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Pirandello e la Fede

letteratura



Pirandello e la Fede


I nostri studi sul tema "Pirandello e la fede" sono stati effettuati basandoci sull'analisi di alcune novelle della raccolta Novelle per un anno. Il piccolo Luigi, ha un'infanzia molto legata alla religione, e, sin da piccolo, si proponeva di vivere seguendo quanto più possibile il Vangelo, la vita caritatevole la bontà di spirito. Il suo sentimento religioso, così forte e saldo, andò presto in crisi a causa della perdita della fiducia nella Chiesa in seguito ad un atto ritenuto da lui ingiusto, da parte del suo parroco. Tale religiosità è ripresa dallo stesso Pirandello in una delle sue novelle, "La Madonnina" in cui troviamo le vicende più importanti che parlano della fede nella sua infanzia dove si identifica con il personaggio di Guiduccio Greli .


Guiduccio era un ragazzo di nove anni, unico figliuolo maschio della più cospicua famiglia della parrocchia: la famiglia Greli. Il padre beneficiale Fiorìca aveva in cuore da anni la spina di questa famiglia che si teneva lontano dalla santa chiesa, non già perché fosse veramente nemica della fede, ma perché lei, la chiesa, a giudizio del signor Greli (che era stato garibaldino, carabinier 656j94g e genovese nella campagna del 1860 e ferito ad un braccio nella battaglia di Milazzo) lei, la chiesa, s'ostinava a rimanere nemica della patria; ragion per cui un patriota come il signor Greli credeva di non poter metter piede.




Un giorno,mentre il signor Greli,tornato stanco dal lavoro,s'era messo a letto, le campane della chiesa si misero a suonare talmente forte che mandarono su tutte le furie il signor Greli e prendendo il fucile sparò contro di esse.La folla che si trovava davanti la chiesa, indignata dal fatto, s'abbatté sulla casa dei Greli ma il padre Fiorica calmò tutti dicendo che il signor Greli avrebbe donato una campana nuova alla chiesa. Il giorno in cui fu festeggiata la nuova campana Guiduccio entrò per la prima volta nella chiesa. Così ogni giorno partecipò alla canonica, coinvolto dai racconti della storia sacra. Ascoltando le parole di padre Fiorica, Guiduccio notò che spesso non vi era una reale convinzione, tale da provocare in lui la nascita del dubbio logico ovvero il contrasto tra fede e ragione.


Guiduccio andò ogni giorno alla canonica,avido dei racconti della storia sacra. E il padre beneficiale Fiorica, vedendosi davanti spalancati e intenti quegli occhioni fervidi nel visetto pallido e ardito, tremava di commozione per la grazia che Dio gli concedeva di bearsi di quel meraviglioso fiorire della fede in quella candida anima infantile;e quando, sul più bello di quei racconti, Guiduccio, non riuscendo più a contenere l'interna esaltazione, gli buttava le braccia al collo e gli si stringeva al petto, fremente, ne provava tale gaudio e insieme tale sgomento, che si sentiva quasi schiantar l'anima, e piangendo e premendo le mani sulla terga del bimbo, esclamava:

Oh figlio mio! E che vorrà Dio da te?

Ma si il diavolo stava intanto in agguato dietro il seggiolone su cui il padre beneficiale Fiorica sedeva con Guiduccio sulle ginocchia; e il padre beneficiale Fiorica, al solito, non se n' accorgeva.

Avrebbe potuto notare, santo Dio, una cert'ombra che di tratto in tratto passava sul volto del fanciullo e gli faceva corrugare un po' le ciglia. Quell'ombra, quel corrugamento di ciglia erano provocati dalla bonaria indulgenza con cui egli velava e assolveva certi fatti della storia sacra; bonaria indulgenza che turbava profondamente l'anima risentita del fanciullo già forse messa in diffidenza a casa e fors'anche derisa dal padre e dalle sorelle.



La sua fede viene disillusa dalla vicenda del sorteggio della Madonnina dove padre Fiorica commette un'ingiustizia facendogliela vincere, senza che lui abbia acquistato il biglietto. Dopo questo episodio Guiduccio, così come lo stesso Pirandello, si allontana definitivamente dalla chiesa, pur conservando una notevole sensibilità religiosa, affiancata però dalle idee e dai dubbi di natura razionale, l'eterno conflitto tra scienza e fede. Questo è molto evidente in alcune novelle come Il vecchio Dio, L'avemaria di Bobbio, La Messa di quest'anno, Lo storno e l'angelo centuno, Il sogno di Natale, . In esse, l'autore mette in risalto i vari aspetti del dualismo, e, ne "Il vecchio Dio", narra del signor Aurelio un uomo benestante di media cultura, che, ormai vecchio, si reca nelle chiese, e le osserva in tutta la loro bellezza, e passa dentro di esse tutte le sue giornate. Aurelio riflette a lungo sul conflitto tra scienza e fede, e finisce con l'addormentarsi su una panca della chiesa. Sogna un vecchio, il vecchio Dio che gli viene incontro, e che con lui si sfoga:


Mali tempi, figlio mio!Vedi come mi son ridotto? [.] Hai sentito?Hai letto i libri nuovi? Io, Padre Eterno non ho fatto nulla: tutto s'è fatto da sé, naturalmente, a poco a poco. Non ho creato Io prima la luce, poi il cielo, poi la terra e tutto il resto, come ti avevano insegnato ne' tuoi gracili anni. Che! Che! Non c'entro più per nulla Io! Le nebulose, capisci? La materia cosmica.E' tutto s'è fatto da sé! Ti faccio ridere: uno c'è stato finanche avendo studiato in tutti i sensi il cielo, non vi aveva trovato una neppur minima traccia dell'esistenza mia. Di' un po': te lo immagini questo pover'uomo che, armato del suo cannocchiale, s'affannava sul serio a darmi la caccia per i cieli, quando non mi sentiva dentro il suo misero coricino? Ne riderei di cuore tanto tanto, figliuolo mio, se non vedessi gli uomini far buon viso a suddette scempiaggini. Ricordo bene quand'Io li tenevo tutti in un sacro terrore, parlando loro con la voce dei venti, dei tuoni e dei terremoti. Ora hanno inventato il parafulmine, capisci? E non mi temono più; si sono spiegati il fenomeno del vento, della pioggia e ogni altro fenomeno, e non si rivolgono più a me per ottenere in grazia qualche cosa


Il signor Aurelio riconosce dunque che la fede è insidiata dai dubbi della scienza, che con le sue certezze, spiega tutto quello che prima era considerato un volere di Dio, e non nasconde una certa nostalgia del passato, quando la gente era più umile, come ormai si trova solo fuori dai centri delle città:


Bisogna, bisogna ch'io mi risolva a fare il Padreterno nelle campagne: là vivono tuttora, non dico più molte, ma alquante anime ingenue di contadini, per cui non si muove foglia d'albero se Io nol voglia e sono ancora io che faccio il nuvolo e il sereno. Su, su, andiamo figliuolo! Anche tu qui ci stai maluccio, lo vedo. Andiamocene, andiamocene in campagna, fra la gente timorata, fra le buona gente che lavora.



Aurelio, svegliandosi, rimane stordito, e va via dalla chiesa, come gli è detto dal sagrestano.

Meno nostalgico dei vecchi tempi, è invece il protagonista della novella L' avemaria di Bobbio, Marco Saverio Bobbio, ben noto a Richieri non solo per la sua qualità di eccellente e scrupolosissimo notajo, ma anche forse più per la gigantesca statura. Egli era molto religioso da bambino : ogni mattina andava a messa con la mamma e le due sorelline. Ma gli studi filosofici lo allontanarono via via sempre di più dalla chiesa, fin quando il piccolo e religioso  Marco Saverio che viveva dentro di lui, sembrò essere svanito. O quasi.

I denti, i denti erano la disperazione di Bobbio! Se n'era fatto strappare cinque, sei, non sapeva più quanti, ed un giorno, preso da un fortissimo mal di denti, sulla strada che portava dal dentista, si trovò a recitare l'avemaria in corrispondenza di un tabernacolo, senza accorgersene.


E all'improvviso, un silenzio, un gran silenzio gli s'era fatto dentro; e, anche fuori, un gran silenzio misterioso, come di tutto il mondo: un silenzio pieno di freschezza, arcanamente lieve e dolce. Si era tolta la mano dalla guancia, ed era rimasto attonito, sbalordito ad ascoltare. Un lungo, lungo respiro di refrigerio, di sollievo, gli aveva ridato l'anima. Oh Dio! Ma come? Il mal di denti gli era passato, gli era proprio passato, come per un miracolo. Aveva recitato l'avemaria,e .Come, lui? Ma sì, passato, c'era poco da dire. Per l'avemaria? Come crederlo? Gli era venuto di recitarla così, all'improvviso, come una femminuccia.


Da questo, è noto come il notaio, che rappresenta qui tutti gli uomini di scienza, ripudiasse l'idea del miracolo in quanto non spiegabile come fenomeno scientifico. Ma quest'episodio inizia a mettere in dubbio tutto il mondo di Bobbio, fondato e consolidato sulle sue idee razionaliste, non aperto a nessuna modificazione esterna. Dopo anni, Bobbio ricade nell'"errore" commesso prima, ed, in seguito ad un infruttuosa recitazione dell'avemaria in latino (nata come sfida alle tesi sui miracoli di S. Agostino e Montagne) , lascia per un attimo spazio al piccolo Marco Saverio che risiede ancora in lui, e che si lascia scappare un Oh Maria! Oh Maria!

E Bobbio rimase sbalordito. Quest'ultima, reiterata invocazione non era stata sua; gli era uscita dalle labbra con voce non sua, con fervore non suo

E così il povero notaio Marco Saverio Bobbio, fedele alla razionalità, si ritrova a commettere un atto irrazionale, ovvero a recarsi dal dentista e farsi cavare via tutti i denti. Non voglio di questi scherzi, non voglio più di questi scherzi.



Alla fine quindi, Pirandello mette un po' in ridicolo l'uomo razionale, che ripone una fede cieca nei confronti delle certezze della scienza, e si ritrova poi a commettere atti che, alla luce del ragionamento scientifico, non avrebbero alcun senso logico.

Il contrasto tra logica e fede è molto evidente anche in un'altra novella, la Messa di quest'anno, dove il nuovo curato del paesino di Cargiore, Don Venanzio Grotti è dotato di una cupa logica rinnovatrice, che segue con troppo rigore scientifico gli avvenimenti cristiani. Qui si nota subito che Pirandello non ripone molta fiducia né in don Grotti, né tantomeno nella logica, definendola pompa a filtro, che mette in comunicazione il cervello col cuore.


Il cervello pompa con essa i sentimenti del cuore, e ne cava idee. Attraverso il filtro il sentimento lascia quanto ha di caldo, di torbido; si refrigera, si purifica, si idealizza. Un povero sentimento, destato da un caso particolare, da una contingenza qualsiasi, spesso dolorosa, pompato e filtrato dal cervello per mezzo di quella macchinetta, diventa idea astratta, generale, e che ne segue? Ne segue che l'uomo non deve soltanto soffrire di quel caso particolare, di quella contingenza passeggera; ma deve anche attossicarsi la vita con l'estratto concentrato, col sublimato corrosivo della deduzione logica.


Don Grotti è un prete dotato di queste capacità, ed anzi, non avendo più nulla da pompare e filtrare in sé, pompava e filtrava dal cuore altrui, da quelli degli abitanti di Cargiore, da zia Velia, che racconta come da sei mesi, don Grotti aveva portato lo scompiglio nel paese.


Appena giunto a Cargiore, sei mesi or sono, don Venanzio Grotti, savoiardo, cominciò a spogliar la cura di tutte le delicatezze che le fedeli parrocchiane avevano offerto in dono al vecchio curato defunto - sant'anima. Via tende, via cortine trapunte, via dal letto parato a padiglione, via tappetini di lana, via tutto. [.] e quindi, non contento ancora si mise a spogliare la chiesa. [.] Una stalla: ha ridotto la chiesa ad una stalla! - Perché in una stalla nacque nostro Signore Gesù Cristo.


Un natale vissuto con gli occhi della logica, che vuole perfettamente, con rigore scientifico, ricostruire il Natale il più fedelmente possibile, seguendo troppo alla lettera l'insegnamento di Cristo. A giudizio del protagonista (specchio delle idee dello stesso autore), don Venanzio Grotti pompa e filtra troppo , ed una visione così ragionata della fede, è da evitare, ed infatti la novella termina con l'idea dello stesso protagonista, di rivolgersi al monsignore.

La ricerca di spiegazioni logiche di avvenimenti mistici, o comunque irrazionali, come il miracolo, è molto accentuata nella novella Lo storno e l'angelo Centuno, nella quale, il nucleo del racconto, è la narrazione di un miracolo, avvenuto ad una umile donna, molto religiosa, chiamata "la Poponè".


Campava col suo, facendo novene e recitando rosarii per conto dei divoti che venivano a trovarla fino a casa da miglia e miglia lontano, e la compensavano delle grazie che riusciva a impetrare dalle anime sante del purgatorio, con le quali la notte entrava in comunione


Furono quelle stesse anime che una notte, durante un viaggio dal suo paese a quello vicino della sorella, la scortarono per la strada irta di pericoli.


Non si sentivano nemmeno camminare e non sollevavano neanche un po' di polvere. La Poponè ora li mirava sbigottita, non sapendo che pensarne. Le parevano ombre, sotto la luna; eppure erano veri, soldati veri, sì, col loro capitano là, a cavallo. Ma perché così silenziosi? Il perché lo seppe, quando fu in vista del paese, sul primo albeggiare. Il capitano a un certo punto fermò il cavallo e aspettò ch'ella lo raggiungesse.

Maragrazia Ajello, - le disse allora, - io sono l'Angelo Centuno, di cui sei tanto divota, e queste che ti hanno scortata fin qui sono anime del Purgatorio. Appena arrivata, mettiti in regola con Dio, ché prima di mezzogiorno tu morrai.

Disse e scomparve con la santa scorta. 

[.] E così fu, difatti. Prima di mezzogiorno morì. E tutto il popolo di Favara scasò a vedere la santa che l'Angelo Centuno e le anime del Purgatorio avevano scortata quella notte fino alle porte del paese.


Alla narrazione assistettero Monsignor Celestino Calandra, ed Sebastiano Terilli, un laico con poca fede nei miracoli. Quest'ultimo, appena finita la storia, mise subito in discussione la teoria del miracolo:


-All'anima del miracolo! E' questo il miracolo? E che miracolo è questo?Ma scusate.Miracolo? Perché Miracolo? Ammettiamo tutto: ammettiamo che la poveretta non sia morta veramente di paura, e che quella non sia stata un'allucinazione spiegabilissima in una che credeva di parlare ogni notte con le anime del Purgatorio e con quest'Angelo Centuno; ammettiamo che l'angelo sia apparso per davvero e le abbia parlato. Ebbene? Altro che miracolo! Questa è crudeltà feroce. Annunziare imminente la morte di una poverina! Ma noi tutti, scusate, noi tutti possiamo vivere solo a patto che.


Alle teorie basate su metodo quasi scientifico di Sebastiano Terilli, il Monsignore replicò prontamente:


Ma la fede, la fede! non si doveva tener conto della fede, di cui si nutre e s'appaga la povera gente? Gli uomini così detti intellettuali non vedono, non sanno vedere altro che la vita, e non pensano mai alla morte. La scienza, le scoperte, la gloria, il dominio! E si domandano come faccia a vivere senza tutte queste belle e grandi cose la gente del popolo, quella che zappa la terra e che appare loro condannata alle più dure e umili fatiche; come faccia a vivere e perché viva; e la stimano bruta, perché non pensano che una ben più grande idealità, di fronte alla quale diventano vane e ridicole miserie tutte le scoperte della scienza e il dominio del mondo e la gloria delle arti, vive con certezza irrefragabile in quelle povere anime e rende loro desiderabile come un giusto premio la morte.


E qui, sfruttando il contrasto tra le due opinioni e punti di vista, Pirandello mette in risalto come l'oggettività e la freddezza scientifica possano il più delle volte non comprendere i valori umani, i valori che, secondo l'idea dell'uomo di chiesa, sono ben più importanti delle scoperte scientifiche e del dominio del mondo. L'uomo di cultura però, di fronte ad una richiesta di fede, da parte del Signore, si tira indietro, ed in particolare, rifiuta la fede e fugge da essa. E' il caso de Il sogno di Natale, dove ad un uomo, parve di incontrare Gesù errante in quella stessa notte, in cui il mondo per uso festeggia ancora il suo Natale. E Gesù, sconsolato, vede che il Natale è solo una festa familiare, chiede all'uomo di poter rivivere in lui:




Cerco un'anima, in cui rivivere. Tu vedi ch'io son morto per questo mondo, che pure ha il coraggio di festeggiare anche la notte della mia nascita. Non sarebbe forse troppo angusta per me l'anima tua, se non fosse ingombra di tante cose, che dovresti buttar via. Otterresti da me cento volte quel che perderai , seguendomi e abbandonando quel che falsamente stimi necessario a te e ai tuoi: questa città, i tuoi sogni, i comodi con cui invano cerchi di allettare il tuo stolto soffrire per il mondo. Cerco un'anima in cui rivivere. [.]

Ah! Io non posso, Gesù.


E qui, il racconto si chiude col rifiuto dell'uomo che studia ( chino sul duro legno del tavolino), che svegliandosi, ha la fronte indolenzita, la stessa fronte che è lo specchio della testa, quindi della ragione e della razionalità, che non ammettono nulla che possa mettere anche lontanamente in dubbio le proprie idee.

E' da sottolineare il fatto che " duole la fronte" solo agli uomini di studio. La gente umile, che non vuole andare al di là della conoscenza di Dio, rimane solidamente attaccata alla fede, spesso con una tenacia ed una forza incredibili, cercando di spiegare come volontà divina, più o meno ingiusta, ogni vicenda della propria esistenza. E' sicuramente il caso della novella Dono della Vergine Maria, il cui protagonista, don Nuccio D'Alagna, padre di 6 figlie, delle quali solo una è ancora in vita e gravemente malata.. La situazione familiare era degenerata quando la moglie di don Nuccio l'aveva lasciato, le morti delle sue figlie, gli avevano dato una fama di iettatore, causando l'emarginazione quasi totale dal resto dei concittadini. Il "quasi" è riferito ad un prete scomunicato, don Bartolo Scimpri, in guerra aperta con tutto il Clero.


. perché il Clero - a suo dire - aveva azzoppato Dio. Il diavolo invece aveva camminato. Bisognava a ogni costo ringiovanire Dio, farlo viaggiare in ferrovia, col progresso, senza tanti misteri per fargli sorpassare il diavolo.

- Luce elettrica! Luce elettrica! - gridava, agitando le lunghe braccia smanicate. - Lo so io a chi giova tanta oscurità! E Dio vuol dire Luce!

Era tempo di finirla con tutta quella sciocca commedia delle pratiche esteriori del culto: messe e quarant'ore. [.]

Egli avrebbe edificato la Chiesa Nuova.


Don Nuccio sottostava agli esperimenti di ipnosi di don Bartolo, poiché il prete rivoluzionario era l'unica sua fonte di sostegno, e motivava ciò che gli accadeva, come volere di Dio.


Appena andato via, don Nuccio scappava in chiesa a chieder perdono a Dio Padre, a Gesù, alla Vergine, e tutti i Santi, di quanto gli toccava d'udire, delle diavolerie che gli toccava ricopiar la sera, per necessità. [.] -Liberatemene Vergine Maria, liberatemene Voi!

Spesso don Nuccio, pregava la Vergine Maria di togliergli la vita, ma di mantenere viva la propria figlia, che come tutte le altre, ebbe un periodo di tregua nella sua malattia, ma don Nuccio sapeva bene che un periodo di tregua annunziava la morte imminente. Incoraggiato però dal benessere, seppur temporaneo, della figlia, si decise ad impedire a don Bartolo di entrare in casa, ma don Bartolo reagì prontamente:


- Ah, mi scacci? - disse trasecolato don Bartolo Scimpri, appuntandosi l'indice d'una mano sul petto. - Scacci me? - incalzò, trasfigurandosi nello sdegno, drizzandosi sul busto. - Anche tu dunque, povero verme, come tutta questa mandria di bestie, mi credi un demonio? Rispondi!

Don Nuccio s'era addossato al muro presso la porta: non si reggeva più in piedi, e ogni parola di don Bartolo pareva diventasse più piccolo. - Brutto vigliacco ingrato - seguitò questi allora. - Anche tu ti metti contro di me, codiando la gente che t'ha preso a calci come un cane rognoso? Mordi la mano che t'ha dato il pane? Io, t'ho dannato l'anima? Verme di terra! Ti schiaccerei sotto il piede, se non mi facessi schifo e pietà insieme! Guardami negli occhi! Guardami! Chi ti darà da sfamarti? Chi ti darà da sotterrare la figlia?Scappa, scappa in chiesa, va' a chiederlo a quella tua Vergine parata come una sgualdrina! Rimase un pezzo a fissarlo con occhi terribili; poi, come se, in tempo che lo fissava, avesse maturato in sé una feroce vendetta, scoppiò in una risata di scherno; ripetè tre volte, con crescente sprezzo:

- Bestia.bestia.bestia

E se n'andò.


Ipnotizzato da don Bartolo, don Nuccio si ritrovò davanti alla nicchia della Vergine Maria, in chiesa, dove pregando con tanto fervore, disse alla Beata:


- Tanto ho penato, tante ne ho viste, e ancora non ho finito.Vergine Santa, e sempre v'ho lodata! Morire io prima, no, voi non avete voluto: sia fatta la Vostra santa volontà! Comandatemi e sempre fino all'ultimo, e v'ubbidirò!

Ecco, io stesso con le mie mani sono venuto a offrirvi l'ultima mia figlia, l'ultimo sangue mio: prendetevela presto, madre degli afflitti; non me la fate penare più! Lo so né soli né abbandonati: abbiamo l'ajuto Vostro prezioso, e a codeste mani pietose e benedette ci raccomandiamo. O sante mani, o dolci mani, mani che sanano ogni piaga: beato il capo su cui si posano in cielo! Codeste mani, se io ne sono degno, ora mi soccorreranno, m'ajuteranno a provvedere alla figlia mia. O Vergine santa, i ceri e la bara. Come farò? Farete Voi: provvederete Voi: è vero? è vero?

E a un tratto, nel delirio della preghiera vide il miracolo. Un riso muto, quasi da pazzo, gli s'allargò smisuratamente nella faccia trasfigurata. - Sì? - disse, e ammutolì subito piegandosi indietro, atterrito, a sedere sui talloni, con le braccia conserte al petto. Sul volto della Vergine, in un baleno il sorriso degli occhi e delle labbra s'era fatto vivo; le ferveva negli occhi, vivo, il riso delle labbra; e da quelle labbra egli vide muoversi senza suono di voce una parola:

- Tieni.


Don Nuccio si vide offrire dalla madonna il rosario, ma in quel momento una voce - Ladro - fermò quel momento magico, ed accusato di furto, tentò invano che quello era un dono della Vergine Maria.

Un finale un po' diverso ha invece Il tabernacolo, novella che racconta di un capomastro, il il religiosissimo Spatolino, che si trova senza lavoro, e ad accettare la costruzione di un tabernacolo a grandezza naturale, commissionatogli da Ciancarella, un notaio, noto senzadio. Spatolino, che tenne segreto il committente dell'opera per paura di non essere creduto, ebbe una brutta sorpresa, quando, al termina dei lavori, un colpo apoplettico stroncò la vita al notaio. La segretezza dei lavori, e la fama di Ciancarella, indussero "giustamente" gli eredi a non credere a Spatolino, che si vide negato il compenso e, respinto dal tribunale, e lo sconforto dell'umile capomastro, lo indussero pensare, anche se per un attimo :



Ma dunque, - andava dicendo, -- dunque non c'è più Dio?

[.] con gli ultimi soldi che gli erano rimasti in tasca, compro un metro e mezzo di tela bambagina rossa, tre sacchi vecchi e ritornò a casa. [.] In men che non si dica, sfondò due sacchi e li cucì insieme, per lungo [.] Circa un'ora dopo, si sparse per tutto il paese la notizia che Spatolino, impazzito, s'era impostato da statua di Cristo alla colonna là, nel tabernacolo nuovo [.] - Lasciatemi stare! Chi più Cristo di me? - si mise allora a strillare Spatolino, divincolandosi. - Non vedete come mi beffano e come ingiuriano? Chi più cristo di me?


La tenacia e la spiritualità di Spatolino, lo fecero presto accettare da tutti, che, in seguito, gli portavano puntualmente qualcosa da mangiare, rimanevano a chiedergli aiuto, o a guardarlo, lì, con la corona di spine, intento a fare il Cristo.

Nonostante il distacco dalla religione, Pirandello, così come molti suoi personaggi, è alla ricerca di una vera fede che vada al di la di quella concepita dal cattolicesimo e dai suoi soliti riti. Tra le novelle da noi esaminate, un esempio molto importante può essere la storia di Tommasino Unzio,chiamato Canta l'Epistola (soprannome che dà il titolo alla novella), che perse la fede, nonostante studiasse per diventar prete, perché non soddisfatto della dottrina cattolica che riceveva:


ma [per] sete d'anima che non riesca più a saziarsi nel calice dell'altare e nel fonte dell'acqua benedetta, difficilmente chi perde la fede è convinto d'aver guadagnato in cambio qualche cosa. Tutt'al più, lì per lì, non si lagna della perdita, in quanto riconosce d'aver perduto in fine una cosa che non aveva più per lui alcun valore.


Egli arriva ad estraniarsi dal mondo in un modo così radicale, che arriva a perdere anche la coscienza di sé:


non ricordarsi più neanche del proprio nome; vivere per vivere, senza saper di vivere, come le bestie, come le piante; senza più affetti, né desiderii. né memorie, né pensieri; senza più nulla che desse senso e valore alla propria vita. Ecco: sdrajato lì su l'erba, con le mani intrecciate dietro la nuca, guardare nel cielo azzurro le bianche nuvole abbarbaglianti, gonfie di sole; udire il vento che faceva nei castagni del bosco come un fragor di mare, e nella voce di quel vento e in quel fragore sentire, come da un'infinita lontananza, la vanità d'ogni cosa e il tedio angoscioso della vita.


Tommasino, però, inizia a cercare la natura ed in essa si ritrova, dedicandosi soprattutto ad un filo d'erba particolare che si distingue tra gli altri. Lo vede nascere e crescere ma un giorno si sente strappar l'anima quando una donna raccoglie quel filo d'erba e per il dolore provato. Per il giovane quel filo d'erba significava tanto, perché nei momenti in cui egli passava a guardarlo provava emozioni bellissime che lo rendevano soddisfatto trovandosi in un luogo di pace. La novella termina in modo tragico, con la morte di Tommasino, sfidato a duello dall'uomo di quella ragazza che gli aveva strappato l'anima, con quel filo d'erba. Ma Tommasino Unzio, non è il solo insoddisfatto della propria fede. Come lui, anche don Angelino (protagonista della novella La fede) vuole abbandonare il sacerdozio perché convinto di aver acquistato un'altra fede, più vera e giusta. Egli deve fare però i conti con don Pietro, che, alla sua teoria della nuova fede, con un sorriso bonariamente ironico, ribatteva:


- Vanità..vanità

Un'altra fede? Ma quale, se non ce n'è che una? Più viva? Più libera? Ecco appunto dov'era la vanità; e se ne sarebbe accorto bene quando, caduto quell'impeto giovanile, spento quel fervore diabolico, intiepidito il sangue nelle vene, non avrebbe più avuto quel fuoco negli occhietti arditi e, coi capelli canuti o calvo, non sarebbe stato più così bellino e fiero.


L'avvenimento decisivo, che a riflettere don Angelino , è la venuta della vecchia zia Croce che si presenta con due galletti, tre lire d'argento e un sacco di mandorle e noci per fare un voto a San Calogero e farsi fare la messa. Per la pietà che prova nei confronti della vecchietta non vuole accettare quella roba che chissà quanti sacrifici c'erano voluti per procurarsela ma nonostante ciò la vecchietta si dispera per questo, perché preoccupata di non mantenere il voto a San Calogero. In fine don Angelino accetta per accontentare zia Croce ma con l'intento di restituirgli quella roba alla fine della messa, come gli dettavano le leggi della sua nuova fede


Chiamò il sagrestano; corse al lavabo; e mentre quello lo ajutava a pararsi, pensò che avrebbe trovato modo di ridare alla vecchia, dopo la messa, le tre lire e i galletti e quell'altra offerta della bisaccia. Ma ecco, questa carità perché avesse il valore che potesse renderla accetta a quella povera vecchia, non richiedeva forse qualcosa ch'egli non sentiva più d'avere in sé? Che carità sarebbe stata il prezzo d'una messa, se per tutti gli stenti e i sacrifizi durati da quella vecchia per adempiere il voto, egli non avesse celebrato quella messa col più sincero e acceso fervore? Una finzione indegna, per una elemosina di tre lire?


Ma di fronte ad una tale fede in Dio, (e nei riti), le idee di don Angelino crollano di colpo, e la ricorrente figura dell'umile molto religioso, lo fanno tornare sui suoi passi:


E don Angelino, già parato, col calice in mano, si fermò un istante, incerto e oppresso d'angoscia, su la soglia della sagrestia a guardare nella chiesetta deserta; se gli conveniva, così senza fede, salire all'altare. Ma vide davanti a quell'altare prosternata con la fronte a terra la vecchia, e si sentì come da un respiro non suo sollevare tutto il petto, e fendere la schiena da un brivido nuovo. O perché se l'era immaginata bella e radiosa come un sole, finora, la fede? Eccola lì, eccola lì, nella miseria di quel dolore inginocchiato, nella squallida angustia di quella paura prosternata, la fede!

E don Angelino salì come sospinto all'altare, esaltato di tanta carità, che le mani gli tremavano e tutta l'anima gli tremava, come la prima volta che vi si era accostato.

E per quella fede pregò, a occhi chiusi, entrando nell'anima di quella vecchia come in un oscuro e angusto tempio, dov'essa ardeva; pregò il Dio di quel tempio, qual esso era, quale poteva essere: unico bene, comunque, conforto unico per quella miseria.

E finita la messa, si tenne l'offerta e le tre lire, per non scemare con una piccola carità la carità grande di quella fede.


Così don Angelino non poté seguire i principi della sua nuova fede - cioè di non accettare quei beni che avrebbero fatto più comodo alla zia Croce che non a San Calogero - ma dovette riprendere la vecchia fede.


E La fine??






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