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Ugo Foscolo - LA VITA E LE SUE RIFORME

letteratura






LA VITA E LE SUE RIFORME

Foscolo nacque a Zante, un'isola di dominio greco, nel 1768 in una famiglia borghese con madre greca e padre medico. Come autore e come uomo sentirà profondamente la classicità della letteratura greca.

Successivamente, a 17 anni, si trasferì a Venezia dove diventò subito un uomo di successo, sia di pubblico sia intellettualmente. È stato amato dalle generazioni di giovani successive a lui; la sua vita è diventata un mito, perché lui ha trasmesso ad altri ideali e valori.

Nelle sue opere è stato concreto nel trasmettere le sue scelte; è stato tutto ciò che poteva essere un intellettuale: fu direttore della biblioteca italiana, critico letterario, professore universitario e militare di carriera combattendo per le sue idee.



Ha sempre combattuto il potere politico e per questo ha pagato: fu un buon giacobino. Ha creduto che Napoleone fosse un liberatore e per questo lo stimava molto, ma quando fu fatto il trattato di Campoformio lo odiò. Preferì l'esilio politico, uno dei primi in Italia, prima in Svizzera e poi in Inghilterra, perché non sopportava l'idea di essere sottomesso agli Austriaci.

In Inghilterra morì in miseria nel 1827; il suo corpo fu poi trasferito a Firenze in Santa croce.


Foscolo viene definito come un neoclassico ed un preromantico, perché nelle sue opere si riallaccia all'occorrente culturale esistente alla fine del '700; ristudia i classici, ne scopre le bellezze, il loro equilibrio formale e riproduce questo mondo classico nelle sue opere.

Il neoclassicismo del '700 non è l'umanesimo del '400, perché mentre prima si cercava di innovare ora si imita soltanto. Foscolo fu l'unico di quel periodo a trovare una propria originalità: riusciva ad interpretare il mondo classico con emozione ed il neoclassicismo diventava parte integrante della sua attività poetica.

Vi era una differenza fondamentale tra lui e Monti: mentre Monti era il dotto per eccellenza, Foscolo fa sua questa cultura e ne parla con sensibilità.

Essere preromantico significava aver anticipato i temi che avrebbero dominato il Romanticismo: infatti nei suoi scritti dava un valore fondamentale al sentimento, l'amore era parte integrante delle sue opere, se non avesse amato non avrebbe potuto scrivere.

Parini ed Alfieri erano i suoi simboli culturali; da loro trae il senso della letteratura come moralità, educazione e la personalità prorompente che era parte di Alfieri. I due sono però differenti: mentre Alfieri si ritira in una solitudine aristocratica, ribelle, Foscolo ama il contatto con gli altri, la sua personalità si crea a contatto con gli altri.

Foscolo parte dal concetto che la natura esiste come forza operosa: ha creato l'universo ed attraverso alla vita conduce alla morte; non vede Dio come protagonista e da qui capiamo che forse era agnostico. Per lui dopo la morte non c'è nulla, è un pensiero pessimista; afferma che la vita ha un valore enorme e che l'uomo, attraverso le illusioni ( teoria delle illusioni di Foscolo ), ha forti potenzialità.

La vita ha un senso nel momento in cui l'uomo la vive credendo in qualcosa. Supera il suo pessimismo, ha la forza di reagire alle sconfitte che ha avuto.

È stato amato soprattutto tramite " I dolori del giovane Verter ", un romanzo sotto forma di lettere, dove sono presenti le due illusioni della patria e dell'amore; in questo romanzo Foscolo copia da quello del giovane Dertel. Questo romanzo fu molto letto dai giovani del tempo che si identificavano nel personaggio.

Inoltre scrisse diverse " odi " dove esprime la bellezza della donna, eterna questa bellezza come può fare un dipinto. La bellezza supera la mortalità, il temporaneo, diventa un mito.

Scrive sonetti di carattere romantico tra cui il " Carme dei sepolcri ", che nasce dalla legge di Sencrù dove si scrive che i cimiteri devono essere fatti fuori città e con tombe ristrette. Questa legge è discussa fra il conte Pindemonte e Foscolo che, in un primo momento, è d'accordo con la legge emanata da Napoleone, ma poi ci ripensa. Da qui nascono i quattro motivi che lo spingono a scrivere il " Carme dei sepolcri ":

Hanno un valore perché nasce una corrispondenza di emozioni tra il vivo e l'estinto, ciò vuol dire che andando sulla tomba di un caro lo si sente ancora vivo per i sentimenti che si sono condivisi con lui

I sepolcri sono fonte di civiltà, infatti sono nati quando l'uomo è diventato civile

Dai sepolcri è nata la poesia perché si rifà ad Omero l'autore dell'Iliade e dell'Odissea, con cui ha trasmesso i 525f51f valori di questi eroi e quindi la poesia eterna: l'uomo. Foscolo vuole che la poesia eterni e simuli l'animo umano.

Le urne dei forti accendono le anime dei forti, cioè se possediamo una sensibilità, davanti al sepolcro di un grande uomo sentiamo i suoi valori. È come se la tomba parlasse con noi.

Foscolo sostiene di non aver bisogno di Dio per eternare l'uomo, perché crede che una vita vissuta con alti principi morali non verrà mai dimenticata soprattutto se quella persona è stata grande nella storia: verrà immortalata dalla poesia.

L'ultima sua opera, che però non terminò di scrivere, è " Il poema delle grazie ": non riesce o forse non vuole terminarlo, perché con le grazie conclude una poesia educatrice, fa della poesia una consolazione dell'anima.























































E' una delle più grandi poesie della letteratura italiana. L'argomento è di carattere romantico e si sente molto l'eroticità; fatale è il destino e ciò che si deve verificare. Definisce la morte " fatale quiete " e quindi non si può non viverla: questa era una visione che aveva anche Alfieri. Sente la morte come qualcosa che allontana l'uomo dalla sofferenza. Questa è un'accettazione che si verifica più sovente per le persone materialiste, atee e non da coloro che credono in Dio. Successivamente usa la parola " cara " che ci comunica affetto e serenità, perché la morte è qualcosa che lui invoca, vuole. Fa un confronto poetico: mentre nei primi versi descrive le serate estive usando termine di quiete e serenità facendo sentire la " i ", nei versi successivi descrive le serate invernali che sono inquietanti ed immediate usando la parola " tenebra lunga " , cioè che avvolge tutto. Usa in continuazione " scendi " che è un termine forte proprio per farci capire che invoca, vuole la morte. Qui dobbiamo confrontare la parola " invocata " con " cara " dei versi precedenti per farci capire che invoca qualcosa di dolce che svela l'interiorità del poeta. La natura fa da sfondo ai sentimenti dell'uomo.




Il calare della notte provoca meditazione perché la sera è simbolo di morte. Foscolo sente che il suo pensiero spazia da questa immensità che lui definisce " reo tempo " , cioè un tempo colpevole che non dà gioia. Sente che questo tempo fugge e porta con sé le paure, le ansie; con la sera arriva dunque anche la pace che lo proietta in un luogo di pura serenità. Quando dice " io guardo la tua pace " si riferisce al suo spirito ribelle, guerriero. Negli ultimi versi contrappone l'angoscia con la passionalità dicendo che alla fine della sera tutti dormono.







































Nelle prime quartine descrive la condizione di vita di Foscolo: fugge perennemente a causa dei problemi politici ed ha notizie della morte di suo fratello. " Un dì " non ha nessuna indicazione temporale precisa proprio perché non sa se potrà andare a piangere sul sepolcro del fratello defunto. " Pietra " indica il sepolcro: i critici mettono in evidenza l'aggettivo possessivo che accompagna la parola pietra " tua ", che dà calore in contrapposizione al senso di freddo della pietra. Lui era molto legato al fratello che si uccide a vent'anni, la giovinezza viene infranta: è una tragedia per Foscolo.


La madre ora è protagonista, la figura centrale; è invecchiata prima del tempo per la grande sofferenza che ha per i suoi figli: uno è morto e l'altro è in esilio. Lei parla, ha una possibilità di colloquio: vuole parlare del figlio che gli è rimasto alle sue spoglie. Qui abbiamo una contrapposizione PARLA - MUTO. Si crea la corrispondenza d'amorosi sensi, è come se su quella tomba si fosse ricostruita la famiglia. Subito dopo usa la parola " ma " che significa contrapposizione: ormai è privo di illusioni al contrario di prima quando il suo spirito era guerriero. In questo momento, lontano dalla sua terra, ha due sentimenti: il fato gli è stato avverso ed è vissuto in grande angoscia come suo fratello. Non gli rimane altro che sperare nella quiete della morte: Foscolo la interpreta come quiete, gli rimane soltanto questa speranza. In questo verso c'è tutto se stesso, la sua amarezza. Dice " straniero " perché non è partecipe dei suoi ricordi, si sente solo. Ha una sola invocazione: vuole che il suo corpo sia portato alla madre perché aveva la grande paura che nessuno andasse a piangere sulla sua tomba. Il sonetto si conclude con l'immagine della madre protagonista.







































È una poesia in cui già dall'inizio si capisce che è di Foscolo per la scelta dei vocaboli che indicano assolutezza. Ha certezza che non potrà mai più tornare nella sua isola, dove è nato; usa il termine " sacre sponde " perché la patria è una delle illusioni di Foscolo, è un simbolo religioso. L'altra, ma più improbabile,  possibilità è quella di essere partecipe di una divinità, cioè questa è l'isola dove sarebbe nata Venere, dea della bellezza e dell'amore; infatti questa ha impresso alle sue isole bellezza e fecondità tanto che questo splendore fu cantato dal potente verso di Omero.

Vi sono aggettivi possessivi, l'isola è parte di Foscolo: porta il senso della sacralità e del possesso. Gli appartiene perché sente tutta la cultura classica greca.

In tutto questo è neoclassico, fa un tutt'uno tra classicità e mito, ne fa parte integrante della poesia. Dice    " acque fatali " perché parla di Ulisse che fu costretto a stare lontano dalla sua patria per molto tempo. Parla della diversità del suo esilio con quello di Ulisse: mentre Ulisse è ritornato ricco di esperienza e di fama, Foscolo non potrà mai più tornare a Zacinto come detto nel primo verso.

L'interpretazione che Foscolo dà di Ulisse è romantica, quasi originale perché è visto come un uomo che soffre e non come un mito; il destino gli è stato avverso.

Negli ultimi versi appare la desolazione di Foscolo: può soltanto scrivere una poesia per la sua terra. Inoltre accentua il senso di possesso ed il legame affettuoso che ha con la sua terra dicendo " materna ". Usa il " noi" per imprimerci il senso di sofferenza e non di potere come si usa per i re ed i potenti.







































Una Carme è un componimento poetico scritto con alti intenti morali ed educativi.


Il sonno della morte è forse meno terribile all'ombra dei cipressi e dentro ad un sepolcro confortato dal pianto.


Foscolo non si fa domande retoriche: la morte è meno terribile se vi è un sepolcro ? Sceglie parole che non danno l'idea della tragicità; questa tragicità la sposta sulla parola " sonno " e quindi ne attenua il concetto. Non dà immagini cupe, infatti usa il termine " urna " che vengono confortate dal pianto dei propri cari.


Quando il sole non feconderà più questa terra perché non lo potrò più vedere e quando non avrò più futuro né ascolterò l'armonia della tua poesia né potrò parlare di poesia e d'amore unica consolazione in questa vita; quale conforto sarà in questi giorni perduti un sasso, un sepolcro che distingua le mie ossa da tutte le altre infinite che la morte semina per terra e per mare ?


In questi versi Foscolo definisce la vita, tutto quello che c'è di bello e di cui la morte ci priva. Parte dall'immagine del sole simbolo di calore, energia, di vita: quando la morte colpisce il sole non si vede più. Al sole si aggiunge l'immagine della natura che svanisce con la morte; alla vita come simbologia si proietta il futuro. Le ore non danzeranno più davanti a lui, non avrà più futuro ed illusioni che sono componenti fondamentali della vita. Perde anche l'amicizia; per ultimo si riferisce a se stesso dicendo che perderà l'amore e la sua poesia. L'amore fece vivere Foscolo come uomo e come poeta; dice " sasso " che si contrappone alla parola " urna ", perché il sasso è freddo. Lui deve essere distinto da un destino comune di morte, usa il verbo " seminare ": anche se dalla semina nasce qualcosa da qui non nascerà mai niente( pensiero materialista di Foscolo ).


È vero Pindemonte ! Anche la speranza ultima dea fugge i sepolcri e tutto ricopre l'oblio. Una forza operosa affatica le cose di moto in moto: l'uomo, le tombe ogni cosa che appartiene al creato il tempo travolge.


" Speme " è scritto maiuscolo perché la speranza accompagna sempre gli uomini nella vita; ora, nella morte, non c'è più. Scappa anche lei di fronte alla morte. Con speme si rifà ad un mito, dove solo la dea Speranza era rimasta sulla terra per confortare gli uomini, mentre gli altri dei erano saliti sull'olimpo. Rimane solo l'oblio; c'è una forza operosa, attiva, che conduce alla dissoluzione della materia. Allora sembra che il tempo travolga tutto quello che l'uomo crea sulla terra: in questi versi vi è il vero pessimismo foscoliano.


Ma perché l'uomo non deve superare il confine di Dite e privarsi dell'illusione di poter vivere oltre la morte ?


Si chiede perché l'uomo si deve privare della sua ultima illusione; lui è consapevole che è solo un'illusione la speranza di vincere la morte, cioè Dite. Il sepolcro è la mediazione tra la vita e la morte; molti critici sbagliano dicendo che è una poesia di morte, perché è di vita dato che insegna a combattere la morte ed a proporsi agli altri con dei valori.




L'estinto non vive forse anche sotto terra quando non partecipa più dell'armonia del giorno se può ridestarla attraverso il ricordo dei pochi cari ?


L'estinto non può più conoscere la luce, ma può trovare conforto grazie al colloquio interiore che c'è tra chi viene a piangere ed il sepolcro.


Divina è questa corrispondenza d'amorosi sensi, ma dote divina presente negli uomini. Spesso grazie a lei si vive con l'estinto e lui con noi. Se la terra pietosa che lo ha raccolto bambino e lo ha nutrito gli porge l'ultimo asilo e rende sacri i suoi resti togliendoli alle intemperie. Così il sepolcro conserva il nome mentre all'intorno i fiori emanano profumi e gli alberi con le loro ombre consolano le ceneri.


Dice " celeste è questa corrispondenza d'amorosi sensi " per farci capire che negli uomini c'è una dote divina che fa nascere questa corrispondenza d'amorosi sensi, che provoca l'immortalità dell'estinto.


Solo colui che non lascia un'eredità di sentimenti non ha gioia nel sepolcro. E se dopo le esequie guarda, vede errare il suo spirito all'inferno oppure nel perdono di Dio. Ma i suoi resti sono abbandonati alle ortiche dove nessuna donna innamorata pregherà, ne un passeggero solitario potrà udire il brivido che la natura del sepolcro ci invia.


Solo chi non ha lasciato persone che lo amavano non ha gioie nella tomba: non è servito a nulla nella vita. Critica dicendo che anche se fosse stato un buon religioso non sarebbe servito a niente nella vita, perché nessuna donna innamorata verrà a piangere sulla sua tomba. Questa è una condanna terribile per l'uomo. Da quel sepolcro non potrà nascere nessuna corrispondenza di amorosi sensi, è come se venisse interrotto il ciclo stesso della vita.


Eppure una nuova legge impone che i sepolcri si costruiscano al di fuori della città, contestando anche i nomi ai morti.


Qui si riferisce alla legge di Sencrù che aveva emanato Napoleone.


E senza tomba giace il tuo sacerdote Talia, che a lungo ti ha amata e ti ha onorata e tu lo contraccambiavi col sarcasmo che criticava il nobile lombardo a cui è piacevole soltanto l'ozio e le vivande.


Il sacerdote di cui parla è Parini. Sono state fatte due interpretazioni: 1) effettivamente Parini era un sacerdote; 2) Parini è sacerdote di poesia, perché la poesia è quella mediazione che rende immortale l'uomo, come fa il vero sacerdote con la parola di Dio. Talia era la musa della poesia satirica, infatti " Il giorno " di Parini è un poema satirico. Successivamente abbiamo varie metafore che si riferiscono ad un personaggio della Bibbia che viveva nei vizi, nell'ozio che viene paragonato al nobile lombardo visto in Parini.


Dove sei, non sento spirare l'ambrosia, segno della tua divinità, fra queste piante dove siedo ricordando la mia terra.


Questo perché Parini è stato sepolto in una fossa comune.


E tu venivi e lo spiravi presso quel tiglio che ora spogliato delle sue foglie trema, perché non ricopre il sepolcro del Parini a cui, in vita, fece ombra. Forse tu cerchi fra le tombe comuni dove riposi il sacro capo di Parini.


Poeticamente è molto bella l'immagine di questo tiglio sotto cui Parini andava a riposarsi; ormai non può più dare il conforto che era solito dare a Parini. Usa il termine " sacro " che si può confrontare col termine " sacerdote ", cioè la sacralità del sacerdote con quella del poeta.


La città di Milano amante soltanto di cantori evirati non ha costruito per il Parini un sepolcro, forse le sue ossa sono insanguinate dal capo mozzato di un ladro che ha scontato sul patibolo i propri delitti. Fra gli sterpi e le macerie si sente raspare una cagnia affamata che ulula, da un teschio abbandonato uscire l'upupa che svolazza per la funerea campagna e l'immonda accusa col proprio grido i raggi delle stelle che hanno pietà delle sepolture dimenticate.


Nei primi versi fa una critica nei confronti di Milano senza timore: dice che la città è solo amante dei poeti evirati e non si rende conto che Parini ha educato moralmente la città. Ha lasciato il suo corpo all'abbandono. Successivamente descrive il sepolcro come lugubre, angosciante perché è qualcosa di terrificante; porta l'immagine del ladro che è sepolto vicino a Parini e che è vissuto sempre nell'immortalità. Nei versi successivi Foscolo subisce l'influenza del preromanticismo inglese, dove vi erano leggende sui castelli, sui fantasmi. Questo senso di angoscia è determinato dai vocaboli che Foscolo usa. Il termine " ulula " è messo per indicare che il cane è triste, sente la morte; si collega al termine " upupa " perché deve dare un senso sempre più angoscioso. Non appare nessun segnale di luce, anzi accusa i raggi lunari. A questa angoscia aggiunge ancora il termine " funerea campagna ".


Invano preghi perché scenda un conforto sul tuo poeta. Non può sorgere fiore dove non vi sia il compianto degli uomini.


È inutile chiedere un conforto perché non c'è l'individualità dell'uomo. Il suo corpo è unito con molti altri nel sepolcro, che è simbolo, per Foscolo, di città. Qui finisce la prima parte del poema.


Dal giorno in cui l'uomo ha istituito il matrimonio si è dato delle leggi ed una religione, ha anche seppellito i propri cari, togliendo alla natura il compito della distruzione.


Dice chiaro che le fonti di civiltà per l'uomo sono state il matrimonio e quindi la famiglia è il primo nucleo sociale; dopo hanno istituito le leggi, un tribunale; l'ultima istituzione che distingue e rende civile l'uomo è la religione e da lì ha iniziato a seppellire i cadaveri. Il cimitero nasce come civiltà: prima l'uomo non si differenziava dagli animali, ma poi è nato il senso della pietà. Qui Foscolo subisce l'influenza di un filosofo napoletano del '700: Giovan Battista Vico. Secondo Vico la storia del creato è parallela alla storia dell'uomo e questo evolversi si divide in tre fasi: 1) si riferisce all'uomo dicendo che è un bestione tutto senso, perché quando nasce vive di sensazioni e bisogni fisiologici; 2) l'uomo inizia a sentire con animo perturbato e commosso, inizia cioè a provare sentimenti, ad identificare la madre; 3) nasce la razionalità, completa il suo sviluppo: nasce l'equilibrio tra sentimento e ragione. Storicamente la prima è l'epoca degli Dei, la seconda quella degli eroi e la terza quella degli uomini in cui prevale la ragione. Sempre Vico afferma che il progresso è costituito da corsi e ricorsi storici, perché l'uomo è partito dal punto zero, è progredito ed ha poi iniziato a ritornare al punto di partenza. Questo nuovo punto di partenza è solo simile al precedente perché l'uomo non dimentica la ragione, quindi la storia non va eliminata.


Un tempo le tombe erano testimonianza di gloria ed al pari per i figli. Sulle tombe si giurava e da esse usciva il vaticinio dei lari, religione che con riti diversi tramandava nei secoli la virtù patria e la pietà per i propri cari.


Dicendo " un tempo " si riferisce all'epoca classica dei latini e dei greci. Ha uno sguardo di ammirazione e ci dice una verità: una volta le tombe erano degli altari, i corpi venivano cremati ed a ceneri raccolte si tenevano in casa ed adorate, perché i lari erano protettori della famiglia. Su questi si giurava o si tenevano i responsi ossia vaticinare, prendere il futuro. Era una religione che si tramandava nei secoli. In questi versi Foscolo cambia tono, ora è più colto, dotto.


Non sempre le tombe hanno fatto da pavimento alle chiese né il lezzo dei cadaveri ha contaminato coloro che andavano a pregare né le città apparivano effigiati da scheletri. Le madri balzavano dal sonno richiamate dal pianto dei propri bambini terrorizzati dall'angoscia di una persona morente che chiedeva una preghiera venale ai sacerdoti.


Foscolo descrive la sepoltura cristiana dando, a chi legge, un senso di angoscia, di paura perché secondo Foscolo la religione cristiana tende a far impazzire gli uomini attraverso la dannazione. La Chiesa mette in evidenza la putrefazione, il peccato dell'uomo; un tempo si usava dipingere sui muri la morte dell'uomo. Ricordano all'uomo che dovrà subire la sua condanna. C'è una critica forte perché la Chiesa è fatta sul denaro: qui Foscolo puntualizza e fa una critica forte nei confronti di questa religione.


Ma cipressi e cedri impregnavano l'aria di profumi e proteggevano con le loro ombre i sepolcri a memoria perenne. Vasi preziosi raccoglievano le lacrime dei congiunti: sembrava che gli amici rapissero una favilla del Sole per illuminare la notte sepolcrale perché gli occhi dell'uomo morendo cercano il Sole ed esalano l'ultimo respiro guardando quella luce che fugge. Le fontane versavano acque lucenti; sulle funebre zolle crescevano fiori e le persone venivano a raccontare le loro pene e dall'intorno sembrava di sentire i beati elisi ( regno degli dei ).


Queste immagini si contrappongono a quelle precedenti. Qui si riferisce alla sepoltura pagana che lui stesso ammira. L'ombra degli alberi che consola il sepolcro, le fontane con acque limpide e lucide danno conforto. È come se la vita stessa sorgesse sulla morte, come se avesse la vittoria sulla morte. È l'immagine di gioia, di vittoria, anche se c'è dolore non c'è ombra, buio. La consolazione non c'è nella religione cristiana, invece qua sì.


Pietosa illusione che rende cari i cimiteri inglesi dove le ragazze vanno a piangere sulla tomba della madre perduta. Dove i geni pregarono per il ritorno del prode che si scavò la bara tagliando l'albero maestro dell'ammiraglia.


In Inghilterra c'è sempre stata religiosità nel sepolcro. I " geni " erano gli dei protettori della patria. Qui Foscolo menziona la leggenda che si racconta di Orazio Nelson.


Dove riposa la passione delle gesta eroiche e governino lo stato, la ricchezza e la paura; i momenti funebri non sono altro che immagini infernali.




Fa un'aperta critica alla politica italiana dicendo che domina soltanto la ricchezza e la paura, l'incapacità di organizzarsi, di formare uno stato. quando dice che " non esiste una nazione " significa che le tombe non servono perché non hanno nulla da esprimere, sono solo immagini di morte.


L'intellettuale e la nobiltà che un tempo furono la gloria dell'Italia benchè vivi è come se fossero morti nei loro palazzi. Unico segno rimane lo stemma. La morte ci dia un meritato riposo, per una volta la fortuna cessi di combatterci e l'amicizia raccolga quindi non un'eredità materiale, ma morale.


Ora afferma che al potere vi erano gli intellettuali ed i nobili non hanno più quella forza di un tempo, la loro vita non ha più senso ora. L'unica fonte che ricorda la loro gloria è lo stemma del casato; fa quindi una critica forte nei confronti della società. Usa ancora quel " noi " ed afferma che alla morte non lascerà dei beni materiali, ma insegnamenti morali. Usa poi la parola " fortuna " nel vero senso latino del termine, che significa tempesta, quindi qualcosa di negativo. Qui finisce la seconda parte dei sepolcri.


I sepolcri dei grandi accendono l'animo dei forti e rendono bella la terra che li riceve.


Questi sepolcri ispirano gli uomini forti che hanno forte personalità e sensibilità; questi sono in grado di sentire a cosa è servita la vita di quell'uomo e non restano indifferenti davanti al sepolcro.


Quando vidi il monumento dove riposa il capo di colui che insegnò a regnare ai principi svelando di quale violenza è costituito il potere ed il sepolcro di colui che alzò in Roma agli Dei celesti un nuovo Olimpo e di colui che vide ruotare nel cielo più costellazioni ed il Sole illuminabile tanto che le sue teorie furono la base per gli studi scientifici di Newton. Te beata! Gridai per l'aria felice che si respira e per le acque che dall'Appennino sgorgano verso di te.


Parla del monumento di Santa Croce in Firenze e della tomba di Macchiavelli, colui che ha insegnato a governare ai principi; la seconda è quella di Michelangelo menzionandone la Cappella Sistina sua opera principale. La terza è quella di Galileo che ha sviluppato le prime conoscenze scientifiche che hanno dato la base a Newton.


La Luna riveste di luce limpidissima le tue valli popolate di case, di uliveti che mandano al cielo i profumi di mille fiori e tu per prima Firenze hai sentito la poesia del ghibellino fuggiasco e tu, i genitori e la lingua, hai dato al poeta di Calliope che ha trasformato l'amore passionale cantato nella classicità in un amore spirituale riconsegnandolo alla Venere Celeste.


Si riferisce a Firenze dove è nato Dante, chiamandolo ghibellino fuggiasco perché Dante scrisse un testo " De monarchia " in cui parlava del fatto che l'imperatore dovesse avere la sua autonomia all'interno dello stato dalla Chiesa. Significa che si rivolge ad un potere imperiale. Subito dopo si riferisce a Petrarca che attraverso " Il canzoniere " ha parlato di un amore celeste, spirituale; ha trasformato il concetto che si aveva dell'amore nella classicità dove si cantava l'eroticità in un'elevazione spirituale dell'amore.


Ma più beata ancora Firenze perché raccogli in un tempo tutte le glorie italiane, le uniche rimaste del momento in cui l'avvicendarsi della storia ha fatto sì che tutto fosse invaso, meno la memoria del passato. Se gli italiani spereranno ancora di poter risorgere è di qui che trarranno il loro futuro di patria. In questi luoghi venne spesso Vittorio Alfieri che contro gli dei errava silenzioso nei luoghi più deserti, ammirando il paesaggio, niente di ciò che vedeva attenuava il suo dolore, morte e speranza si dipingevano sul suo volto. Con questi grandi abita per sempre e dal suo sepolcro si sprigiona l'amor patrio.


In questi luoghi c'è l'interpretazione romantica della storia, come diceva Vico: niente va dimenticato. In seguito menziona Alfieri nel momento giusto, perché fu colui che parlò di tirannide e che combattè contro il suo secolo. Coglie la solitudine di Alfieri ed il suo carattere così fiero e contestatore. Usa il termine " abita " come se fosse vivo, presente, perché lui ispira il senso della patria dando un valore all'Italia.


Da quella pace parla un Dio, quello stesso Dio che ha consacrato tombe agli eroi ateniesi nella battaglia di Maratona contro i Persiani. Colui che visitò questi luoghi ha sentito nella notte il cozzare dei brandi, ha visto gli elmi balenare e le cataste funebri bruciare. Larve di guerrieri cercare la battaglia. All'orrore del silenzio notturno il contrapporsi delle falangi, l'incalzare dei cavalli, il pianto, gli inni ed il canto delle parche.


Menziona un fatto storico del 490 a.c. quando Milziade ha combattuto contro i Persiani, in cui tutti i greci sono morti, ma i Persiani non sono passati. Qui si sente la virtù greca. Da un'immagine di questa battaglia dicendo " balenare degli elmi ", " cozzare delle spade ". La notte è terribile perché vi erano la cataste che bruciavano i cadaveri, poi la tragicità del giorno in cui si uccide. Si riferisce poi al pianto ed agli inni che incitavano l'esercito, menziona poi il canto delle parche perché gli antichi dicevano che esistevano tre parti: 1) la nascita; 2) tesseva il filo della vita; 3) taglia il filo della vita.


Felice Ippolito, perché nella giovinezza hai solcato questi mari ? Se il comandante della nave ti ha condotto oltre le isole Egee, certo hai sentito narrare di antichi fatti quando sopra il sepolcro di Aiace la marea portò le armi di Achille. Poiché la morte è dispensatrice giusta di gloria, né l'astuzia né il favore dei re conservarono ad Ulisse le armi di Achille perché esse furono portate via dall'onda incitata degli Dei.


Si riferisce ad un mito classico: l'Iliade. Si narrava che Ulisse avesse voluto le armi di Achille che non gli aspettavano, perché del più grande eroe greco al momento, Aiace. Però il favore del re ha fatto si che queste andassero ad Ulisse; allora gli Dei fecero sì che le armi cadessero in mare ed andassero al giusto proprietario. La giustizia appartiene alla morte e non alla vita. Qui finisce la terza parte dei sepolcri.


Ed io che i tempi storici ed il desiderio d'onore fanno andare fuggitivo fra la gente diversa, le muse animatrici del pensiero mortale mi invochino per esaltare gli eroi. Esse custodiscano i sepolcri e quando il tempo trascorrendo spazza via ogni ricordo, le muse col loro canto rendono lieti questi luoghi e l'armonia vince il silenzio dei secoli.


Fin dall'inizio Foscolo dice che è stato un uomo che ha sofferto, il desiderio della fama lo ha distinto dagli altri: desidera essere onorato; proprio per questo lui invoca le muse che lo ispirino per trarne gloria, perché la funzione delle muse è quella di custodire i sepolcri dove c'è la morte. Nonostante questo la poesia che si sprigiona dal sepolcro vince il silenzio della storia.


Oggi in questi luoghi deserti splende eterno un luogo reso tale da Elettra, amata da Giove a cui diede un figlio da cui discesero i fondatori di Troia, Priamo e le cinquanta nobili famiglie. Quando Elettra sentì la morte invocò Giove dicendogli: se mi hai amata, se ti sono state care le mie notti d'amore ed il destino non mi consente un premio migliore, la morte almeno mi sia amica. Così pregando moriva.


Racconta la leggenda di Troia menzionando Priamo, padre di Ettore ultimo re di Troia. Successivamente parla delle muse che non potevano mutarsi in divinità, quindi vogliono l'immortalità attraverso la poesia.


Giove versò ambrosia sulla ninfa e quel corpo e quella tomba divennero sacri. Qui si posarono i fondatori di Troia; qui le donne troiane venivano a piangere sul destino di morte dei propri uomini. Qui Cassandra prediceva il destino mortale di Troia ed insegnava ai propri nipoti un canto di dolore: " se mai vi sarà possibile al ritorno dalla schiavitù greca invano cercherete la vostra patria ". Le mura opera di Apollo saranno distrutte ma gli eroi troiani troveranno riposo in queste tombe. È un dono degli Dei conservarne il nome.


Giove ascolta l'invocazione di Elettra. Successivamente menziona Cassandra, sacerdotessa figlia di Priamo, amata dal dio Apollo che non è contraccambiato. Per vendetta lui le dà il potere di vedere nel futuro, ma anche la sfortuna di non essere creduta. Insegnava ai nipoti questo canto perché i figli dei re non venissero uccisi; svela a loro che saranno privi di patria perché questa sarà distrutta.


E voi palme e cipressi crescerete presto a causa del dolore vedovile; colui che si asterrà dall'abbattere le fronde dei vostri alberi non avrà lutti consanguinei e potrà ancora avvicinarsi all'altare. Un giorno vedrete un cieco povero errare fra queste antiche orme e brancolando penetrare nei sepolcri abbracciarli, interrogarli. Allora tutti narreranno la storia di Troia due volte distrutta, due volte ricostruita ancora più splendida per rendere il massimo trionfo agli eroi greci.


Quando dice " un dì vedrete. cieco errar " si riferisce ad Omero, che visitando questi luoghi racconterà la storia degli eroi greci. Con la poesia immortalerà le gesta degli uomini, ed inoltre consolerà. Successivamente si riferisce a due episodi: 1) la città fu distrutta da Ercole 2) distrutta dalle amazzoni, donne guerriere. Ogni volta fu ricostruita sempre più grande perché doveva sopraffare gli eroi greci. Quando dice " palme e cipressi " si riferisce agli eroi greci che se non morivano in battaglia venivano condannati dagli Dei al ritorno in patria. Qui non c'è più niente di neoclassico.


Omero placando con la poesia queste esume, eternerà per sempre i principi greci su tutte le terre segnate dall'oceano. E tu Ettore sarai onorato in tutti quei luoghi in cui si combatte per la propria patria, finchè il sole risplenderà sulle sciagure umane.


Omero non è mai menzionato col proprio nome, lo dà per scontato. Torna il concetto del sacerdote che crea immortalità. Dice " argivi " che derivano da argo, che era la Grecia; non parla di troiani, ma di vinti e di vincitori. Poi menziona il grande oceano perché tutte le terre emerse conosceranno la storia di Troia. Per ultimo menziona Ettore e non Achille perché è lui il vero eroe; Ettore sa che va in contro alla morte e cerca di scappare, ma poi ci ripensa e combatte con coraggio. Per questo è stato scelto Ettore, perché è umano. La chiusura è stupenda perché menziona il sole con cui aveva iniziato; vi è la consolazione della poesia che rende immortale qualsiasi gesta dell'uomo.


















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