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Saggio breve su Hegel, Fichte e Schopenhauer

letteratura



Saggio breve su Hegel, Fichte e Schopenhauer.

evidenziando, dei vari autori: la concezione dell'uomo, la concezione della storia, la concezione della filosofia e della soggettività)


A partire da Kant, i filosofi si sono orientati verso uno studio dell'uomo come soggetto, parte della storia, relazionato agli altri uomini, ma in senso più "umano" del passato. Fichte, Hegel e Schopenhauer partivano, infatti, da una concezione di uomo come parte del mondo, ma da una concezione di mondo fenomenico diversa da quello che in realtà è il mondo in sé, ma che l'uomo filtra attraverso i sensi distorcendone la visione.

Per Fichte, l'uomo è soggetto che vuole, è facoltà pratica, è dunque IO. Tutto il resto, tutte le scelte che l'uomo fa, compresa la so 111e42b cietà che si crea e le leggi che attribuisce alla natura, sono il non-io. Il non-io limita la libertà dell'uomo e per ciò il soggetto è in conflitto con esso. Ogni uomo è IO, dunque ogni uomo è partecipe dell'umanità. Partecipare all'umanità è il compito di ogni individuo che viene al mondo. Ciascun individuo (IO empirico) contribuisce all'umanità e alla storia (IO puro). L'obiettivo degli uomini è quello di diventare uomini, e far sempre più parte dell'umanità libera.

Per Hegel, l'uomo è soggetto che, innanzitutto, si trova a fare i conti con la propria epoca storica. Ogni uomo incarna l'umanità, eppure ne è soltanto una parte; non esiste nessun singolo che sappia incarnare appieno l'umanità, come non esiste alcun avvenimento storico che non sia relazionato ad altri in un'epoca, in un INTERO dunque. I fatti singoli ci sono, come ci sono i singoli uomini, ma essi fanno parte di un costrutto più ampio che li accomuna, i fatti nelle loro epoche, gli uomini nelle loro epoche. ma soprattutto nell'umanità. La storia per Hegel è dunque una spirale, come tanti cerchi aperti che lasciano intersecarvisi altri cerchi. Ciascuno di questi cerchi è come se fosse un'epoca storica, un intero, con i suoi singoli avvenimenti ma con un suo senso complessivo. L'uomo hegeliano non comprende il senso della propria epoca fino al momento in cui essa non è finita, non ne è in grado. La storia non è fatta di cerchi chiusi perché lo spirito deve rielaborarsi ed ogni volta si rinnova alla fine di un'epoca per il principio di un'altra, diversa e più avanzata. Secondo Fichte, invece, la storia può essere paragonabile a una linea retta, che va sempre avanti con il rinnovamento del non-io e con la determinazione dell'IO. Sembrerebbe un ciclo, o un circolo vizioso lo STREBEN, secondo il quale l'IO che è in conflitto con il non-io vi si oppone, lo nega (in senso storico può voler dire anche fare la rivoluzione), si riappropria dell'IO, determina il non-io, dunque ridetermina sé stesso (l'IO è dunque sia indeterminato che determinato, finito ed infinito), poi si oppone di nuovo al non-io, lo nega e il tutto ricomincia. Ma, anche qui, la storia si rinnova e va avanti.



Secondo Hegel solo una volta finita un'epoca la si può comprendere, e solo una volta finita su di essa può essere fatta filosofia, che è il massimo grado di consapevolezza. Il filosofo è colui che riesce a prendere una piena consapevolezza di sé una volta finita un'epoca, e proprio perché ogni epoca viene compresa solo una volta terminata, la piena coscienza diviene parziale di fronte all'avvento di un'epoca nuova. L'uomo comune soffre, ma non sa il perché della propria sofferenza, mentre invece il filosofo riesce a carpire la contraddizione, caratteristica fondamentale della storia, che innesca i meccanismi del principio e della fine delle epoche. La contraddizione viene individuata dall'intelletto, ovvero le sue diverse, antitetiche componenti sono da esso individuate, ma è poi, alla fine, la ragione che riesce ad unirle e a vederle insieme. Dunque, l'uomo di Hegel è dominato dalla Sehnsucht, la nostalgia, il disagio nei confronti del proprio tempo, l'impossibilità di comprenderlo prima che i tempi siano maturi, e quindi soffre. Si è persa la coscienza della polis antica, si è persa l'armonia che nel mondo antico univa l'uomo alla natura, alla coscienza comune, agli altri uomini. Eppure, non c'è un'aspirazione attiva per far tornare tutto ciò a come era prima, anzi si ha il senso dell'irreversibilità. Si può tentare di ricostruire quell'unità perduta, ma solo temporaneamente. Infatti l'uomo antico è perduto e l'uomo è ormai irreversibilmente individuo. Infatti, l'individualità emersa dalla crisi dell'uomo antico non costituisce soltanto una perdita, ma anche un arricchimento; sì, è stata persa quell'armonia e quell'eticità insita, ma si è presa la consapevolezza della propria identità, della libertà che non è più quella della polis, ma una libertà portata dall'individualità. L'uomo antico non aveva una propria anima, la sua anima era la polis, mentre invece l'uomo moderno scopre se stesso e la sua infinita capacità di essere libero. Hegel, parlando appunto dell'autocoscienza, fa una distinzione tra servi e padroni. Il padrone ha coscienza di sé come tale in quanto c'è un servo che, per non mettere a repentaglio la propria vita, ha deciso di obbedire. Il servo ha invece coscienza del suo stato di servitù in quanto c'è un padrone che lo comanda, che gode del suo lavoro e che ha messo a repentaglio la sua vita "lottando, fino alla vittoria". Ma, alla fine, la storia è fatta dal servo e non dal padrone, che gode passivamente di ciò che sembra arrivargli dal cielo. Il servo lavora, si sporca le mani, conserva e cambia le cose. Ed è questo che lo libera dalla condizione di servo, perché è proprio lui che fa la storia. Dunque, è il lavoro che libera.

La libertà intesa invece da Fichte è un diritto ma anche un dovere di tutti gli uomini, e consiste nella libertà di legiferare da soli. La soggettività di Fichte è quindi la libertà, l'IO libero e indeterminato capace di autolegiferare. Poiché L'IO è soggetto, un soggetto che si determina attraverso l'enunciazione di leggi è libero. Per questo la società è nemica del singolo uomo, perché essa a tutti regole fatte da altri. Il conflitto non è dunque più tra l'uomo empirico e l'uomo intelligibile, ma Fichte sposta l'attenzione all'esterno e pone come nemici dell'uomo la politica e i costumi che limitano la libertà dell'uomo. Fichte non riconosce a nessuna autorità esterna il diritto di legiferare sull'uomo, che deve invece vivere secondo la ragione. La conformazione non è il comportamento di un uomo libero; se l'uomo si adatta alle consuetudini ricade nell'animalità, secondo il filosofo.



Schopenhauer è il filosofo che differisce da questi primi due (e per questo ho deciso di trattarlo distaccatamente) in quanto il suo pensiero è dominato da due parole chiave: pessimismo e irrazionalismo. Infatti, l'uomo di Schopenhauer è un pupazzo messo in mano dal caso alla volontà di vivere. Essa è una forza cieca e oscura, che spinge l'uomo ad andare avanti, ma senza motivo. La volontà di vivere non ha una dimensione storico-evolutiva, bensì è una, incorruttibile, e tutti gli esseri che rappresentano nella natura ne sono manifestazione. L'uomo vive, ma il suo punto di partenza e di arrivo coincidono, nel nulla. Un'esistenza senza senso all'ombra del wille. per Schopenhauer nemmeno la storia ha senso, anzi essa è un palcoscenico calcato sempre dagli stessi personaggi, le situazioni non fanno altro che ripetersi. In realtà, il mondo che ci rappresentiamo è il contrario di quello noumenico. Il mondo visto attraverso gli occhi dell'uomo è un "velo di Maya" (chiamato così poiché il filosofo aveva letto scritti orientali da cui era stato affascinato). Questo mondo fenomenico è regolato da tre forme (S. aveva ridotto a spazio, tempo e causalità le 12 forme pure a priori di Kant), e solo da quelle. Il mondo noumenico non è regolato da esse, ma noi non possiamo vederlo poiché esso si trova al di là del velo di Maya. Allora si ha bisogno di squarciare questo velo di Maya. Attraverso la filosofia si può farlo, attraverso le arti e soprattutto la musica, ci si può distaccare dalla volontà di vivere, da quella forza intima che è dentro di noi ma che non possiamo conoscere. La volontà di vivere ci fa provare i desideri ma la nostra condizione umana fa sì che questi desideri non siano altro che danni per chi li prova, in quanto essi non vengono appagati, ma se anche lo fossero si ripeterebbero, e sono quindi i desideri la fonte del dolore e della noia. Per distaccarsi dalla volontà di vivere bisogna reprimere i desideri. L'uomo ha una sola scelta nella sua vita che però determina tutte le altre, e questa scelta è quella di seguire o no la volontà di vivere o distaccarsene. Da questa scelta derivano tutte le altre, ma essa è l'unica vera scelta. Tutto è mascherato dalla volontà di vivere. la vita, che non ha senso e non va da nessuna parte; l'amore, che non è altro che una maschera per nascondere l'istinto della perpetuazione della specie. all'uomo resta solo la scelta se vivere o interrogarsi sul vivere, e secondo Schopenhauer queste due cose non possono accadere insieme.






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