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Divina Commedia Inferno

letteratura italiana



Divina Commedia    Inferno


CANTO 1°


v. 1 Dante si ritrova in una foresta oscura, disorientato.

v. 16 Intravede però la cima di un colle illuminata dai raggi del sole, ma il suo cammino viene ostacolato da:


una lonza dal pelo macchiettato e dalle mosse fulminee (che spinge Dante a voltarsi più volte per tornare indietro)

un leone affamato



e da una lupa (invidia)  carica di tutte le brame.


v. 64 Dante vede un uomo,Virgilio, e lo supplica di soccorrerlo.

v. 112 Virgilio si offre di fargli da guida attraverso l'Inferno e il Purgatorio, per lasciarlo poi nelle mani di una donna più degna di lui, che lo guiderà nella patria beata del paradiso.



CANTO 2°


v. 7 Dante invoca le muse, il suo ingegno e la sua memoria a venirgli in aiuto in quest'impresa così difficile: la discesa nel regno dei morti.


v. 13 Enea, padre di Silvio, scese nei regni eterni, perché era predestinato da Dio ad essere il padre di Roma, luogo santo, in cui risiede il Papa.

v. 28 Anche San Paolo, vi andò per attingere conferma alla fede cristiana.

v. 31 Ma Dante si domanda perché anche lui è stato destinato a tale sorte, giacchè non si sente assolutamente degno di quest'incarico.


v. 52-61 Virgilio spiega a Dante che prima si trovava tra le anime del Limbo, sospese tra la felicità e il dolore, le quali non provano né l'una né l'altra cosa. All'improvviso si sentì chiamare da una donna beata del paradiso (Beatrice, degnatasi di discendere negli inferi), la quale, con voce angelica, gli disse che il suo amico Dante aveva smarrito la via del bene e quindi lo invitava ad accorrere in suo aiuto. Facendo ciò, lei, Beatrice, ne avrebbe ricavato conforto.

v. 94 In cielo una Donna gentile aveva chiesto a Lucia di andare da Beatrice invitandola a soccorrere Dante, la cui morte spirituale non era lontana.


v. 139 Dante si affida, quindi, totalmente a Virgilio, il quale da questo momento diventa la guida dei suoi passi, l'arbitro della sua volontà, il maestro del suo intelletto.



CANTO 3°


vv. 1-12 In cima alla porta dell'Inferno vi era scritto:

"Attraverso di me si va nella città dei dolenti; attraverso di me si va nell'eterno dolore; attraverso di me si va tra le moltitudini delle genti dannate! [.] O voi tutti che entrate, lasciate ogni speranza per sempre!".


v. 19 Dante entra nel regno dei morti, dove ode un rumore tumultuoso, prodotto da espressioni di rabbia, di dolore e rumori di percosse.

v. 34 A tale condizione di vita sono condannate le anime perverse degli ignavi, che sulla terra vissero una vita insignificante, non meritevole di lode, né di macchia d'infamia.

v. 49 Il mondo non permette che si conservi qualche ricordo di 555i85f loro.

v. 64 Questi vili, che non vissero mai una vera vita, erano nudi e punzecchiati in continuazione da mosconi e da vespe.


v. 82 Dall'altra sponda del fiume Acheronte, Dante e Virgilio vedono venire verso di loro, sopra una navicella, un vecchio, tutto bianco quasi fosse decrepito, gridando: "Guai a voi, anime scellerate!".

v. 88 Caronte (diavolo) si rivolge a Dante: "E tu, anima ancora unita al corpo mortale, vattene lontano da questi spiriti, anime di morti!"


v. 127 Virgilio dice a Dante che per l'Acheronte non può passare nessun'anima che non sia dannata. Perciò, se Caronte si è lamentato della presenza di Dante, ciò significa che ha ravvisato in lui la buona volontà.


v. 130 Poi la buia campagna si scosse tutta con un terremoto e si levò un gran vento, che fece lampeggiare una luce rossastra, la quale fece perdere i sensi a Dante.



CANTO 4°


v. 1 Un tuono cupo lo risvegliò bruscamente dal suo sonno, e si ritrovò sull'orlo della valle dell'abisso, tanto oscuro e profondo che non era possibile distinguervi alcuna cosa.

v. 22 Virgilio e Dante si addentrano nel primo cerchio, il Limbo, in cui sono dannati i non battezzati. Qui non c'era vero pianto, ma solo un gran sospirare, che faceva tremare l'aria eterna circostante.

v. 31 Virgilio informa Dante che questi spiriti non peccarono in vita, e anche se ebbero meriti di opere buone, questo non bastò, perché mancò loro il battesimo e la fede in Dio, per cui non adorarono Dio nel debito modo. Tra costoro vi era Virgilio stesso.

v. 40 Queste anime vivono in un ardente desiderio di vedere Dio, senza però nessuna speranza di poterlo vedere mai.


v. 55 Da questa regione vennero salvate diverse anime, che diventarono beate grazie alla discesa di un Potente coronato del segno della vittoria. Tra queste anime vi è l'anima di Adamo, di Abele, di Noè, di Mosè, di Abramo, del re Davide, di Giacobbe e di suo padre Isacco, dei suoi figli, di Rachele e di molti altri ebrei.


v. 76 "L'onorata fama che dei poeti ancora risuona nel mondo, ottiene loro favore da Dio, onde sono trattati meglio degli altri".

v. 88 Tra essi emergono Omero, poeta sommo; Orazio, l'autore delle "Satire"; Ovidio; e Lucano.

v. 121-145 In questo luogo, Dante vede anche Elettra, Ettore, Enea, Cesare, Camilla, Pentesilea, il re Latino con la figlia Lavinia. Vede Aristotele, Socrate e Platone. Empedocle, Eraclito e Zenone, ecc.



CANTO 5°


v. 1 Dante discende nel secondo cerchio, in cui sono dannati i lussuriosi. Sull'entrata sta Minosse (diavolo), in atteggiamento orribile, che ringhia come un cane. Egli esamina le colpe di ciascuno all'ingresso del cerchio, giudica e manda a destinazione l'anima secondo la gravità del suo peccato.

v. 16 Minosse si rivolge a Dante e gli grida: "O tu, che vieni in questo luogo di dolori, guarda bene quello che fai entrando qui, e pensa bene se la tua guida, alla quale ti affidi, merita la tua fiducia! Non illuderti vedendo l'entrata dell'inferno tanto ampia e agevole! [.] ".


v. 25 In questo luogo si sentono urla di dolore, pianti e bestemmie. Le anime dannate sono scaraventate da ogni parte da una bufera infernale, che non si arresta mai.

v. 52-67 Qui Dante scorge Semiramide, che fu così lussuriosa, che fece una legge che legittimava il capriccio, per soffocare la mala fama in cui era caduta. Vede Didone, Cleopatra, Elena, per causa della quale fu accesa la guerra di Troia, Achille, Paride, Tristano, ecc.


v. 73 Dante manifesta a Virgilio il desiderio di parlare a due anime.

v. 88 Una delle due anime si rivolge a Dante: "O uomo ancor vivente, dal cuore cortese e delicato [.] C'intratterremo a parlare con voi di quanto ti piacerà dirci, finchè il vento è quieto".

v. 127-136 Le due anime dannate erano quelle dei due cognati Francesca e Paolo che, un giorno, leggendo insieme il romanzo di Lancillotto, vennero trascinati alla rovina della passione, quando nella lettura arrivarono al punto in cui la bocca ridente di Ginevra fu baciata dal suo amante.


v. 142 Il dolore e la pietà che Dante prova per le due anime gli fa perdere nuovamente conoscenza.



CANTO 6°


v. 1   Quando Dante riacquista i sensi, si ritrova in un altro luogo di tormenti.

v. 7 Si trova ora nel terzo cerchio, quello riservato ai golosi. Questo è il cerchio della pioggia eterna, gelida e violenta, di grandine grossa, acqua torbida e neve le quali, toccando il suolo, lo fanno puzzare in modo insopportabile.


v. 13-22 Cerbero è il demonio dell'ingordigia, il grande verme che corrode e corrompe il mondo. E' una fiera crudele e mostruosa, con gli occhi rossi di sangue, la barba unta e nera, il ventre largo e le mani armate di unghioni, con cui graffia gli sciagurati spiriti, li scuoia, li squarta. Questo demone ha tre gole e latra come un cane sopra i dannati sommersi nel fango.


v. 40 Un'anima dannata si rivolge a Dante e gli chiede se riesce a riconoscerlo.

v. 49 "[.] Voi fiorentini mi chiamavate Ciacco; e se mi vedi qui a fiaccarmi alla pioggia è per la dannosa colpa della gola [.]".


v. 64-76 Ciacco fa una profezia sul destino di Firenze.

v. 79-82 Dante gli chiede poi se le anime di Farinata, Tegghiaio, Giacomo Rusticucci, Enrico, il Mosca e altri si trovano ora tra i beati o tra i dannati.

v. 85 Ciacco risponde che essi sono tra le anime più scellerate e si trovano nel più basso inferno.


v. 112-115 Dopo questo dialogo, Dante e Virgilio arrivano al punto per dove si scende al quarto cerchio. Qui trovano Pluto, il demone della ricchezza.



CANTO 7°


v. 1 Appena Pluto, il demone della ricchezza, vede Dante e Virgilio grida con rabbia "Pape Satàn, pape Satàn, aleppe!". Ma Virgilio, con una frase lo fa accasciare subito a terra.

v. 16 Così, avendo via libera, possono discendere giù nel quarto cerchio nel quale vengono puniti gli avari (avarizia=mal tenere) e i prodighi (prodigalità=mal dare).

v. 22 Questi dovevano perpetuamente girare in tondo con dei pesi e scontrarsi gli uni gli altri. Gli avari dicevano ai prodighi: "Perché scialacqui?". E i prodighi di rimando: "E tu perché tieni?".


v. 40 Virgilio dice a Dante che tutti quei dannati furono di mente così stolta nella vita terrena, che non seppero fare nessuna spesa della ricchezza con la debita misura.

v. 55 I prodighi risorgeranno dal sepolcro con i pugni chiusi; gli avari con il capo raso.

V. 61 Virgilio continua dicendo a Dante che i beni della terra hanno una breve durata, quindi non vale la pena perdere la felicità eterna per un'illusione.


v. 100-112 Giungono poi all'altra sponda e cominciano a scendere per una via molto malagevole, finchè arrivano in una palude, che si chiama Stige, nel quinto cerchio. Qui vi si trovavano molte genti, tutte nude e infangate, che si percuotevano, si addentavano e sbranavano a vicenda.


v. 115-118 Virgilio dice a Dante che questi dannati furono coloro che in vita si lasciarono sopraffare dall'ira. Sott'acqua c'è poi dell'altra gente che sospira, e così facendo, fa ribollire l'acqua alla superficie e ingozza fango.

v. 130 Infine i due giungono ai piedi di una torre.



CANTO 8°


V. 16-22  Improvvisamente si vede una navicella arrivare veloce verso Dante e Virgilio, e il barcaiolo della navicella, Flegiàs, che gridava da lontano: "Sei presa, anima ribelle!". Ma Virgilio lo disillude dicendogli che sarebbero andati con lui solo per attraversare la palude di fango!


v. 31 Mentre attraversano la palude, si presenta innanzi a Dante un dannato infangato dicendogli: "Chi sei tu che, ancora vivo, vieni qui prima del tempo?"

v. 34 Dante rispose: "Se io vengo qui non resto . Tu resta pure con le tue lacrime e con il tuo dolore, spirito maledetto! Va', che ti conosco, ancorchè tu sia coperto di lordura!". (Si trattava di Filippo Argenti).


v. 79 Il traghettatore, arrivato alla città di Dite, li fa scendere, indicando loro l'ingresso.

v. 82 Dante vede più di mille diavoli sulle porte di Dite, che gridavano: "Chi è costui che, ancora vivo, va attraversando il regno dei morti?".

v. 91 "Se ne torni da solo per la strada temerariamente percorsa nel venire! Provi se sa; perché tu, che gli hai mostrato queste regioni così buie, resterai con noi!".


v. 94 Dante si rivolge al lettore della sua opera, dicendo: "Lettore, puoi immaginare se m'impaurii sentendo quelle parole maledette! [.]".


v. 115-130 I diavoli che prima avevano conversato con Virgilio, ora gli chiudono in faccia la porta della città di Dite, impedendo loro l'ingresso. Ma Virgilio non perde la speranza, e sa che prima o poi qualcuno dal cielo farà avere loro libera l'entrata in quella terra infernale.



CANTO 9°


v. 22 Virgilio tranquillizza Dante dicendogli che già un'altra volta discese negli inferi, scongiurato dalla crudele Eritone che richiamava le ombre ai loro corpi con gl'incantesimi. Penetrò nella città di Dite per evocare uno spirito dell'ultimo cerchio, quello di Giuda, perciò conosce la strada.


v. 37 In cima alla torre rovente, in un attimo appaiono tre furie infernali, macchiate di sangue, con membra e atteggiamento femminile, per capelli avevano serpenti e ceraste, che cingevano la loro fronte feroce.


v.40 Virgilio riconosce in loro le schiave della regina del pianto eterno e dice a Dante: "Guarda le feroci Erinni! Megera Aletto e Tesifone. Ciascuna si squarciava il petto con le unghie e urlava.



v. 52 Guardando in giù e accennando a Dante, gridavano: "Venga Medusa, e così tramuteremo in sasso quest'intruso!".


v. 61 Dante si rivolge nuovamente ai lettori della sua opera "O lettori, che avete mente sana, osservate la dottrina che si nasconde sotto questi versi misteriosi e allegorici!".


v. 85 Poi un messo dal cielo scese negli inferi pieno di sdegno e con una verghetta aprì, senza trovare nessuna resistenza, la porta di Dite. Rimproverò i demoni e tornò quindi indietro per la strada fangosa della palude.


v. 106-121 Virgilio e Dante riescono finalmente ad entrare nella città di Dite, nel sesto cerchio, un luogo pieno di dolori. Tra le tombe erano sparsi fuochi che arroventavano completamente i sepolcri, rendendoli incandescenti. Ogni tomba aveva il suo coperchio sollevato e dal di dentro uscivano lamenti disperati.

v. 127  Virgilio spiega a Dante che i dannati di quel luogo erano i capi delle eresie, con i loro seguaci di ogni setta.



CANTO 10°


v. 46 Lo spirito di Farinata si rivolge a Dante: "I guelfi furono fieramente contrari a me, ai miei antenati, al mio partito ghibellino, sicchè per due volte li combattei e dispersi!"

v. 49 Dante risponde: "E' vero, essi furono cacciati, ma ritornarono poi da ogni parte entrambe le volte; invece i vostri non hanno imparato altrettanto bene quest'arte del ritorno in patria!".

vv. 58-64 Dialoga poi con Cavalcante dei Cavalcanti.

v. 118 Farinata informa poi Dante del fatto che nel suo sepolcro giace con più di mille altri spiriti. Tra essi vi è Federico II con il cardinale Ottaviano degli Ubaldini.



CANTO 11 °


vv. 1-7 Virgilio e Dante discendono nel settimo cerchio, nel quale giacciono le anime dannate dei violenti. Qui Virgilio e Dante vengono accolti da un puzzo orribile che l'abisso profondo esala. Si riparano dunque dietro il coperchio di una grande tomba, sul quale si legge la scritta: "Custodisco il papa Anastasio, traviato da Fotino fuori della diritta via della vera fede".


v. 28 Virgilio spiega a Dante che il settimo cerchio si suddivide in tre cerchi minori, detti gironi. Questi sono diversi tra loro, perché la violenza si può fare a tre persone diverse: al prossimo, a se stessi, o a Dio.


vv. 52-57 Virgilio continua a spiegare a Dante che il cerchio che viene subito dopo quello dei violenti è il cerchio delle malebolge, l'ottavo cerchio. Qui vengono puniti i fraudolenti. Esistono due tipi di frode: quella contro chi si fida di noi, e quella contro chi non si fida. Nell'ottavo cerchio vengono puniti coloro che frodarono chi non si fidava di loro:


i seduttori

gli adulatori

i simoniaci

gli indovini

i barattieri

gli ipocriti

i ladri

i consiglieri fraudolenti

i portatori di discordia

i falsari


v. 61 Usando frode nell'altro modo, cioè contro chi si fida, si oltraggia non solo l'amore che viene dalla natura, ma anche quell'amore speciale che crea la mutua confidenza. Perciò ogni traditore di questo tipo è consumato eternamente nel cerchio più basso, il nono cerchio, che si divide in 4 zone:


zona Caina (traditori dei parenti)

zona Antenora (traditori della patria)

zona Tolomea (traditori degli ospiti)

zona Giudecca (traditori dei benefattori),


dov'è il centro della terra, e dove sta Lucifero, e sul quale poggia la città di Dite.



CANTO 12°


vv. 1-13 Il punto in cui si doveva scendere per passare dal sesto al settimo cerchio era molto scosceso, e in esso vi era un Minotauro che, appena scorse Dante e Virgilio, iniziò a mordersi, come fa chi è vinto internamente dalla sua ira impotente.


v. 46 Dante e Virgilio iniziano quindi a discendere il settimo cerchio, e arrivano nel primo girone, dove venivano puniti coloro che avevano usato violenza contro il prossimo. Qui vi era un fiume di sangue dentro il quale bolliva chiunque avesse, in vita, usato violenza contro altre persone.

v. 55 In un fossato, vedono correre a frotte centauri armati di saette, i quali, appena si accorgono della presenza dei due intrusi, si rivolgono a loro gridando: "O voi che scendete la costa, a quale tormento siete destinati? Ditemelo subito, di lì dove siete; se no tiro l'arco!".


v. 67-72 Virgilio indica a Dante alcuni centauri, raccontandogli le loro colpe e i loro nomi: tra essi c'è Nesso Chirone Folo, ecc.


v. 97 Chirone da ordine a Nesso di trasportare sulla sua groppa Dante e Virgilio, e di mostrare loro il fiume di sangue e i dannati che in esso scontano la loro pena.

vv. 106-139 Tra le anime condannate a bollire eternamente in questo fiume si trovava: Alessandro, Dionigi il Vecchio, Ezzelino da Romano, Opizzo d'Este, Guido di Monfort, Attila, re degli Unni, Pirro, Sesto Pompeo, Rinieri da Corneto e Rinieri de' Pazzi, e tanti altri.



CANTO 13°


v. 1-15 Prima che Nesso raggiungesse l'altra sponda del fiume, Dante e Virgilio si inoltrarono in un bosco, con fronde di colore nerastro, rami contorti e pieni di nodi, e spine velenose. Qui facevano i loro nidi le sozze Arpie: mostri dotati di grandi ali, colli e volti di persona umana, piedi con artigli e grande ventre rivestito di penne. Sopra questi alberi le Arpie moltiplicano i loro strani lamenti.

v. 16 Virgilio, prima di andare oltre, fa sapere a Dante che quello che hanno appena visto è il secondo girone del settimo cerchio.


vv. 28-73 Virgilio invita Dante a strappare una piccola frasca da una qualsiasi di quelle piante, e come Dante lo ebbe fatto, la pianta emise un lamento. In quella pianta era imprigionata l'anima del confidente dell'imperatore Federico II, al quale fu sinceramente fedele. Purtroppo a rovinarlo c'era l'invidia degli altri, i quali riuscirono a infiammare contro di lui l'ira dell'imperatore. A questo punto, per sottrarsi al disprezzo del traditore, il consigliere dell'imperatore decise di uccidersi.

vv. 76-79 E ora questa pover'anima (si chiamava Pier della Vigna) chiede a Dante di riabilitare nel mondo la sua fama, che giace ancora malconcia per il colpo infertole dall'invidia altrui.


vv. 115-130 Improvvisamente si vedono due dannati nudi e graffiati che fuggono per la selva invocando la morte, affinchè venga a liberarli. Dietro di loro la selva era piena di cagne nere, bramose che, ben presto, raggiunsero uno dei disgraziati e lo addentarono furiose, facendolo letteralmente a brandelli.



CANTO 14°


vv.19-40 Nel terzo girone del settimo cerchio Dante e Virgilio vedono numerose anime nude, che piangevano. Alcune di esse giacevano supine, altre sedute o rannicchiate su se stesse e altre ancora che camminavano continuamente. Il suolo era ricoperto da grosso sabbione, sul quale piovevano larghe falde di fuoco, che straziavano i dannati.


v. 43 Dante, vedendo un gigante giacere nella sabbia infuocata dispettoso e incurante del proprio dolore, chiede alla sua guida chi sia quel dannato.

v. 67 Virgilio gli risponde dicendogli che si tratta dell'anima di Capaneo, uno dei sette re famosi che assediarono Tebe, e che disprezzò e continua a disprezzare Dio.


v. 76 I due giungono là dove dalla selva scaturisce un fiumiciattolo rosso, il Flegetonte, che, con le sue esalazioni, smorza tutte le fiammelle che vi cascano sopra.

vv. 94-99 In mezzo al mare c'è un paese rovinato, che si chiama Creta, sotto il cui re Saturno, un tempo il mondo fu innocente. Là c'è un monte, ricco d'acque e di vegetazione, che si chiamò Ida, e ora è un luogo abbandonato come una cosa vecchia.

vv. 103-118 Nella cavità del monte sta ritto un vecchio gigante . Ha la testa d'oro fino, braccia e petto d'argento puro; poi il ventre, fino al divaricarsi delle gambe, di rame; dalle gambe in giù è tutto di ferro scelto, salvo il piede destro, che è di terracotta, sebbene il colosso poggi più sul piede sinistro. . Ciascuna parte, tranne quella in oro, è rotta da una fessura, che dà lacrime, le quali, raccolte insieme, forano il fondo della caverna dell'Ida. Scorrendo scendono di roccia in roccia fino a questa valle infernale, dando luogo al fiume Acheronte, poi alla palude Stige, quindi al flegetonte, finchè, sempre scendendo per questo stretto canale, arrivano all'ultimo fondo dell'inferno, dando luogo allo stagno Cocito.



CANTO 15°


v. 28 Dante incontra in questo luogo il suo maestro, il famoso Brunetto Latini.

v. 55   Brunetto Latini si rivolge a Dante: "Dante, se tu seguirari costantemente il destino assegnato, non mancherai di approdare al porto della gloria immortale, per quanto potei arguire di te nella bella vita di lassù. E se non fossi morto tanto presto, vedendo il cielo tanto largo di doni con te, ben volentieri ti avrei aiutato nella tua splendida riuscita".

vv. 61-97 Brunetto Latini fa delle raccomandazioni a Dante e Virgilio dice a quest'ultimo di prenderne nota.


v. 109 Tra gli altri dannati, in questo luogo scontavano la loro pena il grammatico Prisciano, il giurista Francesco d'Accorso e il vescovo di Firenze Andrea dei Mozzi. Tutti questi dannati avevano commesso peccati contro natura.



CANTO 16°


v. 1 Camminando sull'argine assieme a Virgilio, Dante giunge in un punto in cui si sentiva il rimbombo delle acque di Flegetonte, che dal settimo cerchio cadevano nell'ottavo.

v. 4 Ed ecco che tre ombre si staccano da una schiera di dannati (sodomiti) per andare incontro a Dante.

vv. 37-44 Erano le anime di Guido Guerra, di Tegghiaio Aldobrandi e di Iacopo Rusticucci.

v. 85 Queste anime dannate chiedono a Dante di parlare di loro al suo ritorno sul mondo dei vivi.


v. 127 Dante si rivolge al lettore: "[.] ti giuro, lettor mio, per le parole di questa mia commedia, che prego possano riuscire a lungo non sgradite, di aver visto venir su, per quell'aria crassa e oscura, una figura che nuotava e che avrebbe stupito e impaurito anche l'uomo più intrepido [.]".





CANTO 17°


vv. 1-16 Virgilio inizia a descrivere a Dante Gerione: una fiera dalla coda aguzza, una bestia che ammorba tutto il mondo con il suo fetore; aveva la faccia dell'uomo giusto, ma il resto del corpo era tutto di serpente. Aveva due branche artigliate, folte di pelo fino alle ascelle; sul dorso, sul petto e sui fianchi aveva tutta la pelle dipinta di nodi e scudetti, distribuiti e colorati.


vv. 66-72 Un dannato della schiera degli usurai si rivolge a Dante: "Che cosa fai tu in questa fossa infernale? Tosto vattene via! E siccome sei ancora vivo, sappi che il mio concittadino Vitaliano dovrà sedermi accanto a sinistra! Io sono di Padova, ma tutti questi sono fiorentini, e spesso m'intronano le orecchie gridando: <<Venga tra noi il grande cavaliere! Quello che porterà qui la borsa con tre capri!>>".


v.91 Dante e Virgilio montano in groppa a Gerione, il quale discende nell'ottavo cerchio e li depone ai piedi di una roccia.



CANTO 18°


vv. 1-9 Malebolge è una regione infernale tutta di pietra. Al centro si apre un pozzo immenso. Lo spazio, che è tra il pozzo e la ripa rocciosa e alta, è circolare e ha il suo fondo diviso in dieci valli, le bolge.


v. 34 Prima bolgia: (seduttori). Distribuiti su per la roccia desolata delle sponde, vi sono demoni cornuti che battono i peccatori di dietro e crudelmente, con grandi sferze.

vv. 42-49 Dante riconosce in un dannato la persona di Venedico Caccianemico.


vv. 85-96 Virgilio indica a Dante un uomo dalla corporatura possente, il quale non sembra versare nemmeno una lacrima, per quanto sia grande il suo dolore. Egli è Giasone, colui che, con bravura e sagacia, riuscì a rapire il vello d'oro agli abitanti della Colchide. Andando, passò per l'isola di Lenno, dopo che le donne coraggiose e spietate diedero la morte a tutti i loro mariti. Lì Giasone, con gesti e belle parole, ingannò Isifile, la regia fanciulla, la quale aveva prima ingannato tutte le altre donne per salvare suo padre. Giasone l'abbandonò poi gravida e sola. Tale colpa lo condanna qui a questo supplizio, e qui deve pure scontare la sua colpa contro Medea. Vanno assieme a Giasone tutti quelli che in tal modo ingannano gli altri.


vv. 104-122 Virgilio e Dante giungono nella seconda bolgia: (adulatori) qui odono gemiti e gente che sbuffa e si percuote. Le ripe sono incrostate di una specie di muffa, generata dalle crasse esalazioni che venendo dal basso si impastano, intollerabili alla vista e all'olfatto. I dannati sono tutti immersi in sterco umano. Tra essi Dante riconosce Alessio Interminelli di Lucca.



CANTO 19°


vv. 1-27 Terza bolgia: (simoniaci). Qui venivano puniti i miserabili seguaci di Simon Mago, che, per oro e argento, avevano rapacemente unito le cose di Dio con gl'indegni in adulterio.

Tutta la valle di pietra scura era piena di fori tondi, dall'apertura dei quali venivano fuori i piedi e le gambe d'un peccatore, fino alla coscia. Il resto della persona del dannato restava sepolto dentro. Tutti i dannati avevano accese ambedue le piante dei piedi e le fiamme salivano su dalle calcagna alla punta dei piedi.


v. 46 Dante si avvicina a un'anima sepolta, che muoveva le gambe in modo più convulso delle altre e le chiede chi sia.

vv. 65-83   Il dannato gli confessa di essere stato un papa avidissimo di denaro (Niccolò III), e che dopo di lui verrà un altro a rubare il suo posto e a farlo precipitare ancora più in basso, Bonifacio VIII. Dopo questi verrà un altro papa ancora, Clemente V, che opererà ancora più laidamente, incurante di ogni legge divina o umana, siamoniaco anche lui.


vv. 93-105 Dante inveisce contro quelle anime scellerate, che hanno calpestato i buoni per esaltare i malvagi.


v. 130 Dante viene portato in braccio da Virgilio fino alla quarta bolgia (indovini).



CANTO 20°


vv. 1-16 Nella quarta bolgia Dante vede circolare gente silenziosa e tutta in lacrime, che andava a passo lento, come chi muove in processione. Osservando meglio queste anime, Dante si accorge con stupore che ciascuno aveva il viso voltato dalla parte della schiena e camminava a ritroso, poiché gli era impedito di vedere davanti.


v. 19 Dante si rivolge al lettore: "Oh lettore! che Dio ti conceda di ricavar frutto da questa lettura [.]".


vv. 25-31 Dante prova compassione per questi dannati, ma Virgilio lo biasima.


vv. 58-99 Virgilio racconta a Dante l'origine di Mantova (patria di Virgilio). "Dopo la morte del padre Tiresia, la figlia Manto andò a vivere in una zona paludosa vicino Governolo, dove sbocca il Po. Era una zona incolta e disabitata, così Manto si fermò con i suoi servi e, indisturbata, iniziò a praticare le arti magiche. Là visse fino alla fine dei suoi giorni e vi lasciò la sua salma esanime. In seguito, gli abitanti sparsi nei dintorni si raccolsero in quel luogo e sopra le ossa aride di Manto edificarono una città, che chiamarono Mantova, dal nome di colei che per prima vi fissò la sua sede.



CANTO 21°


v. 1-43 Dante e Virgilio passarono dalla quarta alla quinta bolgia (barattieri). Qui ribolle una pece densa, che invischia la ripa da ogni parte e nella quale vengono gettati i dannati, che in vita furono barattieri.


v. 70 Virgilio si dirige verso i diavoli, i quali, appena si accorgono della sua presenza, si gli si dirigono contro come un branco di cani, per sbranarlo. Ma Virgilio gli grida di fermarsi e mandare uno di loro affinchè ascoltasse ciò che aveva da dirgli. Così decidono di mandargli il diavolo Malacoda


v. 79 Virgilio si rivolge a Malacoda: "Malacoda, credi che io sia venuto qui sicuro da tutti i vostri ostacoli senza il divino volere e il felice concorso delle circostanze? Lasciaci passare, perché il cielo ha decretato che io mostri ad altri questa strada aspra e selvaggia".

v. 88 Virgilio grida a Dante che ormai è al sicuro dai demoni e che può raggiungerlo.

v. 100 Intanto i diavoli chinavano gli uncini e si dicevano l'un l'altro: "Vuoi che io lo tocchi un po' sul groppone?". "Sì, sì! Fagliela!", rispondevano quei maledetti. Ma Malacoda, accortosene, si voltò in fretta a frenarli.


vv. 118-126 Malacoda invita Virgilio e Dante a seguire alcuni demoni, suoi compagni, garantendo ai due visitatori che i diavoli non avrebbero recato loro nessun danno, e ordina a questi ultimi di ispezionare le panie bollenti della pece, per vedere se qualche dannato si tira fuori dal pantano. Questi demoni sono Alichino Calcabrina Cagnazzo Barbariccia Libicocco Draghignazzo Ciriatto Graffiacane Farfarello e il furioso Rubicante


v. 139 Barbariccia aveva il compito di dare il segnale affichè i diavoli si mettessero in marcia, e il segnale fu presto dato.



CANTO 22°


vv. 40-55   A un tratto, visto un dannato con la testa fuori dalla pece bollente, tutti i diavoli gridarono: "Rubicante, fa in modo di mettergli addosso i tuoi unghioni e scuoiarlo!". Quel dannato era Ciampòlo di Navarra, che nella sua vita si dedicò a fare il barattiere, e che ora sconta la sua pena.


vv. 82-90 Ciampòlo informa Dante che sotto la pece ha scorto anche due sardi: frate Gomita, della Gallura, perfetto tipo di imbroglione; e Michele Zanche, di Logudoro. I due stanno sempre parlando della Sardegna e sembra che non se ne stanchino mai!


v. 118 Dante si rivolge al lettore: "O lettore, mi sentirai parlare d'una gara non più vista!".

vv. 127-151 Ciampòlo con un sotterfugio riesce a fuggire le torture che di lì a poco i diavoli gli avrebbero propinato. I diavoli, però, a causa della perdita di quell'anima da torturare, iniziano ad azzuffarsi tra di loro, mentre Dante e Virgilio se ne vanno.



CANTO 23°


v. 40 Per scampare all'ira dei diavoli offesi, Virgilio e Dante abbandonano, con la velocità di un lampo, la quinta, per entrare nella sesta bolgia. Qui i due erano al sicuro, perché la suprema provvidenza di Dio, che ha voluto che quei demoni fossero ministri della quinta bolgia, toglie loro il potere di allontanarsene.


Nella sesta bolgia venivano puniti gli ipocriti.


vv. 58-81 Questi dannati hanno l'aria stanca e scoraggiata. I loro abiti pesano come il piombo, e a causa di quel peso, procedono con molta lentezza. Un dannato, che riconosce il parlare toscano di Dante, si rivolge a loro: "O voi che correte tanto in quest'aura fosca, frenate il passo. Tu che hai parlato, potrai forse avere da me quanto cerchi!".

v. 103 Quel dannato disse poi: "Noi fummo frati godenti e di Bologna; io mi chiamo Catalano e costui Loderingo . In realtà poi fummo quali si può ancora vedere dalle rovine delle case degli Uberti, vicini alla torre del Gardingo".


v. 110 Improvvisamente, l'attenzione di Dante viene catturata da un dannato che stava crocifisso in terra con tre pali: era Caifa, il quale consigliò i farisei dicendo che conveniva uccidere un uomo per la salute del popolo. Soffrono qui, allo stesso modo, anche gli altri membri del Sinedrio, che condannarono Cristo a morte.



CANTO 24°


Dante e Virgiliio iniziano l'ascesa faticosa per giungere alla settima bolgia.

v. 82 Giungono finalmente alla settima bolgia (ladri). Qui vedono un ammasso di serpenti feroci e spaventosi, di ogni specie, che tenevano legate le mani dietro al dorso di molte persone che scappavano, tutte nude, spaventate e senza speranza di trovare un riparo per potersi nascondere dalla ferocia di quei serpenti che gli si avventavano, mordendoli.

v. 121 In questa bolgia vedono un dannato che viene azzannato dai serpenti, che lo inceneriscono, poi però riassume le sue sembianze di prima. Virgilio gli domanda chi fu in vita e quegli risponde che fu Vanni Fucci di Pistoia, detto bestia. Il delitto che lo fece precipitare in quella bolgia dell'inferno fu l'aver derubato la sacrestia di San Giacomo di Pistoia dei suoi arredi preziosi; delitto che fu attribuito falsamente ad altri.

v. 142 Il dannato fa una predizione sul futuro disastro di Pistoia e Firenze.



CANTO 25°


v. 25 Dante e Virgilio vedono il centauro Caco, un dragone che gettava fuoco, bruciando chiunque incontrasse.


v. 46 Dante si rivolge al lettore: "Lettore mio, se ora stenti a credere ciò che sto per dire, non c'è da meravigliarsene, perché io stesso, che pure vidi con i miei occhi, stento a ritenere ciò per vero".


Trasformazione di Buoso Donati e di Francesco Cavalcanti: da uomini diventano serpenti. E quelli che prima erano serpenti assumono l'aspetto di uomini. C'è uno scambio di corpi.

v. 139 Il serpente diventato uomo dice: "Voglio che Buoso corra carponi, come ho fatto io, per questo sentiero!".


v. 143 Dante si rivolge indirettamente al lettore: "E qui la novità della materia trattata mi valga di scusa se la mia arte un po' genera confusione".


v. 148 L'altro dannato che venne trasformato in serpente fu Francesco Cavalcanti.



CANTO 26°


v. 28 Dante giunge all'ottava bolgia (consiglieri fraudolenti), risplendeva per le alte fiamme dentro le quali ardevano i dannati.


v. 55 Virgilio risponde alla domanda di Dante: "Là dentro scontano la loro pena Ulisse e Diomede. Come peccando andarono insieme contro l'ira di Dio, così ora sono associati nel subirne la vendetta. E dentro la loro fiamma stanno piangendo l'inganno fatto ai troiani con il famoso cavallo di legno, onde si aprì la via dalla quale uscì poi Enea, il nobile progenitore dei romani. Dentro quella fiamma piangono anche la triste astuzia, per cui Deidamia ancora piange la perdita di Achille, come pure vi pagano il fio della rapina del Palladio




v. 91 Ulisse risponde a Virgilio: "Quando finalmente seppi sottrarmi agl'incanti di Circe, che mi sequestrò per più d'un anno sul monte Circello, vicino al luogo che Enea chiamò poi Gaeta, né il dolce affetto paterno per il mio figliolo Telemaco, nèla pietà filiale verso mio padre Laerte, vecchio cadente, né l'amore doveroso che avrebbe dovuto rendere felice Penelope, mia sposa, poterono vincere la brama che sentivo in me stesso di acquistare esperienza del mondo, dei difetti e dei pregi degli uomini. Quindi mi spinsi in alto mare con una sola nave e con quel piccolo stuolo di compagni che mai mi abbandonò. Vidi il lido europeo e quello africano: fino alla Spagna il primo e fino al Marocco il secondo; vidi la Sardegna e le altre isole bagnate tutt'intorno da quel mare. Io e i miei compagni eravamo già vecchi e tardi nei movimenti, quando giungemmo a quello stretto dove Ercole, con le sue colonne, rizzò i limiti, perché l'uomo non si spinga oltre, e mi lasciai Siviglia a destra, mentre a sinistra mi ero già lasciato dietro Ceuta. Allora dissi ai miei compagni: <<Fratelli, giunti attraverso mille e mille pericoli all'estremo occidentale delle terre abitate (oppure, al tramonto della vita), in questa vostra breve vigilia dei sensi, che ancora vi rimane, non vogliate negarvi la soddisfazione d'esplorare il mondo disabitato, seguendo il cammino del sole da oriente a occidente!

v. 118 Considerate la vostra origine (semenza): siete creati per segnalarvi nel valore e arricchirvi di cognizioni, e non soltanto per vegeare come bestie!>>. Con questa breve esortazione resi talmente desiderosi i miei compagni a proseguire il viaggio, che anche volendolo a malapena sarei riuscito poi a distoglierli. E così, volta la poppa della nostra nave ad oriente, ci servimmo dei remi come di ali per il nostro volo temerario, avanzando sempre a sinistra, verso sud-ovest. E già nella notte vedevamo tutte le stelle del polo antartico, cioè dell'emisfero australe; e il nostro polo artico, con la stella polare, già era caduto a poco a poco sotto il nostro orizzonte, sicchè non nasceva più al di sopra del livello del mare. Già cinque volte la luce della faccia della luna volta alla terra si era avvivata e cinque volte s'era oscurata, erano trascorsi cioè cinque mesi, quando ci apparve una montagna oscura per la distanza, e mi parve tanto alta che non mi ricordai d'averne veduta una simile. Vedendola ci rallegrammo tutti; ma ben presto l'allegrezza si mutò in pianto, perché dalla nuova terra si scatenò un turbine, che percosse la prora della nostra nave, la fece girare per tre votle con tutte le acque che le erano attorno, e al quarto giro il vortice costrinse la poppa a levarsi in alto, mentre la prora s'affondava, secondo che piacque a Dio, finchè il mare si chiuse definitivamente sopra di noi



CANTO 27°


v. 19 Un dannato si rivolge a Dante chiedendogli di fermarsi a parlare un po' con lui. Egli è Guido da Montefeltro.


v. 67 "Fui uomo d'armi e poi fui anche frate di san Francesco. . Le mie opere non furono quelle d'un uomo forte e franco, ma d'un astuto e frodolento. . Giunto alla vecchiaia mi pentti di quei peccati che avevo commesso, e contrito e confessato entrai in religione. . Papa Bonifacio VIII, il principe dei nuovi farisei, . egli non rispettò in sé né la somma dignità di vicario di Cristo, né il sacro carattere del sacerdozio, e neanche rispettò in me quel cordone francescano . Egli mi disse: <<Non aver timore di ricadere nella colpa, poiché io ti assolvo fin d'ora; ma tu insegnami ad atterrare Palestrina . sai bene che io posso chiudere e aprire il paradiso, assolvere e condannare .>>. Tali argomenti mi spinsero a ricommettere lo stesso peccato di prima, e dissi: <<Padre, siccome mi assolvi da quel peccato in cui devo cadere adesso, ecco il mio consiglio: promettere molto e poi mantenere poco ti darà la vittoria della tua suprema autorità>>. Così alla mia morte precipitai all'inferno, perché l'assoluzione non fu valida


v. 133 Dante e Virgilio giungono sull'arco che attraversa la nona bolgia (seminatori di discordia).



CANTO 28°


vv. 1-21 Dante spiega che se si mettessero insieme tutti i dolori provocati dalle varie battaglie, guerre, massacri e tutti facessero a gara per mostrare le proprie membra trafitte e smozzicate, questo macabro spettacolo sarebbe nulla di fronte allo spettacolo ributtante che presenta la nona bolgia.


v. 30 Mentre Dante osserva tutto quell'orrore, ecco che un dannato si rivolge a lui dicendogli: "Guarda come mi squarcio. Osserva com'è mal ridotto Maometto, che ora ti parla! Davanti a me se ne va tutto in lacrime Alì, mio genero, con il volto spaccato dal mento alla fronte; e tutti gli altri, che vedi in questa bolgia, da vivi furono tutti seminatori di discordie civili e divisioni religiose, e perciò sono così spaccati!".


v. 55 Maometto chiede a Dante di avvertire fra Dolcino di munirsi di vettovaglie, se non vuole seguirlo laggiù.


Altri dannati si rivolgono a Dante: v. 73 Pier da Medicina; (v. 100 vede anche Curione, che però non può parlare perché non ha più la lingua); v. 106 il Mosca.


v. 130 Un altro dannato, il quale aveva la testa staccata dal corpo, testa che manteneva con una mano a mo' di lanterna, si rivolge a Dante: "O tu, che, respirando ancora, vai visitando i morti, vedi la mia pena durissima e vedi se ce n'è qualche altra grande come questa! [.] Sappi che io sono Bertram dal Bornio, colui che diede al giovane re d'Inghilterra le cattive suggestioni. Io feci nemici tra loro il padre e il figlio. [.] e ora porto il mio cervello diviso dal midollo spinale di questo mio troncone, che è il suo principio. Così viene osservata in me la legge del contrappasso".



CANTO 29°


v. 18 Dante si sofferma a guardare dentro una fossa, perché crede di aver visto uno del suo sangue piangere il peccato che laggiù si sconta: era Geri del Bello.


v. 37 Dante e Virgilio giungono alla decima bolgia (falsari), l'ultimo luogo di Malebolge. Dentro questa fossa vi erano, ammassati come vermi, numerosi dannati che si lamentavano così disperatamente, che Dante, non riuscendo a sopportare l'espressione di tanto dolore, si tura le orecchie. Da questo luogo esalava un puzzo insopportabile. I dannati di questa bolgia erano preda di un prurito eterno insopportabile, e per cercare di calmarlo, si grattavano con le loro unghie ridotte ad artigli, e così facendo si scorticavano.


v. 109 L'anima di Griffolino d'Arezzo si rivolge a Dante: "[.] fui condannato al rogo come eretico; ma il motivo per cui fui messo a morte non è quello che mi ha condotto in questa bolgia. [.] fui condannato perché nel mondo mi diedi all'alchimia".


v. 133 Anche l'anima di Capocchio si rivolge a Dante: "[.] aguzza l'occhio verso di me, e vedrai così che io sono l'ombra di Capocchio, che falsai metalli con l'alchimia e, se ben ti distinguo, devi ricordare come io fui abile a scimmiottare la natura".



CANTO 30°


v. 25 Dante vede due ombre, nude e smorte, che correvano mordendo i dannati, come fa il porco quando s'avventa fuori del porcile che gli viene aperto. Una di esse, giunta a Capocchio, lo addentò sulla nuca con tanto impeto che, trascinandolo, gli fece grattare il ventre contro il duro fondo della bolgia. Quello spirito rabbioso è Gianni Schicchi. L'altra anima era Mirra scellerata, che diventò amante di suo padre e andò a peccare con lui falsificando se stessa.


v. 58 Un dannato si rivolge a Virgilio e Dante: "O voi [.] guardate un poco e riflettere alla miseria di maestro Adamo! Finchè fui vivo ebbi in abbondanza quanto volli; ora, me infelice, bramo una goccia d'acqua. I ruscelli sempre mi stanno davanti agli occhi [.] e la loro immagine sempre più m'inaridisce e mi asseta. [.] fabbricai con falsa lega il fiorino di Firenze, coniato con l'immagine di san Giovanni Battista, delitto per il quale fui arso vivo lassù in terra. [.]".


vv. 130-148 Maestro Adamo e un'altra anima dannata iniziano a litigare molto animatamente e ad ingiuriarsi, e Dante e tutto intento ad ascoltarli. Così Virgilio lo rimprovera, "perché voler ascoltare siffatti diverbi ingiuriosi è desiderio ignobile".



CANTO 31°


v. 12 Dante ode forte il suono di un corno, che lo obbliga a voltarsi. Il luogo è semibuio, e gli sembra di vedere molte alte torri e chiede a Virgilio che città è quella che vede. Ma Virgilio gli risponde che quelle che crede torri in realtà sono dei giganti.


v. 76 Virgilio dice a Dante che il gigante che ha parlato è Nembrot, che ebbe il malvagio pensiero di edificare Babele, per cui nel mondo non si usa più una lingua sola.

Vedono anche un altro gigante, legato da catene, Fialte


v. 115 Virgilio si rivolge a un gigante più in là, Anteo, chiedendogli di portarli giù nell'ultimo cerchio, dove il freddo congela Cocito.

v. 142 Anteo li prese e li depose delicatamente nel nono cerchio, l'ultimo dell'inferno.



CANTO 32°


v. 10 Dante invoca le muse, affinchè lo aiutino a descrivere fedelmente ciò che vede nel pozzo dei più dannati tra i dannati, nell'ultimo cerchio dell'inferno.


v. 19 Dante ode qualcuno che gli dice: "Ehi, guarda come cammini! Va' in modo da non calpestare con i piedi le teste dei fratelli miserabili e stanchi!".


Davanti a lui c'era infatti un lago ghiacciato, che sembrava di vetro, dove infitti fino al volto livido, vi erano numerosi dannati che battevano i denti.


v. 67 In questo cerchio Dante parla con un dannato della 1^ zona, la zona Caina (traditori dei parenti): Camicione de' Pazzi, il quale gli dice che aspetta che arrivi fin lì l'anima di Carlino de' Pazzi per scagionarlo, mostrando che si può essere più canaglia di lui.


v. 76 Dante, camminando per il lago ghiacciato, giunge nella 2^ zona, la zona Antenora (traditori della patria) e, involontariamente, dà un calcio sulla testa di un dannato, il quale inizia a bestemmiare acerbamente contro di lui. Questo dannato era Bocca degli Abati.


v. 121 Bocca degli Abati dice a Dante che in quel luogo di tormenti scontano la pena anche Tesauro di Beccheria, al quale Firenze tagliò il collo; Gianni dei Soldanieri e Gano di Maganza e Tebaldello, che di notte aprì le porte di Faenza ai geremei.


v. 127 Più avanti Dante vede due dannati infitti in una stessa buca, uno dei quali ficcava i denti alle radici del cranio dell'altro, dove il cervello si congiunge con la nuca.



CANTO 33°


v. 13 Colui che addentava la nuca dell'altro dannato era il conte Ugolino, l'altro in vece era l'arcivescovo Ruggieri. Per effetto dei suoi maligni intrighi, il conte Ugolino, che si fidava di lui, venne imprigionato e poi ucciso.

v. 73 Il peccato che fece precipitare il conte Ugolino nell'inferno più basso fu il fatto che, alla fine, stremato dalla fame, perché ormai stava rinchiuso da diversi giorni in una torre senza nulla da mangiare, finì per cibarsi dei cadavari dei propri figli.


v. 79 Invettiva contro Pisa.

Ahi Pisa! Vituperio, vergogna delle genti d'Italia . Anche se fosse vera la voce che il conte Ugolino ti avesse tradita consegnando alcuni castelli ai tuoi nemici, tu non dovevi sottoporre allo stesso supplizio i suoi figlioli!


v. 91 Dante e Virgilio giungono nella 3^ zona, la zona Tolomea (traditori dei commensali).


v. 109 Un'anima dannata al congelamento eterno si rivolge a Dante e Virgilio chiedendo loro di levargli il duro strato di ghiaccio formatosi nei suoi occhi dalle lacrime che, a contatto con l'aria gelida, si erano ghiacciate e ostruivano la sua vista e gli impedivano di sfogare il suo dolore con il pianto.

v. 115 Dante gli promette di togliergli il ghiaccio dagli occhi se lui gli dice qual è il suo nome.

vv. 118-150 Costui gli dice di essere l'anima di frate Alberigo Manfredi. (Dante si stupisce che sia già morto). Gli dice inoltre che appena un'anima si macchia di tradimento, come fece lui, un demonio le toglie il corpo, che poi governa egli stesso, finchè non sia passato tutto il tempo che doveva ancora vivere. Intanto però l'anima si rovina in questo pozzo.

Dice poi che vicino a lui c'è ser Branca d'Oria e sono già passati parecchi anni dacchè è lì chiuso nel ghiaccio.

Ma Dante, di rimando, gli dice che Branca d'Oria è ancora vivo e siccome crede che quel dannato lo stia ingannando, non mantiene la promessa e non gli libera gli occhi dall'ammasso di lacrime ghiacciate.


v. 151 Invettiva contro i genovesi.

Ahi genovesi! Uomini alieni da ogni buon costume e pieni di ogni vizio, perché la vostra razza non è ancora cacciata via dal mondo? Poiché assieme ad Alberigo, il peggior spirito di Romagna, trovai uno di voi, Branca d'Oria, tanto reo che, per la sua opera di traditore, la sua anima è già immersa in Cocito, mentre col corpo appare ancora vivo nel mondo!



CANTO 34°


Virgilio e Dante giungono nell'ultimo punto dell'inferno, la 4^ zona, la zona Giudecca (traditori dei benefattori).


v. 22 Dante si rivolge al lettore: "Lettor mio, non chiedermi di dirti come diventai allora gelido di paura e senza voce. Non te lo descrivo, perché ogni linguaggio sarebbe insufficiente. Io non morii, ma nemmeno rimasi vivo; immagina dunque per conto tuo, se hai appena un po' d'intelletto, come diventai, così privo di morte e di vita! [.]".


v. 37 L'imperatore dell'inferno, Lucifero, era meravigliosamente mostruoso: aveva tre facce nella sua testa. Ne aveva una davanti ed era vermiglia, le altre due facce s'aggiungevano alla prima profilandosi sulla metà di ciascuna spalla e si fondevano poi insieme alla sommità. La faccia destra aveva un colore tra il bianco e il giallo; la sinistra invece era nera come quella degli etiopi . Sotto ciascuna faccia uscivano due ali proporzionate alla grandezza gigantesca del mostruoso uccellaccio. Non avevano penne le ali, che erano come quelle del pipistrello e le agitava tanto che da esso partivano tre venti, che ghiacciavano tutto Cocito. Lucifero piangeva con sei occhi e dai tre menti gocciolava il pianto, misto alla bava, rossa per il sangue.


v. 55 Con ogni bocca Lucifero stritolava tra i denti un peccatore, frantumandolo, in modo da martoriare i tre disgraziati: Giuda Iscariota, Bruto e Cassio. Colui che soffre di più è Giuda, che ha la testa dentro le fauci e dimena le gambe di fuori e subisce anche i graffi di Lucifero, cosicchè la sua schiena è completamente scorticata. Gli altri due pendono con il capo fuori.


vv. 68-120 Si sta facendo notte e i due poeti si apprestano a partire. Dante si avvinghia al collo del Maestro, che scende aggrappandosi ai peli di Lucifero, nella stretta intercapedine fra il suo corpo e la parete di ghiaccio. Arrivati all'altezza delle anche, Virgilio con molta fatica si capovolge e risale ansimando lungo le sue gambe finchè non raggiunge una spaccatura della roccia, sul bordo della quale deposita Dante e poi si issa anche lui. Dante è frastornato: mentre risalivano credeva che stavano tornando al punto di partenza, ora pensa di vedere Lucifero così come lo aveva visto prima, invece di lui ora vede solo le gambe rivolte verso l'alto. Il maestro gli fa fretta: la via è lunga e il cammino è faticoso, e sono già le sette e mezzo del mattino. Il luogo in cui si trovano non è certo una sala di palazzo, è una buia cavità sotterranea dal fondo accidentato. Dante, prima di abbandonare definitivamente l'inferno, vuole sapere che fine abbia fatto la landa ghiacciata del Cocito; perché Lucifero appare confitto a testa in giù; come mai, in poco tempo, il sole è passato dalla sera alla mattina. Virgilio spiega con pazienza e chiarezza. Quando hanno operato la conversione e hanno cominciato a risalire, hanno oltrepassato il centro della terra, che è anche il centro della gravitazione universale. Ora si trovano sotto l'emisfero australe, opposto a quello delle terre emerse, al cui centro c'è Gerusalemme, dove fu sacrificato l'unico uomo che nacque e morì senza peccato. I loro piedi, dunque, toccano sulla faccia opposta del disco gelato della Giudecca, perciò di là è sera se di qua è giorno.

Virgilio affronta la sua ultima fatica per rettificare la direzione del viaggio e ripristinare la distorsione prospettica della discesa agli inferi. Lucifero, eternamente capovolto, spropositato verme nel nucleo bacato della terra, nell'imperscrutabile paradosso della giustizia di Dio si fa anche scala strumentale della redenzione morale del pellegrino


vv. 121-139 Virgilio spiega ancora. Lucifero precipitò dal cielo dalla parte dell'emisfero australe, e la terra, che prima ricopriva questa parte, per paura di lui, si nascose sotto il mare e affiorò nell'emisfero boreale e, per stare lontana da lui, ha lasciato, forse, questo spazio vuoto, emergendo da quest'altra parte con la montagna del Purgatorio.

C'è un luogo, lontano da Belzebul quanto tutta la caverna naturale, cui si può arrivare seguendo il suono di un ruscelletto che scende di qua, attraverso una fessura nella roccia, erosa dal suo corso poco scosceso e tortuoso. I due poeti attraversano dunque la caverna e poi risalgono lungo quella faglia stretta e nascosta, uno dietro l'altro, senza mai fermarsi, finchè non escono all'aperto, a riveder le stelle.











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