente a causa dei lineamenti del suo volto alterati dalle smorfie per il dolore della pena, inoltre è ricoperto dal fango dove è immerso. Le interpretazioni della sua identità sono state date sono diverse, tra cui quella più attendibile è che sia il poeta Ciacco dell'Anguillaia, autore tra l'altro di una famosa Villanella nonchè banchiere fiorentino noto a Firenze per il suo peccato di gola e la sua smodatezza nel cibo.

PLUTO: l'ultimo verso del canto evoca la figura del "gran nemico" Pluto. Questo demone, ripreso come Cerbero dalla mitologia classica, è da identificare probabilmente col dio della ricchezza, figlio di Jasone e Demetra. La sua funzione è quella di sorvegliare il quinto cerchio, dove sono punite le anime degli avari e dei prodighi, che fecero della ricchezza un uso squilibrato.


Ambiente

Il canto si sviluppa nel III cerchio dell'inferno dove si trovano i golosi


Luoghi storici

Si fa riferimento a Firenze, patria di Ciacco e di Dante stesso. In particolar modo vengono sottolineate le controversie che dividono la città.


Tempo del viaggio

Dante arriva nel III cerchio prima della mezzanotte dell' 8 aprile del Venerdì Santo del 1300.


Tematiche

Come caratteristico di tutti i VI canti delle tre cantiche della Commedia anche questo è un canto con tema politico. L'argomento trattato è la situazione di Firenze nel Trecento, primo gradino delle tre argomentazioni politiche presenti nell'opera. Il poeta imposta un discorso su Firenze in una doppia direzione: da una parte il grave rimprovero sulla Firenze attuale, dall'altra la rievocazione nostalgica della città antica. L'incontro con Ciacco offre al poeta lo spunto per aprire uno dei temi che risulteranno fondamentali nel poema: l'indagine sulla situazione politica a lui contemporanea, che, inauguratasi qui con l'analisi delle drammatiche tensioni che conducono alla rovina la città si allargherà poi a esaminare l'Italia, l' Impero e la Chiesa. Avendo Dante visto in Ciacco l'amore e la passione per la patria e sapendo della preveggenza tipica delle anime infernali, gli pone un triplice quesito relativo alla loro città natale: come procederanno le lotte politiche; se c'è qualche fiorentino degno di salvarsi l'anima e le cause della discordia dominante. Ciacco a queste domande risponde con precisione: dapprima i Bianchi cacceranno i Neri; entro tre anni, però, la parte Nera riprenderà il sopravvento. Solo pochi fiorentini sono giusti e le cause della discordia di Firenze sono la superbia, l'invidia e l'avidità. Altro motivo principale dell'importanze di Ciacco è il fatto che sia la prima delle anime che preannunciano a Dante il suo esilio.


Altro aspetto importante del canto è la visione teologica che Virgilio espone a Dante. Virgilio spiega a Dante ciò che accadrà ai dannati dopo il giudizio universale; dice infatti che Ciacco in questo caso non si alzerà più fino allo squillo della tromba del giudizio, quando apparirà Cristo, l'implacabile magistrato, allora ciascuno tornerà alla propria tomba, riprenderà il suo corpo e la sua figura e udirà la sua sentenza rimbombare per l'eternità. Dante incuriosito gli domanda se, una volta emesso il giudizio finale, le pene infernali saranno accresciute o diminuite o resteranno quali sono. Virgilio, si appella alla dottrina di Aristotele e di san Tommaso, secondo la quale quanto piu una cosa è perfetta,tanto piu è sensibile alla gioia e al dolore. Quindi l'anima dannata sentirà maggiormente il dolore del martirio perché maggior perfezione toccherà il giudizio universale. 


Riferimenti storici: Due anni di cronaca fiorentina

Il viaggio di Dante nell'oltretomba e, quindi, l'emissione della profezia datano fine marzo-primi di aprile 1300. Di lì ad un mese dalla parte della Santa Trinita una banda di Guelfi bianchi provoca alla rissa una brigata di Cerchieschi festaioli. Verranno al sangue, pronostica non per nulla Ciacco. La situazione prende una brutta piega.

Fra il 15 giugno e il 15 agosto, Dante siede nel consiglio dei Priori, e si adopera a spedire al bando i caporioni più compromessi delle sue parti. Equità che gli vale il rancore indelebile dei nemici e la diffidenza degli amici. In autunno, papa Bonifacio VII nomina Carlo di Valois, "paciàro in Toscana": carica quanto più indefinita tanto più minacciosa.

Nel giugno 1301, si scopre una trama sovversiva dei caporioni donateschi, deliberati di cacciare i Cerchi. Bando duro a carico dei Donati, multe e confische. La parte selvaggia, vaticina bene Ciacco, caccerà l'altra con molta offensione. In ottobre il comune spedisce a Roma un'ambasciata per tranquillizzare il papa riguardo alle voci che gli erano arrivate della situazione controversa di Firenze; tre gli ambasciatori: Maso Minerbelli, il Corazza da Signa e Dante stesso. Ma Carlo di Valois, assunto impegno solenne che, una volta giunto in città non avrebbe mutato né le leggi né l'uso, entra a Firenze con cavalli e fanti di picche. E tradisce i patti: promulga leggi aspre e forti ; esige tributi; e non batte ciglio quando i Guelfi Neri si danno ad uccidere e saccheggiare. Quanto alla parte dei Cerchi - come pronostica Ciacco - è fatale che cada dopo entro tre anni e che l'altra prenda il sopravvento, grazie alla prepotenza di uno, cioè di papa Bonifacio VII, appunto, il quale aveva rispedito a casa gli ambasciatori fiorentini tranne Dante Alighieri.

Infatti, dal gennaio all'ottobre 1302, i Neri, insediati ormai in tutti gli uffici pubblici, con la copertura dei francesi e del papa, espellono dalla città gli esponenti bianchi. Il 27 gennaio, Dante Alighieri è condannato per corruzione all'esilio temporaneo, all'interdizione dai pubblici uffici e ad una multa ingente; il 10 marzo, non avendo egli versato la somma prescritta, la precedente condanna è commutata in esilio perpetuo, nella confisca di tutti i beni e - ove mai rimettesse piede sul territorio comunale - nella pena di morte per combustione.



Questi sono i fatti, che coinvolgono due anni della storia di Firenze e che costituiscono la materia della profezia di Ciacco.


Pena e contrappasso

La pena che colpisce i golosi è per contrappasso, infatti in vita amarono cibi raffinati, in banchetti erano allietati da dolci musiche, mentre ora sono immerse nel fango puzzolente e vittime dei denti e dei latrati assordanti di Cerbero. È una pena che colpisce tutti i cinque sensi ed è fisica ed eterna. Il senso dell'olfatto è colpito dalla puzza, l'udito dai latrati di Cerbero e dalle urla delle anime; il tatto dal fatto che le anime siano scorticate; la vista dal fango che copre gli occhi dei dannati e il gusto dalla monotonia della pioggia che ostacola il desiderio di varietà dei cibi tipica dei golosi.


Tratti stilistici

Nel canto sesto,come in tutto l'Inferno, prevale l'asprezza dello stile e del linguaggio rappresentato dalle diverse allitterazioni delle lettere "s" ed "r". Il lessico è composto di termini vari e a volte dialettali e ,generalmente, il registro risulta basso;le rime sono difficile e dai suoni poco armoniosi. Questo stile sottolinea soprattutto il distacco polemico di Dante e la sua opposizione anche lessicale ai problemi di Firenze.


Conclusione e messaggio

In questo canto Dante dimostra il suo profondo affetto per la sua città natale, Firenze, si dispiace per la situazione, cerca cosi di trovare una soluzione tramite le predizioni di Ciacco, si applica per la salvezza della sua città, anche perché, in fondo, la sua è sempre una missione redentrice. Qui Dante pone la base per un'analisi approfondita delle cause di tanta discordia nell'ipotetico "impero", che non riesce a crearsi, partendo dall'esame minuzioso della corruzione nella sua città. Vuole sapere e ricercare le cause più antiche e profonde da dove ha avuto inizio la rovina e per farlo prende in considerazione le entità più piccole dove si possono notare segni tangibili della corruzione,i comuni. Si può dire così che il sesto canto dell'Inferno è da considerare un'ipotesi del poeta, che presuppone uno svolgimento e una tesi da verificare nei due canti politici seguenti, per poi arrivare ad una conclusione completa.

PURGATORIO - Canto VI


Riassunto

Dante si libera a fatica dalla ressa delle anime che lo incalzano per chiedergli preghiere da parte dei vivi, in modo da abbreviare i tempi della penitenza e affrettare il cammino verso la salvezza. Di nuovo solo con Virgilio il poeta è colto da u dubbio: come può conciliare l'immutabilità del giudizio divino con il fatto che sono ammessi tali accorciamenti di pena? Virgilio gli spiega che la contraddizione è solo apparente, dato che le preghiere in favore dei defunti, fatte dai vivi che sono nella grazie di Dio, offrono alla giustizia divina la soddisfazione che le è dovuta da chi è trattenuto nel Purgatorio, in modo tale da riscattarne le colpe. A un tratto appare ai due pellegrini un'anima in atteggiamento fiero e sdegnoso. Virgilio le si avvicina per chiedere informazioni sul cammino , ed ella a sua volta lo interroga per sapere chi essi siano e da dove vengano. Virgilio inizia appena a rispondere che l'altro si alza in piedi e lo abbraccia con slancio dicendo: "oh mantovano io sono Sordello della tua stessa terra" . alla vista di un sentimento di patria così fraterno e spontaneo Dante esplode in una feroce apostrofe contro le condizioni attuali dell'Italia, lacerata da conflitti, abbandonata dall'imperatore in mano a tirannelli locali e alle ingerenze temporali dei papi.


Ambiente

Il canto ha luogo nell'Antipurgatorio, secondo balzo, nella terza schiera, dove si trovano i negligenti, ovvero coloro che sono morti di morte violenta.


Tempo del viaggio

Circa le 15 del 10 Aprile del 1300 che viene a coincidere con la domenica di Pasqua.


Pena e contrappasso

I negligenti peccarono per tutta la vita e si pentirono solo nel momento in cui subirono la morte violenta, ora stanno nell'Antipurgatorio e vi rimarranno per un periodo pari a quello della loro vita, girando attorno al monte e cantando il "miserere".


Personaggi

In questo canto Virgilio è preso dalla commozione perché incontra un suo compatriota, Sordello da Goito, il più grande poeta in lingua d'oc, autore di rime amorose e politiche che visse presso varie corti in Italia e in Provenza conducendo un vita densa di amori e di avventure. Egli compare come un'anima sola, accovacciata, che osserva attentamente i due stranieri ma non parla. E' l'unico spirito che non stia nel gruppo con gli altri, mantenendo anche dopo la morte un atteggiamento di disprezzo per il mondo e un'indistruttibile dignità, più forte di qualsiasi prova e umiliazione; ma appena Virgilio inizia a dire di essere nato a Mantova egli balza dal luogo in cui si trova per abbracciare il concittadino. Il ricordo di questo abbraccio fa scaturire dal cuore di Dante  lo spunto per l'invettiva politica .

Benincasa da Laterina, Guccio dei Tarlati, Federico Novello, Farinata (o Gano) degli Scornigiani, Orso degli Alberti e Piero della Broccia sono tutte anime di fiorentini morti chi per vendetta, chi per falsa accusa, segno che Firenze è una città corrotta. Tutte vogliono che Dante preghi per loro e li ricordi ai cari.

SORDELLO: nacque a Goito, vicino a Mantova, al principio del duecento da famiglia nobile e povera;fu uomo di corte apprezzato e onorato specie per le sue notevoli doti poetiche. Si hanno tracce della sua presenza a Ferrara, a Verona, a Treviso. E' tra i più significativi poeti italiani in lingua provenzale. Della sua opera poetica, tutta in lingua provenzale, restano canzoni d'amore,alcuni componimenti di argomento politico o morale, un poemetto didattico sulle virtù cavalleresche, e un Compianto scritto in morte di Ser Blacatz, nobile d Provenza. Dante stesso ne loda il valore artistico nel "de vulgari eloquentia". Le sue rime d'argomentazione erotico e soprattutto politico mostrano un atteggiamento fiero e spregiudicato nei confronti dei potenti. In ciò è necessario ravvisare una ragione essenziale ai fini della scelta di Dante di collocarlo in questo luogo preciso del poema, a preparazione del tema politico dominante in questo canto e nel seguente, e a ciò si legano anche i modi della sua caratterizzazione fisica e morale.




Tratti stilistici

Il linguaggio del Purgatorio è più elevato e nobile rispetto all'Inferno, tuttavia si possono trovare varie azioni di livelli stilistici.

La presentazione di Sordello avviene attraverso l'enunciazione di una serie di caratteristiche plastiche ed emotive che ne definiscono l'interna concentrazione morale,oltre che la statuaria solennità dell'aspetto. Si noti l'insistenza su tre elementi: l'immobilità, la solitudine, lo sguardo nobilmente fisso sui due sconosciuti. A questo si aggiunge l'atteggiamento schivo che non rivela però superbia ma reale altezza d'animo e si aggiunga il silenzio carico di phatos. Il tutto infine trova una efficace sintesi nella similitudine del v.66 con il leone che si riposa.


Questione politica

La questione politica in questo canto si pone come intermedio tra quella dell'inferno, che riguardava il singolo comune di Firenze, e quella del Paradiso, che invece celebra l'Impero universale; infatti l'attenzione è portata sull'Italia ovvero sulla nazione come istituzione intermedi tra comune e impero. L'invettiva è strutturata in tre diverse parti, nella prima viene descritta la situazione dell'Italia, lacerata ovunque tra lotte intestine e ingiustizie. L'Italia è presentata come terra di tiranni, di malcostume , di dolore, non a chi la governi e faccia rispettare le leggi. Nella seconda parte sono analizzate le cause che Dante attribuisce al disinteresse del nostro Paese da parte dei re di Germania, Rodolfo d'Asburgo e il figlio Alberto; inoltre la Curia papale, anziché dedicarsi alle cose sacre usurpa il potere imperiale. Infine Dante, animato dal suo grande amor di patria, implora da Dio un esemplare castigo, affinché la lezione serva a Enrico VII di Lussemburgo. Il poeta non risparmia un'amara ironia sia all'Italia che a Firenze affinché ritrovino il loro equilibrio. L'invettiva evidenzia il pensiero, l'interesse costante, l'appassionato impegno politico, il profondo e struggente amore di Dante per l'Italia e per la sua Firenze. Come suo solito Dante ripropone la concezione politica che vede i due poteri massimi come due soli separati e garanti uno della felicità terrena e l'altro di quella eterna.


L'invettiva con cui Dante sfoga nel canto VI la sua passione civile e politica è una delle pagine più frementi di sdegno del poema. Apparentemente essa segna un momento contrapposto al tono distaccato e sereno dominante nell'antipurgatorio,riportando in primo piano,bruscamente, temi e passioni che sembravano tramontati con la prima cantica. Ma il contrasto è, appunto, apparente. Sia perché i temi qui trattati in modo esplicito e diretto sono pure presenti, in modi impliciti ma egualmente evidenti, in questi canti iniziali del Purgatorio, sia perché il tono di questa invettiva è si violento e commosso, ma in modo diverso rispetto a episodi analoghi dell'inferno;esiste cioè qui una specificità del timbro che si adegua alla nuova dimensione spirituale e se ne lascia ispirare. Le ragioni personali e i risentimenti di parte, che ispiravano i precedenti momenti politici del poema, qui si risolvono in gran parte in un accoramento profondo ma disinteressato, volto a cogliere con obiettività, anche se con indignazione, le cause reali della gravità della situazione. C'è poi un malinconico sottofondo pessimistico,quasi l'incapacità di confidare in una prossima rinascita: la coscienza delle difficoltà storiche che si oppongono a qualsiasi miglioramento.

Lo stile attinge ai modi delle invettive bibliche, arricchendosi di metafore e di figure retoriche tipiche dei modi oratori: l'antifrasi, l'ironia e la replicazione . Dante basa l'invettiva su tre elementi principali,cui corrispondono tre capisaldi della sua concezione politica: 1) il rimprovero all'imperatore di tenere in abbandono l'Italia, centro dell'Impero; 2) l'accusa al papato e alle gerarchie ecclesiastiche di occuparsi di questioni politiche che competono al potere imperiale; 3) il dispetto dinanzi al prevalere di un'organizzazione particolaristica,disgregante la già fragile unità dell'Impero. La parte finale è dedicata a Firenze, particolarmente meritevole di critiche per l'instabilità politica e la corruzione sociale.






































PARADISO - Canto VI


Riassunto

Dopo aver informato Dante della propria identità Giustiniano traccia una sintetica storia dell'impero, che va dal mito dell'esule troiano Enea conquistatore dei popoli del Lazio, fino al potere degli Imperatori d'Oriente (tra i quali lo stesso Giustiniano) prosegue col re dei Franchi Carlo Magno, difensore della Chiesa e incoronato imperatore nell'800 d.C. e tocca implicitamente gli imperatori contemporanei di Dante . Momento centrale di tale storia è la nascita di cristo e la sua uccisione decretata da Pilato, cioè da un rappresentante dell'Impero;così che proprio all'Impero, incarnazione storica del progetto divino, spetta l'onore di punire, in Cristo, il peccato originale di Adamo ed Eva. Allo stesso Impero compete poi la punizione degli uccisori materiali di Cristo con la distruzione di Gerusalemme e la diaspora degli Ebrei a opera di Tito: una contraddizione questa che verrà chiarita nel canto seguente. Dopo aver informato Dante sulle caratteristiche del secondo cielo, Giustiniano si sofferma sull'anima di Romeo di Villanova, patetica e dignitosa figura di uomo giusto, calunniato per invidia, così da essere costretto all'esilio.


Ambiente

Il canto ha luogo nel secondo Cielo, quello di Mercurio, dove si trovano gli spiriti attivi  per gloria terrena.


Tempo del viaggio

Dalle 15 alle 17 del 13 Aprile del 1300 che viene a coincidere con il mercoledì dopo Pasqua.


Personaggi

Giustiniano, imperatore d'oriente è indubbiamente il personaggio centrale di questo canto, per il fatto che il suo discorso lo occupa per intero. Affidati gli eserciti ai generali Belisario e Narsete, che sottomisero i vandali e gli ostrogoti, Giustiniano riunificò l'impero; ma è ricordato soprattutto perché, ispirato dallo Spirito Santo e coadiuvato da una commissione di giuristi , con il "Corpus Iuris Civilis" rinnovò e aggiornò il codice di leggi. Il discordo di Giustiniano, che impegna tutto il canto con la storia e la celebrazione dell'aquila romana, si conclude con una condanna dei guelfi e dei ghibellini, perché gli uni oppongono all'aquila i re di Francia, gli altri la riducono a insegna di partito. Poi Giustiniano conferma che ogni beato è felice della collocazione stabilita da Dio anche se comporta una felicità minore. Ma si può notare la differenza che il personaggio ci tiene a sottolineare tra la sua funzione terrena e quella celeste. Col verso "cesare fui e son Iustiniano" distingue nettamente la sua vita terrena, trascorsa da imperatore, e quella celeste, dove lui è solamente Giustiniano. La sua funzione è quella di esporre il pensiero di Dante riguardo la situazione politica nell'ambito del potere imperiale. Dante gli riconosce un ruolo di eccezionale rilievo come restauratore dell'unità imperiale per tre motivi principali: il primo si riferisce all'unità giuridica con la creazione del "Corpus Iuris Civilis"; il secondo all'unità religiosa, simboleggiata dal ripudio dell'eresia monofisita;il terzo all'unità politico-territoriale raggiunta con il ricongiungimento dell'Italia e dell'Africa settentrionale all'Impero. Giustiniano infine presenta Romeo da Villanova che fu il fedele ministro di Raimondo Beringhieri IV, conte di Provenza.  Calunniato dai provenzali invidiosi, se ne andò dopo che aveva accresciuto il patrimonio del suo signore e procurato splendido matrimonio alle sue quattro figlie. Romeo è controfigura di Dante: entrambi vittime dell'ingiustizia, caduti sotto i colpi di calunniatori mossi dall'invidia.


Questione politica

L'esposizione della storia del potere romano assume nei versi di Dante un'interpretazione politica e una visione provvidenzialistica ;infatti la provvidenza divina ha investito Roma nel compito di unificare e predisporre l'umanità all'avvento di Cristo e del suo messaggio. Dante, coerente alla sua visione, accusa le fazioni dei Guelfi e dei Ghibellini di intralciare e impedire il realizzarsi del progetto divino nella politica imperiale. Dante ribadisce ancora una volta la teoria dei due poteri e la visione universalistica dell'organizzazione del mondo.


In questo canto Giustiniano affronta la problematica politica in forma definitiva, secondo la prospettiva universale dell'Impero, anche attraverso un'ampia ricognizione storica. C'è quindi un allargamento progressivo dell'orizzonte del discorso. Ma ci sono anche alcuni caratteri costanti nei tre momenti delle tre cantiche e soprattutto la condanna dei particolarismi politici e delle lotte tra fazioni: nell'Inferno sono denunciati gli odi e le lotte interne di Firenze, nel Purgatorio la divisione ostile dell'Italia, qui nel Paradiso la rivalità tra Guelfi e Ghibellini, cioè tra i fautori della supremazia della Chiesa e i fautori della supremazia dell'Impero. Il tema politico comune ai tre cani omologhi della Commedia affronta la necessità di una rinascita del potere imperiale , per giungere a quella monarchia universale garante della giustizia nella quale Dante credeva.

La figura di Cesare che occupa nella rievocazione di Giustiniano uno spazio rilevante, viene trattata in un'ottica provvidenziale, malgrado la sua valutazione fosse assai controversa: Cesare infatti aveva posto fine alle istituzioni repubblicane di Roma e gettato le badi della struttura imperiale, dopo una sanguinosa guerra civile. Lo stesso Dante, da giovane, aveva ritenuta quella di Cesare un'usurpazione. Qui invece, coerentemente alla posizione del Convivio e della Monarchia, l'azione di Cesare è inquadrata nell'ambito del disegno divino, e la sua assunzione del potere è presentata come voluta da Roma stessa. Si noti la ripresa del verbo "volere" ai vv. 55 e 57 che attribuisce a Dio in persona la paternità originaria delle azioni di Cesare, e a Roma la responsabilità pratica del loro compimento. Così Cesare diventa l'esecutore, eroico e nobile, di un disegno della Provvidenza e di una necessità storica, che toglie qualsiasi valore all'accusa di usurpazione che gli era stata rivolta. In particolare, la unificazione del mondo sotto il potere rasserenante e pacificatore di Roma ha lo scopo di preparare la nascita di Cristo e l'avvento del Cristianesimo. In una prospettiva più strettamente politica, Cesare è per Dante il primo rappresentante di quell'ideale monarca alla cui unica autorità, assistita dalla Grazie, deve sottostare il mondo intero, secondo una concezione universalistica del potere politico parallela a quella del potere spirituale della Chiesa.


Tratti stilistici

Nel paradiso Dante ricorre ad un linguaggio di eccezionale sublimità, composto da latinismi, provenzalismi e francesismi preziosi. Con ciò vuole dare un senso di ardua esperienza dovuta al lungo viaggio alle sue spalle, vuole rendere l'idea dell'acquisizione di una conoscenza sempre più profonda della verità.









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