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Lo Stoicismo

letteratura greca



Lo Stoicismo

Lo Stoicismo fu la corrente di pensiero più diffusa nell'Impero romano nel I e II secolo d.C. La nuova Stoa, detta romana perché a Roma principalmente si sviluppò, si differenziò sempre di più dall'antica e dalla media, disinteressandosi della fisica e occupandosi prevalentemente di etica. Questo perché lo Stoicismo subì la generale crisi religiosa del periodo greco-romano, che determinò una generale sfiducia nella ragione, un rifiuto di cercare la risposta ultima e un accentuato misticismo ne 626i89g lla pratica della filosofia. Non a caso in questo periodo si diffonde lo Scetticismo, che predicava la sospensione del giudizio. Lo Stoicismo si trovò così a predicare il distacco della vita e la preparazione alla morte. Gli esponenti principali della nuova Stoa furono Seneca, Epitteto e Marco Aurelio; dei tre Seneca scrisse in latino, ma generalmente la lingua usata dagli stoici romani fu il greco.

Epitteto

Nato verso il 50, schiavo frigio deportato a Roma, fu in seguito liberato e nella capitale iniziò ad insegnare filosofia. Sotto Domiziano fu messo al bando insieme ad altri filosofi e si stabilì a Nicopoli in Epiro, dove continuò l'insegnamento.

Il discepolo Arriano, registrando fedelmente le lezioni del maestro, ce ne ha tramandato la dottrina negli 8 libri delle Diatribe (ne restano quattro) e nel famoso Manuale. Il pensiero di Epitteto si può riassumere nella massima anecou kai apecou (sopporta e astieniti), che propone un etica incentrata sull'ideale della sopportazione e della rinuncia. L'importanza di Epitteto non sta tanto nell'originalità del suo pensiero, quanto nella forza e nella coerenza con cui egli visse la sua filosofia come una religione, non cercando di comprendere la verità, ma di viverla, non aspirando alla "scienza", ma alla "sapienza".



Marco Aurelio

Imperatore-filosofo: questo è l'epiteto che la storia gli ha assegnato. Scelto per condurre il più grande impero che fosse mai esistito, Marco Aurelio cercò, nella vita di ogni giorno, di affidarsi alla filosofia e ai principi che da questa gli derivarono: "devi adattare te stesso agli eventi ai quali il destino ti diede in sorte d'esser compagno. E ama, ma davvero, gli uomini ai quali la sorte t'ha posto accanto".

Marco Aurelio nacque a Roma nel 121 e fu educato fin dalla fanciullezza ai principi dello stoicismo. Adottato da Antonino Pio nel 138 e designato erede al trono, ebbe come precettore Frontone, che tentò d'insegnargli l'arte della retorica, ma il discepolo si mostrava più attratto dalla profondità del contenuto che dalla bellezza della forma. Nel 161 Marco Aurelio divenne imperatore, e attese al suo compito con dignità e umanità, cercando di mettere in pratica i principi che lui stesso si era posto. Le dure necessità dell'Impero lo costrinsero a stare in guerra per quasi tutta la durata del suo regno, combattendo in Oriente contro i Parti e sulla frontiera del Danubio contro Quadi e Marcomanni; su quest'ultimo fronte morì, nel 180 d.C. Cassio Dione ci tramanda che, sul punto di morte, l'imperatore disse al tribuno che gli chiedeva la parola d'ordine: "va' verso l'aurora, io ormai sono al tramonto".

Di Marco Aurelio conserviamo un'opera in 12 libri, intitolata ta eis eauton (A se stesso e contenente circa 470 pensieri o considerazioni, appuntati l'uno accanto all'altro senza una prestabilita sequenzialità e scritti la maggior parte durante le campagne militari. Questi pensieri riguardano l'uomo e non propriamente l'imperatore, così che da Marco Aurelio s'impara sempre, perché le sue riflessioni sono utili anche oggi. Più esattamente, nei Pensieri Marco Aurelio si comporta come se stesse parlando con la sua anima: il Marco Aurelio filosofo colloquia con il Marco Aurelio uomo, e noi siamo portati immediatamente ad indentificarci con quest'ultimo. Questo modo di procedere è affine a quello che adotta Seneca nelle Epistole morali, con la differenza che Seneca dice di conoscere già il cammino, mentre Marco Aurelio fa compiere il cammino al lettore camminando con lui. La vita è breve ed il tempo va speso migliorando se stesso e gli altri; Marco Aurelio non parla, come fece Seneca, di un sapiens, ma di un uomo virtuoso che spende il suo tempo facendo da esempio e aiutando gli altri. L'uomo deve donare liberamente e spontaneamente all'altro uomo, e lo deve fare di nascosto (riprende qui i precetti del De beneficiis di Seneca). E' un atteggiamento più greco che romano.

Su 470 pensieri, ben 100 riguardano il pensiero della morte, che è innanzi tutto sentita come crewn (=necessità); tutto ciò che nasce deve poi morire. La vita è troppo breve, secondo Marco Aurelio ("il tempo dell'umana vita è un punto"), ma si può lo stesso viverla con onestà (è antesignano del Cristianesimo). L'uomo ha l'urgente ("il momento fatale incombe su di te; finché ti dura la vita, diventa buono") necessità di vivere sempre in maniera onesta (capovolgimento del Carpe diem di Orazio). Sarà logico, per Marco Aurelio, desiderare che la morte giunga il prima possibile nel momento della grande sofferenza. L'uomo deve vivere in linea con i dettami che lui stesso si è dato, nonostante i tanti mali e le difficoltà dell'esistenza; solo in questo modo l'uomo sarà realmente pago di se stesso. Il suicidio è ammesso solo nel caso in cui l'uomo, oggettivamente, sia impossibilitato ad esercitare la virtù. Il "poter", in questi casi, suicidarsi, equivale però a un "dover", in quanto costituisce la scelta migliore da fare. Similmente, la guerra non è un male solo se è fatta per legittima difesa. Marco Aurelio vuol fare del bene agli altri non imponendo la strada, ma è l'uomo che, con il suo stesso esempio, trascina gli altri; e quale esempio migliore di quello di un imperatore che ha toccato con mano le difficoltà della vita. Tornando al discorso della morte, Marco Aurelio ne dà tre definizioni:

  1. fusews ergon (= azione della natura). "Colui che è stato causa, in un primo momento, della tua composizione, è lo stesso che in questo istante è causa della dissoluzione. Tu, invece, non c'entri né per l'uno né per l'altro fatto". Lo stesso nascere è un cominciare a morire, e per questo dobbiamo prepararci fin dal giorno della nascita. La vita è un dono e non possiamo sprecarlo.
  2. fusews misterion (= mistero della natura). Non sappiamo con certezza dove vada a finire l'anima dopo la morte. Marco Aurelio, stoico, ondeggia tra la visione della metempsicosi e l'idea stoica dell'eterno ritorno.
  3. metabolh (= cambiamento di stato). La vita muore e dalla morte si passa ad una nuova vita; è un pensiero solo accennato, non organicamente concepito.

La conclusione di Marco Aurelio riguardo alla morte è questa: se ti sei comportato virtuosamente, non ne devi avere paura (la sua conclusione si avvicina, paradossalmente, a quella degli epicurei).

Per Marco Aurelio, l'uomo cerca di raggiungere il piacere, concepito in maniera diversa dal piacere epicureo. L'imperatore-filosofo distingue due diversi tipi di piacere:

  1. Piacere cinetico; piacere in movimento, misto a dolore.
  2. Piacere catastematico; piacere fisso, in riposo, vero piacere, distinto di piaceri naturali e necessari, piaceri non naturali ma necessari, piaceri non naturali né necessari.

L'uomo, cercando il piacere, lo troverà il qualcosa di tangibile, come, per esempio, la bellezza (piacere transeunte). Perché, per Marco Aurelio, aspirare a qualcosa di caduco? Su questo punto gli sono state mosse alcune obiezioni, in quanto sembra che l'imperatore-filosofo non riesca a concepire nessun concetto valido di per sé, come la bellezza, la gloria o la fama, che sono sempre e necessariamente relazionati agli altri uomini, e quindi piaceri effimeri.

Marco Aurelio esamina la vita degli uomini e rimane amareggiato nel vedere gli uomini come dei cagnolini che si mordono la coda gli uni gli altri. "Siamo nel mondo per reciproco aiuto; in conseguenza è contro natura ogni azione di reciproco contrasto"; questa è la comprensione e la solidarietà che propone Marco Aurelio. "Gli uomini sono nati l'un per l'altro; conseguenza: o li rendi migliori con l'insegnamento oppure sopportali". Questo perché ritiene che tutti gli altri uomini siano parte di noi, come noi siamo parte del tutto, come l'ape lo è dello sciame; di conseguenza "una cosa che non arreca utilità allo sciame non ne arreca all'ape". E su questi precetti Marco Aurelio impostò la sua vita da imperatore del più grande impero che la storia avesse mai conosciuto.





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