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L'età dell'Illuminismo - L'Illuminismo in Italia

letteratura



L'età dell'Illuminismo


A quella dell' Arcadia succede nella seconda metà del Settecento, l'età dell'Illuminismo: se è impossibile fissare limiti cronologici alle due età per la sopravvivenza di motivi arcadici in più di un rappresentante del periodo illuministico e per l'anticipazione di non poche intuizioni illuministiche da parte di scrittori del primo Settecento, è pur vero che le nuove ideologie provenienti d'oltr'alpe procedono con rapidità, come era già avvenuto nell'età umanistica, all'unificazione del sapere e della civiltà europea.

A tale unificazione contribuiscono in maniera determinante la moltiplicazione dei mezzi d'informazione e la crescente alfabetizzazione dei ceti artigiani (per i quali vengono istituite scuole, a livello elementare, tanto per iniziativa pubblica che privata).



L'Illuminismo





Quando il razionalismo cartesiano, all'ombra del quale era nata l'Arcadia, s'innesta sull'empirismo inglese di Locke e Hume, esso porta la critica sui fondamenti di ogni scienza e attività umana, arte e poesia compresa: si apre allora anche per la letteratura italiana una nuova fase storica.

Già negli Arcadi si era notata la tendenza a giustificare l'imitazione dei classici (in quanto le loro opere erano conformi alla ragione), la ricerca filosofica sulla natura della poesia, il desiderio di combattere abusi e pregiudizi, e di prendere contatto con le letterature straniere: nell'età Illuministica tali indirizzi si accentuano, con una più chiara ed unitaria coscienza e con un vigore battagliero diverso da quello degli studiosi del primo Settecento quali Muratori o Gravina.

Con l'Illuminismo si afferma la volontà di sottoporre a revisione critica tutte le dottrine e le istituzioni, compresa la religione e la Chiesa, al lume di una ragione che non riconosce altra fonte di conoscenza che l'esperienza sensibile (ragione "sperimentale"): ogni fenomeno deve essere compreso tramite determinate cause, l'unica conoscenza valida è quindi quella scientifica.

Ogni disciplina culturale o dottrina viene pertanto esaminata con lo stesso rigoroso procedimento delle scienze fisiche (diritto, politica, agricoltura, la stessa struttura sociale) nel segreto intento di creare una "meccanica ed una fisica" della società e dell'uomo, a somiglianza di quanto avevano fatto Galileo e Newton nei riguardi della natura; ne fa fede la grande Enciclopedia francese o Dizionario ragionato delle Scienze, delle Arti, e dei Mestieri (Encyclopédie ou Dictionaire raisonné des Sciences, des Arts et des Métiers, par une societé de gens de lettre), la più entusiastica esaltazione dei "lumi" della ragione umana.

L'opera nasce inizialmente come una traduzione della Cyclopedia di Chambers, commissionata da Le Breton a Dennis Diderot, che ben presto amplia la sua portata; pubblicata tra il 1751 e il 1772 viene sospesa due volte in quanto si scontra con l'opposizione della Chiesa e del Governo francese a causa di alcuni motivi considerati nocivi alla società e sovversivi.

Vi collaborano tra gl'altri Voltaire, Condillac, Quesnay, Helvétius, D'Holbech, Rousseau, D'Alembert.

Alla base delle ideologie settecentesche sta una fede illuminata nella ragione umana, unica detentrice della verità unica reggitrice della convivenza civile. L'uomo cessa di indagare sul mistero della propria origine e del proprio destino, non si preoccupa più di armonizzare la propria condotta con un qualche principio religioso; questo perché la religione è considerata superstizione, e ignoranza e fanatismo è reputato il sentimento che la origina: alla religione tradizionale delle chiese si contrappone una religione naturale o "deismo", che propugna il ritorno al primitivo stato di natura in quanto conforme alla ragione (si ricordi che per gli illuministi "naturale" è sinonimo di razionale, quindi universale).

Le stesse scoperte scientifiche sulle leggi dell'universo e sul organismo psico-fisico offrono nuovi argomenti per l'esistenza di Dio. Il deismo così riconosce l'esistenza di Dio come causa del mondo, fondandosi esclusivamente sulla ragione e prescindendo dalla rivelazione, della provvidenza o dai dogmi, in contrapposizione al "teismo", a quella dottrina cioè che ammette un Dio unico e trascendente. In un secondo momento, più precisamente nella seconda metà del Secolo, si avanza un'interpretazione ateistica e materialistica della realtà, né mancano tuttavia, in tale età, spiriti disposti ad accogliere le idee Illuministiche in quanto conciliabili con la tradizione cristiana, in cui anzi vedono i fondamenti morali di quella eguaglianza civile tra gli uomini che i nuovi pensatori vanno propugnando. (Condillac e Parini ad esempio). Molti sacerdoti e laici, che risentono l'influsso delle dottrine giansenistiche , infatti, per un più rigoroso concetto della morale cristiana e per la tendenza a separare il potere civile da quello religioso, si accostano agli ideali Illuministici.

Scomparsa comunque nella maggior parte dei casi la visione del trascendente, rimane a fondamento della morale solo la natura dell'uomo, assolutamente libera e uguale in ogni tempo; essa è intesa come fondamentalmente buona, ma soggetta a corruzione per l'influenza della società; che ha vincolato l'uomo in una secolare schiavitù con le divisioni di classe e privilegio, con la limitazione dei suoi diritti, con l'artificiosa creazione di sovrastrutture che ne soffocano la libera espressione di pensiero e di coscienza. Creata dall'uomo per promuoverne lo sviluppo intellettuale ed economico, ma venuta meno al compito affidatole, essa rischia di travolgere il suo stesso creatore. Si impone quindi la restituzione all'umanità dei propri diritti (libertà, proprietà, sicurezza) e della propria dignità (leggi uguali per tutti), al fine di una riorganizzazione, su nuove basi, del vivere civile.

In virtù di tali presupposti tutto il passato assume l'aspetto di una lunga età di oscurantismo e di aberrazione, dominata da due forze tiranniche: quella politica dei principi e quella spirituale della religione (essi criticano ogni autorità e ogni forma di oppressione, sia essa derivante dallo Stato, dalla Chiesa o dal sapere). Si afferma ora una mentalità antistoricistica per cui ogni fatto storico non è altro che l'anello di una lunga ed interminabile catena di errori che hanno portato l'uomo alla decadenza; bisogna pertanto procedere ad una spregiudicata critica di ogni istituzione, presente o passata, sia in campo temporale sia spirituale, affinché la società possa avviarsi ad una reale e definitiva felicità terrena.

Con l'Illuminismo la nozione di storia acquista inoltre un carattere cosmopolita: non si conduce un'analisi relativa alle guerre, alle conquiste e così via, ma a partire dai costumi, dalle istituzioni ed economie dei diversi popoli.

Una delle dirette conseguenze della nuova impostazione del problema storico-filosofico è l'esaltazione di ogni civiltà primitiva, immune da superstizioni e travisamenti dottrinali; è necessario riscoprire, al di là della storia e della società un "nucleo naturale originario": tutto ciò che è naturale è razionale, quindi comune a tutti gli uomini. Nasce così anche il "mito del buon selvaggio", concetto rielaborato dal Rousseau (quasi come acquietamento delle coscienze di un periodo in cui lo schiavismo, che provoca una spaventosa perdita di vite umane, sembri non suscitare indignazione e condanne di sorta nel mondo "civile").

Al diffuso ottimismo che investe tutti i fautori di un avvenire migliore corrisponde anche un rinnovato filantropismo e cosmopolitismo: l'uomo è attratto verso il suo simile da un novo spirito di fratellanza che riposa sull'amore razionale, anziché divino, e sulla comunanza dei diritti ed uguaglianza dei privilegi; la patria, pur sopravvivendo come entità politica, amplia i suoi confini sino ad abbracciare quelli del mondo.

Per alcuni versi l'Illuminismo si rivolta così contro i metodi e i risultati della letteratura arcadica, sostenendo che il bello artistico non si trova solo nelle opere dei classici latini e greci, ma anche in quelle degli altri popoli, antichi e moderni. Gli Illuministi deridono ogni letteratura che sia solo elaborazione di eleganti forme verbali, senza attinenza con i reali interessi dell'uomo, con quel bisogno di felicità considerato la molla originaria della vita individuale e sociale; promuovono al contrario una letteratura "utile", divulgativa della cultura, che miri al diletto non inteso come svago, ma come intenso sentimento dell'essere. Tale fine didascalico della letteratura è particolarmente evidente nell' Encyclopédie; la stessa critica razionale che travolge ogni ambito dell'esperienza umana si propone essenzialmente di combattere l'ignoranza, la superstizione ed il pregiudizio. In Italia in particolare si accentua il desiderio di intensi scambi con le letterature straniere, in seguito anche alla coscienza di far parte della comune famiglia europea; essi sentono che nazioni come Inghilterra e Francia, sono più avanzate della propria e attribuiscono alla divisione politica la propria inferiorità, e l'immiserimento della vita culturale in una cerchia provinciale.

Gli Illuministi come gli Arcadi, considerano ancora validi i classici in quanto esempi di poesia ispirata alla natura e alla ragione, perdura quindi in Italia e Francia l'indirizzo prevalentemente classicistico; la stessa contemplazione del mitico mondo senza storia dei pastori li attira come rifugio in una vita ideale, regolata dai primitivi e sani istinti naturali, per una forma di polemica contro una società viziata da istituzioni irragionevoli e disumane.

Lo stato di natura vagheggiato da Rousseau diviene il punto di confluenza tra Arcadia e Illuminismo, in una vaga malinconia già preromantica espressa tuttora in forme classiche.

Va ricordato inoltre che nella metà del secolo giungono le scoperte archeologiche delle antiche cit 747e42h tà vesuviane (Ercolano 1748 e Pompei 1763), che rivelano una sconosciuta regione dell'arte classica e della pittura che meglio rispondono all'ideale settecentesco di grazia gentile e preziosa. Se da un canto ciò rafforza il classicismo (che poi giungerà fino al "Neoclassicismo") dall'altro spinge la poesia ad emulare con la parola le arti figurative, con un gusto che tende a disegnare i gesti, a comporre quadri, più che ad esprimere la vita dell'anima; questo viene a fondersi con la poetica sensistica per cui la forza della poesia poggia sul piacere derivante dall'evidenza e dalla vivacità delle sensazioni e dei sentimenti a loro associati. La coscienza della poesia come espressione di vita sensibile prelude all'imminente rivoluzione romantica.

All'Illuminismo va il merito di aver proposto una società in cui si sarebbe partiti da una ridistribuzione dei ruoli, ma in cui la felicità di ognuno sarebbe passata attraverso quella collettiva.

A concetti come quello di Rousseau di "pedagogia naturale" (il bambino deve scoprire tutto attraverso se stesso), o di "educazione naturale" (inteso come non intervento) si accompagna quello estremamente moderno dell'istruzione intesa come funzione sociale pubblica, gestita dallo Stato e gratuita; si anticipa così il concetto di Welfare State, lo Stato sociale, che ha il dovere di garantire ai cittadini il benessere e la sicurezza.

L'avvento dell'economia politica consacra poi il trionfo dei valori borghesi e la critica stessa, incarnata nella storia, produrrà le grandi rivoluzioni della modernità: quella americana e quella francese.


L'Illuminismo in Italia



L' Enciclopedia rappresenta in tutta Europa il mezzo più efficace per la diffusione delle idee Illuministiche e della civiltà Francese; in Italia ne viene iniziata una prima edizione a Lucca nel 1759 ed una seconda a Livorno nel 1770 ed è proprio su tale terreno che l'Illuminismo italiano si inserisce validamente in quello europeo.

I nostri illuministi sono però ben consci dell'impossibilità di sovvertire, per il momento, le forze politiche nella penisola con lo spostamento di confini o con mutamenti di sovrani; dedicano pertanto ogni loro attività al rinnovamento della tradizione nazionale attraverso una polemica reazione dell'accademismo e ad ogni residua forma di frivolezza letteraria. Essendo sostanzialmente dei riformatori, essi appoggiano e difendono qualsiasi riforma che interessi la vita sociale del paese o della propria regione; ed esercitano un'importante azione sull'ampliamento degli interessi culturali, sulla partecipazione del nostro paese alla vita intellettuale delle altre nazioni europee, sulla popolarizzazione della lingua e sulla diffusione del sapere, oltre naturalmente che sull'indagine critica operata in ordine al contesto sociale e storico italiano, apportando così un notevole contributo al risorgimento spirituale, prima che politico, del nostro paese.

L'Illuminismo italiano però non aderisce completamente all'azione iconoclasta dell'Illuminismo volterriano verso il passato e il trascendente: il sentimento religioso radicato profondamente nel nostro popolo e lo splendore artistico dell'età rinascimentale italiana fanno sì che nel nostro paese si respingano l'antistoricismo e l'irrisione religiosa.

I maggiori centri italiani di elaborazione e diffusione degli ideali illuministici sono Napoli e Milano, dove l'azione riformatrice delle dinastie regnanti trova ampia corrispondenza nei ceti intellettuali.


A Napoli la nuova cultura assume un carattere prevalentemente speculativo, tanto per una maggiore adesione ai problemi giuridici che per la viva ed operante tradizione idealistica impersonata da Vico e da Giannone.


Gli Illuministi lombardi, provenienti in gran parte dal patriziato, si volgono invece di preferenza a problemi tecnici e regionali; spesso partecipano in maniera fruttuosa alle responsabilità amministrative nel governo del proprio paese.

La figura più significativa è quella del conte Pietro Verri (1728-1797); poco più che ventenne raccoglie intorno a sé un gruppo di giovani entusiasti dei nuovi ideali provenienti d'oltr'alpe, al fine di diffondere le idee dell'Enciclopedia francese: nasce così l' "Accademia dei pugni", che ha vita breve, ma ha il merito di aver fatte proprie, diversamente dalle altre accademie precedenti, le esigenze rinnovatrici del suo tempo.

Organo dell'Accademia è il "Caffè" uscito a Brescia (allora terra veneziana) dal 1754 al 1766, ogni dieci giorni (il titolo è dovuto all'immaginario locale dove si tengono le altrettanto immaginarie riunioni).

Proposito dei compilatori è quello di diffondere la cultura, di creare nel maggior numero possibile di italiani una nuova coscienza patria, di porre fine ad ogni tipo di pregiudizio, nel tentativo di realizzare il benessere per ogni ceto sociale

La poesia è concepita solo in funzione didascalica; gli illuministi del "Caffè"sono, infatti, convinti che le idee debbano avere la preminenza sulle parole e manifestano la loro avversione ad ogni sorta di letteratura accademica; propugnano così la necessità di una lingua semplice e chiara, scadendo però spesso in un abbondante utilizzo di gallicismi e in una certa sciattezza d'espressione.

Svolgono inoltre concetti informati sulla poetica sensistica, divulgata in Italia da Condillac (che dimora per alcuni anni a Parma). I problemi di cui si dibatte nel "Caffè" sono di ordine letterario, politico, sociale, economico (pertanto esso sarebbe ricollegabile allo "Spectator" dell'Addison, comparso cinquant'anni prima); Notevole sarà la sua influenza tanto sulla generazione contemporanea che su quelle posteriori: ad essa si rifaranno, infatti, se non nella sostanza nello spirito d'indipendenza, tutti i redattori del "Conciliatore".

La fine del periodico è dovuta a gravi dissensi tra il Verri e Cesare Beccaria (1738-1794) già autore di un Saggio sullo stile (che individua la forza dello stile nella capacità di suggerire con l'idea principale il maggior numero di idee accessorie) e del noto trattato Dei delitti e delle pene, che, insieme al Contratto sociale di Rousseau, costituisce una delle più "folgoranti intuizioni" del secolo dei lumi.

In quest'opera egli parte dal concetto, esposto antecedentemente da Rousseau, che gli uomini si sono riuniti in consorzio civile sacrificando la minor parte possibile della propria libertà in vista di un  bene maggiore; auspica quindi una riforma della legislazione penale che consente di determinare delitti e pene in base ad un codice di leggi ben chiaro e definito. Compito del legislatore è quello di tutelare la cittadinanza dalle violenze di elementi turbolenti, egli non ha il diritto di sottoporre gli indiziati ad umiliazioni infamanti o alla tortura, indice di barbarie.

Beccaria condanna inoltre la pena di morte, perché unica ragione della pena sarebbe il recupero del colpevole: ben più importante risulta la prevenzione, possibile attraverso l'istruzione del popolo e la rivalutazione della virtù.

L'opera, tradotta in ventidue lingue, elogiata da Voltaire, dal Diderot e da molti dotti del tempo, farà sentire il suo influsso benefico sulla legislazione penale di tutto il mondo.




Per le ragioni già esposte assumono grande importanza in età illuministica i cosiddetti "poligrafi", che contribuiscono alla divulgazione delle nuove idee e far sì che l'Illuminismo, da astratta dottrina speculativa, si traduca in concreta realtà operante, rendendo partecipe del sapere anche persone di modesta levatura intellettuale.






Germi preromantici nella cultura illuministica



Si è già fatto cenno come nella cultura illuministica, nel sensismo in particolare, fermentassero alcune tendenze provocate dallo stesso razionalismo critico e dall'attenta analisi della psicologia e della storia; vi rientra ad esempio il concetto che l'arte debba eccitare il sentimento attraverso le immagini, o ancora la coscienza che la ragione lasci in soluti certi problemi connaturati all'uomo. Là dove queste tendenze si organizzano in una visione della vita (in Germania con lo "Sturm und Drang" tra il 1770 e l'80) e nella filosofia Kantiana (la Critica della ragion pura del 1781 e quella della Ragion pratica dell'88) si può parlare di Romanticismo. Questa nuova visione avvertirà i limiti di quella illuministica, ma prima di giungere a questo momento cosciente, quando il nuovo germina ancora come stato d'animo negli stessi rappresentanti della cultura illuministica, si parla di "preromanticismo".

Così già Verri, in un articolo apparso sul "Caffè" notava l'utilità dell'errore, perché la ragione è incapace di suscitare entusiasmi e sublimi passioni; lo stesso Voltaire, precorrendo Leopardi, lamentava che la ragione avesse ucciso le favole e riconosceva che l' "erreur a son mérite". Lo stesso vagheggiamento di uno stato di natura anteriore alle strutture artificiali imposte dalla civiltà, conduce alla conclusione che la ragione possa deviare il moto buono della natura, divenendo strumento di sopraffazione umana, piuttosto che di redenzione. In Rousseau è già evidente il trapasso dalla cultura illuministica nello stato d'animo preromantico, nel gusto dei paesaggi pittoreschi e delle solitudini montane, ove il cuore dell'uomo si dilata avvicinandosi a Dio.

Riflessi preromantici si trovano in tutte le letterature europee, particolarmente in Inghilterra (Young, Gray) nella poesia sepolcrale che si compiace di malinconiche meditazioni, fase ad un paesaggio suggestivo di soavi sentimenti. Da noi sono echeggiate già nelle Notti romane di Verri, dove l'autore immagina di discorrere nella Roma moderna con le ombre degli antichi, sulla decadenza della civiltà classica, confrontandola con quella cristiana ad essa superiore. Molta fortuna riscuotono i poemi ossianici dello scozzese Mac Pherson, tradotti, come già visto, in Italia da Cesarotti. La poesia campestre animata da toni patetici e familiari diffusa da noi attraverso gli idilli di Gessner, trova un cultore nel veronese Ippolito Pindemonte (1753-1828), che attende inoltre alla poesia sepolcrale in un poemetto intitolato I Cimiteri (tra le altre sue opere ricordiamo le Poesie e le Prose campestri, dove le sensazioni provenienti dalla natura producono nell'anima un eco di affetti e fantasticherie). Gli interessi di Pindemonte sono divisi tra i moderni scrittori inglesi e tedeschi e i classici (traduce l' Odissea) e documentano questa fase di transizione della cultura in cui una sentimentalità erede di quella arcadica, ma più intima e malinconica, si fonde con l'ammirazione dei classici. E' in Alfieri però che la formazione illuministica e le inquietudini preromantiche vengono oltrepassate in un'intensa esperienza di vita e poesia che, per la consapevole frattura sotto vari aspetti con la cultura del suo tempo, sarà detta protoromantica cioè pertinente al primo Romanticismo.





I maggiori esponenti della letteratura del periodo



Carlo Goldoni


Lo specchio più felice dei costumi, in quest'età di rinnovamento politico e sociale e di crisi morale, lo troviamo (oltre che nel poema pariniano) in quel genere che per tradizione originaria riprende i vizi umani, nella commedia cioè di Carlo Goldoni.

Questi si colloca tra il gusto poetico dell'Arcadia ed il rinnovamento culturale dell'Illuminismo: le esigenze arcadiche di un ritorno all'ordine, alla semplicità, alla moralità, si fondono nel teatro goldoniano con il proposito illuministico di aderire al vero e di rappresentare con schiettezza e naturalezza i problemi civili e sociali. La sua riforma teatrale viene considerata oggi premessa all'avvento della commedia borghese e realistica.

Vediamo in uno schema sintetico gli aspetti principali della riforma goldoniana.






Data

LA VITA

LE OPERE


Nasce il 25 febbraio a Venezia, da una famiglia borghese d'origine modenese, erediterà dal nonno paterno, che tratteneva in casa musicisti e commedianti, l'amore per il teatro.



studia retorica presso i gesuiti; poi è affidato ai domenicani per lo studio della filosofia, ma a questi preferisce una compagnia di comici con cui fugge, a soli tredici anni, recandosi a Chioggia, dove risiede sua madre



Si laurea all'università di Padova


Esercita l'avvocatura senza entusiasmo e saltuariamente, alternandola con altri incarichi segretario del "residente" veneto a Milano



Conosce a Verona il capocomico Giuseppe Imer e scrive per la sua compagnia tragedie, melodrammi, intermezzi musicali e commedie a soggetto



passa dai soggetti ad intreccio a quelli di carattere

Momolo Cortesan, di cui scrive la parte dell'attore principale, lasciando le altre ancora libere all'improvvisazione


console genovese a Venezia

1743 La donna di garbo , I commedia di Goldoni scritta per intero


Decide di tornare ai codici e alle occupazioni diplomatiche ed esercita così per tre anni a Pisa la sua professione di avvocato.


Partendo da Venezia lascia ai comici la La donna di garbo


La donna di garbo è r appresentata a Livorno e ottiene un gran successo. Il capocomico Medebach si impegna a prendere in affitto il teatro di Sant'Angelo a Venezia, chiedendo a Goldoni di lavorare per lui.



Rientra a Venezia portando con sé il copione della Vedova scaltra, rappresentata il 26 dicembre.

La putta onorata e La bona mugèr, Vedova scaltra, La famiglia dell'antiquario


Le critiche di Carlo Gozzi e la partenza di un popolare attore della compagnia del Medebach, causano la disdetta alla fine di molti palchi per l'anno seguente. Si impegna a scrivere sedici commedie nuove per la successiva stagione teatrale

La bottega del caffè, Il Bugiardo, Pamela, I pettegolezzi delle donne; negli ultimi anni di permanenza al Sant'Angelo scrive inoltre La locandiera.





Per la sua eccessiva esosità rompe con Medebach e passa al teatro di San Luca. Si libera definitivamente delle maschere, si volge al mondo degli umili

Il Campiello, Donne di casa soa, Le Maschere, Le Mobinose I quattro rusteghi, La casa nova, Le Baruffe chiozzotte, Sior Tòdaro Brontolon, Le smanie per la villeggiatura.


insofferente dalle polemiche riaccese da Carlo Gozzi, accetta l'invito di dirigere a Parigi la "Comédie italienne" .


si accomiata dal suo pubblico con Una delle ultime sere di carnevale


è costretto a tornare agli scenari e ai canovacci della sua lontana giovinezza, a causa dell'impreparazione del pubblico e degli attori francesi

Da uno di tali scenari trae successivamente Il ventaglio, ultima sua valida commedia.


accetta di insegnare italiano a corte e ne ottiene una cospicua pensione.

Riprende a scrivere, componendo in francese Le bourru bienfaisant (Il burbero benefico),. Contemporaneamente inizia a scrivere i Mémoirs


l'Assemblea costituente lo priva della pensione regia: vive allora in ristrettezze economiche fino al 16 febbraio 1793



Muore. la Convenzione decreterà la restituzione della pensione solo il giorno seguente alla sua morte.


La riforma di Goldoni


Goldoni si dedica alla commedia con l'intento di ricondurla a serietà e disciplina artistica, secondo il criterio di razionalità, verosimiglianza e decoro proprio del tempo (elemento di derivazione Arcadica).

Goldoni intende ristabilire un contatto della letteratura con la vita reale.

intuisce che non è necessario un ritorno all'antico, né l'imitazione degli autori stranieri, tanto meno una commedia interamente scritta da contrapporre a quella improvvisata, ma occorre procedere dall'interno, eliminando ogni elemento stucchevole e convenzionale, sostituire la complicazione dei casi con una semplice trama basata sulle vicende umane


Fasi della riforma:

L'attuazione della riforma di Goldoni è graduale:


Inizia a scrivere solo i soggetti, quindi all'inizio resta nell'ambito della Commedia dell'Arte (improvvisata). Le sue commedie iniziali quindi sono d'intreccio (basate solo sui fatti, sugli eventi, e non sui personaggi)

Scrive per intero la parte del protagonista nel Momolo Cortesan . Passa così alla commedia di carattere (= basata un personaggio, di cui si delinea un particolare carattere, vizio o virtù, quindi spesso con finalità morale)

A partire da La donna di garbo, inizia a scrivere commedie regolari (= interamente scritte), sempre di carattere.

Si libera via via di tutti quei mezzi artificiosi che tolgono decoro alla rappresentazione e di quella grossolana mescolanza di comico e tragico che infirma la validità di qualsiasi azione scenica.

Restano le maschere: in un primo tempo egli ritiene opportuno conservarle. Tuttavia esse cessano di essere degli stereotipi e pur mantenendo un fondo comune, cominciano a differenziarsi da commedia a commedia; si umanizzano. Dal passaggio al teatro di San Luca si libera definitivamente delle maschere, si volge al mondo degli umili

Con Il Campiello Goldoni inizia la commedia d'ambiente; i "caratteri" vengono inquadrati in una cornice studiata nei suoi aspetti di costume, di tradizioni morali, di pregiudizi e convenzioni

Elementi della riforma:

Goldoni fa oggetto del proprio studio il teatro e il mondo (realismo)

Il realismo goldoniano si spiega solo con l'obiettiva rappresentazione della nuova realtà sociale del tempo, e non comporta la satira dei costumi e degli atteggiamenti nobiliari, in quanto esso è dominato dalla filosofia del buon senso della piccola e media borghesia mercantile veneziana

E' sua intenzione sostituire all'astrattezza convenzionale delle maschere i caratteri individualmente definiti, all'inverosimiglianza delle situazioni e degli intrecci, la coerenza e semplicità della natura, alle volgari buffonate la compostezza del linguaggio.

Più che di opposizione alla commedia d'arte, bisogna parlare di profondo rinnovamento cui egli perviene riconoscendo i molteplici aspetti positivi che, pur accanto a quelli negativi, tale genere conserva (sceneggiatura vivace, ritmo incalzante dell'azione, freschezza del dialogo, genialità delle trovate comiche). Studiando quindi attentamente la commedia d'arte, Goldoni decide di far suo quanto di buono è dato riscontrarvi, soprattutto il linguaggio comune e disinvolto, lontano da quello paludato della tradizione letteraria.

Goldoni scrive la maggior parte delle sue opere in prosa, una ventina in versi martelliani e altre in metro vario. Poco più di una dozzina sono in dialetto veneziano, nelle altre il dialetto si alterna alla lingua italiana o è solo questa a tenere il campo.

Il linguaggio goldoniano è consono alla materia trattata, coglie la spontaneità della parlata popolare essendo aderente alla vita quotidiana


Caratteristiche del teatro goldoniano


La materia del teatro di Goldoni si limita alla "medietà" della vita quotidiana e in genere al piccolo mondo della società borghese-popolare

Della vita borghese pone in evidenza i valori civili e morali e che poco dopo alimenterà la nascita della commedia propriamente "borghese"

Goldoni è aperto alle idee illuministiche nella critica verso le istituzioni, le tradizioni e i costumi irragionevoli

il popolo minuto, deriso solitamente nel teatro comico, diviene nella commedia goldoniana soggetto operante, con dignità e vivace aggressività

La sua arte ha per oggetto l'umile mondo di piccole anime, è un'arte popolare, popolarità intesa quindi come ritratto della vita nei suoi aspetti quotidiani

La moralità nel teatro di Goldoni andrebbe rintracciata esclusivamente nella sua spiccata simpatia per ciò che è buono e nel suo arrestarsi davanti al vizio; di malvagi veri il suo teatro è del tutto privo

L'amore è inteso dal Goldoni come sentimento eterno, che pervade giovani e vecchi, ma puro e ingenuo, lontano dagli "sporchessi" della passione tumultuosa

Unico limite di Goldoni è il non elevarsi al di sopra della realtà borghese locale, pertanto il suo teatro non raggiunge il carattere universale di quello di Molière. II limite del suo realismo si riscontra sia nel rappresentare la società entro cui si muovono i suoi personaggi, sia nel ritrarre l'animo umano di cui ignora le complesse contraddizioni interne e il drammatico urto con il mondo

Goldoni si colloca tra il gusto poetico dell'Arcadia ed il rinnovamento culturale dell'Illuminismo: le esigenze arcadiche di un ritorno all'ordine, alla semplicità, alla moralità, si fondono nel teatro goldoniano con il proposito illuministico di aderire al vero e di rappresentare con schiettezza e naturalezza i problemi civili e sociali.

La sua riforma teatrale viene considerata oggi premessa all'avvento della commedia borghese e realistica.




Giuseppe Parini


In Parini confluiscono e trovano la più alta espressione d'arte alcuni elementi fondamentali della cultura del tempo: una concezione illuministica, ancorata però ancora a certi valori per lui ineliminabili di tradizione classica e cristiana, una sottile vena passionale che sfuma a tratti in una sensibilità preromantica, illimpidita nel gusto neoclassico della forma.

Nella sua opera si attua così un superamento ed una sintesi personale delle componenti arcadiche, classiciste ed illuministiche, in un costante impegno civile ed artistico, mentre vi si avverte il preannuncio delle imminenti forme della scuola neoclassica.

Parini, pur avendo indossato l'abito talare per necessità più che per vocazione, vuole mantenersi fedele ad una certa integrità ed onestà: di origine popolana egli ignora ogni forma di opportunismo di fronte alla società nobiliare entro cui si trova a vivere e di cui non rifugge mai dal condannare oltre al grave decadimento spirituale, l'incomprensione di quei profondi rivolgimenti politico-sociale che, originando la Rivoluzione, l'avrebbero poi travolta.

La stessa adesione (Dialogo sopra la nobiltà, 1757) alle concezioni egualitarie del secolo presuppone esclusivamente il desiderio di vedere risolte, alla luce però di un riformismo illuminato e non di una rivoluzione, le innumerevoli ingiustizie che impediscono il risorgimento morale della coscienza nazionale; a ciò va aggiunto il costante disinteresse del proprio utile nella lotta sostenuta tutta la vita contro ogni abuso o qualsiasi altro ostacolo al raggiungimento di una felicita comune a tutti i suoi simili.

In ogni condanna sia verso le frivolezze nobiliari, (il Giorno), che verso l'egoismo personale (le Odi) egli non giunge mai all'invettiva, né la lode è mai affettata, né si compiace di mostrare la propria superiorità sugli altri o di ostentare la povertà e i sacrifici che caratterizzarono la sua vita; egli conserva sempre quindi grande moderazione, misura ed equilibrio.

La sua forza interiore rivela una notevole costanza e non si abbatte davanti all'indifferenza con cui viene accolta la sua alta e civile lezione. La sua morale si accorda perfettamente con lo studio amoroso della bella parola: l'aspetto più interessante dell'arte pariniana va ricercato, infatti, proprio nella perfetta consonanza tra le idealità civili e morali dell'uomo e la disciplina classica dell'artista, impegnato a realizzare un nuovo tipo di discorso poetico, semplice e realistico.

Il classicismo pariniano si risolve in "arte sapiente", lenta e faticosa conquista, diverso da quello arcadico per una maggiore adesione alla intima poesia degli antichi, adesione cioè al gusto più che alle forme, per la costante  ricerca di un agile ritmo, per l'amore verso la descrizione attenta ed elegante della realtà.

Scaturisce da qui la poetica di Parini, identificabile nella programmatica chiusa de La salubrità dell'aria: "Va per negletta via/ ognor l'util cercando/ la calda fantasia, / che sol felice è quando/ l'utile può unire al vanto/ di lusinghevol canto". Se ad un primo esame può sembrare un ritorno all'utile dulci oraziano (utilità unita al diletto), tali termini sono impostati dal poeta in maniera nuova. La letteratura cessa di essere fine a se stessa e diviene sostanza di vita: deve ispirarsi ai problemi della vita contemporanea ed essere fonte di elevazione spirituale e culturale, esprimendo idealità civili e morali (proprie dell'Illuminismo) in uno stile ancorato alla disciplina classica.

Egli sostiene la necessita per la poesia di non sovrapporre ornamenti alla verità, ma di farla risplendere nel suo valore con proprietà di termini, più che con i traslati, idea che tornerà in Manzoni e nei romantici lombardi e che non è del tutto nuova, ma di derivazione sensistica.

In una dissertazione sulla poesia Parini sostiene che il suo fine è quello di rendere l'uomo più felice attraverso l'eccitamento di un dolce e forte affetto dell'animo che gode di tutto ciò che lo metta in moto, intensificando così il suo sentimento di esistere, poiché vivere è appunto sentire (idea che gli deriva dal letterato francese Dubos e sarà ripreso dai romantici).



Vediamo in uno schema sintetico gli aspetti principali delle opere e del pensiero di Parini.


Data

LA VITA

LE OPERE


Nasce nel 1729 a Bosisio piccolo borgo brianzolo sul lago di Pusiano, dalla famiglia di un modesto filatore di seta



E' avviato sin da bambino al sacerdozio. la sua formazione è affidata ai Barnabiti (vi studiano nello stesso periodo Verri e Beccaria) a Milano, dove vive presso una prozia;



Dopo la morte, la prozia lascia al giovane Giuseppe una piccola rendita annuale affinché possa continuare gli studi ed abbracciare lo stato sacerdotale Si laurea all'università di Padova


Prende gli ordini sacri ed è chiamato nello stesso anno come precettore a casa Serbelloni.

pubblica una prima raccolta di versi, Alcune poesie d'ispirazione classico-arcadica, con lo pseudonimo di Ripano Eupulino, anagramma del proprio cognome


viene accolto nell'Accademia dei Trasformati, il cui programma è l'instaurazione di una letteratura che temperasse l'imitazione degli antichi poeti con la modernità dei concetti; qui conosce Verri e Beccaria.


Dialogo sopra la nobiltà


Per un diverbio con la duchessa, abbandona casa Serbelloni




pubblicazione del Mattino


La pubblicazione delle prime due parti del Giorno, attira su di lui l'attenzione del conte Imbonati che gli affida l'educazione del figlio Carlo, poi del conte Firmian, rappresentante dell'Imperatrice Maria Teresa nella capitale lombarda.


pubblicazione del Mezzogiorno




viene chiamato dal conte Firmian a dirigere la "Gazzetta di Milano"



gli viene conferita la cattedra di eloquenza nelle Scuole Palatine, cattedra poi confermata sotto il nome di "Principi generali di belle lettere applicate alle belle arti", quando tali scuole, per la soppressione dell'ordine dei gesuiti, vengono trasformate nel Regio Ginnasio di Brera



Lo scoppio della rivoluzione francese alimenta in lui le speranze della rapida realizzazione dei principi di uguaglianza giustizia e fratellanza ai quali si era ispirato tutta la vita, ma l'intemperanze e le stragi del Terrore ne raffreddano l'entusiasmo.

riprende nuovamente a lavorare nell'ultima parte del Giorno.



i francesi entrano a Milano, egli accetta di fare parte della Municipalità, in cui rappresenta insieme a Verri, l'ala moderata. Si batte affinché venga riconosciuta alla Lombardia un'effettiva autonomia. Viene così destituito, (insieme a Verri) ma se ne rallegra e fa segretamente distribuire ai poveri il compenso dovuto alle sue prestazioni.



gli austriaci rioccupano Milano (per breve tempo): egli pur imprecando contro gli eccessi dei francesi, rivolge un severo monito ai vincitori. Il 15 agosto 1799 si spegne ed è sepolto nel cimitero di porta Comasina: le sue ossa andranno disperse.


detta per l'occasione del rientro austriaco il suo ultimo sonetto, "Predaro i filistei l'arca di Dio"; in cui rivela il suo alto senso di civismo



La poetica e il pensiero di Parini


In Parini confluiscono e trovano la più alta espressione d'arte alcuni elementi fondamentali della cultura del tempo:

una concezione illuministica, ancorata però ancora a certi valori per lui ineliminabili di tradizione classica e cristiana,

un gusto neoclassico della forma.

Nella sua opera si attua così un superamento ed una sintesi personale delle componenti arcadiche, classiciste ed illuministiche, in un costante impegno civile ed artistico, mentre vi si avverte il preannuncio delle imminenti forme della scuola neoclassica.


Elementi del pensiero pariniano:


Parini aderisce alle concezioni egualitarie del secolo nel desiderio di vedere risolte, alla luce però di un riformismo illuminato e non di una rivoluzione, le innumerevoli ingiustizie che impediscono il risorgimento morale della coscienza nazionale

Condanna la società nobiliare, sia per il grave decadimento spirituale, che per l'incomprensione di quei profondi rivolgimenti politico-sociali che, originando la Rivoluzione, l'avrebbero poi travolta.

Critica il disimpegno politico e civile dei nobili, ma non giunge mai all'invettiva, conserva sempre quindi grande moderazione, misura ed equilibrio. Lo scopo è quello non di colpire tale classe, quanto piuttosto di favorirne il ravvedimento.

La sua morale si accorda perfettamente con lo studio amoroso della bella parola: perfetta consonanza tra le idealità civili e morali dell'uomo e la disciplina classica dell'artista.

la poetica di Parini è identificabile nella programmatica chiusa de La salubrità dell'aria: "Va per negletta via/ ognor l'util cercando/ la calda fantasia, / che sol felice è quando/ l'utile può unire al vanto/ di lusinghevol canto. La letteratura deve ispirarsi ai problemi della vita contemporanea ed essere fonte di elevazione spirituale e culturale, esprimendo idealità civili e morali (proprie dell'Illuminismo) in uno stile ancorato alla disciplina classica.

La figura ideale che di se stesso il poeta ha voluto lasciare, è preannunziata dalla prima ode, "La vita Rustica" (1757), "Me non nato per percotere/ le dure illustri porte..." e delineata compiutamente nell'altrettanto famosa strofa dell'ultima ode "Alla Musa" (1795), "italo cigno/ ch'a i buoni amico, alto disdegna il vile/ volgo maligno"; il poeta rivendica la propria libertà e la necessità di non rispondere a nessuno se non ai propri principi etici e morali (elemento che segna il distacco dalla visione moderna di poesia cortigiana, poi approfondito anche da Alfieri)


Caratteristiche della poesia pariniana:


Il classicismo pariniano è diverso da quello arcadico per una maggiore adesione alla intima poesia degli antichi, adesione cioè al gusto più che alle forme, per la costante ricerca di un agile ritmo, per l'amore verso la descrizione attenta ed elegante della realtà

la poesia non deve sovrapporre ornamenti alla verità, ma di farla risplendere nel suo valore con proprietà di termini, più che con i traslati, idea a di derivazione sensistica (suscitare sensazioni attraverso la poesia).

In una dissertazione sulla poesia Parini sostiene che il suo fine è quello di rendere l'uomo più felice attraverso l'eccitamento di un dolce e forte affetto dell'animo (sensismo) che gode di tutto ciò che lo metta in moto, senza però ornamenti ma attraverso il vero.



Il Giorno

Opera satirica. Consta di poco meno di quattromila endecasillabi sciolti e doveva originariamente articolarsi in tre parti Mattino, Mezzogiorno e Sera; le prime due parti sono pubblicate nel 1763 e nel 1765, l'ultima si sdoppia nel Vespro e nella Notte, incompiute, che vedono la luce dopo la morte del poeta (è significativo il fatto che negli stessi anni sono pubblicati il Contratto sociale di Rousseau, 1762, e Dei delitti e delle pene di Beccaria, 1764).


Caratteristiche dell'Opera


Nel Giorno trovano armonico componimento il poeta moralista e il poeta umanista, l'abate che condanna la corruzione dell'aristocrazia e mostra simpatia verso gli umili, in nome di un'uguaglianza civile, e il letterato Parini che in classica eleganza di stile e quasi con superiore distacco non rifugge dal rappresentare il "grado della beltà spettacolo".

Vi è all'origine un'esigenza morale

Pur combattendo i vizi e i privilegi della civiltà nobiliare Parini non ne propone l'annientamento, ma il ravvedimento, la sensibilizzazione di tale classe verso i propri obblighi civili e cristiani e verso l'umile volgo

Critica del disimpegno politico e civile dei nobili e del decadimento spirituale e morale, di cui è esempio la critica del cicisbeismo inteso come degenerazione della famiglia e dell'amore,

il culto del buono e quello del bello in Parini si compenetrano armoniosamente

Opera satirica per cui predomina l'ironia , ma di tipo didascalico (al fine di insegnare)

A volte l'ironia diviene aperto sarcasmo, nel descrivere la plebe reietta

Il poema ha per oggetto la finzione didascalica di un "precettore d'amabil rito" che ammaestra un suo discepolo, il Giovin Signore, in tutto ciò che può servirgli a vincere la noia, compagna dell'ozio.

Essenziale è la visione contemporanea della giornata laboriosa della plebe che scandisce in tre momenti fondamentali (mattino, vespro e notte) quel tempo che il signore trascorre in frivole occupazioni.



Le ODI

Caratteristiche principali


Nelle Odi emerge la figura ideale che di se stesso il poeta ha voluto lasciare, figura preannunziata dalla prima ode, "La vita Rustica" (1757), e delineata compiutamente nell'altrettanto famosa strofa dell'ultima ode "Alla Musa" (1795),

Tra queste due liriche si snoda una serie di componimenti di vario soggetto (soggetti nobili, occasionali, amorosi)

Nasce una lirica nuova che riprende la finalità etica e la nobiltà del dire dell'antica, mentre addita la via da percorrere, cioè la concreta rappresentazione della realtà di un linguaggio concreto

Un gruppo di odi presenta una precisa innovazione contenutistica, accogliendo temi fino ad allora riservati alla prosa dei trattati morali; essi si inseriscono nell'azione di rinnovamento del costume auspicato dalle correnti illuministiche del tempo. Fanno parte di questo gruppo "La musica", "L'impostura", "L'innesto del vaiolo", "A Silvia". (contenuti moderni + stile classico).

L'ode pariniana raggiunge un equilibrio di forma e di sentimento, dove confluiscono ideali morali ed ideali artistici: si sente allora che per la poesia italiana è sopraggiunta una nuova era, l'era di una poesia ravvivata da un contenuto nuovo e vitale, perché tratto dalla quotidiana esperienza.

Significative sono le tre odi dedicate alla bellezza muliebre (femminile), "Il pericolo" e "Il dono", sono soffuse di grazia settecentesca e ci offrono la commossa partecipazione del poeta al "grato della beltà spettacolo" (a queste odi si rifarà poi Foscolo quando vorrà deificare la bellezza della Fagnani Arese e della Pallavicini).





Vittorio Alfieri



Il secolo si chiude con la figura di Vittorio Alfieri, il poeta che fa dono alle lettere italiane del grande teatro Tragico.

Egli perviene all'idea del risorgimento patrio attraverso l'intuizione della superiorità dell'eroismo su ogni meditata azione di governo, rivendicando al genere umano la libertà di agire e di sentire in nome di un individualismo proiettato nella vita e nel pensiero.

Nell'opera poetica e speculativa di Alfieri si ha un ampio processo di rielaborazione di tutte le istanze intellettuali, morali e politiche del secolo, processo che culmina da una parte nell'esasperazione dei più appariscenti aspetti negativi e polemici dell'età settecentesca, dall'altra giunge al capovolgimento delle finalità etiche cui si erano ispirati i principi illuministici, in quanto antepone il benessere e i diritti del singolo individuo a quelli della società.

Nessuno meglio di Alfieri rappresenta la crisi di quel movimento illuministico che, pur agendo come correttivo nel campo del sapere dell'arte e del costume, aveva finito per mortificare le superiori ragioni di vita, vincolando entro una futura felicità collettiva la più spontanea aspirazione dell'uomo che è quella dell'affermazione nel mondo della propria originale personalità.

Il pensiero di Alfieri, con i suoi furori libertari e le sue polemiche antitirannide, scaturisce più da una razionale critica del passato o da una profetica anticipazione del futuro, da una individuale esplosione di sentimento e di ribellione del secolo e si traduce nell'esaltazione di una superiore volontà umana che non tollera limiti nell'eroica affermazione di se stessa

Tali sentimento del mondo si rintraccia nelle opere in cui, più che un pensiero, egli esprime una passione politica: in Della Tirannide, ad esempio, la prima delle opere politiche giovanili, scritta "d"un sol fiato" nel 1777.

L'opera si divide in due libri: nel primo sono descritti tutti gli aspetti negativi della tirannide, che si fonda sulla paura e coincide con ogni potere, sia esso esercitato da un solo o da più, che abbia "facoltà illimitata di nuocere"; ne sono sostegni la nobiltà, docile strumento di governo, l'esercito, mezzo di oppressione, la religione che, depauperata della trascendenza, è un utile espediente per educare gli animi al servaggio.

Nel secondo libro l'uomo libero è ammaestrato sul modo di comportarsi di fronte a qualsivoglia regime tirannico e gli sono indicate le uniche due vie per affrancarsi della servitù: ritirarsi in solitudine o ricorrere alla soppressione di se stesso del tiranno; questi due ultimi modi però assumono rilievo solo quando appaiono estrema protesta dell'animo offeso che, con il proprio o dell'altrui sacrificio, intende denunciare l'obbrobrio di un non evertibile stato di cose.

Aleggia in ogni pagina dell'opera il mito della libertà libertà di tipo assoluto che induce l'uomo a respingere, al di sopra e al di fuori di ogni legge, qualsiasi transazione con la meschina realtà quotidiana

Alfieri, chiuso nell'individualistico culto del proprio "io", avverte la limitatezza della concezione meccanicistica in cui l'Illuminismo aveva racchiuso la vita e rivendica all'uomo la libertà assoluta di pensare e di agire, essenza della sua stessa condizione di essere raziocinante; la prima privazione della libertà è quindi un male irreparabile, cui l'uomo può sottrarsi solo attraverso la morte, propria o dell'oppressore (suicidio o tirannicidio

Tale soluzione contrasta con l'ottimismo illuministico: l'Alfieri è, infatti, pessimista e tale pessimismo scaturisce dallo stesso astratto concetto di libertà e dalla tendenza a considerare il nemico da combattere, l'"universale oppressione", una forza incontrastata ed invincibile, perché per lui ogni forma di governo, persino repubblicano, impone leggi e costringe l'uomo ad esserne schiavo.

Un'altra opera sottolinea il contrasto libertà tirannide, il trattato Del principe e delle lettere, opera che rappresenta la più matura espressione di pensiero politico dell'Alfieri

Premesso che il poeta è il sommo degli uomini, per Alfieri egli non può essere sottomesso da alcuno; l'autore affronta così il problema del mecenatismo (che, si ricorda, rappresenta una caratteristica di tutta la letteratura e l'arte dell'Età Moderna, a partire dal Rinascimento, e solo in questo momento storico è messo in discussione nella rivendicazione della libertà del poeta e dell'artista, libertà che si afferma pienamente e definitivamente nell'Età Romantica)

Il poeta, assorto in un'ideale solitudine, è consapevole della sua alta missione (sviluppare il cuore umano inducendolo al bene, ispirandogli l'amore di gloria e facendogli conoscere i suoi sacri diritti); il principe è mosso solo dalla vanità e usa lusinghe e ogni arte pur di corrompere i poeti e piegarli all'esaltazione di se stesso.

Dall'antitesi tra le due figure, del poeta e del principe, deriva un concetto di letteratura come sinonimo di libertà creativa ed indipendenza, mentre il mecenatismo equivarrebbe alla politicizzazione delle facoltà intellettive dell'uomo. Tra i due termini non è quindi possibile alcun compromesso; l'uno esclude la presenza dell'altra (poeti come l'Ariosto, Virgilio, Orazio, Racine, possono essere celebrati come artisti, ma non come uomini, perché fecero fiorire la loro poesia all'ombra dei troni).

L'opera può sembrare inserita nella dottrina illuministica per la rivendicazione della libertà dello scrittore dal potere politico, e per l'impegno educativo attribuito all'azione del poeta, in realtà si contrappone a tale dottrina per il carattere individualistico e aristocratico della figura poeta-vate, sacerdote di libertà, promotore di azioni eroiche (concetto che anticipa il Romanticismo

Se è del tutto illuministica in Alfieri la tendenza a tradurre in termini di rapporto politico la propria visione della vita, non lo è il suo schivare la concretezza dei problemi particolari, per ridurre il rapporto politico nella sua essenza morale e psicologica, quindi su un piano universale: il suo pensiero rimane pertanto nell'indeterminatezza.

L'ideale politico alfieriano, da cui si intravede il concetto eroico dell'uomo, è però anche aspetto del sentimento angoscioso dei limiti in cui l'uomo si dibatte: il limite nella sua conoscenza dei primi principi delle cose, ignorato dagli illuministi come problema inutile perché intenti a realizzare la felicità possibile in questo mondo (quei principi però per l'Alfieri, se ignorati portano avvilimento e scontento all'uomo degno di essere chiamato tale); il limite dell'esplicazione del libero volere di una società tirannica; quello della gioia della creazione poetica, che si rivela sempre in qualche modo imitazione di qualcosa che già esiste; il limite infine nell'illusione di gloria, in cui cerca di appagarsi l'ansia di immortalità.

Alfieri quindi non condivide del suo secolo né la morale edonistica né lo spirito unitario, perché poco sensibile al mito del benessere (perno dell'illuminismo materialistico); non ha fiducia nelle riforme concesse dall'alto e non conquistate con la volontà del popolo; non partecipa all'irrisione religiosa, vedendo nel sentimento religioso una possibilità di quella sublimazione[3] cui l'uomo aspira (come attestano le figure di Santi da lui annoverate tra gli eroi), anche se deplora uomini e istituzioni che ne abbiano abusato, rendendolo strumento di tirannide; non accetta quindi il cosmopolitismo, perché orgoglioso della coscienza dei caratteri originali per cui si distinguono tra loro le nazioni.

Vediamo in sintesi gli altri aspetti del pensiero di Alfieri e la sua riforma della tragedia.

















Data

LA VITA

LE OPERE


nasce ad Asti dal conte Antonio e da Monica Maillard, di illustre famiglia savoiarda.



dopo la morte del padre, uno zio paterno, suo tutore, lo fa entrare all'Accademia di Torino





esce dall'accademia con il grado di portainsegne (sottotenente) del reggimento provinciale d'Asti, ma è insofferente della disciplina militare ed ottiene così dal re di abbandonare questa carriera.


Inizia a viaggiare per l'Italia (Milano, Bologna, Firenze, Roma, Napoli), quindi per cinque anni peregrina per l'Europa,.



Tornato in patria studia Voltaire, Rousseau, e i Saggi di Montesquieu. Ottenuta una nuova licenza dal re, lascia di nuovo l'Italia e riprende i suoi viaggi. A Lisbona incontra l'abate Tommaso Valperga di Caluso che fa insorgere in lui il primo rapimento per la poesia




rientra a Torino e da vita a una specie di circolo letterario ispirato alla cultura francese e volterriana,

l'Esquisse du jugement universel una specie di satira secondo il gusto del tempo


Scopre casualmente la sua vocazione per il teatro e nelle ore trascorse al capezzale della marchesa Gabriela Turinetti di Piè.

Rappresentazione della Cleopatra al Carignano, ne consegue un successo che lo spinge a maturare il proposito di raggiungere "meritatamente" una vera palma teatrale

realizza l'abbozzo della sua prima tragedia, la Cleopatra


Si dedica allo studio della grammatica e dei classici latini e italiani e si trasferisce in Toscana per "sfrancesizzarsi".

Conosce la contessa d'Albany, moglie di Carlo Stuart, pretendente al trono inglese





Per "spiemontizzarsi" e "svassallarsi" dal re di Sardegna fa atto di donazione di tutti i suoi averi a sua sorella Giulia, riservandosi una pensione annua

Giornali una specie di diario buttato giù in francese dal 1778 e proseguito poi in italiano


Lascia Firenze e, trasferitasi poi la contessa a Roma dopo la separazione dal marito, la segue e nella capitale

preso da furore creativo, stende ben quattordici tragedie, tra cui il Saul, considerato dai più il suo capolavoro.

Scrive inoltre Della Tirannide


Le numerose chiacchiere sul conto suo e sulla sua donna finiscono per disgustarlo: parte da Roma e compie un "pellegrinaggio poetico" a Ravenna, Arquà, Padova, Ferrara, Milano dove vuol conoscere di persona Parini.




Si ricongiunge a Colmar (in Alsazia) con la sua donna e insieme si stabiliscono a Parigi dove restano fino al 1792

Panegirico di Plinio a Traiano


fa pubblicare dall'editore Didot le sue diciannove tragedie. Lo scoppio della Rivoluzione è da lui salutato con entusiasmo, quando però alla tirannide della monarchia vede sostituirsi quella della plebe, ottenuto a stento il passaporto, fugge con l'amata da Parigi e dopo un viaggio non privo di pericoli giunge nel novembre a Firenze.

nell'ode "Parigi sbastigliata" inneggia alle giornate di luglio



Si stabilisce sul Lungarno di Firenze


Misogallo, delle Satire, delle Commedie


Muore l'8 settembre 1803 e viene sepolto in Santa Croce. La contessa gli fa erigere un grandioso monumento funebre da Canova.


La poetica e il pensiero di Alfieri


Ad Alfieri si deve la riforma della tragedia, ma anche numerose e importanti opere di carattere speculativo, da cui si comprende la modernità del suo pensiero.

Nell'opera poetica e speculativa di Alfieri si ha un ampio processo di rielaborazione di tutte le istanze intellettuali, morali e politiche del secolo, processo che culmina da una parte nell'esasperazione dei più appariscenti aspetti negativi e polemici dell'età settecentesca, dall'altra giunge al capovolgimento delle finalità etiche cui si erano ispirati i principi illuministici, in quanto antepone il benessere e i diritti del singolo individuo a quelli della società (segnando così la crisi degli ideali illuministici ed anticipando il romanticismo)

Nessuno meglio di Alfieri rappresenta la crisi di quel movimento illuministico che, pur agendo come correttivo nel campo del sapere dell'arte e del costume, aveva finito per mortificare le superiori ragioni di vita, vincolando entro una futura felicità collettiva la più spontanea aspirazione dell'uomo che è quella dell'affermazione nel mondo della propria originale personalità


Elementi del pensiero alfieriano:


razionale critica del passato

esaltazione di una superiore volontà umana che non tollera limiti nell'eroica affermazione di se stessa (concezione eroica della vita)

mito della libertà, libertà di tipo assoluto che induce l'uomo a respingere, al di sopra e al di fuori di ogni legge, qualsiasi transazione con la meschina realtà quotidiana. Emerge il contrasto libertà - tirannide.

individualistico culto del proprio "io",

Alfieri avverte la limitatezza della concezione meccanicistica in cui l'Illuminismo aveva racchiuso la vita e rivendica all'uomo la libertà assoluta di pensare e di agire, essenza della sua stessa condizione di essere raziocinante; la privazione della libertà è quindi un male irreparabile, cui l'uomo può sottrarsi solo attraverso la morte, propria o dell'oppressore (suicidio o tirannicidio).

Contrasto con l'ottimismo illuministico: Alfieri è, pessimista e tale pessimismo scaturisce dallo stesso astratto concetto di libertà e dalla tendenza a considerare il nemico da combattere, l'"universale oppressione", una forza incontrastata ed invincibile, perché per lui ogni forma di governo, persino repubblicano, impone leggi e costringe l'uomo ad esserne schiavo

affronta il problema del mecenatismo: la letteratura è sinonimo di libertà creativa ed indipendenza, mentre il mecenatismo equivarrebbe alla politicizzazione delle facoltà intellettive dell'uomo. Tra i due termini non è quindi possibile alcun compromesso; l'uno esclude la presenza dell'altra

carattere individualistico e aristocratico della figura del poeta-vate, sacerdote di libertà, promotore di azioni eroiche


Le tragedie e la riforma Alfieriana

Al genere tragico Alfieri è spinto non solo alla moda del secolo, che vi intravede la più alta e compiuta espressione letteraria, ma dal concetto stesso di poeta-vate, concetto che trova sul palcoscenico la forma più efficace per diffondere idee e muovere affetti.

La tragedia si presenta come unica soluzione artistica della natura drammatica del suo temperamento, alla sua concezione pessimistica della vita, al suo ideale di libertà in eterno conflitto con qualsiasi tipo di tirannide; essa gli consente inoltre di esprimere la intima ispirazione del poeta che tende a sentire l'uomo in contrasto perpetuo con altri uomini, con gli eventi, con se stesso, insomma con la sua stessa condizione d'uomo.


I numerosi tentativi di riforma della tragedia non erano riusciti a sollevarsi dalla mediocrità: si distinguono, tra i tanti, solo Pietro Jacopo Martello che, nel tentativo di risollevare le sorti del teatro italiano, approda alla creazione del verso detto appunto "martelliano" (doppio settenario a rima baciata) e Scipione Maffei, autore acclamato di una Merope (1713), in cui tenta di conciliare la tradizione classica con il gusto francese. A tutti però manca quell'individualità, quel "forte sentire" indispensabile, come afferma Alfieri stesso, a creare il capolavoro tragico.

Caratteristiche formali
della riforma Alfieriana


Egli stesso rivela come concepisce la tragedia (principio classico della linearità, semplicità, essenzialità):

in cinque atti,

piena del solo soggetto;

dialogizzata dai soli personaggi attori, e non consultori o spettatori;

la tragedia di un solo filo ordita;

rapida;

semplice;

tetra e feroce

tre momenti successivi di stesura, o "respiri" (ideazione del soggetto, stesura in prosa dei cinque atti, verseggiatura).

rispetto delle tre unità aristoteliche (di tempo, di luogo, di azione),

lo stile è conciso e vigoroso, il verso è pieno di pause e spezzature, "impossibile a cantilenarsi" (al contrario del verso metastasiano).


Elementi della tragedia Alfieriana

I temi delle tragedie sono tratti da:

dal mito, dalla storia antica (Antigone, Virginia, Polinice, Agamenone, Oreste, Ottavia, Timoleone, Merope, Agide, Sofonisba, Mirra, Bruto I, Bruto II)

dalla storia medioevale e moderna (Filippo, Rosmunda, Maria Stuarda, La congiura dei Pazzi, Don Garcia)

uno solo dalla Bibbia (Saul)


I fatti storici sono appena accennati e non hanno parte nel dramma,

Il dramma consiste nell'urto tra la volontà e le passioni dei personaggi, i quali vivono fuori dal loro contesto storico

Il tema della libertà e dell'antitirannide è predominante in tutte le tragedie. Nell'unità del motivo ispiratore è dato scorgere però una varietà di atteggiamenti, riducibili al conflitto molteplice ed insolubile tra individuo e realtà.


Personaggi

approfondimento psicologico dei personaggi

I personaggi sono posseduti fin dall'inizio da una passione esaltata al massimo grado, che li spinge ad agire in un certo modo

l'idea di libertà domina in tutte le composizioni, ma bisogna anche ricordare che se nell'eroe essa assume il significato di rivolta contro le leggi della vita, nel tiranno si traduce in uno spasmodico anelito alla libertà assoluta per cui egli stesso diviene un eroe, una volontà impegnata nell'affermazione di sé, non meno intollerante dei limiti che quella del suo antagonista e più di quella soggetta alla tristezza e all'isolamento morale. Il tiranno, questi diviene ad un tempo eroe e vittima


I maggiori capolavori sono da ritenere: Saul e Mirra

Saul riconosce come suo unico antagonista Dio, non per sfidarlo, ma per accettare la sconfitta del solo avversario più grande di lui; il suicidio finale non è una vile rinunzia, ma una sdegnata protesta: nella morte egli trova quella libertà invano cercata altrove. Saul avverte non fuori, ma dentro di sé la propria debolezza ed è proprio dall'umiliazione relativa alla coscienza di tale debolezza che scaturisce la tragedia del tiranno.

Mirra, vittima dell'insana passione del padre, lotta contro se stessa sconvolta dall'orrore morale che ella prova per tale torbido sentimento; Mirra muore infine trovando nella morte solo la liberazione, ma non la dignità, perché si spegne nella vergogna: inutile è allora il sacrificio, come inutile era stata la sua difesa del "nefando amore"; unico suo rimpianto è quello di non essersi trafitta prima di manifestare la sua colpa: "Io moriva innocente, empia ora muoio". La libertà quindi si esprime non solo in riferimento ad ostacoli esterni, ma anche interiori all'uomo stesso.


Opere politiche e speculative

Della Tirannide, la prima delle opere politiche giovanili, scritta "d"un sol fiato" nel 1777. Si espone il concetto di libertà e tirannide.
L'opera si divide in due libri:

nel primo sono descritti tutti gli aspetti negativi della tirannide, che si fonda sulla paura e coincide con ogni potere, sia esso esercitato da un solo o da più, ne sono sostegni la nobiltà, docile strumento di governo, l'esercito, mezzo di oppressione, la religione che, depauperata della trascendenza, è un utile espediente per educare gli animi al servaggio.

nel secondo libro l'uomo libero è ammaestrato sul modo di comportarsi di fronte a qualsivoglia regime tirannico: gli sono indicate le uniche due vie per affrancarsi della servitù:
- ritirarsi in solitudine

- ricorrere alla soppressione di se stesso del tiranno;
questi due ultimi modi però assumono rilievo solo quando appaiono estrema protesta dell'animo offeso che, con il proprio o dell'altrui sacrificio, intende denunciare l'ingiustizia.

Aleggia in ogni pagina dell'opera il mito della libertà, libertà di tipo assoluto


Del principe e delle lettere, la più matura espressione di pensiero politico dell'Alfieri.

Temi:


Il poeta è il sommo degli uomini e non può essere sottomesso da alcuno; egli  è consapevole della sua alta missione (sviluppare il cuore umano inducendolo al bene, ispirandogli l'amore di gloria e facendogli conoscere i suoi sacri diritti

il principe è mosso solo dalla vanità e usa lusinghe e ogni arte pur di corrompere i poeti e piegarli all'esaltazione di se stesso.

Il mecenatismo (che, si ricorda, rappresenta una caratteristica di tutta la letteratura e l'arte dell'Età Moderna, a partire dal Rinascimento, e solo in questo momento storico è messo in discussione nella rivendicazione della libertà del poeta e dell'artista, libertà che si afferma pienamente e definitivamente nell'Età Romantica). equivarrebbe alla politicizzazione delle facoltà intellettive dell'uomo.

letteratura come sinonimo di libertà creativa ed indipendenza,

Tra letteratura e mecenatismo non è quindi possibile alcun compromesso; l'uno esclude la presenza dell'altra

L'opera può sembrare inserita nella dottrina illuministica per la rivendicazione della libertà dello scrittore dal potere politico, e per l'impegno educativo attribuito all'azione del poeta, in realtà si contrappone a tale dottrina per il carattere individualistico e aristocratico della figura poeta-vate, sacerdote di libertà, promotore di azioni eroiche (concetto che anticipa il Romanticismo).





dottrina che ritiene l'esperienza unico fondamento del conoscere

relativo al giansenismo, che è una corrente teologica ispirata alla dottrina di Cornelis Sansen (Giansenio), vescovo di Yprès (1585-1638) caratterizzata da una concezione personalistica e deterministica della grazia divina (Dio concederebbe solo a pochi uomini di salvarsi), rimanendo però nell'ambito del cattolicesimo romano

elevazione in senso spirituale e morale.






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