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IL PESSIMISMO DI ARTHUR SCHOPENHAUER (1788-1860 )

letteratura



IL PESSIMISMO DI ARTHUR SCHOPENHAUER (1788-1860 )


Il pessimismo di Schopenhauer affonda le radici nella sua filosofia, la quale viene esposta nella sua opera maggiore "Il mondo come volontà e rappresentazione". Quest'opera, che il filosofo di Danzica pub 757j98h blicò all'età di 30 anni nel 1818 , nonostante venisse accolta male dalla critica e dal pubblico del tempo, rimase a fondamento del Suo pensiero filosofico nei decenni successivi, durante i quali Schopenhauer scrisse molto per ampliare e chiarire i concetti in essa esposti, dando con ciò la prova di una straordinaria coerenza di pensiero , non frequente fra i filosofi.

Il  libro per di più presuppone un lavoro precedente: il saggio "Sulla quadruplice radice del principio di ragione sufficiente" che era stata la tesi di laurea di Schopenhauer, pubblicata cinque anni prima e che gli era valsa la nomina come libero docente di filosofia all'università di Berlino. Il concetto che egli vuole esprimere è che il mondo - come sintetizza il titolo - è volontà e rappresentazione . Il concetto che il mondo è una nostra rappresentazione, cioè che noi tutti percepiamo la realtà esterna tramite le nostre sensazioni, ovvero per mezzo dei sensi, e ce ne facciamo un'idea nella nostra mente, era un principio della filosofia idealista già prima di Kant,il quale fece fare un passo avanti a questa concezione dell'idealismo dimostrando che la rappresentazione non ci permette di conoscere la realtà "oggettiva", la cosa in sé, ma solo il suo fenomeno, cioè un'apparenza della realtà. Per Kant quindi il mondo dell'esperienza non si risolveva nella sola rappresentazione, restava fuori da essa un'incognita, una X, la cosa in sé. La cosa cioè più importante, l'elemento originario del mondo restava del tutto indefinito. Kant, nel tentativo di definire la cosa in sé, fece un'altra importante scoperta: egli dimostrò che il tempo, lo spazio e la causalità non sono elementi oggettivi che appartengono alla cosa in sé. Questi ultimi, lungi dall'essere attributi della realtà cosiddetta "oggettiva", sono elementi soggettivi, dati a priori di ogni conoscenza. Nessuno dei filosofi dopo Kant percorse la via da lui aperta per definire la "cosa in sé", questo elemento originario del mondo inaccessibile alla conoscenza "empirica", ma non a quella metafisica. Schopenhauer fu l'unico dopo Kant a proseguire su quella via , animato dal fermo proposito di far uscire la filosofia dal vicolo cieco in cui si era cacciata. Schopenhauer si accinse a rinnovare gli studi filosofici, seguendo il tracciato indicato da Kant, in forte contrapposizione polemica con i filosofi idealisti del suo tempo (Hegel, Schiller, Stirner ecc.) Per Arthur  la "cosa in sé", che Kant non era riuscito a definire ed i filosofi dopo di lui avevano confuso ancora di più, è la volontà. Essa per Schopenhauer non è una rappresentazione, né una facoltà della nostra mente, come credevano i filosofi prima di lui, ma l'essenza originaria dell'essenza, al di là di ogni apparenza fenomenica, al di là di ogni rappresentazione, è volontà. Questa scoperta, questo principio di "verità" che Schopenhauer rivendica quale merito principale della sua filosofia ha importanti conseguenze nello sviluppo del pensiero filosofico, esso rappresenta un vero progresso delle conoscenze dell'uomo sul mondo, una "scoperta" che vale il merito al suo ideatore di essere incluso nel numero ristretto dei grandi pensatori dell'umanità.



Il pensiero di Schopenhauer si afferma e cresce in solitudine, con una forte contrapposizione con le filosofie idealiste del tempo e soprattutto con la filosofia hegeliana. Essa vedeva nel mondo una mera rappresentazione, lo sviluppo di un'idea, il progresso dello spirito ecc. Un qualcosa cioè che univa ideale e razionale . Definire "tutto ciò che è reale è razionale, tutto ciò che è razionale è reale" - come faceva Hegel - appariva a Schopenhauer un concetto astratto, un puro "fenomeno cerebrale", frutto di una filosofia "falsa", asservita al potere, che niente aveva a che fare con la vera realtà del mondo.

Ma vengono rifiutate da Schopenhauer anche le filosofie materialiste che risolvono la realtà in un dato "materiale" percepito dai sensi, che riducono cioè la realtà al suo fenomeno.

Una seconda considerazione nasce dal rapporto interno che Schopenhauer stabilisce fra il soggetto conoscente e la realtà oggettiva, cioè fra il mondo come rappresentazione e come volontà.

Questa via interiore individuata da Schopenhauer per raggiungere la cosa in sé, l'unica percorribile in quanto ogni altra conoscenza "oggettiva" è rappresentazione, quindi apparenza fenomenica, è una via che proviene direttamente da Kant ma porta la filosofia di Schopenhauer a concordare nei risultati con le filosofie orientali, soprattutto quelle delle Upanishad e con il buddhismo, ma anche con quelli della psicoanalisi di Freud, in quanto la volontà diventa percepibile solo nell'autocoscienza. Ma se l'io era per Schopenhauer un enigma, e rimane un enigma, nonostante che la psicoanalisi di Freud abbia cercato di risolverlo con risultati scientifici indubbi, era chiaro, per il nostro, "il primato della volontà nell'autocoscienza". "In tutti gli esseri animali - scrive Schopenhauer - la volontà è l'elemento primario e sostanziale, mentre l'intelletto è un elemento secondario e accessorio, addirittura un mero strumento al servizio del primo , uno strumento che è più o meno perfetto e complesso , a seconda delle esigenze di questo servizio".

Se è vero che l'essenza originaria di ogni fenomeno e di tutti gli esseri è la volontà, essa è tuttavia una volontà irrazionale e cieca: pura e incontrollata volontà di vivere.

Infatti per Schopenhauer l'irrazionale, ossia la volontà cieca, domina la nostra mente e il mondo ossia, per dirla in modo più rispondente all'orientamento pessimistico della filosofia del nostro, il mondo è equamente diviso fra malvagità e follia. Non c'è posto dunque per l'ottimismo nella filosofia di Schopenhauer. Tutte le filosofie e le religioni che giustificano un atteggiamento ottimistico nei confronti dell'esistenza (teismo, panteismo ma anche il materialismo) vengono ugualmente rifiutate perché presuppongono erroneamente una qualche razionalità, una qualche "buona" ragione o intenzione all'origine del mondo.

La volontà induce tutti gli esseri viventi ad aver paura della morte o del semplice "nulla" in quanto prescinde da ogni valutazione sul valore della vita, sul bene o sul male che il destino ci riserva, o su ciò che seguirà dopo la morte.

Ma la volontà non si presenta solo come istinto di conservazione.

E' dunque irrazionale - per Schopenhauer - ossia priva di senso, la stessa esistenza che si protrae per un certo periodo e che si conclude, dopo un invecchiamento penoso, con la morte e l'estinzione dell'organismo. E' parimenti irrazionale il generale comportamento dell'uomo, così come viene indotto dalla volontà perché l'uomo, nonostante la sua intelligenza, è continuamente soggetto al dominio di una volontà irrazionale e tiranna; la sua razionalità non è quindi né autonoma né "libera". Questi caratteri che la volontà assume, quando si oggettiva nel mondo mediante quello che Schopenhauer chiama il principium individuazionis, sono all'origine, come si può ben capire, di tutte le pene, di tutte le sofferenze e dei crucci che la vita ci riserva.

Da quanto ho appena relazionato, si può capire come quello di  Arthur sia un pessimismo conseguente alla sua analisi filosofica, alla sua disposizione mentale. Il pessimismo di Schopenhauer deriva dalla consapevolezza che l'irrazionale domina la ragione e il mondo e che il male presente nel mondo è "reale e concreto", è cioè di natura "positiva", mentre il piacere e la felicità, sono di natura "negativa" : quest'ultimi non vengono sentiti nel momento in cui li viviamo di più.

Il piacere e la felicità sono spesso chimere non raggiungibili perché proiettati sempre in un futuro lontano e incerto. La natura prevalentemente illusoria della felicità e del piacere e la natura "positiva" del dolore, sono temi ricorrenti negli scritti di Schopenhauer , dall'età giovanile alla maturità.

L'illusione di poter raggiungere facilmente la felicità non è data solamente da un'erronea impostazione dell'educazione o dalla inevitabile distorsione dei valori morali e del costume di ogni società. Tuttavia,per Schopenhauer questo errore non è imputabile ad una particolare società, perché esso è profondamente radicato negli uomini e li accompagna fin dalla nascita.

Tutti ci portiamo dietro, con la nascita questa pretesa di felicità o , per meglio dire, tutti nasciamo con un errore innato. Questo errore può essere corretto dall'esperienza, Schopenhauer crede, contro un luogo comune che viene spesso ricordato da tutti i venditori di fumo, che l'età giovanile è un'età prevalentemente "infelice", nonostante tutti i cosiddetti "vantaggi" che essa presenta rispetto all'età matura.

"Ciò che rende infelice la prima età della vita - scrive Schopenhauer - è  (proprio) l'andare a caccia della felicità in base al fermo presupposto che essa debba potersi incontrare nella vita: ne scaturiscono speranze continuamente frustrate e insoddisfazioni".

"A torto si compatisce l'infelicità della vecchiaia" - scrive ancora Schopenhauer - pensando che i piaceri siano ad essa negati.

In ogni caso, ci si potrebbe chiedere se Schopenhauer creda alla possibilità, anche lontana, di poter raggiungere in questo mondo una qualche felicità. Le risposte si trovano nel testo intitolato"L'arte di essere felici" , che Schopenhauer chiama Eudemonologia o eudemonica; è un'operetta rimasta ad uno stato di elaborazione grezzo, tuttavia risponde pienamente all'intento di Arthur di poter dare delle "indicazioni pratiche" se non per raggiungere la felicità, nella quale non crede, per poter almeno passare la vita il più serenamente possibile; una cosa quest'ultima senz'altro possibile, almeno a certe condizioni. Essa ha pieno diritto di esistere fra le opere di Schopenauer, non solo perché si presenta come un lavoro compiuto, ma anche perché il progetto che la ispira viene ripreso da Schopenhauer anche in età matura in un trattato che ha per titolo "Aforismi sulla saggezza di vita".

Tuttavia già Schopenhauer teneva conto di tutto questo nella introduzione al trattato. Alla domanda se l'opera presupponesse la possibilità di un'esistenza felice , cioè che apparisse alla luce di una "ben ponderata riflessione" decisamente preferibile alla non - esistenza, egli scrive : "

è una domanda alla quale, come è noto , la mia filosofia risponde negativamente, mentre l'eudemonologia presuppone, per essa, una risposta affermativa", presuppone cioè l'accettazione di quel modo di pensare che era già stato critica.

Per Schopenhauer un'eudemonologia ,"la stessa parola è semplicemente un eufemismo", si giustifica pertanto solamente sul piano pratico : " per poter elaborare la presente trattazione eudemonologica, ho dovuto abbandonare il più alto punto di vista metafisico ed etico, cui si è indirizzati dalla mia più profonda filosofia, per conseguenza tutto il presente saggio è in un certo senso basato su di un accomodamento , in quanto esso rimane attaccato al punto di vista comune ed empirico, e ne mantiene gli errori."

A proposito del pessimismo di Schopenhauer,si può giungere ad una conclusione; esso nasce dalla consapevolezza che tutto nella vita rivela che la felicità terrena è destinata ad essere annientata o ad essere riconosciuta come un'illusione. Con ciò si rivela che la vita si presenta come un eterno inganno, tutto è "vanità" e il tempo è la forma mediante la quale la vanità delle cose si presenta come provvisoria: è in virtù del tempo infatti che tutti i nostri piaceri e tutte le nostre gioie ci sfuggono dalle mani.

In fin dei conti, per Schopenhauer, nella realtà, l'unica forza è il Wille (la volontà) e la materia è il velo di Maia, una sua apparenza.

Alla luce di tutto questo, la filosofia di Schopenhauer può essere paragonata  con il buddhismo. D'altra parte lo stesso Schopenhauer mette in evidenza ,da una parte, le false premesse dell'ottimismo , dall'altra le conseguenze della sua filosofia pessimista coincidente con quelle del buddhismo e di altre filosofie orientali. Egli scrive: "L'ottimismo è, in fondo, la lode ingiustificata che il vero

creatore del mondo , ossia la volontà di vivere , accorda a sé stesso,

specchiandosi compiaciuto nella propria opera: è pertanto una teoria, non

solo falsa, bensì anche dannosa. L'ottimismo ci presenta infatti la vita ,

come una condizione desiderabile, e la felicità dell'uomo quale fine di

essa. Partendo da questo presupposto ognuno crede di avere senz'altro

diritto alla felicità e al piacere: se poi, come accade solitamente, non

li ottiene, crede allora che gli sia stato fatto un torto, anzi ritiene di

aver mancato lo scopo della propria esistenza. Invece, secondo l'esempio

del bramanesimo, del buddhismo e anche del vero cristianesimo , è molto

giusto considerare, quali fini della nostra esistenza, il lavoro, la

rinuncia, il bisogno e il dolore, coronati dalla morte, poiché è questo

che conduce alla negazione della volontà di vivere".

La negazione della volontà di vivere ,dunque, è la conclusione della metafisica di Schopenhauer, in sintonia con il buddhismo e altre dottrine come il cristianesimo "autentico e originario", l'ascetismo, ecc. secondo le quali "l'attaccamento alla vita e ai suoi piaceri deve arretrare.. per far posto ad una rinuncia universale" e "l'esistenza deve essere considerata come un errore, la liberazione dal quale è la redenzione".

Queste dottrine, ispirate alla morale della più perfetta virtù, che praticano la rinuncia, l'astinenza, l'umiltà ecc. esprimono in forma mitologica (secondo il mito del peccato originale, oppure con il Nirvana dei buddisti) la negazione del mondo, la stessa negazione della volontà di vivere. Per queste stesse dottrine, come per Schopenhauer, "affermazione della volontà di vivere, mondo fenomenico, diversità di tutti gli esseri, individualità, egoismo, odio e malvagità scaturiscono tutte dalla stessa radice; come anche, d'altra parte mondo della cosa in sé, identità di tutti gli esseri, giustizia, amore per il prossimo e negazione della volontà di vivere".

Per queste dottrine, la morte dell'individuo, che è la negazione estrema della volontà di vivere, è un evento da non temere e persino da   desiderare.

Nella negazione della volontà di vivere vi è quindi un indiscusso valore morale che possiamo rapportare ai valori umani della solidarietà, della compassione per le sofferenze altri, dell'altruismo.

L'individualità viceversa è inerente solo alla volontà e alla sua affermazione. La persona malvagia vede solamente la propria individualità, che è fenomeno, e la contrappone alle altre individualità. Egli non riconosce, offuscato dal velo di Maia, l'identico a sé stesso che c'è nell'altro. Ben diversa è la santità, che è connessa ad ogni azione puramente morale. Un'azione morale da essa ispirata deriva in ultima analisi "dalla conoscenza immediata dell'identità dell'intima essenza di ogni creatura". Questa identità esiste realmente soltanto nello stato della negazione della volontà (Nirvana), poiché la sua affermazione (Samsara) ha come forma il fenomeno della volontà che è molteplice... Le virtù morali nascono dal divenire consapevoli di quell'identità di tutti gli esseri (e che) tale identità non si trova nel fenomeno, bensì soltanto nella cosa in sé, nella radice di tutti gli esseri; allora l'azione virtuosa sarà solo il passaggio momentaneo per un punto, il ritorno definitivo al quale è costituito dalla negazione della volontà di vivere.


IL PESSIMISMO NELLA RAPPRESENTAZIONE ARTISTICA


Nell'ambito artistico,ritengo che i due maggiori esponenti di tale tendenza siano da identificare in Francisco Goya e in Pablo Picasso; il primo,poiché nel corso della propria esistenza ha ,in parte, sviluppato un pensiero negativo,mentre il secondo in quanto in uno dei suoi dipinti di maggior fortuna, "Guernica", ha espresso gli orrori della guerra, un po' come accadde nell'ambito della letteratura inglese; in questo caso,infatti, un gruppo di scrittori, denominati "The War Poets", soprattutto Siegfried Sassoon, cercarono di denunciare le atrocità e le conseguenze della guerra.





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