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IL SERVITORE DI DUE PADRONI

letteratura



IL SERVITORE DI DUE PADRONI


Omaggio grandioso alla tradizione dell'arte e alla "commedia improvvisa", Il servitore di due padroni nacque originariamente come scenario per un famoso Arlecchino veneziano, Antonio Sacchi. Nel 1745, quando Goldoni si trovava a Pisa immerso nelle pratiche dell'avvocatura e in quella città accolto in Arcadia con il nome di Polisseno Fegejo, ricevette dal Sacchi la p 727e41h roposta di rielaborare un canovaccio francese del Mandajors (1669-1747) dal titolo Arlequin valet de deux maîtres rappresentato a Parigi da Luigi Riccoboni. Il testo di cui oggi disponiamo è la rielaborazione approntata nel 1753 per l'edizione Paperini: la commedia venne dunque riscritta, probabilmente a Firenze, e aumentata di una lettera dedicatoria all'amico pisano Bernardino Fabri.

Nell'"Autore a chi legge" premesso alla commedia, Goldoni ne ripercorre la vicenda testuale: "Quando io composi la presente Commedia, che fu nell'anno 1745, in Pisa, fra le cure legali, per trattenimento e per genio, non la scrissi io già, come al presente si vede. A riserva di tre o quattro scene per Atto, le più interessanti per le parti serie, tutto il resto della Commedia era accennato soltanto, in quella maniera che i Commedianti sogliono denominare a soggetto; cioè uno Scenario disteso, in cui accennando il proposito, le tracce, e la condotta e il fine de' ragionamenti, che dagli Attori dovevano farsi, era poi in libertà de' medesimi supplire all'improvviso, con adattate parole e acconci lazzi e spiritosi concetti".

Il primo Goldoni si muove ancora, e volutamente, nella sfera della commedia dell'arte, anche se dai canovacci e dai lazzi egli mostra chiaramente di voler prendere le distanze, restituendo alla testualità una primaria funzione di guida e di statuto. Ma la suggestione era forte, e il Goldoni prima della riforma si concede, non solo con Il servitore di due padroni, un ampio giro d'azione attorno alla maniera dell'improvviso. Sempre per il Sacchi aveva scritto in precedenza lo scenario Le trentadue disgrazie d'Arlecchino e successivamente avrebbe composto Il figlio di Arlecchino perduto e ritrovato. Ma i modi, le tecniche, la disposizione scenica, il ritmo del recitato, tipici delle commedie a soggetto, perduravano in Goldoni fino dal Momolo cortesan (del 1738, ma riscritto interamente nel 1755 con il titolo L'uomo di mondo), dal Momolo sulla Brenta e dal Mercante fallito: la strada percorsa dal commediografo veneziano sembra in apparente controtendenza rispetto alla riforma avviata con la Donna di garbo, redatta nell'interezza del testo nel 1743, "la qual io chiamo mia prima Commedia, e che prima delle altre comparirà in questa raccolta, giacché in fatti è la prima ch'io abbia interamente scritta". Di fatto, tornando agli scenari richiesti dal Sacchi, Goldoni non soltanto mostrava un'aperta capacità di interagire con le compagnie e i gusti del pubblico veneziano, ma operava una rilettura di tutta la tradizione dei comici dell'arte; assorbiva da quel patrimonio i tempi delle battute e le formule di sicuro effetto comico; ripuliva i canovacci della loro scoperta indecenza linguistica; piegava la polemica gratuita contro il mondo ecclesiastico verso l'orizzonte sociale delle classi dominanti.



Così Truffaldino, divenuto poi Arlecchino (anche nel titolo) nello straordinario allestimento di Strehler, assumerà, nel testo definitivo, la veste di un'ironica allegoria del mondo moderno, inevitabilmente diviso in padroni e servi, in classi dominanti e classi subalterne, in ricchezza da una parte e fame, una fame atavica e millenaria, dall'altra.

L'intreccio, scrive Siro Ferrone, "è tutto di imbrogli, equivoci, espedienti, travestimenti, personaggi fittizi, morti simulati, secondo il gusto romanzesco del teatro del Seicento", ma la fabula è riconducibile a modelli assai noti, a partire dai Menaechmi di Plauto: quelli del travestimento e dello sdoppiamento, ingredienti canonici della commedia, che Goldoni riprenderà in lavori cronologicamente vicini, come I due gemelli veneziani e Il frappatore (inizialmente intitolata Tonin Bellagrazia).

La prima edizione della commedia venne pubblicata nella Paperini del 1753, quindi riprodotta nel tomo VIII della Bettinelli, nel tomo V della Pasquali e nel X della Zatta.






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