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LA COMMEDIA ARTISTICA

letteratura



LA COMMEDIA ARTISTICA


Intorno alla metà del Cinquecento, grazie all'attività di alcune compagnie di attori girovaghi (il primo documento che attesta l'esistenza di una di queste compagnie fu redatto a Padova nel 1545), si sviluppa una nuova forma di rappresentazione teatrale, non più vincolata a rigidi testi scritti e all'ambiente di corte. Questo tipo 858h76i di spettacolo prende il nome di commedia dell'arte o commedia all'improvviso: essa conobbe una rapida e fortunata diffusione (la sua parabola durò poco più di due secoli) soprattutto grazie alla facile penetrazione presso gli strati medio-bassi della popolazione e allo scarso uso di mezzi scenografici, solitamente ridotti al minimo. In un secondo momento, a cavallo del Seicento, la commedia dell'arte approdò con grande successo di pubblico anche in Francia, dove operarono compagnie italiane molto importanti, raggiungendo celebrità e prestigio. Rispetto al teatro di corte, la commedia dell'arte si affidava quasi esclusivamente a un repertorio popolare e antiletterario, disintegrando l'autorità del testo scritto a vantaggio dell'improvvisazione dei singoli attori. Esistevano tuttavia alcune tracce (i canovacci o scenari) che venivano di volta in volta reinterpretate e modificate dall'estro momentaneo dell'interprete e secondo alchimie incontrollabili che sfuggivano a qualsiasi forma di controllo e di censura. Nella commedia dell'arte confluiva da una parte l'antico bagaglio dell'istrionismo giullaresco delle corti medievali (histrio in latino significa "attore", e per traslato, "ciarlatano", "saltimbanco"), e dall'altro la cosiddetta commedia degli zanni (Zanni, forma veneta per Giovanni, era il nome che si dava alla figura comica del servo) articolata sul contrasto tra servi e padroni (questi ultimi chiamati Magnifici, con i quali si identificavano i vecchi mercanti veneziani). Questi personaggi erano per la prima volta riconvertiti al mestiere dell'attore da una spiccata professionalità: con il tempo, gli attori vennero organizzandosi in vere e proprie compagnie stabili (famosa quella dei Gelosi, guidata da Francesco e Isabella Andreini), soprattutto in Lombardia, nel Veneto e a Napoli. In questo senso la commedia dell'arte apportava al teatro di corte una modifica radicale dei suoi istituti: il lavoro dell'attore veniva mercificato, quantificato e regolamentato da precisi contratti che sancivano obblighi e diritti di una nuova professione, scardinando il dilettantismo di coloro che, nelle corti rinascimentali, mettevano in scena i testi classici del repertorio "alto". Si ricordi infatti che fu proprio la compagnia dei Gelosi a mettere in scena l'Aminta del Tasso nel luglio del 1573 nell'isoletta di Belvedere sul Po. Molte di queste compagnie utilizzarono quindi il sostegno di alcune corti dell'Italia settentrionale, segno di una riconosciuta capacità e di una committenza che procurava occasioni di lavoro alle compagnie: i Desiosi (attivi tra il 1581-99), e gli Uniti (1578-1640), nella quale recitava il napoletano Silvio Fiorillo, inventore della maschera di Pulcinella, erano vicini ai Gonzaga; l'Idropica e il Pastor fido del Guarini furono allestite rispettivamente dai Fedeli nel 1608 e dagli Accesi nel 1618. Questa situazione, oltre a confermare che la commedia dell'arte non fu soltanto un teatro di piazza e di strada, indicava la versatilità di quelle compagnie che si adattarono a recitare generi anche non prettamente comici.



Con l'apporto della documentazione che oggi possediamo, è stato possibile sfatare il pregiudizio di una commedia dell'arte intesa come teatro minore rispetto ai testi composti dagli scrittori del Cinquecento (Machiavelli, Ariosto, Bibbiena, Tasso, Guarini): in realtà molte soluzioni comiche (lo scambio di persone, i travestimenti, gli amori ostacolati) provenivano dai modelli preesistenti della narrativa romanza tardo medievale, se non addirittura dal teatro classico di Plauto e Terenzio. Diverso era invece il modo, lo stile e il linguaggio con cui queste situazioni venivano riproposte: la forte carica dissacrante nei confronti del potere (soprattutto quello ecclesiastico), l'irruzione sulla scena di tipi psicologici ribelli e furfanteschi, il marcato espressionismo linguistico (l'uso del dialetto, la deformazione delle parole) costituivano un fatto nuovo nel panorama teatrale italiano, e al tempo stesso provocavano la dura reazione della Chiesa. Tra i numerosi interventi che cercarono di limitare e screditare il lavoro delle compagnie vi fu anche quello di Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano nella seconda metà del Cinquecento, promotore di numerose condanne dei comici dell'arte, indicati come elementi di disturbo della morale religiosa perché posseduti da forze diaboliche (Borromeo condannava la recitazione delle donne e l'uso della maschera, che nascondeva il volto dato da Dio). In realtà questa strategia mirava a colpire l'operazione culturale della commedia dell'arte, secondo un atteggiamento molto diffuso nel clima della Controriforma: la gestualità dei corpi, la giocosità irrazionale dei comportamenti, il ribaltamento degli ordini sociali, l'irruzione sul palcoscenico della cultura contadina, con la miseria e lo sfruttamento di cui essa era da sempre oggetto e vittima, la satira e l'irriverenza contro le classi egemoni e l'aristocrazia, infine la rottura dei tradizionali codici della moralità erano tutti elementi che costituivano un pericoloso fattore di disturbo sociale.



La struttura scenografica è a prima vista piuttosto semplice: le vicende alternano l'eterno contrasto tra gli zanni e i vecchi padroni con il quale si intrecciano le avventure amorose di altre coppie di attori. Tra gli zanni spicca la maschera di Arlecchino, il servo che proviene dalle vallate del bergamasco e cerca fortuna in città (l'origine di questa tipologia sembra vada cercata nel folklore primaverile), oppure quella del napoletano Pulcinella. Accanto a loro, antagonisti naturali, si pongono il ricco Pantalone (il mercante veneziano) o il sapiente dottore bolognese.

Ludovico Zorzi, un attento studioso di storia del teatro, ha scritto: "Che la Commedia dell'arte fosse imitatio vitae, nel senso ovviamente non di un banale realismo, ma di un'osservazione altamente formalizzata e codificata della realtà, questo è un dato intorno al quale abbiamo un ampio corredo di prove filologiche. Sempre schematizzando, potremmo dire che il teatro degli attori, opponendosi a quello dei letterati, era in sostanza una riscoperta delle leggi di vitalità, di agilità e di semplicità che costituiscono il teatro autentico".






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