Caricare documenti e articoli online 
INFtub.com è un sito progettato per cercare i documenti in vari tipi di file e il caricamento di articoli online.


 
Non ricordi la password?  ››  Iscriviti gratis
 

DELL'IMPOSSIBILITA' - PREFAZIONE

letteratura italiana




DELL'IMPOSSIBILITA'


PREFAZIONE


"Pavese ci sollecita a un modo di lettura di cui purtroppo la letteratura contemporanea ci dà occasioni più uniche che rare: cioè vuole essere letto come si leggono i grandi tragici, che in ogni rapporto, in ogni movimento dei loro versi condensano una pregnanza di motivazioni interiori e di ragioni universali estremamente compatta e perentoria. E' un modo di inserirci nel reale e viverlo e giudicarlo che abbiamo completamente perduto; e nell'averlo - per sue vie laboriose e solitarie - raggiunto, sta il valore un 545c22f ico di Pavese oggi nella letteratura mondiale."

( ITALO CALVINO, Pavese: essere e fare, in Una pietra sopra )


Leggendo non cerchiamo idee nuove, ma pensieri già da noi pensati, che acquistano sulla pagina un suggello di conferma. Ci colpiscono degli altri le parole che risuonano in una zona già nostra - che già viviamo - e facendola vibrare ci permettono di cogliere nuovi spunti dentro di noi.



Così scrive Cesare Pavese il 3 dicembre 1938 ne "Il mestiere di vivere".

Chi è Pavese? Un poeta, uno scrittore. Un uomo.

Nato il 9 settembre 1908 a Santo Stefano Belbo e morto suicida il 27 agosto 1950, scontroso, introverso, timido e solitario, religioso senza religione, incapace di vivere e di trovare negli altri il senso di questa vita. Ma non vogliamo cadere nella banalità e dilungarci troppo su notizie biografiche e di poetica, che è possibile trovare su qualsiasi manuale di letteratura.

L'autore ci offre una rappresentazione assai vasta della società italiana del Novecento, saggiando la condizione dei contadini arretrati e primitivi, degli operai, dei vagabondi sradicati di città, delle donne, degli intellettuali, della piccola e alta borghesia, dei fascisti e dei partigiani, degli uomini di tutti i giorni e della loro solitudine, nei loro diversi ambienti cittadini e campagnoli. La sua arte mira soprattutto - ed è questo il suo elemento "positivo" - al recupero dei miti dell'infanzia, alla espressione del loro potenziale simbolico. Il che vuol dire: scavo nella propria interiorità alla scoperta delle radici del proprio essere, del proprio destino che, per le teorie del mito, che Pavese ha fatto sue, si è tutto determinato nell'infanzia.

Il nostro scopo è stato quello di analizzare e spiegare quelli che a noi sono sembrati i temi fondamentali non soltanto della sua produzione letteraria, ma anche quelli da lui affrontati personalmente (i suoi "miti", appunto), lasciando però che egli stesso ce li descrivesse attraverso i frammenti delle sue opere, segni di un nodo esistenziale mai risolto: uno scavo secco, spietato, talora brutale nei gesti e nelle situazioni quotidiane, sotto i quali si nasconde una condizione di angoscia e solitudine. L'esperienza della solitudine, di un epidermico rapporto con gli uomini che non tocca le ragioni profonde del nostro essere; la consapevolezza dell'estraniamento, del peso del vivere, dell'inaridirsi: come di un albero trapiantato in un terreno non adatto. La solitudine di Pavese ha un timbro tragico: non è sentita come compiaciuta e aristocratica diversità dagli altri, ma come tragica incapacità di vivere - val la pena esser solo, per essere sempre più solo? - come bruciante problema che va posto e risolto: tutto il problema della vita è questo: come rompere la propria solitudine, come comunicare con gli altri annota ne " Il mestiere di vivere". Tutta la vita di Pavese è contrassegnata da questo supremo impegno, da questa ricerca di comunicazione - l'esperienza sentimentale perennemente vagheggiata e risoltasi sempre in frustrazione, la militanza politica volontaristicamente perseguita - che non trova però la sua realizzazione e approda anzi alla tragica confessione del fallimento, dell'impossibiltà.

Quell'angoscia e quell' insoddisfazione l'abbiamo ritrovata nelle poesie di David Pititto, un ragazzo di Piancastagnaio (SI), morto anche lui suicida il 4 gennaio 2000.

Chi è David? Perché lo abbiamo scelto per parlare di Pavese e di noi tutti?

Nato il 19 maggio del 1979, David era un ragazzo del nostro paese e un ex alunno del nostro liceo; non possiamo dire di averlo conosciuto se per conoscere qualcuno significa averci condiviso "di persona" le parole anche solo banali di una conoscenza superficiale... Se conoscere significa invece aver condiviso pensieri e parole forse troppo sottili e dure per essere sussurrate, allora possiamo dire di averlo conosciuto tramite ciò che ha scritto nel breve corso della sua vita. Ci è venuto in mente lui alla prima lettura della frase di Pavese: " Qualcuno ci ha mai promesso qualcosa? E allora perché attendiamo?" (da "Il mestiere di vivere") e non solo perché come Pavese si è tolto la vita, ma perché c'è nelle sue poesie il rincorrere sfrenato di un rifugio tranquillo, che riesca a placare questa anima desiderosa di colmare la sua grande insoddisfazione " Anzi è la mia coscienza che sembra non saziarsi mai [.]" (David Pititto). Però quella domanda ci colpisce un po' tutti; chi non si sarebbe fermato a riflettere? Ecco, quelle parole ci hanno dato una soluzione: allora cosa stiamo aspettando, con questi piedi piantati per terra? Radicati su un suolo a volte troppo duro e poco sensibile, appiccicati ad un marrone scuro, cupo... Avanziamo passo dopo passo cercando di non cadere, di non farci abbattere, ma per cosa? Che cosa c'è realmente dietro al battito del nostro cuore, dentro al respiro di ogni polmone, racchiuso in una lacrima di dolore? C'è chi la chiama fede, speranza. C'è chi non crede, chi disprezza, ma ugualmente continua a sperare e pochi, alcuni, decidono di scoprire cosa c'è al di là... Saranno loro i veri eroi? Noi siamo ancora qui a domandare, loro sanno già la risposta; noi poniamo domande cercando silenzio, forse per troppa paura...

Non soffermiamoci su ciò che appare alla superficie, andiamo oltre e cogliamo da queste parole la bellezza di poter partecipare, di essere accettati, simili agli altri; proviamo a sentire il dolore di queste solitudini sulla pelle ed immaginiamoci la bellezza di una solitudine rara e voluta. Leggiamo queste parole non solo come spinta verso la morte, ma come desiderio di vita: anche se non esistono promesse, vale la pena vivere fino in fondo...

Abbiamo scelto David per la sua simile incompatibilità col mondo che, pur così diverso, ci riporta a Pavese; questa rabbia verso gli altri e soprattutto verso le donne, la vita, che lo tormentano... questo è David: insoddisfatto e solo. Disperato tanto da bramare la morte come riposo, quiete: Nihil! E poi ecco ricorrente il tema del destino, questa "idea d'inizio e di fine", che fallisce col suo ultimo respiro spezzato da una scelta di morte.

E' così che è nata la nostra tesina; un tentativo di rispondere alla domanda del 27 novembre 1945 de " Il mestiere di vivere" , ascoltando il susseguirsi e avvicendarsi di pensieri, sentimenti, "frantumi" delle poesie, descrizioni che mettessero a confronto i due "poeti" e delineassero il modo di essere di Pavese e il suo "male di vivere", il suo "vizio assurdo": e quello di David.

Di che cosa ci hanno parlato? Della loro "impossibilità" a vivere, ma anche del loro disperato bisogno di un contatto con l'altro.

Solitudine, collina, guerra, donna, destino, morte, sangue e suicidio. Sono queste le singole immagini-racconto, ritrovabili anche in David, che compongono il filo logico del nostro (del loro) lavoro.

Pavese ci parla di solitudine come esclusione, simbolo di un'incapacità di partecipazione; David di solitudine come ricerca volontaria " Che i miei isolamenti siano inverni senza fine", sintesi del suo disprezzo verso gli altri. Ecco che non è difficile passare al tema della collina (per noi montagna, il nostro amato/ odiato Monte Amiata), attraverso la solitudine de "La luna e i falò", la collina appare come luogo mitico, entità autonoma, rifugio dalle restrizioni della città e dalla guerra, guerra baratro d'orrore e d'angoscia in cui l'unica salvezza è "l'apertura dell'uomo verso l'uomo". Uomini (come David e Pavese) che vedono nella donna possesso, ma non appartenenza, terra, vigna e vento, speranza e disperazione, vita e morte. Morte come madre che aspetta il figlio, come un sollievo; morte come interruzione di questo amaro destino che ci rende succubi, prigionieri di noi stessi, desiderosi di poter dire - Questo l'ho voluto!-.

Pavese "si decise a compiere il gesto supremo come un sacrificio umano, non tanto come fuga dagli uomini, quanto per rientrare interamente in se stesso: ecco il dramma di una delle più alte e complesse voci della letteratura italiana del '900." (Lajolo, Il vizio assurdo)

Sacrificio umano era stato anche quello di Gisella in "Paesi tuoi" (e in fondo anche il falò di Santina, ne La luna e i falò) : il suo sangue era "vivo e schietto", e il suo era una sorta di tributo offerto alla terra, di cui alimentava l'eterno vitalismo; un sacrificio a cui Gisella sembrava predestinata.

La stessa predestinazione, quasi lo stesso simbolismo rintracciabili in "Tess dei d'Urberville" di . Thomas Hardy. Tess ha camminato tutta la sua breve vita inesorabilmente verso quell'abisso per essere sacrificata a una qualche divinità, simile agli dei della Grecia, ma a Stonehenge, in mezzo a quella campagna inglese ricca di antiche vestigia, apparentemente dolce e serena e così ferocemente primitiva. Anche Hardy (1840-1928), come avrebbe voluto Pavese, visse quasi sempre nella sua campagna, nel Dorchester, che rappresenta (come dice Mario Praz nella "Storia della letteratura inglese") l'orizzonte limitato nei suoi romanzi; Hardy profila cupi drammi di anime contro lo sfondo maliosamente triste della sua terra natale, terra fuori mano, gravata dalle memorie del passato....che in qualche modo ci ricorda lo sfondo cupo di "Paesi tuoi". Hardy scriveva quando era ancora fresca l'impressione de "L'origine delle specie" di Darwin e lo spettacolo della pena di vivere e della lotta per la vita oscurò in lui ogni visione provvidenziale facendogli accettare piuttosto la concezione di Schopenhauer di una "Immanent Will", una volontà cicamente operante, cieco caso indifferente alla sorte degli uomini (la natura matrigna di Leopardi), che sembra quella della tragedia greca. Ecco allora la presenza ossessiva del mito, che non è facile fuga dalla realtà, ma è dove il destino si compie. Impossibile evitarlo.

Chi è Tess?

Unica rappresentante femminile dei nostri frammenti, emarginata dalla società come "fallen woman", fiduciosa in un amore che la tradisce e la lascia sola, perseguitata dai pregiudizi e dal colore del sangue, che la porterà ad uccidere e ad essere a sua volta uccisa, impiccata davanti alla folla sotto il sole traditore di luglio.Quando Tess è stata impiccata per aver ucciso il suo seduttore, Hardy commenta: "Justice was done, and the President of the Immortal (in Aeschylean phrase) had ended his sport with Tess".

Abbiamo voluto inserire (seppur fugacemente, lei solo una figura creata dalla mente di Hardy) la luce di una donna, che sembra far parte di qull'immaginario di amore e di morte di cui ci parlano Pavese e David; diversa da quella da loro raccontate ( che ci ricordano piuttosto La lupa di Verga) ma anche lei, così mite e pura e forte, destinata a una fine tragica, presagita fin dall'inizio della storia, preparata dai molti segni.

Non è un caso che le parole dello scrittore inglese siano state scritte da noi in rosso, colore così ricorrente in ogni attimo della vita di questa ragazza, che la distingue: rosso come passione, sensualità, amore e un rosso morte che la uccide, dimenticata dalla società che la rifiuta, sepolta sotto il peccato, sola. Sola come David e Pavese, distante dagli altri; macchiata dallo stesso sangue che tanto ha pesato nelle loro parole, quel rosso che ha segnato le loro poesie di morte e di dolore...

"[...] Ed io fui sedotto e distesomi vorace tra la licenziosità di quelle [forme], tra i colori, le astrazioni - e la carne che già m'incideva la lama invocando sangue e linfa - tra orrori e le estremità." (David Pititto).





I lavori cominciano all'alba.

Ma noi cominciamo un po' prima dell'alba a incontrare noi stessi

nella gente che va per la strada. Ciascuno ricorda

Di essere solo e aver sonno, scoprendo i passanti

radi. (DISCIPLINA - Lavorare stanca)


Questo bisogno di essere solo,di non sentire che ti chiedano nulla,che ti tirino con sé[.] Quest'orrore che abbiano il minimo diritto su di te ,che te lo facciano sentire.[.]

Questa evidente goffaggine degli altri, di aspettarsi qualcosa, di take for granted qualcosa da te.

Diventi subito incapace, ti spegni, ti drizzi, recalcitri. Non sai dire più una parola buona.

(2 MARZO 1948 - Il mestiere di vivere )


[.] la massima sventura è la solitudine. (15 MAGGIO1939 - Il mestiere di vivere):


L'uomo solo si leva che il mare è ancora buio

e le stelle vacillano.

Pende stanca nel cielo

una stella verdognola, sorpresa dall'alba.

Vale la pena che il sole si levi dal mare

e la lunga giornata cominci?

L'uomo solo vorrebbe soltanto dormire. (LO STEDDAZZU - Lavorare stanca)


Solo dinanzi all'inutile mare,

attendendo la sera, attendendo il mattino.

Fin dalle ore dell'infanzia non fui mai

simile agli altri, mai vidi le cose

come gli altri le vedevano[.]

E tutto quello che ho amato, io l'ho amato

da solo,

allora, nell'infanzia, gli albori

di una esistenza in tempesta, dal fondo

d'ogni bene e d'ogni male fu attinto

il mistero che ancora mi lega. [.] (Edgar Allan Poe : "alone - da solo")


Dove sono nato non lo so; non c'è da queste parti una casa né un pezzo di terra né delle ossa che io possa dire "ecco cosa ero prima di nascere". (La luna e i falò)


Allungo la mia mano sino alla bocca:

è umida. Questo non è il mio volto,

.e se fosse il mio volto ?!

Inutile seguirmi quand'anch'io perdo

le tracce di me stesso, soffici impron-

te nella polvere. (DAVID, DA CODEX III)


Con qualunque persona io parli, insomma, ho bisogno di farmi una faccia speciale adatta ad una qualche particolare debolezza di detta persona, con evidente pregiudizio di quella che potrebbe essere la mia faccia vera. Sono cosi anche riuscito a non saper più quale sia questa mia faccia. Che magari non c'è neanche. (Vita attraverso le lettere)





Vorrei essere un albero [.]

Guarda e vedrai una betulla senza età

vasta e sola in mezzo ad un prato di bianchi

narcisi [.]

Accarezza la mia corteccia e avvertirai

che è impalpabile.

E adesso distogli i tuoi occhi da me poiché io...non esisto più! (DAVID - CODEX III)


Non ricordo in verità di esser mai nato,

adesso,

all'occorrenza d'esser morto (DAVID - CODEX III)


Inutile piangere. Si nasce e si muore da soli. (La casa in collina)


Non c'è niente che sappia di morte più del sole d'estate, della gran luce, della natura esuberante.

Tu fiuti l'aria e senti il bosco, e ti accorgi che piante e bestie se ne infischiano di te. Tutto vive e si macera in se stesso. La natura è morte.(La bella estate)


Compare una nube

soda e bianca, che indugia, nel quadrato del cielo.

Scorge case stupite e colline, ogni cosa

che traspare nell'aria, vede uccelli smarriti

scivolare nell'aria. Viandanti tranquilli

vanno lungo quel fiume e nessuno s'accorge

della piccola nube. (POGGIO REALE - Lavorare stanca)


Un distante sole

e distanti pianeti

nel buio e nella luce vagolo perduto

ma in realtà mai appartenuto[.]

Nessuno si è rivelato a me

in questo universo e

non mi resta che scrutare

con meraviglia e sospetto

gli occhi del cielo

altri distanti soli e

sconosciuti pianeti (DAVID-CODEX III)


Il mattino si sarà spalancato. (PAESAGGIO VI - Lavorare stanca)


Sarà un giorno tranquillo, di luce fredda. (IL PARADISO SUI TETTI - Lavorare stanca)


Il mattino trascina via

quel velo notturno

e tu sai .(il tuo viso è ora scoperto)

che un altro giorno è giunto e .

svanirà .(DAVID - CODEX III)


Non c'è cosa più amara che l'alba di un giorno

in cui nulla accadrà. Non c'è cosa più amara

che l'inutilità.

Domani tornerà l'alba tiepida con la diafana

luce e sarà come ieri e mai nulla accadrà. (LO STEDDAZZU - Lavorare stanca)


Era strano come tutto fosse cambiato eppure uguale. Adesso i prati erano stoppie e le stoppie filari, la gente era passata, cresciuta, morta; le radici franate, travolte in Belbo - eppure a guardarsi intorno, il grosso fianco di Gaminella, le stradette lontane sulle colline del Salto, le aie, i pozzi, le voci, le zappe, tutto era sempre uguale, tutto aveva quell' odore, quel gusto, quel colore d'allora. (La luna e i falò)


La stagione fioriva e maturava. Una generazione nuova di fiori, foglie, usignoli, tordi, fringuelli e altre effimere creature, si erano sistemati nei luoghi che solo un anno prima erano occupati da altri, quando questi non erano che germogli e particelle inorganiche. I raggi del sole levante schiudevano i boccioli, facevano crescere gli steli e salire la linfa in silenziose correnti, aprivano i petali e ne carpivano i profumi in invisibili risucchi e aliti di vento. (T. HARDY , Tess dei d'Urberville )


Ma io, che non credevo nella luna, sapevo che tutto sommato soltanto le stagioni contano, e le stagioni sono quelle che ti hanno fatto le ossa, che hai mangiato quand'eri ragazzo. Canelli è tutto il mondo - Canelli e la valle del Belbo - e sulle colline il tempo non passa. (La luna e i falò)


Si contempla, guardando il bicchiere,

a innalzare colline di verde sul piano del mare.(GENTE SPAESATA - Lavorare stanca)


La campagna è un paese di verdi misteri. (IL DIO - CAPRONE - Lavorare stanca)


[.] per questo la terra è così bella verde e, zappata, ha il colore,

sotto l'alba dei volti bruciati.

Vedo solo colline e mi riempiono il cielo e la terra

con le linee sicure dei fianchi, lontane o vicine: (GENTE SPAESATA - Lavorare stanca)


[.] coste e valli [.] son verdi e profonde.

Tra le ripe del fondo

i filari son tutti nell'ombra [.] non c'è l'uggia degli alberi:

l'uva strascina per terra,tanto pesa .Nessuno può starci nascosto:

si distinguono in cima le macchie degli alberi

neri e radi. (PAESAGGIO II - Lavorare stanca)


Io stavo in collina tutto il tempo. Ci camminavo sotto il sole, sui versanti boscosi.

A ville e giardini io preferivo la campagna dissodata, e i suoi margini dove il selvatico riprende terreno. Ci tornavamo la sera, dalla città che si oscurava, e per me non era un luogo tra gli altri, ma un aspetto delle cose, un modo di vivere.

Sapevo che nella notte la città poteva andare tutta in fiamme, e la gente morire. I burroni, le ville, e i sentieri si sarebbero svegliati al mattino calmi e uguali.(La casa in collina)


Vengon brividi lunghi per le nude colline

di lontano [.]

Scura la terra si bagna di sangue. (LUNA D'AGOSTO - Lavorare stanca)


Io mi vedevo Gaminella in faccia, che a quell'altezza sembrava più grossa ancora, una collina come un pianeta, e di qui si distinguevano pianori, alberetti, stradine che non avevo mai visto. Un giorno, pensai, bisogna che saliamo lassù. Chiesi a Nuto:"Di partigiani ce ne stavano lassù?"

"i partigiani sono stati dappertutto - disse - gli hanno dato la caccia come alle bestie. Ne sono morti dappertutto [.]dappertutto le spie.." (La luna e i falò


La guerra mi tolse soltanto l'estremo scrupolo di starmene solo, di mangiarmi da solo gli anni e il cuore[.] con la guerra divenne legittimo chiudesi in sé, vivere alla giornata, non rimpiangere più le occasioni perdute . Ma si direbbe che la guerra io l'attendessi da tempo e ci contassi, una guerra così insolita e vasta che, con poca fatica, si poteva accucciarsi e lasciarla infuriare, sul cielo delle città, rincasando in collina. Adesso accadevano cose che il semplice vivere senza lagnarsi, senza quasi parlarne un contegno. Quella specie di sordo rancore in cui s'era conchiusa la mia gioventù, trovò con la guerra una tana e un orizzonte. (La casa in collina)


Che la guerra risani il mondo rinnovandolo può darsi sia vero. Ciò nascerebbe dal fatto che in tempo di guerra si rimpara a vivere auspicando al domani, alla fine del presente,e non si sta attaccati al tempo come avari. Si vive cioè come i giovani. (5 OTTOBRE - Il mestiere di vivere)


Non pensavo nemmeno che ci volesse coraggio

è sbocciato quest'odio come un vivido amore

dolorando, e contemplando se stesso anelante.

Chiede un volto e una carne, come fosse un amore.

Sono morte la carne del mondo e le voci

che suonavano, un tremito ha colto le cose;

tutta quanta la vita sospesa a una voce.

sotto un'estasi amara trascorrono i giorni

alla triste carezza della voce che torna

scolorandoci il viso [.]

Nell'estasi amara

che distrugge se stessa, quest'odio ritrova

ogni giorno uno sguardo, una rotta parola,

e li afferra, insaziabile, come fosse un amore. (INDIFFERENZA - Poesie del disamore)


Mi pareva di aver sempre saputo che si sarebbe giunti a quella specie di risacca tra collina e città, a quell' angoscia perpetua che limitava ogni progetto all'indomani.

In città echeggiavano in lontananza schianti e boati...chi correva, chi stava a guardare. Le case sventrate fumavano. I crocicchi erano ingombri. In alto, tra i muri divelti, tappezzerie e lavandini pendevano al sole.

Faceva strano vedere i soldati. Tanto la guerra era perduta, si sapeva. Ma i soldati marciavano adagio, aggiravano buche, si voltavano anche loro a sogguardare le case.

Gli allarmi e i passaggi d'aerei ricominciavano presto. Ma quel cauto equilibrio d'ansie, di attese e di futili speranze in cui adesso trascorrevano i giorni, era fatto per me, mi piaceva:avrei voluto che durasse eterno . Da tempo ero avvezzo a non muovermi, a lasciare che il mondo impazzisse.

Si sentivano le case crollare, tremare la terra. La gente scappava, tornarono a dormire nei boschi. E sentivo che il tempo stringeva; che tutto era inutile, vano, già scontato.

La guerra infuriava lontano, metodica e inutile. Per noi lo scampo era soltanto nel disordine, nel crollo stesso di ogni legge. La pace, una pace qualsiasi [.] appariva una beffa. La guerra era scesa tra noi, dentro le case, per le vie, nelle prigioni. Non si hanno più molti riguardi, né per sé né per gli altri. Si ascolta, impassibili. In collina, dove si è sparso il sangue, sotto le foglie fradice, dovevano spuntare i primi fiori. (La casa in collina)






Tutti quanti fuggimmo

tutti quanti gettammo

l'arma e il nome.

Uno solo di noi

si fermò a pugno chiuso,

vide il cielo vuoto,

chinò il capo e morì

sotto il muro, tacendo. (Poesie del disamore)


Ormai camminavo le vie spiando sempre se qualcuno mi seguiva.

L'esperienza del pericolo rende vigliacchi ogni giorno di più. A volte, dopo avere ascoltato l'inutile radio, guardando dal vetro le vigne deserte penso che vivere per caso non è vivere. E mi chiedo se sono davvero scampato.

Nella luce e nel silenzio ebbi un'idea di speranza. La vita sarebbe un giorno ripresa, sicura, ferma. Sangue e saccheggio non potevano durare in eterno

Questa guerra ci brucia le case. Ci semina di morti fucilati piazze e strade. Finirà per costringerci a combattere anche noi, per strapparci un consenso attivo. E verrà il giorno che nessuno sarà fuori della guerra. E allora forse avremo pace. (La casa in collina)


Udiremo gli istanti strillare nel buio

al di là delle cose, nell'ansia dell'alba,

che verrà d'improvviso incidendo le cose

contro il morto silenzio. L'inutile luce

svelerà il volto assorto del giorno. Gli istanti

taceranno. E le cose parleranno sommesso. (L'AMICO CHE DORME - Poesie del disamore)


Ora è un cencio di sangue

e il suo nome. Una donna

ci aspetta alle colline. (Poesie del disamore)


[.] Si leva la luna, che getta un po' d'ombra

Sotto i rami contorti. La donna nell'ombra

leva un ghigno atterrito al faccione di sangue

che coagula e inonda ogni piega dei colli.

Non si muove il cadavere disteso nei campi

né la donna nell'ombra. Pure l'occhio di sangue

pare ammicchi a qualcuno e gli segni una strada.

[.] Si precipita fuori, nell'orrore lunare,

e la segue il fruscio della brezza sui sassi

e una sagoma tenue che le morde le piante,

e la doglia nel grembo. Rientra curva nell'ombra

e si butta sui sassi e si morde la bocca. ( LUNA D'AGOSTO - Lavorare stanca)


Girerò per le strade finché non sarò stanca morta

saprò vivere sola e fissare negli occhi

ogni volto che passa e restare la stessa.

Questo fresco che sale a cercarmi le vene

è un risveglio che mai nel mattino ho provato

così vero: soltanto, mi sento più forte

che il mio corpo, e un tremore più freddo accompagna il

mattino.

Son lontani i mattini che avevo vent'anni.

E domani, ventuno: domani uscirò per le strade,

ne ricordo ogni sasso e le striscie di cielo.

Da domani la gente riprende a vedermi

e sarò ritta in piedi e potrò soffermarmi

e specchiarmi in vetrine. I mattini di un tempo,

ero giovane e non lo sapevo, e nemmeno sapevo

di esser io che passavo- una donna, padrona

di se stessa. La magra bambina che fui

si è svegliata da un pianto durato per anni:

ora è come quel pianto non fosse mai stato.

E desidero solo colori. I colori non piangono,

sono come un risveglio: domani i colori

torneranno. Ciascuna uscirà per la strada,

ogni corpo un colore - perfino i bambini.

Questo corpo vestito di rosso leggero

dopo tanto pallore avrà la sua vita. [.] (AGONIA - Lavorare stanca)


[.] Il suo viso, negli ultimi tempi, mutava espressione a seconda degli stati d'animo, oscillando continuamente tra la bellezza e la banalità, a seconda che i pensieri fossero allegri o seri. Un giorno era rosea e perfetta, un altro pallida e triste. Quando era rosea provava sensazioni meno forti di quando era pallida, la sua bellezza piena era legata allo stato d'animo meno sofferto, la disposizione di spirito più vibrata, con la bellezza meno perfetta.[.]

Essendo ora una giovane donna di vent'anni soltanto, che doveva ancora maturare fisicamente e spiritualmente, era impossibile che un avvenimento, qualunque fosse, lasciasse in lei un' impronta che il tempo non potesse cancellare. (T. HARDY, Tess dei d'Urberville )


Non c'è uomo che giunga a lasciare traccia

su costei. Quant'è stato dilegua in un sogno

come via in un mattino, e non resta che lei.

Se non fosse la fronte sfiorata da un attimo,

sembrerebbe stupita. Sorridon le guance

ogni volta.

Nemmeno s'ammassano i giorni

sul suo viso, a mutare il sorriso leggero

che s'irradia alle cose. con dura fermezza

fa ogni cosa, ma sembra ogni volta la prima;

pure vive fin l'ultimo istante. si schiude

il suo solido corpo, il suo sguardo raccolto,

a una voce sommessa e un po' rauca: una voce

d'uomo stanco. E nessuna stanchezza tocca.

A fissarle la bocca, socchiude lo sguardo

in attesa: nessuno può osare uno scatto.

Molti uomini sanno il suo ambiguo sorriso

o la ruga improvvisa. se quell'uomo c'è stato

che la sa mugolante, umiliata d'amore,

paga giorno per giorno, ignorando di lei

per chi viva quest'oggi.


Sorride da sola [.] (UN RICORDO - Lavorare stanca)




Il sorriso si chiude in silenzio

là in quella faccia ove apparve

in inquietudine,

converge ora l'oscura figura

nella solitudine e nell'accorto pianto

lungo inimmaginabili desolati viali

oh amata solitudo.[.] (DAVID, CODEX III)


Fluttuanti voci femminili che tessono spirali

in quella che dovrebbe essere la mia solitudo:

forse cerco ciò che l'umano cerca.[.] (DAVID - DA LETTERA LUGLIO 1999)


[.] una donna ci attende nel buio

stesa al sonno: la camera è calda di odori.

Non sa nulla del vento la donna che dorme

e respira; il tepore del corpo di lei

e lo stesso del sangue che mormora in noi. (PIACERI NOTTURNI - Lavorare stanca)


Si contorce ora il corpo della ragazza

tra i palmi della mia anima.

Si distorge la sua figura

nel nostro piacere

e le mie urla le sconvolgono i capelli.

Celano il suo sorriso

i neri crini.

Ed ogni essere umano non vorrebbe

sapere.

Ma la mia ispirazione adesso non

fugge

e m'incatena tra i velluti di lei,

tra i drappi di seta e i tigrati tessuti[.] (DAVID - CODEX III)


Torneremo stanotte alla donna che dorme,

con le dita gelate a cercare il suo corpo,

e un calore ci scuoterà il sangue[.] (PIACERI NOTTURNI - Lavorare stanca)


Finalmente siamo anime comunicanti [.]

Occorreva dunque attendere.

Attendendo e non contando

e non sapendo d'attendere. [.] (DAVID - DA LETTERA LUGLIO 1999_VI)


[.] Qualcuno ci ha mai promesso qualcosa? E allora perché attendiamo? [.] ( 27 NOVEMBRE 1945 - Il mestiere di vivere)


[.] Ricorda sempre che nulla ti è dovuto. Che cosa meriti infatti? ( 26 NOVEMBRE 1945 - Il mestiere di vivere)


Attendendo e non contando

ho bisogno del tuo dolore

e

ho bisogno del mio dolore

nessuna divinità ha forse osato fare.(DAVID - DA LETTERA LUGLIO 1999_VI)


Così attratto attendo l'idea

morbose tessiture e

delicate cesellature di carne

amalgama di siderali coscienze [.]

Lontana dalla mia mente

tu l'idea d'inizio e di fine

Fallisci. (DAVID - DA LETTERA LUGLIO 1999_XI)


Non sai che quello che ti tocca una volta si ripete?Che come si è reagito una volta si reagisce sempre? Poi ci ricaschi. Si chiama il destino. (LA BELLA ESTATE)

[.] Val la pena di fare una cosa ch' era già come fatta quando ancora non c'eri?[.]

Vorrei essere l'uomo più sozzo e più vile purché quello che ho fatto l'avessi voluto. Non subito così [.] Non saprai mai se ciò che hai fatto l'hai voluto. [.] (LA STRADA - Dialoghi con Leuco')


Chi si sbaglia è chi non capisce ancora il suo destino. Cioè non capisce qual è la risultante di tutto il suo passato - che gli segna l' avvenire. Ma lo capisca o no, glielo segna lo stesso. Ogni vita è quello che doveva essere. (31 MARZO 1946 - Il mestiere di vivere)


[.] Destino è ciò che di mitico ha | un'intera esistenza, un dramma. (10 GENNAIO 1950 - Il mestiere di vivere)


[.] Tu sai che qui si soffre molto. [.] Si soffre al punto che si vuol morire. [.] (L'ISOLA - Dialoghi con Leuco')


[.] La morte è destino. Non si può che augurarsela. [.] (LA CHIMERA - Dialoghi con Leuco')


[.] Verrà la morte necessariamente, per cause ordinarie, preparata da tutta una vita, infallibile tant'è che sarà avvenuta. [.] perché non si cerca la morte volontaria, che sia affermazione di libera scelta, che esprima qualcosa? Invece di lasciarsi morire? Perché?

[.] E verrà il giorno della morte naturale. E avremo perso la grande occasione di fare per una ragione l'atto più importante di tutta la vita. ( 30 NOVEMBRE 1937 - Il mestiere di vivere)


Sarà un giorno tranquillo, di luce fredda

come il sole che nasce o che muore e il vetro

chiuderà l'aria sudicia fuori del cielo.

Ci si sveglia un mattino, una volta per sempre,

nel tepore dell'ultimo sonno: l'ombra

sarà come il tepore. [.] (IL PARADISO SUI TETTI - Lavorare stanca)


Uno crede che dopo rinasca la vita,

che il respiro si calmi, che ritorni [.]. Uno crede,

finché è dentro uno crede. (SEMPLICITA' - Lavorare stanca)


Antichi sospiri e novelle lancinanti urla

qui anche oggi. indesideratamente

qui in questo mondo

deluso mi sveglierò ancora e non so.[.]

Io non crederò, io morirò! (DAVID - CODEX III)


Vita tu cerchi con buon esito di sedurmi

con le tue melliflue movenze, con il so-

porifero calore delle tue sinuosità.

Quale donna più sensuale e concupiscente

potrebbe compararti?

Ma in vero ti confesso che del tuo vellu-

to ho le narici infastidite e il calore del

tuo giaciglio congela il mio sangue.

Accostandomi al tuo orecchio ti rivelo

con ardore che la Morte è una più abi-

le intrattenitrice.

Ma non darti pensieri oh Vita, ch' ancora

t'appartengo, anche se non dovresti

obliare ciò che è l'apprensione.

Quanto dovrò attendere prima di inter-

rompere la mia permanenza in tua

culla?

Vita, io ho ucciso la morale umana, e

ho ritrovato la tua genuinità, ma a

questa rinuncio poiché le mie gambe sono

ancora immerse nel fango: ciò suddetto

io non posso amarti.

I miei suggellati pianti, la viltà è la tua

fida carceriera aliena al sonno.

"Vitam producere aut vita se privare.

Io voglio il

Nihil." (DAVID - CODEX III)



Il sangue di quei pensieri irrora le pagine

di un libro che va concludendosi.

Il tuo sguardo, oh ego, non ha termine

e non è incrociato da alcuno.

[.] E così il non - impiccato cammina,

calpesta narcisi che egli stesso fecondò

tra voci femminili che intorno a lui fluttuano

così guarda e s'arresta

contemplando e desiderando

stelle inconsistenti. [.] (DAVID - DA LETTERA LUGLIO 1999_XV)


Se ho ben capito, non è morte ma ritorno alla Madre e come un dono ospitale. Tutti questi villani che s'affaticano sul campo, saluteranno con preghiere e con canti chi darà il sangue per loro.[.] (L' OSPITE - Dialoghi con Leuco')


[.] la mia Morte attendere

Come madre premurosa il suo

Pargoletto. (DAVID - CODEX III)


[.] E'un grande onore. (L' OSPITE - Dialoghi con Leuco')




Tutto questo fa schifo.

Non parole. Un gesto. Non scriverò più. (18 AGOSTO 1950 - Il mestiere di vivere)



Ora pesa

la stanchezza su tutte le membra dell'uomo,

senza pena: la calma stanchezza dell'alba. (MITO - Lavorare stanca)


[...] si smarrisce nel fumo invisibile ch'esce di bocca

e le membra ritrovano l'urto del sangue. (CREPUSCOLO DI SABBIATORI - Lavorare stanca)


27 AGOSTO 1950 Cesare Pavese si suicida in una camera d'albergo torinese.


E' come doveva essere.[...] Ho avuto abbastanza. [...]

"Giustizia" era fatta in una mattina di LUGLIO. (T. HARDY, Tess dei d'Urberville)


[...] il gran sole è finito, e

l'odore di terra, e la libera strada,

colorata di gente che ignorava la

morte. Non si muore d'estate. (MITO - Lavorare stanca)


4 GENNAIO 2000 David Pititto si toglie la vita a casa della nonna.


' COSI' CADONO I GRANDI '. (T. HARDY, Tess dei d'Urberville)






























APPENDICE


Ho tentato qua di legare insieme i frammenti della mia vita trascorsa dello ultimo inverno e della primavera in un disegno che illudesse un po' il mio desiderio di dare a Lei quel lavoro grande che attende da me.

Ma non ho creato che una falsa cornice. Non badi se parlo sempre con una sincerità rude con una monotonia esasperante delle solite cose. (FRAMMENTI DELLA MIA VITA TRASCORSA - appendice al MESTIERE DI VIVERE)

[...] Il mio gusto voleva confusamente un'espressione essenziale di fatti essenziali, ma non la solita astrazione introspettiva, espressa in quel linguaggio, perché libresco, allusivo, che troppo gratuitamente posa a essenziale. [...]

Andava intanto prendendo in me consistenza una mia idea di poesia-racconto, che agli inizi mal riuscivo a distinguere dal genere poemetto. Naturalmente non è soltanto questione di mole. [...] Allora bisogna rinunciare alla pretesa di costruire un poema semplicemente giustapponendo delle unità: si abbia il coraggio e la forza di concepire l'opera di maggior mole con un solo respiro. Come due poemi non formano un unico racconto [...] così due o più poesie non formano un racconto o costruzione, se non a patto di riuscire ciascuna per sé non finita. Dovrebbe bastare alla nostra ambizione [...] che nel suo giro breve ciascuna poesia riesca una costruzione a sé stante. (IL MESTIERE DI POETA - a proposito di LAVORARE STANCA)

Ma intanto smaniavo sotto l'assillo creativo, e faticosamente inciampando in modo vario sempre nella stessa difficoltà, mettevo insieme altre narrazioni d'immagini.

[...] Tenevo duro a narrare e non potevo certo perdermi nella decorazione gratuita. Ma è un fatto che le mie immagini - i miei rapporti fantastici - andavano sempre più complicandosi e ramificandosi in atmosfere rarefatte. (IL MESTIERE DI POETA - a proposito di LAVORARE STANCA)

[...] Queste pagine le legga come guarderebbe nel cielo azzurro, per un istante. A lei dedico queste pagine sconvolte e disperate, a lei, che mi ha offerto una vita nuova di poesia e di sogno. (FRAMMENTI DELLA MIA VITA TRASCORSA - appendice al MESTIERE DI VIVERE)

Amore e poesia sono misteriosamente legati, perchè entrambi sono desiderio di esprimersi, di dire, di comunicare. Non importa con chi. [...] (12 AGOSTO 1940 - MESTIERE DI VIVERE)

Negli ultimi anni qualcosa è cambiato! Doveva cambiare come tutti diveniamo. E' sorto così in me un essere che cresce violentemente, conficcato nella mia anima e da lì voleva parlare, parlarmi. Io l'ho concesso ed ho scritto CODEX I, CODEX II e CODEX III. [...] Qui ho tratto i passaggi più illuminati o intere "osservazioni". Preferisco chiamarle "testimonianze di un canto poetico" piuttosto che poesia, se intesa come edificio razionale costituito da versi, rime etc. Qui tutto è irrazionale e a terra ci sono solo i frantumi della poesia. La sintassi, l'ortografia è spesso violentata a mio piacimento. Tutto doveva restare a me intestino, ma ho desiderato a lungo trovare qualcuno che potesse intuire il tutto [...] e così trovasse un senso anche fuori da me. Non è facile, è un po' come denudarsi per la prima volta dinnanzi a una donna. (DAVID - I FRANTUMI DELLA POESIA_ intro o prefazione)




" Questa conclusione, benché trovata da povera gente, c'è parsa così giusta, che abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia. La quale, se non v'è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l'ha scritta, e anche un pochino a chi l'ha raccomodata. Ma se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s'è fatto apposta." ( A. Manzoni , I promessi sposi , cap. XXXVIII )






BIBLIOGRAFIA


Davide   Lajolo, Il vizio assurdo , Mondadori (MI),1960

Johannes Hösle, I miti dell'infanzia , in <<Sigma>> rivista trimestrale,(GE), n° 3-4 dicembre 1964

Cesare Pavese, Il mestiere di vivere , DIARIO 1935 - 1960 Einaudi (TO), Edizione condotta sull'autografo a cura di Marziano Guglelmetti e Laura Nay Introduzione di Cesare Segre

G. Venturini, Pavese, collana IL Castoro, La Nuova Italia( FI), 1969

Cesare Pavese, Il compagno,    Einaudi (TO), Tascabili letter.

Cesare Pavese, La casa in collina, Einaudi (TO), Tascabili letter.

Cesare Pavese, Dialoghi con Leucò , Oscar Mondadori (MI), 1972

Cesare Pavese, La luna e i falò , La Biblioteca di Repubblica, Novecento 2002 (ROMA), 1972

Cesare Pavese, Lavorare stanca , Einaudi (TO), 1968

Cesare Pavese, Paesi tuoi , Einaudi (TO), 1968

Cesare Pavese, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi , Einaudi (TO), 1981

Cesare Pavese, La bella estate , Einaudi (TO),1976

Agostino Morganti, Cesare Pavese -Il vizio assurdo, Tesina esame di maturità Liceo Scientifico "E.Fermi" Castel del Piano (GR), a.s. 1974/75

AA.VV., Dal testo alla storia dalla storia al testo,   Volume III Tomo Secondo /b, Paravia (TO), 1994

Salvatore Guglielmino, Guida del Novecento, Principato Editore (MI), 1971

Marchese / Grillini, Storia e antologia della letteratura italiana, La Nuova Italia (FI), 1988

AA.VV., La scrittura e l'interpretazione, Volume 2 Tomo II , Palombo Editore (PA), 2003

Mario Praz, Storia della letteratura inglese , Sansoni (FI), 1979

Thomas Hardy , Tess dei d'Urberville , Bur ,Rizzoli (MI), 2001

David Pititto, I frantumi della poesia - Testimonianze di un canto poetico, Editore Il mio amico, Tipografia Vieri Roccastrada (GR), 2001
















Privacy




Articolo informazione


Hits: 2922
Apprezzato: scheda appunto

Commentare questo articolo:

Non sei registrato
Devi essere registrato per commentare

ISCRIVITI



Copiare il codice

nella pagina web del tuo sito.


Copyright InfTub.com 2024