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L 'epigramma

letteratura greca



L 'epigramma

L'epigramma ellenistico, pur venendo ancora usato come iscrizione per motivi pratici, si slegò progressivamente dal motivo occasionale per diventare il componimento lirico più coltivato dagli autori ellenistici, in quanto genere che meglio di tutti rispondeva alle esigenze della poetica del tempo. La sua caratteristica fondamentale fu la brevitas, che permetteva di raggiungere immediatamente l'acme della poesia e di mantenerlo per tutto il componimento: la cura formale era infatti essenziale per i poeti dell'ellenismo. Un altra caratteristica peculiare fu la spiccata soggettività: l'autore si poneva in prima persona nel componimento e fissava in pochi versi uno stato d'animo o una vicenda della vita. I temi trattati erano svariati: l'amore il vino, la morte, un paesaggio, una disputa letteraria, la descrizione di un ambiente o di un mestiere. Il metro più usato fu il distico elegiaco. Quasi tutti gli autori ellenistici composero epigrammi, e tra loro spiccano Anite e Nosside, le uniche due autrici di tutto l'ellenismo.

L'intera composizione epigrammatica greca ci è giunta attraverso due raccolte: l'Antologia Palatina e l'Antologia Planudea. L'Antologia Platina fu scoperta in un codice della biblioteca Palatina di Heidelberg nel 1607; abbraccia una produzione di oltre 15, secoli, comprendente circa 3700 epigrammi divisi per argomento in 15 libri. La Palatina si basa su precedenti raccolte di cui le principali sono le seguenti:

  1. La Corona (Stefanos) di Meleagro di Gadara, risalente al I sec. a.C.; raccoglieva i s 939j95j uoi epigrammi e quelli di molti altri poeti precedenti e li disponeva in ordine alfabetico (secondo le lettere iniziali di ciascun componimento).
  2. La Corona di Filippo di Tessalonica, risalente al I sec. d.C. Segue lo stesso ordine alfabetico adottato da Meleagro.
  3. Il Ciclo composto da Agatia, risalente al VI secolo d.C. Gli epigrammi non erano raggruppati alfabeticamente, ma secondo il contenuto.
  4. La raccolta fatta nel IX-X secolo d.C. da Costantino Cefala, protopapas della corte di Bisanzio. Egli utilizzò le tre raccolte precedenti e altre minori seguendo la classificazione per argomenti adottata da Agatia. La raccolta di Costantino Cefala fu fondamentale sia per la costituzione della Palatina che della Planudea.

L'Antologia Planudea prende il nome dal monaco amanuense Massimo di Planudea che la portò a termine nel 1299. Comprende sette libri in cui compaiono sostanzialmente gli stessi epigrammi della Palatina con la totale esclusione di quelli a carattere erotico o amoroso. Per non far notare il taglio il monaco collocò gli epigrammi in ordine alfabetico. La Planudea ne comprende anche 388 che non si trovano nella Palatina e che vanno a costituire l'Appendix Planudea.



Anite

Originaria dell'Arcadia, la terra sacra al dio Pan e tanto cara a pastori e poeti, Anite acquisì dalla sua terra una profonda sensibilità, spiccatamente bucolica, nei confronti della natura, che costituisce il motivo dominante della sua poesia. Infatti, dei venti epigrammi che ci sono pervenuti con la sua firma, quasi tutti descrivono paesaggi naturali con fresca naturalezza. In Paesaggio sul mare ella tratta un tema che verrà ripreso poi da Teocrito: quello della fonte che sgorga acqua limpida e fresca; qui l'acqua è vista di per sé, in Teocrito (che lega la natura all'uomo) verrà vista come ristoro. Ne il pianto di Miro la poetessa rivolge la propria sensibilità verso una bambina; l'attenzione per il mondo dei bambini è una caratteristica tutta femminile. Ne Il canto di Pan Anite esprime lo stesso concetto che sarà fatto proprio da Virgilio nelle Bucoliche: la musica modulata come svago e passatempo che rinfranca un lavoro non troppo pesante. Il Virgilio delle Bucoliche non è affatto attento alla realtà, ma piuttosto è portato all'esaltazione della pax augustea, esaltazione raggiunta grazie al poema epico, che permetteva al poeta di utilizzare la propria fantasia; egli rifiutò di comporre un'opera di carattere storico, e quindi di doversi attenere ai fatti, ma compose un'opera di carattere epico con dei forzati agganci storici.

Nosside

Originaria della Magna Grecia, Nosside esprime nella sua poesia un altro aspetto dell'animo femminile: l'amore e la passione. Di lei ci restano solo 12 epigrammi, la maggior parte ritratti di donne sue amiche fatti con mano delicata e leggera. Nell'epigramma La nuova Saffo, che probabilmente costituisce una sorta di finto autoepitaffio della sua opera, Nosside si paragona alla poetessa di Lesbo, peccando di eccessiva superbia in quanto la sua poesia, sebbene dotata di una sensibilità forte, non raggiunge l'unicità della poesia saffica.

Asclepiade

Originario di Samo, visse dedicandosi all'arte e alla poesia, senza però trascurare i piaceri della vita. Fu il capostipite di una serie di poeti che presero il nome di "scuola di Samo", ed ebbe come successori Edilo e Posidippo, quello stesso che ebbe una disputa con Callimaco. Il tema ricorrente della sua poesia è l'amore.

In Sfida a Zeus troviamo una netta contrapposizione tra l'elemento naturalistico e quello amoroso. La natura è descritta non solo dal punto di vista esteriore, ma anche in funzione del tema dell'amore. Asclepiade non usa la tecnica descrittiva tipica dei suoi predecessori (che ricorrevano all'aggettivazione o alla sinestesia), ma ci presenta la natura grazie a un susseguirsi di verbi: egli scende nell'ambito della natura vivificandola. La natura di Asclepiade è una natura che vive e .agisce: è una natura personalizzata. Nella seconda parte del brano l'amore è sentito come qualcosa che sconvolge l'animo.

In Post mortem nulla voluptas troviamo un invito a godere di ogni piacere; ricorda apparentemente il Carpe diem di Orazio, ma non bisogna dimenticare che quello di Orazio non voleva essere un invito a cogliere il piacere superficiale, ma una godere della felicità per se stesso, evitando ogni rapporto, positivo o negativo, con gli altri. Anche Mimnermo fece un invito simile a godere del piacere, ma il suo era più specifico e circoscritto all'età della gioventù; in Asclepiade non ci sono limiti cronologici.

In Veglia d'amore Asclepiade manifesta il suo interesse specifico per gli astri (è un lampante esempio di sfoggio di erudizione). Viene ripreso il tema del paraclausiquron, già trovato in Callimaco.

In tedium vitae troviamo il concetto della noia, che verrà abbondantemente trattato da Lucrezio nel De Rerum Natura, presentandola come uno dei tanti sentimenti che travagliano l'uomo. Anche Leopardi tratterà diffusamente il tema della noia, definendola nello Zibaldone "il più nobile dei sentimenti umani" perché il più sincero. Possiamo in qualche modo ricollegarla anche all'accidia di Petrarca, che era sempre combattuto da due desideri, il lauro e l'amore, senza mai riuscire a soddisfarli entrambi allo stesso momento.

Bevi e dimentica riprende l'antico concetto del bere comune ad Archiloco e ad Alceo. "Tra non molto la nostra lunga notte dormiremo" è un espressione che verrà ripresa da Catullo con lo stesso valore: godere dell'amore e del piacere del vino che ci permette di dimenticare. La descrizione di Eros riprende i canoni classici ed è uno sfoggio di erudizione.

Didima è la donna amata, per la quale Asclepiade si consuma. Il poeta ricorre per descrivere la sua passione a un paragone, tecnica molto usata dai poeti di tutti i tempi per precisare meglio i concetti; lo troviamo usato fin da Omero, il quale però usava il paragone solo per definire precise caratteristiche, mentre Asclepiade lo usa in se per sé. Della donna amata sono stati evidenziati i capelli bruni, rispecchiando il gusto, tipicamente ellenistico, dello scendere nel particolare. Pochi tratti descrivono i particolari; anche Ovidio, teorico dell'amore, con poche parole dipingerà tutte le sue innamorate.

In Funere mersit acerbo troviamo la vecchiaia concepita in ottica soloniana.

Leonida

Poeta originario della Magna Grecia, condusse un'esistenza povera, vagabondando presso tutte le corti del Mediterraneo. Nei suoi epigrammi sono quasi del tutto assenti i temi dell'amore e del piacere, sostituiti da ritratti della sua povera esistenza e della miseria altrui; motivo per cui è stato considerato il primo poeta degli umili. Sostanzialmente non ha ideali e si limita a esprimere la sua realtà di poeta povero e errante; i suoi epigrammi sono un po' più lunghi della media proprio perché evidenziano la sua esperienza personale.

Il poeta e i topi è un epigramma autobiografico in cui Leonida ci presenta con vivo realismo una situazione quotidiana: l'estrema povertà della sua madia, nella quale nemmeno i topi troveranno da mangiare. Per la prima volta troviamo un quadro di introspezione psicologica applicato al tema della povertà, che viene evidenziata mediante cose semplicissime. L'elemento naturalistico è costituito dai topi, già trattati nella Batracomiomachia dell'Omero minore e ripresi da Orazio nella favola il topo di campagna e il topo di città

Le offerte ad Artemide che Leonida presenta sono le più semplici e umili che esistano; un'unta focaccia, delle olive e un fico colto da un ramo. La descrizione è precisa fino all'estremo e si scende nel particolare, come ad esempio riguardo alla focaccia unta (già trovata in Archiloco, che la presentava come il cibo più semplice delle persone povere, e nel moretur dell'appendix virgiliana, in coi un'ostessa enumera le prelibatezze che metteva in vendita, tra cui la focaccia) al fico, di provenienza africana, di cui si servirà Catone come esempio per dimostrare quanto Cartagine sia pericolosamente vicina a Roma.

In E' arrivata primavera troviamo una descrizione apparentemente oggettiva, in realtà finalizzata alla praticità: il quotidiano viene unito alla semplice descrizione della natura, testimonianza del legame alla vita reale tipico dell'arte di Leonida.

L'Esclusa

Nel 1896 Grenfell pubblicò un breve brano trovato su un papiro del II secolo, battezzato Fragmentum Grenfellianum o L'esclusa. Il brano, dotato di una profonda sensibilità psicologica, sembra ricollegarsi alla tradizione mimica, in quanto viene recitato da una donna, presumibilmente sola sul palcoscenico, che canta il suo profondo lamento per essere stata abbandonata, forse dopo una lite, dall'uomo che amava.

Antipatro

Di Antipatro abbiamo un unico epigramma veramente notevole: Sulle rovine di Corinto. È una mistione perfetta tra un elemento freddo (la descrizione delle rovine della potente città) e l'afflato sentimentale, che richiama la poesia dei primi lirici. E' la prima volta nella letteratura greca che il soggetto di una poesia è costituito dal lamento sulle rovine della città scomparsa, un tema che in seguito eserciterà un certo fascino nei poeti di tutti i tempi.

Meleagro

Nacque a Gadara verso il 130 a.C. e visse poi a Tiro ed infine in vecchiaia si recò a Cos, dove mori intorno al 60. Divise la sua vita tra gli amori e gli studi; la sua opera principale è costituita dalla Corona, la prima grande antologia epigrammatica.

Sit tibi terra levis è un delicato epitaffio per sensazioni e sentimenti, in occasione della morte del piccolo Esigene.

In Alla cicala il poeta invoca la cicala, "ubriaca di rugiada" a cantargli un canto agreste affinché possa dimenticare gli affanni d'amore. Insolita questa commistione tra la cicala, l'unico animale che canta a mezzogiorno, e l'elemento amoroso. La parte conclusiva richiama Teocrito.

In Al grillo troviamo una delicata sensibilità verso gli animali, unita allo scendere nel particolare tipico dell'ellenismo.

In Amore e saggezza troviamo l'amore cantato con toni leggeri e scherzosi, già trovato in Archiloco e Orazio.

Bevi e dimentica e Brindisi triste presentano gli stessi concetti tanto cari ad Archiloco e Alceo.

Odi et amo presenta un immediato richiamo a Catullo, che distingueva l'amare (passionale) dal bene velle (razionale).

Il migliore epigramma di Meleagro è però In morte di Eliodora, la donna tanto amata dal poeta. Il suo profondo sentimento è accostabile a quello di Properzio per Cinzia. La costruzione architettonica del verso è molto curata e risulta poeticissimo il rapporto madre- terra nella quale Eliodora è sepolta.





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