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Gli epiteti degli dei nel proemio della Teogonia Esiodea

letteratura greca



Gli epiteti degli dei nel proemio della Teogonia Esiodea


Di fronte al numero impressionante di divinità che affollano il poema esiodeo - divinità maggiori e minori, personificazioni di potenze astratte ( i Sogni, la Morte ecc.), di forze della natura (Uran 949c23j o, Oceano ecc.) - il ricorso da parte del poeta agli epiteti è uno strumento assai utile per caratterizzare una figura divina a cui spesso è concesso uno spazio esiguo ed epigrafico all'interno del testo. Gli epiteti sono numerosi e interessano la quasi totalità delle divinità considerate. Fin dai primi versi del poema è possibile riconoscere lo stretto nesso esistente tra la divinità e il suo epiteto. Al v. 1 compaiono com'è noto le Muse, invocate da Esiodo come ispiratrici del suo canto: sono muse "dell'Eliconia", Elikwniadwn, un aggettivo che indice il luogo in cui si riuniscono e la sede del loro culto; più oltre nel poema sono indicate come Muse "dell'Olimpo", Olumpiades ma ciò non significa che in quel caso si tratti di figure differenti: le Muse, contrariamente per esempio a quello che accade nel caso delle Ninfe, non assumono caratteristiche diverse a seconda del luogo in cui sono venerate; l'accenno del poeta ha solo dunque la funzione di sottolineare il passaggio delle divinità da un luogo ad un altro. Zeus ed Era compaiono nel proemio con i loro epiteti tradizionali. Zeus è "egioco", cioè colui che porta l'agida, celebre scudo coperto con la pelle della capra Amaltea, che si diceva avesse nutrito Zeus quando la madre Rea lo aveva nascosto a Creta per sottrarlo alla furia del padre Crono. Nella Teogonia il signore degli dei è anche Mhtieta , un epiteto che fa chiaramente riferimento al possesso della mètis, l'intelligenza astuta e preveggente che Zeus ha acquisito ingoiando la sposa Meti, già incinta di Atena. Frequente è anche il ricorso al patronimico: Zeus è Cronide, figlio di Crono e suo successore, così come il padre prima di lui era stato Ouranidhs figlio di Urano e suo usurpatore. In questo contesto è importante sottolineare il fatto che nella genealogia degli dei olimpici l'uso dei patronimici si limita a quei personaggi che, dopo aver spodestato la figura paterna, si sono impadroniti del potere. Nessuno dei fratelli di Crono o di Zeus condivide infatti questo patronimico. Al v. 11 Era compare per la prima volta come la potnia, la "veneranda", un aggettivo antichissimo riservato alle divinità femminili, ma non esclusivamente impiegato per Era. È anche la dea "dagli aurei calzari" ( cruseoisi pediloi embebauian, o anche crusopedilon , così come quella "dalle bianche braccia" (leukwlenos , un epiteto che condivide con la regina degli inferi, Persefone, ma anche, e curiosamente, con le schiave (nell'Odissea). Il suo ruolo fondamentale di sposa divina è ricordato dagli epiteti parakoiti (moglie), e aloka (compagna di letto), presenti nella teogonia, ma già utilizzati in Omero. La figlia di Zeus , nata da un parto solitario, è la glaukwpis Atena, la dea "dallo sguardo glauco", ma anche potente, penetrante: di lei si diceva che pietrificasse i suoi nemici. Il verso 925 della teogonia è interamente dedicato ai suoi epiteti: terribile, incitatrice della mischia, capo degli eserciti, infaticabile, tutti epiteti che fanno chiaramente allusione alla sua predilezione per lo scontro guerresco. Del resto, il mito racconta come fosse uscita dalla testa del padre già interamente rivestita di armi. Più incerto è il significato dell'epiteto Tritogeneia che le è attribuito nella sezione dedicata alla sua nascita e su cui già gli antichi avevano maturato opinioni diverse: per alcuni l'epiteto conteneva riferimenti al luogo della nascita ( il torrente Tritone in Beozia; la sorgente omonima in Arcadia; il lago Tritonide in Libia), per altri all'organo da cui Atena era stata partorita (poiché in eolico tritò significava "testa"), per altri ancora alla triplice mutazione stagionale della natura dell'aria (in primavera, estate, inverno), a cui la dea era collegata. Apollo è Febo, Foibos lo "splendente": si tratta dell'epiteto più diffuso di un dio che possiede un numero assai elevato di declinazioni divine. È per esempio infatti colui che scaccia i mali, che guarisce (apotropaios, alexikakos, iatros ; è il dio "topo", Sminqeus e "colui che scaccia i lupi", Lukeios La sorella gemella Artemide è ioceairan "colei che lancia le frecce", con chiaro riferimento alla sua funzione principale di cacciatrice, ma anche al suo potere di provocare epidemie e morte con il lancio dei suoi dardi (prerogativa che condivide con il fratello). Afrodite, la dea dell'amore, è descritta nel proemio come elikoblebaron "colei che possiede uno sguardo palpitante". Ad Afrodite è dedicata, all'interno della Teogonia, quella che si potrebbe definire una digressione etimologica: nel momento in cui Esiodo si trova a descrivere le modalità, assolutamente straordinarie, della sua nascita, affronta anche il problema degli epiteti che al connotano; Afrodite deve il suo nome al fatto di essere nata dalla spuma del mare, afros , nello straordinario incontro della materia di cui si compone la cresta dell'onda e lo sperma del padre Urano evirato. La chiamano inoltre "Ciprie", perché Cipro è il luogo in cui si narra sia nata. L'esordio catalogico del proemio prosegue poi per alcuni versi in un affollarsi, piuttosto barocco, di divinità e di epiteti.








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