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DIVINA COMMEDIA: PARADISE

letteratura italiana



DIVINA COMMEDIA: PARADISE


    Tempo: mercoledì 13 aprile 1300, mezzogiorno


Canto I


    Luogo: sfera del fuoco

    Narrazione: elevandosi al paradiso, ed elevandosi quindi il tema della narrazione, la memoria risulta in difficoltà nella registrazione dei fatti. Dante dunque invoca apollo affinché lo faccia diventare un "vaso", per contenere la sua virtù poetica. Infatti, se fino a quel momento a D è bastato invocare le muse, ora, in paradiso, invoca anche il dio. Apollo, offrendo aiuto a D lo potrà vedere incoronato di alloro (rif Dafne). La collocazione temporale è spiegata da D con riferimenti astronomici. Il sole infatti sorge dal punto che unisce quattro cerci con tre croci, nella costellazione dell'ariete, la più favorevole e che indica la primavera. Il sole rendeva giorno l'emisfero australe, e sera quello boreale, cioè la terra. E mentre Bea fissa il sole, come un raggio che riflesso torna verso il sole, allo stesso modo D fissa il sole. Bea riesce a fissarlo più di D a causa della sua purezza e quando D distoglie lo sguardo dal sole (=DIO), inizia a guardare lei entrando in un processo transumano, come Glauco, che, dopo aver pescato nota che i pesci, mangiando l'erb 636j91g a su cui lui li aveva posati, prendono vigore e si rigettano in mare, così lui, mangiando la stessa erba diventa una divinità marina. Il desiderio di scoprire l'origine della musica e della luce si accende in D e Bea risponde al suo primo dubbio ancora prima che D lo esprima, dicendogli che stanno volando verso il paradiso. Ma durante il volo D è invaso da un secondo dubbio: come cazzo fa a salire al cielo visto che è di carne? Bea risponde che nel mondo ogni creatura ha un fine, ed in base a questo ogni creatura possiede certe caratteristiche. L'uomo, avendo come fine dio è portato a salire a lui; ma questa è una sua scelta: esiste infatti il libero arbitrio con cui ogni uomo sceglie se seguire dio oppure no. D essendosi liberato dal peccato può salire




Canto III


   Luogo: primo cielo ->Luna, spiriti mancanti ai voti

   Narrazione: D; alzando lo sguardo nota delle immagini riflesse. Allora si volta per vederle meglio e con sorpresa si rende conto che dietro di lui non c'è nessuno (rif Narciso, parole di burro...). Allora la Bea gli spiega che le immagini sono vere, e non riflesse. Allora D inizia il dialogo con Piccarda Donati: suora in convento viene rapita e data in sposa, non compie i voti. P si trova nella condizione più bassa, nel cielo più lento perché più distante dall'Empireo e perché è il più piccolo. D le chiede se lei non desidera una condizione migliore per meglio contemplare dio ma lei risponde che la grande carità che possiede  la porta a non desiderare più di ciò che già possiede poiché se desiderasse di più, la sua volontà si scontrerebbe con quella di dio. Questo non sarebbe possibile perché una persona che non rispetti la volontà di dio non sarebbe neppure in grado di salire al paradiso(rif canto I)! allora D le domanda quale fu la tela che P non finì di tessere (rif Parche). P racconta la sua storia dicendo che come lei, anche l'anima alla sua destra venne strappata dalla vita monacale ma in realtà il loro cuore è sempre rimasto in dio, come quello di Costanza D'Altavilla, strappata da dio e data in sposa ad Arrigo di Svevia e madre di Federico II, ultimo imperatore italiano degno di esserlo. E cantando un'Ave Maria P esce di scena. A questo punto D distoglie lo sguardo dalle anime e lo rivolge a Bea rimanendo accecato a causa della sua immensa luce.


Canto VI


    Luogo: secondo cielo, Mercurio, spiriti attivi per la gloria terrena

    Narrazione: si apre e si chiude con il discorso diretto di Giustiniano. Costantino con l'editto di Milano del 313 sposta la capitale da troia (fondata da Enea) a Costantinopoli (Bisanzio-Istambull). L'aquila (=simbolo stato) giunge anche a Giustiniano, che da una visione monofisista, passò all'ortodossia grazie Agapito, e la grazia divina lo ispirò nella creazione del corpus iuris civilis. Inizia poi a raccontare la storia degli imperatori dall'origine. Pallante, alleato di Enea morì sacrificandosi. Il potere poi per trecento anni si stabilì ad Albalonga dove combatterono Orazi (Romani) e Curiazi (Albani) per il potere e vinsero i primi. Durante l'operato dei sette re di Roma avvenne il ratto delle Sabine (=rapimento per aumentare la popolazione) e l'episodio in cui la matrona romana Lucrezia venne violentata dal figlio del re per poi suicidarsi. L'aquila romana sconfisse Annibale con Cartagine nella seconda guerra punica in cui egli varca le Alpi su un elefante, andando oltre il po'. È Cesare poi che strappò il potere per volere dei romani e compì le sue imprese riuscite fino ad oltrepassare il Rubicone, che stabiliva il confine tra la Gallia e l'Italia, dando inizio alla guerra con Pompeo. Poi va verso l'Albania (duraz), poi Farsalo dove sconfigge P e poi in Egitto visitando il sepolcro di Ettore. Da li andò in Africa, poi in Italia. Lo successe Ottaviano che sconfisse Bruto e Cassio accusati della morte di Cesare. E Cleopatra per sfuggire alla sorte di Antonio si fece mordere dal serpente. Con Ottaviano l'impero visse in pace che fu chiuso il tempio di Giano (nel quale si tenevano le armi). Dopo Tiberio, è con Tito che Dio vendica la propria ira. L'ira di dio infatti è provocata dal peccato originale e viene vendicata con la morte di cristo. Ma i giudei che hanno condannato la sua natura divina hanno provocato di nuovo l'ira che ha vendicato Tito con la diaspora, ovvero la dispersione degli ebrei, "uccisori di dio". Poi, quando i longobardi minacciarono i territori della chiesa, il papa chiese l'aiuto di Carlo Magno, re dei franchi, che sconfisse i longobardi. Giustiniano poi parla della lotta tra Guelfi (chiesa) e Ghibellini (impero). I primi si appoggiano alla Francia opponendo all'impero la bandiera con i gigli gialli mentre i secondi sfruttano per interesse privato il potere. Si augura che il nuovo imperatore Carlo D'Angiò non venga sconfitto dai Guelfi. Nell'ultima parte Giustiniano spiega di trovarsi nel Mercurio dove alloggiano le anime che hanno fatto del bene per ottenere fama e gloria e cita poi il caso di Romeo di Villanova, il quale onestamente ha maritato le 4 figlie del suo signore Raimondo Beringhieri, ma venne poi calunniato e rovinato dai provenzali.




Canto XV


    Luogo: quinto cielo, Marte, spiriti militanti

    Narrazione: delle anime disposte a croce (=crociati), una è la più luminosa. Si sposta dal braccio orizzontale fino alla base della croce sembrando fuoco dietro l'alabastro. L'anima pronuncia una frase in latino per esaltare il dono che dio ha fatto a Dante nel poter alzarsi al cielo da vivo. Dopo aver pronunciato parole in un linguaggio troppo elevato, lo spirito inizia a parlare con un linguaggio comprensibile a Dante facendo una lode a Dio (uno e trino) e dicendo poi a Dante di averlo atteso dal momento in cui ha letto nel libro (=Dio) che sarebbe salito con la Bea. Invita quindi D a chiedere ogni cosa per soddisfare la propria curiosità. Allora D dice che i beati sanno far corrispondere ai loro sentimenti un'adeguata espressione mentre gli uomini, sono diversi. Lui è grato nei confronti delle anime e felice, ma non riesce ad esprimerlo; chiede poi l'identità dell'anima. L'anima risponde di essere progenitore di D. Suo figlio infatti, ha fato il nome alla famiglia di D e ora si trova in purgatorio da più di 100 anni, quindi è necessario che il poeta acceleri il suo arrivo in pd. L'anima poi inizia a parlare di Firenze, un tempo pudica, sobria. La nascita di una figlia femmina non preoccupavano il padre poiché il momento del matrimonio e la dote erano misurati dal buon senso. Non era ancora arrivato Sardanapalo (simbolo lussuria) ad insegnare a scopare. Roma (Montemalo), per le sue ricchezze, superbia e corruzione superava Firenze (Uccellatoio), che in seguito arriveranno a pari verso la decadenza. Al suo tempo la gente viveva nella semplicità, senza indumenti ricercati o trucco per le donne che potevano star tranquille di morire in patria accanto ai mariti, non ancora travagliati a causa degli esili che avvennero in seguito. La donna più giovane vegliava sul suo bimbo, quella più anziana, lavorando il filo raccontava le storie alla sua famiglia. All'epoca avrebbero stupito personaggi corrotti come Cianghella (lussuriosa=troia) e Lapo Salterello (politico corrotto), mentre oggi stupirebbero personaggi virtuosi come Cincinnato (amore per la patria) e Cornelia (che mostrò i suoi figli quando le domandarono di mostrare i suoi gioielli). A questo momento l'anima si presenta dicendo di essere Cacciaguida. La moglie era dalla Valpadana, della famiglia degli Aldighieri, diventato poi Alighieri. Cacciaguida poi con Corrado diventa cavaliere e combatte nelle crociate, per evitare che ciò che era dei cristiani andasse in mano ai musulmani, polemizzando anche l'operato della chiesa, e venne ucciso.


Canto XVII


    Luogo:quinto cielo, Marte, spiriti militanti



    Narrazione: il canto si apre con il mito di Fetonte il quale ottiene il permesso del padre Apollo nel guidare il carro del sole per dimostrargli l'affetto di un vero padre, ma Fetonte viene fulminato perché conduce fuori rotta il carro. Come Fetonte chiede al padre e alla madre la certezza del padre, anche Dante sente la necessità di chiarire i dubbi. Con una captatio benevolentiae Dante parla della sua guida come sua radice che, come gli uomini possono capire che in un triangolo non possono esserci due angoli ottusi, lui può leggere nella mente di dio. Dante desidera conoscere il suo futuro. Cacciaguida risponde che come Ippolito abbandona Atene per colpa di Fedra, anche Dante dovrà abbandonare Firenze. Verrà accusato di corruzione, cattiva amministrazione e illeciti. Dovrà pagare una multa molto alta nonché due anni di esilio. Lui, rifiutandosi verrà mandato allora in esilio perenne. Assaggerà il cattivo pane altrui, proverà la durezza di vivere in abitazioni non familiari e le persone codardamente non lo aiuteranno ma anzi lo contrasteranno ma poi la pagheranno col sangue. Il primo rifugio per Dante sarà Bartolomeo della Scala, il cui simbolo era una scalinata bianca su un campo rosso, con in cima un uccello. Nel momento in cui D ambienta la commedia (1312) Barty ha solo 9 anni ma Cacciaguida afferma che prima che Papa Clemente V tradisca Arrigo VII, si manifesteranno le sue virtù (il papa ha chiamato Ar di Lussemburgo come imperatore ma poi cerca di ostacolare l'iniziativa imperiale). Cacciaguida invita Dante ad affidarsi a Bartolomeo rivelandogli un fatto che sarà difficile da credere anche alle persone che assisteranno. Caccia poi invita D a vivere serenamente senza rancori verso le persone che poi lo incolperanno. Allora Dante è preoccupato perché nella sua opera ha lanciato molte polemiche ed ha paura che questo peggiorasse la sua condizione di esiliato ma, allo stesso tempo, si preoccupa per la sua fama di scrittore. Caccia gli risponde di dire la verità, così che le persone interessate sentano il peso della colpa; inizialmente faranno fatica ad accettarlo, ma poi mangeranno la verità come nutrimento vitale. La verità di Dante sarà come il vento, colpirà le vette più alte.


Canto XXXIII


    Luogo:decimo cielo, Empireo, rosa dei beati

    Narrazione: il canto inizia con una lode a Maria da S. Bernardo. Lei è la più umile ed elevata delle creature, madre e figlia di dio, che salvò gli uomini dando alla luce Gesù, lei che aiuta senza ricevere richieste. A questo punto il santo chiede alla madonna di innalzare Dante affinché possa vedere dio e le chiede anche che lui possa ricordare ciò che vedrà anche dopo. La vista di Dante diventava sempre più limpida e si immergeva sempre più nella luce. Dante, non ricorderà tutto ciò che vedrà ma, come una persona che non si ricorda il contenuto del sogno, si sveglierà provando una dolce sensazione. Così la neve si scioglie al sole, così si perdeva ciò che la Sibilla scriveva sulle foglie che si disperdevano al vento. Allora il poeta chiede a dio di poter ricordare ciò che ha visto con la possibilità di tramandare il tutto ai posteri. Poi Dante racconta di aver sforzato la vista per guardare nella luce poiché se avesse distolto lo sguardo si sarebbe perso (se la luce in genere acceca, la luce divina irrobustisce la vista e smettere di guardarla porta cecità). Nella luce Dante vede tutto ciò che sta nel mondo unito dall'amore di dio, in cui sostanza, accidente e costume sono congiunti. Con una similitudine poi il poeta dice che dopo 2500 anni l'impresa degli argonauti non è ancora stata dimenticata , mentre il momento della visione di dio è dimenticato. (si riferisce all'impresa di Giasone per il vello d'oro, in cui per la prima volta venne usata una nave). Le parole del poeta per descrivere ciò che vede saranno più brevi di quelle di un bambino. La sua vista intanto si rafforzava sempre di più, tanto che l'immagine di dio gli sembrava mutata. A Dante comparvero allora tre cerchi di uguali dimensioni ma di colori diversi. Il secondo (figlio) sembrava riflesso dal primo (padre) mentre il terzo (spirito santo) emanava fuoco (=mistero della trinità). Nel secondo cerchio Dante vede una persona (Gesù fatto uomo).







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