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Leopardi - Rapporto vita-opera Canzoni

letteratura



Vita Cominciò a comporre intorno al 1820, a 22 anni, ma morì giovanissimo (39 anni) nel 1837.
Leopardi fu essenzialmente un lirico incline a esplorare se stesso e a sviluppare una sua storia interiore e quindi non fece parlare molto personaggi diversi da lui. E questo perchè in quegli anni Leopardi e altri lirici avevano intrapreso una strada che portava a una concezione nuova dell'arte, non più legata ad un contesto generale e universalizzato, espressione di comportamento sociale, ma come libero sfogo degli stati d'animo individuali, appunto nella loro individualità irripetibile. Tale concezione nuova era legata agli aspetti di fondo dell'età: il venire meno dell'aristocrazia; il prevalere dei modi borghesi di concepire arte e vita; la necessità di esprimere i diritti dell'individuo contro i fatti che potessero comprimerlo; il ripiegarsi su se stesso dell'uomo, tutto preso da "una morsa di cose più grandi di lui". Così come il romanzo si affermava come genere atto a cantare l'epopea morale e sociale del mondo borghese, la lirica celebrava i dirirtti dell'individuo, la sua vita interiore, la ribellione contro una societàò che non gli permetteva sempre di espandersi liberamente.
Quindi la biografia è molto importante per un lirico ed in Leopardi essa si fonde con l'arte. La vita del Leopardi va divisa in momenti diversi, in ognuno dei quali è presente una fase dello sviluppo intellettuale e sentimentale del poeta stesso e un momento della sua opera. Anche nei luoghi, biografia e lirica si fondono, specie per quanto riguarda Recanati ("il natìo borgo selvaggio"), dove Leopardi visse la maggior parte della sua vita. Ma i luoghi in cui visse furono normalissimi, quindi fu la sua immensa potenza lirica a trasfigurarli in miti poetici altissimi, tanto che sembra quasi che senza quei luoghi sia impossibile comprendere il Leopardi.



Rapporto vita-opera L'ambiente familiare giovanile fu affettivamente povero, la madre era severa e presa totalmente da problemi pecuniari. La cultura di Giacomo era vastissima, lo studio "matto e disperatissimo", è 151e42b interessato da ogni cosa.
Ha una prima fase, cosiddetta di erudizione, in cui compone due opere importanti: Storia dell'astronomia, che riflette il suo amore per le stelle, Saggio sopra gli errori popolari degli antichi (un'opera dall'ispirazione illuminista, contro l'ignoranza e le superstizioni del popolo).
Compie traduzioni importanti e studi filologici.
Nel 1819 vive una profonda crisi e si avvicina alla poesia. Conosce un purista, Pietro Giordani, che lo spinge ad uscire dall'ambiente chiuso in cui vive. Conosce l'amore, platonico e idealizzato, per una cugina. Passa dalla poesia dell'immaginazione a quella del sentimento.
Nella polemica fra classici e romantici, si schiera coi classici, considerando il romanticismo gusto eccessivo dell'orrido.
Compone due canzoni, All'Italia e Sopra il monumento di Dante, che esprimono un amore sentimentale verso la patria, letterario più che politicamente attivo. influenzato da Petrarca, esalta il passato e disprezza il presente.
La ragione, mettendo a nudo il reale, scopre il lato doloroso di esso (in Alla primavera, il credere alle favole diventa motivo di felicità).
Durante la crisi matura la sua concezione pessimistica della vita, influenzata dalle esperienze personali e compie il distacco dalla fede religiosa.
Intraprende un deludente viaggio a Roma, facendogli sperimentare il penoso scollamento fra sogno e realtà, che continuerà anche in altri tentativi di "fuga", seguiti da ritorni a Recanati.
Conobbe difficoltà economiche e altri amori, che sfociarono in una demitizzazione della donna (Aspasia).
Fece una sola raccolta di Canti; essi vennero però divisi per contenuto e forma:
1) dieci canzoni civili (Angelo Mai, Primavera, All'Italia);
2) primi idilli (Infinito, Alla luna);

3) il Passero solitario rappresenta il passaggio dai primi idilli ai grandi idilli;
4) 1823-24: le Operette morali e poi il ritorno alla poesia con altri canti (grandi idilli, per distinguerli dai primi: A Silvia ecc.)


Canzoni
Ispirate da fatti occasionali o da esperienze familiari, vi troviamo due tendenze:
a) civile;
b) sentimentale.
Leopardi è alla ricerca di una sua personale forma espressiva. Dopo l'incontro col Giordani, Leopardi sembra prendere parte alla vita politica presente, anche se mai, oltre a non partecipare direttamente alla vita politica, dimostra un ideale di patria. Insiste molto, specie in Angelo Mai, sul contrasto fra il passato, esaltato e il presente, condannato (Angelo Mai con le sue scoperte filologiche fa rivivere i tempi gloriosi del Rinascimento, le opere di Dante e Petrarca, Ariosto, Tasso e Alfieri).
Arriva all'amara conclusione che è inutile la lotta.

Zibaldone. Fu composto fra il luglio del 1817 e il dicembre del 1832. Su questo scartafaccio lasciato inedito sta tutto il lavorìo di sistemazione del pensiero del Leopardi. Contiene un grandissimo numero di pensieri, appunti, ricordi, osservazioni, note, conversazioni e discussioni. Si tratta di filosofia, letteratura, politica, uomo, nazioni, universo. Sono considerazioni poi liberissime e senza preoccupazioni, come di tale che scriveva di giorno in giorno per se stesso e non per gli altri.
Libro moderno, ancor oggi la sua lettura è fonte inesauribile di stimoli e riflessioni.

Idilli Vennero pubblicati nel 1826. Si tratta di sei liriche: L'Infinito; La sera del dì di festa; Alla luna; Il sogno; Lo spavento notturno; La vita solitaria.
Il titolo, desunto da Mosco, era adoperato nel senso greco di quadretto. Cadono, negli Idilli, le costruzioni artificiose della canzone, con le sue strofe tutte uguali e le sue rime ripetute e subentrano gli endecasillabi sciolti. Cadono i temi occasionali, desunti dalla storia o da vicende esterne e subentrano temi o occasioni interiori, scaturiti da situazioni quotidiane. E scompaiono i ricordi e i richiami di cultura, l'erudizione accumulata con tanta fatica e resta solo il succo di quel tanto sapere, la lezione della vanità delle cose.

L'infinito. E' il primo di quei componimenti che il poeta pubblicò nel 1825 col nome di Idilli. L'idillio leopardiano si distingue profondamente da quello della tradizione; non è più un quadretto bucolico, un componimento piacevole di ispirazione pastorale, ma l'espressione poetica di un'avventura interiore, di un moto dello spirito, nato dalla contemplazione nuova ed attonita dei un aspetto della Natura o della rinnovata capacità di sentire e vedere.
Che l'idillio leopardiano sia trasferito tutto nel soggetto e la Natura vi compaia solo come stimolo e occasione, rivela meglio di ogni altro L'infinito.
Gli elementi esteriori si riducono ad un colle, ad una siepe che limita l'orizzonte, ad uno stormire di fronde. Ma da questi motivi, quale contemplazione stupita dell'infinito, quali sillabe eterne.
Sulla cima di un colle una siepe impedisce allo sguardo la vista di una grande parte dell'orizzonte. Ma quello che è ostacolo alla vista degli occhi diviene stimolo alla visione interiore, all'immaginazione del poeta. E sorgono dentro di lui gli interminati spazi del cielo e i sovrumani silenzi e la profondissima quiete del vuoto e quasi il cuore del poeta si spaura e ritrae da quel nulla. E da quella voce il poeta è ricondotto alle cose finite e al confronto di esse con l'eterno, al pensiero delle morte stagioni e della stagione presente, così viva, così reale, con i suoi rumori intorno al poeta, eppure destinata a disperdersi, a svanire, inafferrabile anzi e sparente nell'atto stesso che trascorre.
La ricerca logica dell'infinito si conclude nel Leopardi con uno "scacco". Se il breve canto termina con una punta di dolcezza, ciò avviene solo perchè il Leopardi rinuncia all'indagine e dove la ragione fallisce, il recupero avviene tramite l'abbandono a uno stato sentimentale, o meglio di natura mistico-religiosa.

La sera del dì di festa. Il primo motivo poetico dell'idillio è il vagheggiamento di una quieta notte lunare. Emerge chiaramente in tutto l'idillio il pessimismo di Leopardi.
Il secondo motivo poetico che si può rilevare è quello del canto notturno che si disperde nella campagna e muore poco a poco, allontanandosi.. Un idillio, anche questo, che reca con il senso della fugacità, del trapassare e spegnersi di ogni vaghezza. Un idillio cui si accompagna la rimembranza, cioè la capacità di rinvenire nelle contemplazioni attuali gli stupori, gli incanti e le malinconie degli anni passati.



Alla luna. L'idillio è tutt'uno, in ogni sillaba, con la rimembranza, cioè con il ricordo delle contemplazioni passate. Il poeta contempla la luna dalla cima del monte Tabor e ricorda che allo stesso modo saliva a contemplarla l'anno precedente e che il volto dell'astro appariva nebuloso e tremulo attraverso le sue lacrime; minori o diverse sono oggi le sue pene. Eppure come dolce e gradito è negli anni giovanili il ricordo di ogni cosa passata ancora che triste e che l'affanno continui.


Operette morali.
Nel 1824, in parte rielaborando pensieri già annotati nello Zibaldone, in parte sviluppando idee precedenti, in parte inventando originalmente, Leopardi scrisse con foga crescente alcune prose fra satiriche, fantastiche e filosofiche, prose che uscirono in volume nel giugno del 1927 col titolo di Operette morali.
Negli anni successivi al 1824, ner aggiunse alle venti già scritte altre cinque operette, scritte in epoche diverse.

Dialogo della Natura e di un Islandese. Vi compare per la prima volta, condotto sino all'estremo delle sue conclusioni, il "pessimismo cosmico" di Leopardi.
La Natura non è più considerata la "madre benigna" degli esseri viventi; i colpevoli non sono più gli uomini che hanno deviato volontariamente dalle leggi naturali, ma la Natura sempre e dovunque indifferente se non ostile ad ognuno dei suoi figli, incapace di procurar loro quella felicità che è nel fine di ogni vivente.

Cantico del gallo silvestre. Leopardi si ricollega ad alcune tracce di una sperduta leggenda di derivazione biblica. Immagine l'esistenza di un immenso gallo selvatico, che risiede fra il cielo e la terra e finge di aver ritrovato una cartapecora antica, in cui sono riprodotte le parole che il gallo rivolge agli uomini ad ogni rinnovarsi del giorno. A ogni alba il gallo spinge gli uomini a svegliarsi e a riprendere il peso doloroso della vita e li assicura che verrà un giorno in cui potranno giacere immobili per sempre nella quiete del sonno; l'universo intero precipiterà infine nel buoi, prima che nessuno abbia potuto comprendere le ragioni della sua esistenza, l'arcano mirabile e spaventoso della vita.
L'invenzione del gallo silvestre testimonia di quel gusto del bizzarro, del peregrino, dell'umoresco che informa le Operette; ma la materia è senza dubbio fra le più dolenti e severe del Leopardi.

Dialogo di Tristano e di un Amico. Il poeta si difende dall'accusa di aver formulato le sue teorie pessimistiche in conseguenza dei mali fisici. Sul finire del dialogo, il poeta si distacca da ogni accento polemico ed esprime l'infelicità del proprio animo e il proprio desiderio di morte


Dialogo di Plotino e di Porfirio. Il poeta finge di riprodurre i discorsi che il filosofo Plotino tenne al discepolo Porfirio per distoglierlo dall'idea del suicidio; scrive alcune fra le righe più malinconiche e dolci del suo libro.
Il suicidio può anche apparire conforme al pessimismo leopardiano, giustificato, un gesto di natura eroica, di ribellione o di sfida; tuttavia contrasta con le voci più intime e segrete dell'animo, con quel senso profondo che ci lega ai nostri compagni, alla nostra sorte di uomini. Plotino non confuta le osservazioni teoriche del discepolo, ma parla mosso da quel senso dell'animo che vuole la collegazione fraterna, il rispetto e la pietà dei propri simili.


Grandi Idilli Comprendono: A Silvia, Le ricordanze, Il sabato del villaggio, La quiete dopo la tempesta, Il passero solitario, Canto di un pastore errante dell'Asia.
Idillici sono i richiami costanti alla natura e a Recanati, il tono di intimità raccolta, il colloquio con se stessi e la natura; idillico è ancora il sollevare l'umile realtà intorno a saè o il triste passato in una luce ferma e pura di mito.

A Silvia. Alle origini della lirica sta il ricordo di Teresa Fattorini, la figlia del cocchiere di casa Leopardi, morta ancor giovane, di mal sottile, nel 1818. Teresa, qui, diventa Silvia, cioè una fanciulla che si affaccia lla giovinezza nei medesimi anni in cui la fiducia arrideva al cuore del poeta.
Silvia muore prima di giungere al fiore dei suoi anni, così come cade e muore la speranza prima che si faccia piena la giovinezza del poeta.
Silvia diventa il simbolo della speranza e del suo cadere. Silvia rappresenta la giovinezza e le illusioni che vengono infrante. ritratta nel suo ambiente familiare, il poeta si rivolge a Silvia come fosse ancora viva, ma in tono malinconico. Accusa la natura matrigna. Nel finale c'è l'amara constatazione che la realtà diverge dagli ideali della giovinezza.

Le ricordanze. L'inizio è dato dal nascere nel poeta di uno stato d'animo idillico, dallo stupore di rivedere rinascere in se stesso la capacità antica e perduta di contemplare i cieli e le stelle, le immagini che durante gli anni della fanciullezza avevano parlato così spesso al suo cuore. Non gli diceva il cuore che sarebbe stato dannato a consumare a Recanati, fra gente zotica, la sua giovinezza. il tempo giovanile vola più caro della fama e dell'alloro. Frattanto, dalla torre, sorge il suono dell'orologio. Il poeta viene portato nuovamente alla passata fanciullezza, trascorsa fra le mura paterne. Rievoca le speranze giovanili e Nerina, una dolce ragazza amata dal poeta.
L'idillio deriva da un incontro col passato più remoto e più dolce del poeta. Per Leopardi l'adolescenza e la giovinezza appaiono le uniche età immuni dal tedio, le età dei sogni luminosi, degli occhi liberi e vergini dinnanzi alle meraviglie del mondo; i colori stessi delle cose sono più vividi e luminosi; le capacità di vedere e di sentire appartengono ancora a un cuore intatto.
Più tardi, svaniti i sogni, l'unica possibilità per l'uomo di attingere alla commozione consisterà nella rievocazione delle sensazioni e dei moti della fanciullezza.
I ricordi non si susseguono seguendo uno svolgimento logico, ma sono innescati da sensazioni esterne, dalle immagini e dagli aspetti più vari di Recanati. si risolvono, infine, in un'immagine femminile, anch'essa simbolo della giovinezza, Nerina, morta e rimpianta come Silvia. Nerina assurge a incarnazione di quella figura femminile che gli uomini rinvengono al fondo dei loro ricordi.
In Nerina non figura nessun elemento che incrini la gioia e la luce. Nerina è la giovinezza pura, inseguita da Leopardi. Ricorre in tutto il canto la consapevolezza che le speranze e i sogni sono fantasmi vuoti, eppure così saturi di incanto, di bellezza, di dolcezza.



Canto notturno di un pastore errante dell'Asia. Leopardi apprese, da alcune note di un viaggiatore russo, che molti kirghisi avevano l'abitudine di passare le notti seduti su una pietra a contemplare la luna, improvvisando parole assai tristi. Da questa notizia l'ispirazione per il Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, in cui il poeta immagina che il pastore si rivolga direttamente alla luna e la interroghi circa il significato dell'esistenza, il dolore universale, lo scopo e le ragioni dell'universo. Il canto riflette un certo gusto dell'esotico, tipico del Romanticismo.. Leopardi dimostra di non avercela coi genitori per averlo messo al mondo, ma con la Natura. Viene fuori il tedio di Leopardi, che non è generica stanchezza.
Il poeta finirà coll'invidiare agli animali l'assoluta assenza di ogni sentimento del bene e del male.

La quiete dopo la tempesta. Il poeta, rinverdito e come snebbiato dalla pioggia, descrive il senso di gioia che è nel villaggio dopo la tempesta, quell'alacrità che subentra nell'animo di tutti i viventi, che è nelle cose medesime, quella maggiore nettezza di colori e di forme. La quiete dopo il temporale simboleggia la quiete dopo un dolore temporaneo: in fondo, quel poco di piacere di cui fruiscono gli uomini non deriva che dalla fine di un dolore; la morte, che porrà fine ad ogni male, è dunque, per l'uomo, il bene più grande.

Il sabato del villaggio. Si ricollega alla Quiete. Entrambi gli idilli furono composti nel settembre del 1829, in uno dei momenti di più felice ispirazione del poeta. Anche in questi versi, l'autore coglie un momento della vita del borgo: le ultime ore del sabato, l'animazione del villaggio alla vigilia della festa, la distensione tranquilla degli animi. Come il precedente, anche questo idillio è seguito da un commento morale, da una riflessione di natura filosofica. Il sabato è migliore della domenica, il piacere consiste nel futuro. Il piacere consiste o nella fine del dolore o nell'aspettativa di un bene: mai nel presente effettivo.
Il poeta si rivolge, negli ultimi versi, a un ideale giovinetto, anzi a un adolescente e gli confida che non si deve dolere se la piena sua giovinezza non è ancora giunta, se la festa della sua vita appare ancora lontana. Meglio che essa ritardi, perchè è nell'attesa la gioia più vera e intensa.

Il passero solitario. Serve da prefazione agli idilli. Il canto è diviso in tre strofe, la prima e la seconda in cui si traccia il confronto fra il passero solitario e il poeta; la terza invece, in cui vengono indicate le differenze. Come il passero vive solitario e, pensoso, contempla il tripudio dei compagni e canta in disparte dall'alto della torre, così il poeta, mentre il paese è in festa, esce solitario alla campagna e rimanda ad altro tempo giochi e diletti. Ma, giunto alla fine della sua vita, il passero non si dorrà della sua solitudine, essa deriva dall'istinto, è frutto della natura; diversamente il poeta rimpiangerà di aver gettato il tempo migliore e si volgerà senza conforto al passato.

Ciclo di Aspasia Gli ultimi componimenti di Leopardi si presentano un po' diversi dai precedenti: la riflessione e il ragionamento prevalgono sulla rappresentazione del paesaggio. Il poeta evidenzia un animo più combattivo e più energico. Alcuni di questi componimenti vanno sotto il nome di Ciclo di Aspasia, legato all'ultimo amore di Leopardi, la Targioni Tozzetti. Si rinuncia alla contemplazione della natura, con un'accettazione virile del reale.

A se stesso. Emerge quell'accento virile con il quale il poeta scaccia ogni moto dell'animo e invita se stesso a non palpitare più, a cessare la disperazione medesima.

Poetica leopardiana o dell'idillio Leopardi accetta la proposta di Madame de Stael di leggere gli autori stranieri, ma non di imitarli. Egli rivolge un invito a leggere gli antichi. Leopardi sottolinea il sentimento. L'idillio è per lui l'espressione dei moti del suo animo. C'è il rifiuto della mitologia e della bella immagine. Vago, indeterminato, infinito sono i principi di Leopardi. Non ci deve essere scientificità. Una condizione della poesia è la rimembranza, perchè il ricordo sfuma i contorni, dilata i termini reali e concreti. La poesia di Leopardi è intrisa di Romanticismo. La poesia nasce dal sentimento (poetica idillica). I dati costitutivi della poesia di Leopardi sono:
- momento contemplativo;
- momento riflessivo.
Un altro principio poetico è che la poesia non sia trascrizione esatta della realtà, ma esprima il senso del vago, dell'indeterminato, dell'infinito. Ciò si può realizzare con il ricordo. L'altro mezzo è l'impiego di termini poetici. Una poetica fondata su questi pricipi è detta romantica. In quanto rifiuta i generi, la mitologia, tutte le regole di poetica precedentemente elaborate. E si basa soprattutto sul sentimento.



Leopardi e il suo tempo.
Espressione di giovanile entusiasmo, di sentimento patriottico è la canzone all'Italia. Ma non c'è in Leopardi una vera concezione di patria. C'è invece l'amara delusione per i moti del 1820-21. Egli finisce per non occuparsi più della storia e della società in cui vive, ma sempre più di se stesso. La usa adesione politica era frutto di entusiasmo. Dopo, egli si chiuse in se stesso. Rifiuta la scienza. Ancora più feroce il suo disprezzo per la tecnica. L'uomo non deve inventare dei parafulmini, ma dei parainvidia, dei paraegoismi, qualcosa insomma che lo soccorra spiritualmente. Egli si scaglia contro la cultura di massa, contro le gazzette, lo spiritualismo, le tendenze filosofiche di comodo.
L'ultima fase del suo pensiero è una sorta di "progressismo" leopardiano (significato della ginestra, dialogo di Plotino). Gli uomini devono unirsi (ma non ne vengono indicati i mezzi). Bisogna superare le ingiustizie di classe, il dominio straniero. L'idea leopardiana appare valida, ma non supportata da indicazioni politiche. Leopardi è un democratico pre-politico, non concretamente configurato in una ideologia.

Il pensiero di Leopardi.
Il pensiero leopardiano non ha uno sviluppo organico e sistematico, perchè non si forma in una pura sfera mentale e astratta, ma vive in relazione col sentimento; quindi, da una parte le conclusioni cui perviene sono una conferma logica, una convalida razionale di intuizioni e moti sentimentali, dall'altra queste stesse conclusioni razionali provocano profonde risonanze affettive.
In definitiva il pensiero leopardiano rimane escluso dal puro momento della scientificità, intrinseco alla filosofia, ma è sempre connesso con le concrete e reali situazioni umane e storiche.
Questa relazione fra filosofia, sentimento e cultura giustifica la maniera personale con cui Leopardi interpreta le tendenze filosofiche del Settecento. Il problema centrale è quello della felicità. La tendenza naturale dell'uomo. In cosa consiste?
1. Adeguamento della realtà ai desideri, alle aspirazioni; nella sintesi ideale-reale.
2. Nella durata senza termine.
L'esperienza dimostra il contrario: la realtà non corrisponde mai alle aspirazioni; tutte le cose hanno un'esistenza limitata. Leopardi fa questa constatazione non soltanto sulla base della propria personale esperienza, ma su quella che è stata definita (Timpanaro) "la delusione storica": il crollo del mito della ragione, del fiducioso ottimismo illuministico.
La ragione doveva distruggere per sempre la barbarie, la superstizione, instaurare l'uguaglianza e la democrazia, riportare a un giusto e sano equilibrio con la Natura; ma la ragione ha fallito: la rivoluzione da essa prodotta si è trasformata nel dispotismo napoleonico e nella Restaurazione.
La ragione ha conseguito un solo scopo: ha smascherato il vero volto della realtà. Quindi la prima risposta al problema della felicità è il riconoscimento di una incomponibile antitesi:
grandezza <-----> piccolezza
illusioni <-----> ragione
ansia d'infinito <-----> limiti del reale
Natura <-----> uomo
La Natura buona concede le illusioni, che costituiscono la sola felicità possibile. C'è quindi un'epoca dell'umanità, un'età del singolo, non priva di qualche forma di felicità, perchè non priva di illusioni. Poi la ragione mostra il vero. Questo rappresenta il cosiddetto "pessimismo storico", che non è ancora a rigore, pessimismo, perchè non si è ancora assolutizzato ed eretto a sistema e riconosce un qualche valore di felicità all'illusione.
A tali conclusioni erano possibili due sbocchi:
1) Contrapporre alla ragione la fede in un mitico regno dello spirito, in un Dio causa e fine della realtà e della vita.
2) Portare fino in fondo l'analisi razionale del rapporto uomo-Natura, in termini totalmente demistificati.. In Leopardi è troppo sviluppato il razionalismo per ricorrere alla scappatoia religiosa, troppo radicate le tendenze scettiche, atee, materialistiche del suo tempo; vengono ad aggiungersi le cagionevoli condizioni di salute, che dovevano fargli sentire acutamente il condizionamento della Natura sull'uomo e la situazione storica.
La sua analisi, perciò, prosegue in termini rigorosamente razionali raggiungendo conclusioni definitivamente negative:
1) La Natura non ha dato agli uomini una felicità obiettiva, ma soltanto una felicità velata. Non madre pietosa, ma maligna matrigna, perchè ci ha fornito lo strumento che toglie il velo alla felicità e cioè la ragione; la Natura è indifferente alla sorte dell'uomo perchè l'universo è un perenne ciclo di distruzione della materia, di cui non si conoscono la causa e il fine.
2) Nessuna cosa è assolutamente necessaria; nessuna cosa è, veramente. Il principio delle cose è il nulla (teologia negativa). Alla scoperta dell'assoluta negatività dell'esistenza segua la constatazione che anche la felicità non esiste, non è. Si identifica con la non-realtà dell'illusione e perciò è solo futura, come sogno o speranza, o solo passata, come ricordo delle antiche illusioni. L'unica realtà è la non-felicità, il dolore, il male o la spaventevole sensazione fisica del nulla universale (noia). A questa nuova considerazione del rapporto uomo-Natura segue una nuova, capovolta, valutazione della ragione: non più facoltà limitatrice, negativa, ma anzi l'unico valore e l'unica forza cui l'uomo possa appoggiarsi per essere veramente se stesso, fuori dalla paura e dal compromesso.
L'uomo deve accettare con virile fermezza e con coerenza tutte le conseguenze di una filosofia dolorosa, ma vera. La religione negativa non produce sgomento o rinuncia, ma ribellione, che chiama tutti gli uomini a stringersi contro la cieca crudeltà della Natura in una nuova fraternità. Questo messaggio è il contenuto de La ginestra.







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