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GIOVANNI VERGA

letteratura



GIOVANNI VERGA


L'esperienza e l'opera di Giovanni Verga hanno una loro particolare singolarità nello sfondo culturale del secondo Ottocento, per il modo in cui lo scrittore esprime sia nei contenuti che nelle forme la sua personale adesione al verismo.

Verga non è l'intellettuale che vuole assumere l'atteggiamento romantico del vate: la componente ideologica per lui è secondaria nella sua scrittura.

Verga entra in diretto contatto con le esperienze culturali più vivaci, quali la Scapigliatura e il Realismo, e riesce a mettere a fuoco in modo nuovo la sua personale esigenza della realtà, che era già emersa nelle opere giovanili.

Deluso dall'esito del Risorgimento, avverte presto che dietro la superficie soddisfatta e opulenta della emergente borghesia si nasconde la sopraffazione e l'ingiustizia.



Dal naturalismo francese Verga prende lo spunto per la sua teoria, secondo la quale, un autore deve togliere le sue idee per lasciar parlare i fatti, secondo una rigorosa oggettività.

In un periodo in cui la lingua usata per scrivere era raffinata e estetica, Verga usa, senza ricorrere al dialetto, un italiano più popolare, arricchito da espressioni tipicamente siciliane.

Diverso comunque il verismo del Verga da quello degli altri autori italiani, più inclini al bozzetto e al Naturalismo.

Nato nel 1840 a Catania da una famiglia di proprietari terrieri, compì i primi studi sotto l'osservazione di un sacerdote, che lo istruì secondo le sue voc 717i85h azioni veriste. I suoi primi romanzi furono Amore e patria, I carbonari della montagna, Sulle lagune, di chiara ispirazione romantico - patriottica. Altre opere scritte dal 1886 furono Una peccatrice, Storia di una Capinera, Eva, Tigre reale, Eros, e Nedda la prima, dopo Storia di una Capinera, ad avere un'impronta verista. Seguirono con lo stesso stile Vita dei Campi, I Malavoglia, Il marito di Elena, Novelle Rusticane, Libertà, Cavalleria rusticana, La lupa, Dal tuo al mio e Mastro don Gesualdo. Prima della morte, avvenuta nel 1922, Verga iniziò La duchessa di Leyra, L'onorevole Scipioni, L'uomo di lusso.


Commento della novella La Roba, tratta dalle Novelle Rusticane. La novella che appare nelle Novelle Rusticane, scritte nel 1883, narra la storia di un misero contadino, di nome Mazzarò, che con la furbizia e l'intelligenza riesce ad accumulare ettari di terre, e ad raggiungere la ricchezza. Mazzarò però ha poi finito col fare della sua roba una sorta religione, che lo ha reso schiavo privandolo di ogni piacere. Per raggiungere ciò, spodestò il suo vecchio padrone, un vecchio barone, e si diede alla speculazione più o meno lecita. La novella imperniata sulla vita di Mazzarò, presenta un inizio che serve solo ad introdurre il protagonista dal punto di vista di un umile. Mazzarò in sostanza era un povero contadino, che non sopportando la sua condizione, decide di accumulare terre, non sapendo che farsene dei soldi, grazie al suo ingegno. Una volta che però raggiunse il suo obbiettivo, si rese conto che dopo la morte, avrebbe dovuto abbandonare i suoi tanto amati poderi. Il racconto ha il suo riferimento storico nei cambiamenti economici e sociali avvenuti in Sicilia negli anni conseguenti l'unificazione d'Italia, con l'avvento dei borghesi, con la frantumazione dei vecchi latifondi posseduti dai nobili (stesse condizioni verranno narrate dal Lampedusa, nel suo romanzo Il Gattopardo).


- I Malavoglia

Un tempo i Malavoglia prosperavano in diverse paesi intorno Catania. Le molte disavventure che li portarono in diversi posti, risparmiarono la famiglia di padron 'Ntoni, che possedeva la barca Provvidenza. Oltre a lui la famiglia era composta dal figlio Bastianazzo, la Longa, moglie del precedente, 'Ntoni il maggiore, nipote del capofamiglia, Luca, Mena, Alessi, e Lia.

L'andamento economico della famiglia era segnato dal carattere di padron 'Ntoni, la quale saggezza consisteva nel sapere accettare con coraggio e dignità la propria sorte. E' già chiara la prospettiva morale dei Malavoglia, la scelta che li separerà dal resto del paese, teso verso un'affannosa ricerca di miglioramento economico.

Nel dicembre del 1863, 'Ntoni era stato chiamato per il servizio di leva, e suo nonno andava chiedendo per l'autorità del suo paese un aiuto per riformarlo. Ma il ragazzo non aveva nessun difetto fisico e venne così arruolato. Con la partenza del giovane, la famiglia perse uno dei maggiori sostegni, e il vecchio 'Ntoni decide di acquistare un carico di lupini, per poi rivenderli. Ma la barca dove erano stati caricati affonda e con lei muore Bastianazzo, lasciando la famiglia nel dolore e nella rovina. Perdendo i lupini padron 'Ntoni è costretto a vendere la casa del nespolo, e nel frattempo Luca muore in battaglia.

Dopo che la barca venne ripescata, la famiglia si rimise a pescare, ma 'Ntoni, tornato dal servizio militare, si lamenta per le sue condizioni di vita, e da qui nascono litigi con sua madre e il nonno.

Poco dopo, la Longa muore di colera, e il giovane 'Ntoni se ne va dal paese. Ritornò dopo pochi mesi internamente cambiato. Una notte ferì con una coltellata don Michele: di conseguenza finì processato e condannato a cinque anni di lavori forzati.

Alessi prese il posto del nonno, ormai morto di vecchiaia in ospedale. Ormai dei Malavoglia restano soltanto Alessi sposato con la Nunziata, e la Mena.

Passati cinque anni 'Ntoni ritorna una notte al paese, ma solo per una visita veloce, per poi dare l'addio ad una vita passata e incominciarne un'altra nell'ignoto.




GIOSUÈ' CARDUCCI


Giosuè Carducci avverte il disagio di fronte alla realtà contemporanea che lo lascia deluso e insoddisfatto, ma egli trova una soluzione su piano formale e su quello delle idee fortemente diversa dalle scelte di tutte le altre correnti. D'altronde rifiuta le proposte degli scapigliati, di cui non condivide la contestazione dei valori morali, evita il Naturalismo, che gli si presenta come una degradazione della letteratura, e scansa il Romanticismo. La figura del Carducci ha un notevole rilievo sia per il modo in cui egli interpreta la sua epoca, sia per il valore della sua elaborazione formale. Formatosi attraverso uno studio dei classici, egli vede come primo obiettivo della sua opera di poeta la restaurazione della tradizione.

Carducci assume il ruolo di intellettuale polemico nei riguardi della società di cui denuncia le diffuse mancanze. Da questo atteggiamento trae origine la sua indignazione anche nei confronti della situazione politica italiana e in particolare per l'irrisolta questione della capitale romana.

Accanto alla poesia di ispirazione storica ha parallelo rilievo per il Carducci la poesia delle memorie personali, composta da nostalgie verso la giovinezza, dal rapporto con la natura. Nel Carducci si fondono esperienze diverse: il classicismo, l'eredità del romanticismo e il realismo.

Giosuè Carducci nato nel 1835 a Val di Castello, trascorse la giovinezza in Maremma. L'iniziazione agli studi gli venne fatta dal padre, medico condotto, che poi proseguì dagli Scolopi di Firenze, e dalla scuola normale di Pisa. Nel 1858 fondò il gruppo degli "amici pedanti"; scrisse in questi anni Juvenilia e Levia Gravia.

Ispirato al positivismo, nel 1863 scrisse l'inno A Satana. Si iscrisse in seguito alla massoneria e appoggiò apertamente Garibaldi; cominciata la repressione dei repubblicani, anche Carducci venne inquisito.

In questo tempo il poeta scrisse I Giambi ed Epodi, Ode alla regina d'Italia, Rime Nuove, Odi Barbare.

Morì nel 1907 a Bologna, dopo aver ricevuto il Nobel e il titolo di senatore d'Italia.


- San Martino

la nebbia a gl'irti colli

piovigginando sale,

e sotto il maestrale

urla e biancheggia il mar;


La nebbia si dirada tra le cime svettanti, e il mare si agita per effetto del maestrale.


ma per le vie del borgo

dal ribollir de' tini

va l'aspro odor de i vini

l'anime a rallegrar.


ma per le vie del paese, l'odore del vino, dal bollire dei tini, va a far gioire gli animi.


Gira su' ceppi accesi

lo spiedo scoppiettando:

sta il cacciatore fischiando

su l'uscio a rimirar


Lo spiedo scoppiettando viene girato sui tronchi di legno accesi: fuori sull'uscio, il cacciatore guarda fischiettando


tra le rossastre nubi

stormi d'uccelli neri,

com'esuli pensieri,

nel vespero migrar.


stormi di uccelli neri, tra le nuvole rossastre, come pensieri che se ne vanno nel tramonto.


- Pianto Antico

L'albero a cui tendevi

la pargoletta mano,

il verde melograno

da' bei vermigli fior,


L'albero a cui tendevi la mano giovane, un verde melograno dai bei rossi fiori,


nel muto orto solingo

rinverdì tutto or ora,

e giugno lo ristora

di luce e di calor.


nel silenzioso orto rinverdisce fino ad ora, e il bel tempo di giugno lo risana.




Tu fior de la mia pianta

percossa e inaridita,

tu de l'inutilvita

estremo unico fior,


Tu fiore della mia pianta, senza più energia, tu della vita inutile sei l'unico fiore,


sei nella terra fredda,

sei nella terra negra,

né il sol più ti rallegra

né ti risveglia amor.


lo sei nella terra fredda, lo sei nella terra scura, il sole più non ti giova, né ti ridà amore.



- Il comune rustico



O che tra faggi e abeti erma su i campi

smeraldini la fredda ombra di scampi

al sole del mattin puro e leggero,

o che foscheggi immobile nel giorno

morente su le sparse ville intorno

a la chiesa che prega o al cimitero


La fredda e solitaria ombra si dipinge su i verdi campi, tra i faggi e gli abeti, al sole, puro e leggero, del mattino, e che incupisca immobile nel tramonto, sulle sparse case intorno alla chiesa o al cimitero


che tace, o noci de la Carnia, addio!

Erra tra i vostri rami il pensier mio

sognando l'ombre d'un tempo che fu.

Non paure di morti e in congreghe

diavoli goffi con bizzarre streghe,

ma del comun la rustica virtù


silenzioso, vi saluto noci della Carnia. Cammina tra i vostri rami il mio pensiero, immaginando il passato di un tempo che è passato. Non penso ai morti o ai diavoli o alle streghe, ma al comune, pregiato dalla sua rusticità,



accampata a l'opaca ampia frescura

veggo ne la stagion de la pastura

dopo la messa il giorno de la festa.

Il consol dice, e poste ha pria le mani

sopra i santi segnacoli cristiani:

- ecco, io parto fra voi quella foresta


insieme all'indefinita  grossa frescura

che vedo durante la stagione della pastura, dopo la messa di Domenica.

Il console dice, ponendo le mani sul libro sacro: Ecco, io parto con voi in quella foresta


d'abeti e pini ove al confin nereggia.

E voi trarrete la mugghiante greggia

e la belante a quelle cime là.

E voi, se l'unno o se lo slavo invade,

eccovi, o figli, l'aste, ecco le spade, morrete per la nostra libertà. -


di abeti e di pini dove il confine inizia.

E voi prenderete le mandrie dei bovini e degli ovini, in quelle cime.

Inoltre, se lo straniero vi attacca, eccovi le armi con cui se morrete, sarà per la nostra libertà.


Un fremito d'orgoglio empieva i petti,

ergea le bionde teste; e de gli eletti

in su le fronti il sol grande feriva.

Ma le donne piangenti sotto i veli

invocavan la madre alma de' cieli.

Con la mano tesa il console seguiva:

- Questo, al nome di Cristo e di Maria,

ordino e voglio che nel popolo sia. -

A man levata il popol dicea Sì.

E le rosse giovenche di su'l prato

vedean passare il piccolo senato,

brillando su gli abeti il mezzodì.


Un fremito d'orgoglio riempiva i petti,

tra le teste bionde; e le fronti dei prescelti venivano illuminate dal sole.


Ma le donne piangevano sotto i loro veli, pregando la vergine.

Con la mano tesa il console seguitava: Tutto questo ordino che avvenga, per Cristo e Maria. -

E con la mano alzata il popolo diceva si.

E le rossastre mucche sul prato vedevano passare il piccolo gruppo, rilucendo su gli abeti verso mezzogiorno.



Commento. Per la poesia "Il comune rustico", il Carducci ne trasse l'ispirazione durante un soggiorno in Carnia. Questa sua opera, considerata a maggior ragione una delle sue più celebri e belle composizioni, è caratterizzata da un'atmosfera semplice e felicemente armonizzata con la natura. Essa narra i pensieri di Carducci, partendo da una descrizione del luogo in cui si trova il poeta, che lascia lavorare la sua fantasia, trasportandosi nel medioevo, ma non nell'era che c'immaginiamo remota e oscura, ma in un medioevo rinascimentale, con i comuni che lottavano per la loro indipendenza, e gli uomini amavano la loro patria. La piccola comunità montanara è minacciata dal pericolo di un invasione: per cui il console del paese, richiama i giovani, suscitando in loro l'onore e l'orgoglio per la loro libertà. Nonostante la povertà di quei contadini, il Carducci ne immagina il loro orgoglio, non da meno degli abitanti dell'antica Roma; essi sono modello di alti valori civili e morali: dignità, uguaglianza, giustizia, patriottismo.

L'ultima immagine ricollega la gente alla natura, in un legame armonioso, che il poeta prende ad esempio per l'era contemporanea.


IL QUADRO STORICO


- Economia e società alla fine dell'ottocento

Dopo il 1870 l'Europa conobbe un quarantennio di pace e una seconda rivoluzione tecnologica. Lo sviluppo del sistema capitalistico fu tuttavia turbato da una lunga depressione, che colpì soprattutto l'economia europea per oltre vent'anni. La conseguenza più vistosa fu l'esplosione dell'emigrazione dalle campagne del vecchio continente verso l'Americhe. I governi imboccarono la politica del protezionismo con l'istituzione di pesanti tariffe doganali sulle importazioni e ripresero l'espansione coloniale per assicurare all'industria nazionale spazi e privilegi protetti dalla concorrenza internazionale

L'Inghilterra si vide superata dalle nuove potenze, quali la Germania e gli stati Uniti. La società occidentale assunse i caratteri della massificazione, cioè della creazione di grandi città anonime, con il perdersi dei contatti fra gli uomini. Crebbe l'importanza di nuove forze politiche, come i sindacati e i partiti, che organizzarono vari strati di popolazione. Iniziarono le loro attività i primi partiti socialisti europei. Nel contesto della mutata realtà sociale si crearono nuovi problemi, quali l'emancipazione femminile, la disoccupazione e la sicurezza sociale.


- L'imperialismo

Il nuovo slancio industriale e la concorrenza internazionale, portarono le nazioni occidentali alla politica dell'imperialismo, motivata dalla necessità di reperire materie prime, di vendere i prodotti delle proprie industrie e investire in mercati dove non vi fosse concorrenza. L'espansione e la dominazione coloniale erano inoltre giustificate dal fatto che gli europei avrebbero dovuto diffondere il progresso nei paesi barbari. L'unico scontro tra potenze per le colonie si ebbe tra la Russia e Il Giappone, e quest'ultimo ne uscì vincitore. Salì anche la potenza degli Stati Uniti i quali preferivano all'occupazione militare, quella economica.


- L'Europa nell'età dell'imperialismo

La Germania si era affermata come la nazione più potente dell'Europa. Il programma politico di Bismark prevedeva, tramite un complesso gioco di alleanze, di lasciar fare all'Inghilterra e alla Francia sul piano coloniale, ma di contrastarle sul piano europeo.

Queste due potenze avevano conosciuto diverse trasformazioni durante il secolo. La Francia era divenuta, dopo la fine della monarchia di Napoleone III, una repubblica, e l'Inghilterra aveva intrapreso una politica riformista per i ceti popolari. Dopo il governo di Bismark, la Germania si alleò con l'impero Austro - Ungarico, e la Francia si alleò con l'Inghilterra (duplice intesa).


IL QUADRO DELLE IDEE


- La crisi del positivismo

Fra la fine del 19° secolo e l'inizio del 20°, la fiducia nel progresso entra in crisi. La crescente complessità della realtà sociale e le nuove frontiere della ricerca scientifica evidenziano l'inadeguatezza del positivismo. Il positivismo aveva fondato le sue basi sul metodo sperimentale, e sul confronto delle teorie con la realtà dei fatti. Il fisico austriaco Ernst mach sottolinea come sia assurda la fede nella scienza. Il principio della conoscenza scientifica non assoluta ma solo legata a finalità pratiche si afferma anche nelle ricerche fisico matematiche.


- L'Irrazionalismo di Nietzsche

La crisi del positivismo viene evidenziata anche dall'ascesa di tematiche irrazionali, quali quelle di Nietzshe. Egli sostiene che la scienza non è altro che il tentativo di risolvere la complessiva realtà dell'universo in un numero limitato di leggi. Anche i valori morali e le convinzioni religiose hanno una natura convenzionale. L'uomo deve dunque impegnarsi nella distruzione d tutto ciò che concerne la civiltà occidentale. Il superuomo nietzscheano esprime l'orgoglioso rifiuto della massificazione avvenuta nella società industriale.


- Lo spiritualismo

in Francia, a partire dal 1870, maturò una critica al positivismo che nasceva dal riconoscimento che l'esperienza umana comprende qualcosa che va al di là dei fatti e che coinvolge la coscienza e lo spirito. Il filosofo Henri Berson sviluppò in maniera organica queste premesse. La vita psichica è costituita da un flusso unitario, nel quale è impossibile isolare e valutare un singolo momento. La coscienza dell'uomo è tesa verso l'avvenire che viene visto come qualcosa da realizzare e nel quale impegnare la propria libertà. Come in Nietzsche, anche in Bergson l'opposizione al Positivismo porta all'esaltazione della creatività dello spirito e della libertà.


- La psicanalisi.

La tensione fra il comportamento imposto dalla società e la vita psichica più profonda è alla base della psicanalisi, la dottrina fondata dal neurologo Sigmund Freud Essa si fonda sull'opposiozione fra conscio ed inconscio, che rappresentano la nostra vita psichica e il nostro mondo interiore.


IL QUADRO LETTERARIO

L'avanzare dell'industrializzazione e delle sue conseguenze economiche e sociali, la crisi del positivismo, il sorgere di forme di pensiero irrazionaliste, il diffondersi di nuovi studi di scienze umane, fa avvertire gli effetti nel campo della creatività artistica e, in particolare, di quella letteraria.

Negli anni fra il 1840 e il 1880 prende forma un movimento destinato a diffondersi in tutta Europa, che viene indicato col termine decadentismo. Esso ha la sua origine in Francia e trova occasione di manifestarsi nel bisogno avvertito da un gruppo dio intellettuali di rifiutare la realtà politica creatasi con la repressione del movimento rivoluzionario della comune.

La svalutazione della ragione comporta il rifiuto da parte del nuovo tipo di intellettuale di ogni prospettiva democratica, che si regge su criteri di uguaglianza, i quali risalgono ad una lettura in chiave logica dei diritti dell'uomo. I decadenti invece vedono in essa solo il trionfo della massa. Nel decadentismo Il rifiuto dell'azione concreta nel quotidiano non significa l'annullamento di ogni funzione per la figura dell'artista. Dato che alla ragione i decadentisti sostituiscono come strumento privilegiato di conoscenza l'intuizione, essi contrappongono proprio il il modello dell'artista.

La svalutazione delle leggi morali porta alla celebrazione di una libertà assoluta: ogni precedente distinzione fra reale e ideale, fra arte e vita viene eliminata. Unica norma valida rimane il valore estetico. Fra gli atteggiamenti più caratteristici dei poeti rientrano il satanismo e il maledettismo.

Il valore dato alle sensazioni porta gli intellettuali decadenti a privilegiare un'interpretazione del tutto soggettiva del mondo. L'artista è giudicato in base alla sua capacità di esprimere una personale interpretazione delle proprie esperienze di vita.

Come si svaluta l'azione si svaluta anche la storia. Il tema del tempo assume nuovo significato trasformandosi nel motivo della memoria. Il decadentismo segna la fine dell'ottocento e, l'esaurirsi del primato della cultura europea, ma apre il mondo anche alla modernità. In Italia già la scapigliatura aveva in parte preannunziato il decadentismo che appare però chiaramente solo nelle opere di D'Annunzio, Pascoli, e di Pirandello.


LA LIRICA

Alla fine dell'ottocento avviene un profondo rinnovamento nella letteratura per quanto riguarda la struttura e il linguaggio. Tale rivoluzione avviene in Francia per mano di alcuni poeti quali:

Verlaine - ebbe una vita sgregolata, e una caratterizzazione letteraria sensibile e languida, con una visione dello spazio piuttosto vaga.

Rimbaud - nato in una famiglia agiata, scappò da essa a soli 17 anni. A vent'anni divenne famoso per la pubblicazione delle sue poesie su l'antologia di Verlaine I poeti maledetti. Egli visse il ruolo di poeta veggente e i vocaboli della sua letteratura perde le cognizioni sintattiche.

Mallarmé - portò avanti il processo iniziato da Verlaine in direzione della smaterializzazione della poesia, caratterizzato da una fuga verso il l'assoluto.

Nel 1885 sorse la scuola del Simbolismo, idealizzata da Moréas, che venne preso come maestro da questi intellettuali, per le sue innovazioni in carattere tipografico.

Nella lirica italiana la tendenza comune fu quella di contrapporsi, per mezzo di contenuti e forme diverse da quelle della normale lirica. All'interno di questa linea ci sono tre tipi di correnti di pensiero: il crepuscolarismo, il futurismo e l'esperienza vociana.


- Il crepuscolarismo - questo movimento apre nel novecento dei nuovi concetti di poesia e di e di mezzi espressivi. Alla poesia è negata ogni funzione sociale, e il canto può essere solo per sfogo interiore. Uno dei rappresentanti di questo movimento è Guido Gozzano. I temi delle sue liriche sono il mondo provinciale o il tempo trascorso.


- Il futurismo - è un movimento europeo che si pone come esaltatore dei tempi moderni, con caratteristiche irrazionaliste che portano alla ricerca della violenza e dell'aggressività. Sul piano letterario il futurismo porta all'eliminazione del vecchio modo si scrittura, per il raggiungere della libertà della sintassi. Pionieri di questo metodo furono Palazzianri , Govoni e Folgore.


- L'esperienza vociana - Ad iniziare questo movimento fu la rivista La voce, che raccoglieva intellettuali di diversa estrazione, che avessero in comune la ricerca di un nuovo rigore morale per il mondo che credevano senza più un ordine concreto. Vociani erano Rebora, e Sbarbaro, con linguaggi disordinati e senza melodia. Campana, ancora più irregolare e irrequieto scrisse canti orfici, allusivi a Orfeo.


LA NARRATIVA

La crisi dei valori caratteristica della fine dell'ottocento, colpì anche la letteratura, mettendo fine al verismo. Infatti ormai il bisogno non era più quello del confronto tra uomo e stato, o storia, ma quello della coscienza dell'individualità della persona. I romanzi scritti si basavano su due caratteristiche: il mito dell'uomo che isola la bellezza, e il protagonista inetto e non inserito nella società.

Titolo significativo di questo periodo sono A ritroso di Huysmans, senza una precisa trama, ma che parla delle caratteristiche del protagonista, caratterizzato dall'immedesimarsi dell'autore. Un altro scrittore che si autoimmedesima nel personaggio è Oscar Wilde, con il suo personaggio Dorian Grey. In Italia Gabriele D'Annunzio scrisse un romanzo, Il piacere, simile dagli altri, ma con delle distanze sull'identificarsi di se stesso nel personaggio. Si mantiene distaccato, cercando di criticare le debolezze del protagonista. In seguito prenderà la strada della figura del superuomo.

Nella Ricerca del tempo perduto, di Marcel Proust, l'autore si fonde nel personaggio, scrivendo in prima persona, e affrontando il tema della memoria spontanea, che scaturisce da sapori, musica o profumi.

La figura del protagonista inetto rappresenta una persona sconfitta, da tutti giudicata incapace, e senza aggressività, che indaga dentro di se portando alla luce i problemi dell'esistenza umana.


GIOVANNI PASCOLI

Formatosi nella scuoa del Carducci, influenzato dal Positivismo, Pascoli espresse nella sua poesia un rinnovamento profondo, che è collegato al sentimento della crisi che matura negli intellettuali di fine corso. L'esperienza vissuta da lui del male, per via dell'uccisione del padre, e della morte di parenti, porta in lui un angosciosa visione del mondo.

Pascoli non ignora del tutto la realtà socio-politica dell'Italia, ma la rivive in prospettiva pessimistica. Così del movimento socialista accetta la parte umanistica, ma rifiuta la rivolta proletaria e la promessa di una nuova giustizia. Del nazionalismo accetta solo la politica coloniale per aiutare le masse bisognose di lavoro e costrette all'emigrazione. Per Pascoli il compito del poeta è quello di un ritorno alle origini, all'infanzia, alla natura per recuperare la capacità dell'intuizione, che gli consenta di ricomporre una visione corretta della realtà. Così la rappresentazione della campagna, presente nelle sue liriche, si traduce in un iniziale impressionismo ed a una visione più simbolista. Le novità del Pascoli introdotte sul piano grammaticale sono soprattutto riguardanti la struttura dei componimenti, i nessi logici, e una certa libertà metrica, ottenuta con parole onomatopeiche e fotosimboliche. Queste caratteristiche del linguaggio corrispondono in realtà ad un sentimento interiore pessimistico e inquieto.

Opere: Myricae, Veianus, Poemi conviviali, Il fanciullino, i Poemetti, I canti di Castelvecchio, Odi e Inni, Poemi italici, Canzoni di re Ezio, I poemi del Risorgimento, Carmina.


X AGOSTO

Commento. In questa sua poesia, Pascoli narra il momento dell'uccisione di suo padre, paragonandolo alla morte di una rondine. La lirica si apre con una tradizione popolare, quella delle stelle cadenti la notte si San Lorenzo. Con ciò Pascoli intende elevare il suo dolore su un piano universale, per la morte del padre. Centro di questa poesia è l'analogia del padre e della rondine. Entrambi rientravano a casa con il sostentamento per le loro famiglie, la rondine con del cibo per i suoi piccoli nel nido, e l'uomo con due bambole per le figlie. Egli viene paragonato alla rondine, che muore mentre porta del cibo ai suoi piccoli nel nido, che cesseranno di vivere lentamente; il cibo viene inteso come il sostentamento morale, affettivo ed economico che portava alla sua famiglia, nella sua casa, il nido. La sua famiglia si ritroverà in difficoltà e nel dolore, come i piccoli che muoiono aspettando un pasto che non arriverà mai. Alla fine il padre leva al cielo le due bambole che portava in dono, incredulo, protestando contro il cielo, per la sua tolleranza verso la Terra, piccola parte oscura in tutto l'universo.


- Nebbia

Nascondi le cose lontane,

tu nebbia impalpabile e scialba,

tu fumo che ancora rampolli,

su l'alba,

da' lampi notturni e da' crolli

d'aeree frane!


Tu nascondi le cose lontane, nebbia inconsistente e insignificante, tu che come un fumo ancora scaturisci sull'alba da qualche crollo nell'aria.


nascondi le cose lontane

nascondi quello ch'è morto!

Ch'io veda soltanto la siepe

dell'orto,

la mura ch'ha piene le crepe

di valeriane.


Nascondi le cose lontane e quello che è morto ai miei occhi! Che io veda soltanto la siepe dell'orto, le mura con le crepe piene di erba.


nascondi le cose lontane:

le cose son ebbre di pianto!

Ch'io veda i due peschi ,i due meli,

soltanto,

che dànno i soavi lor mieli

pel nero mio pane.


nascondi le cose lontane: la realtà è intrisa di pianto! Che io veda soltanto i due peschi, i due meli, che danno il loro miele per il mio pane nero.


Nascondi le cose lontane

che voglionoch'ami e che vada!

Ch'io veda là solo quel bianco

di strada,

che un giorno ho da fare tra stanco

don don di campane...


Nascondi le cose lontane che voglino che ami e che vada. Che io veda solo il bianco della strada che conduce al cimitero, che un giorno avrò da fare tra il suonare delle campane a morte...


Nascondi le cose lontane,

nascondile, involale al volo

del cuore! Ch'io veda il cipresso

là solo,

qui, solo quest'orto, cui presso

sonnecchia il mio cane.


Nascondi le cose lontane,

nascondile, falle volare via dal cuore! Che io veda solo il cipresso, solo qui nell'orto dove vicino dorme il cane.


Commento. La lirica appartiene alla raccolta Canti di Castelvecchio, ed è forse una delle più belle e raffinate opere di Pascoli. Il poeta immagina di trovarsi nella sua vecchia casa, circondata da un velo di nebbia, che lo isola nei suoi pensieri e gli fa sentire in modo più acuto il suo bisogno di sicurezza. I versi sono ricchi di simboli in cui Pascoli esprime il doloroso bisogno di sicurezza, La nebbia assume il significato non di un impedimento, ma di uno spazio vuoto, che rischia di inghiottirlo; dopo di essa, avviene la vita quotidiana, con i suoi problemi e le sue responsabilità, che il poeta rifiuta e tenta di sfuggirne. Il rifugio viene identificato come lo spazio tra le mura, come quello di una casa circondata da un velo di nebbia, che tante volte ha assunto il sinonimo di nido. Ma pascoli comprende che questa quiete artificiale non può reggere alle pressioni del mondo esterno, e riconosce come un altro spazio sicuro il cimitero, corrispondente ad un rifiuto della vita ed a un desiderio di morte.


GABRIELE D'ANNUNZIO

D'Annunzio raggiunse un clamoroso successo, dovuto, oltre che alle sue opere, alla vita sociale, vissuta secondo una "vita inimitabile". Egli applica nella realtà il motto di un suo personaggio, Andrea Sperelli, del Piacere, il quale voleva fare della sua vita un'opera d'arte. Il poeta raggiunge il suo obbiettivo su diversi piani: quello delle esperienze erotiche, della ricerca dell'eleganza, dei viaggi vissuti come odissee, dei gesti eroici. In un tempo nel quale gli artisti si sentono emarginati ed esclusi dalla società, D'Annunzio intende il ruolo del poeta come colui che riesce ad avvertire i gusti del pubblico, di riviverli, e di tradurli in uno scritto che plagi le masse. La concezione dell'arte risulta più complessa: la poesia esprime la bellezza ma è anche prodotta a scopi di lucro, e quindi deve rispettare le aspettative del pubblico. L'individualismo esasperato che è presente in lui, è un carattere decadente come l'accettazione dell'arte per l'arte, del prevalere dell'estetismo. Nella produzione del D'Annunzio non si trova un itinerario di svolgimento ma un alternarsi a due piani : la tensione vitalistica e la tregua contemplativa. Nella varietà delle sue opere si possono trovare due nuclei tematici: il rapporto con la natura e la figura dell'eroe.

La natura non viene rappresentata come una realtà ma come la continua metamorfosi del perenne fluire della vita. L'altro tema, quello del superuomo, si risolve nella figura dell'aristocratico eroe. Questo modello possiede il culto della dell'energia. Si traduce nella visione aristocratica del mondo e nel disprezzo per la democrazia. L'eroe D'Annunziano si compiace della propria bellezza, ma presenta delle debolezze tenute nascoste. Nel lessico neologismi, arcaicismi, tecnicismi, si susseguono in vista della musicalità. Nel suo continuo sperimentare è possibile avvertire la ricerca di un ordine linguistico che rimanda ad un'uguaglianza di fondo.


- La pioggia nel pineto

Commento. In questa lirica, D'Annunzio tratta il tema della unione dell'uomo con la natura, narrata quando trascorse le sue estati sul mare toscano, in Versilia. La trama è inesistente, eccettuato il vagare senza meta del poeta e della sua donna nel bosco solitario. L'unico evento esterno è la pioggia, che porta il refrigerio nella calura estiva. Ma l'evento principale della lirica è la metamorfosi delle figure umane, che assumono caratteristiche a tratti somiglianti alla foresta. Il poeta usa diverse forme di parole, opportunamente musicalizzate, che rientrano nei suoni onomatopeici (per esempio le parole crepitio, crosciare, croscio, ecc.). La musicalità è articolata con dei giochi di rime e di assonanze. Il poeta, senza alcun passo logico, si rende conto di star provando nuove sensazioni: egli e la sua donna tramutano i loro sensi con quelli delle foglie, sentendo il refrigerio della pioggia.   

LUIGI PIRANDELLO

Pirandello fu un rappresentante del decadentismo in Italia: il suo sentimento nasce dalla delusione per il modo in cui è stato realizzato il Risorgimento. Egli non si limita a vivere la crisi trovando un conforto nell'estetismo, ma si impegna a prenderne coscienza. Nella società produttiva l'intellettuale che cerca di approdare all'essere si sente disadattato e matura una critica fuori dal reale, che in Pirandello si traduce nell'Umorismo. Nelle novelle e nei romanzi, il protagonista non è più l'eroe che letta per grandi ideali, ma è un personaggio problematico che ha l'aspirazione di approdare a una soluzione nella realtà. Nei romanzi infatti la vicenda ha una struttura diversa da quella normale e il contrasto tra finzione e verità si fa sempre più esile. Nel teatro il tema del doppio assume la sua funzione più evidente, anche perché il testo può essere relegato a semplice artefatto, e il lavoro può essere esercitato principalmente sul dramma del personaggio. Questo diventerà una specie di fantasma, un estraneo pieno di ossessioni, che per vivere aspettano una specie di reincarnazione.


GIUSEPPE UNGARETTI

Il titolo dato da Ungaretti alla sua raccolta di versi,  Vita di un uomo, esprime il modo in cui egli ha vissuto l'esperienza della poesia, sentita da lui come autobiografica, ovvero come totale coinvolgimento tra arte e vita. La sua ideologia non è di tipo filosofica preformata, ma si basa sulla forza della parola poetica. Quindi i suoi versi sono liberi da schemi mentali, e pieni di ricordi. Dentro questi il poeta colloca alcuni miti connessi alla sua adolescenza passata in Egitto. Un altro tema frequente è quello del porto sepolto, simbolo di una realtà misteriosa. Sul piano filosofico Ungaretti matura la figura del nomade disadattato in ogni luogo.

L'esordio di Ungaretti è rappresentato da L'Allegria, che comprende i testi sulla guerra. Nelle poesie la sintassi è senza uno schema principale, i versi sono composti a volte da due o una sillaba. Vengono notevolmente usate le tecniche dell'analogia, dell'ossimoro e delle similitudini.

Dalla fine della guerra fino agli anni Trenta Ungaretti percorre un lungo cammino interiore che lo porta a una nuova visione della vita e della poesia. Su di lui agisce il paesaggio di Roma, in grado di rievocare antiche presenze. Quando la sofferenza personale e lo scoppio di una nuova guerra tornano a tormentarlo Ungaretti esprime nella raccolta Il dolore il suo lamento in diversi modi: con immediatezza o con la preghiera.


- La madre

E il cuore quando d'un ultimo battito

avrà fatto cadere il muro d'ombra,

per condurmi, Madre, sino al Signore,

come una volta mi darai la mano.


Quando, con l'ultimo battito del cuore, sarò morto e arriverò sino al Signore, Madre, tu mi darai la mano come quando ero bambino.


In ginocchio, decisa,

sarai una statua davanti all'Eterno,

come già ti vedevo

quando eri ancora in vita.


Sarai in ginocchio, decisa e ferma davanti al Signore, come quando ti vedevo viva.


Alzerai tremante le vecchie braccia,

come quando spirasti

dicendo: Mio Dio, eccomi.


Solleverai le vecchie braccia in alto, come quando moristi, dicendo: Eccomi, Mio Dio.


E solo quando m'avrà perdonato,

ti verrà desiderio di guardarmi.


Solo dopo il perdono di Dio, ti verrà il desiderio di volgerti verso me.


Ricorderai d'avermi atteso tanto,

e avrai negli occhi un rapido sospiro


Ti ricorderai della lunga attesa, e finalmente scaricata la tensione, ti rivolgerai a me con tenerezza


- I fiumi

Mi sostengo a questo tronco, abbandonato in questo avvallamento che ha la malinconia di un circo prima e dopo lo spettacolo, e guardo il paesaggio tranquillo delle nuvole sopra la Luna. Questa mattina mi sono sraiato in una pozza d'acqua e come una reliquia ho riposato.Il fiume Isonzo, scorrendo, mi leviga come s'io fossi un sasso. Mi rialzo sollevando il mio esile corpo, e me ne vado agilmente sull'acqua. Mi accucciai vicino ai miei vestiti sporchi della guerra e come un islamico mi sono raccolto sotto al sole. Questo è l'Isonzo e qui mi sono riconosciuto come una piccola parte dell'universo. Il mio dolore avviene quando avverto la mia discordanza con l'ordine delle cose, ma l'acqua che mi tocca, mi fa risentire in armonia con la natura. Ho rivisto le epoche della mia vita. Questi sono i miei fiumi. Questo è il Serchio al quale hanno attinto l'acqua per duemila anni i miei antenati. Questo è il Nilo, il quale ha visto la mia nascita, la mia crescita e la mia adolescenza. Questa è la Senna nelle cui acque torbide ho acquistato la conoscenza. Questi sono i miei fiumi ricordati sull'Isonzo. Queste sono le ragioni della mia nostalgia, che mi si vede nel ricordo di ognuno di questi fiumi ora che è notte e che la mia vita mi sembra un fiore di buio.


Commento. In una sosta durante la guerra, Ungaretti si lascia riposare nelle acque del fiume Isonzo, e la contatto con esse si sente rinascere. da questa sensazione il poeta inizia a ricollegare gli episodi della sua vita ai ricordi dei fiumi da lui incontrati: il Serchio alle sue generazioni passate, il Nilo alla sua gioventù, la Senna al suo risveglio culturale, l'Isonzo all'esperienza della guerra. La poesia è caratterizzata da questo lungo viaggio nella memoria e dal rapporto del poeta con la natura. Il contatto con l'acqua oltre a risvegliare in lui i ricordi, lo rilassa dalle pressioni della guerra, e suscita in lui un qualcosa di sacrale, quale un battesimo, o un bagno sul fiume Gange.


Eugenio Montale

Montale si contraddistingue dagli altri poeti contemporanei per via della sua cultura. Infatti egli è aperto ai temi centrali della filosofia e della letteratura europea. Al centro delle sue riflessioni si pone la consapevolezza che l'uomo vive in contrasto tra il fluire del tempo e delle cose e tra un oltre mondo inconoscibile. Montale rifiuta l'ipotesi di una poesia pura, accentuata liricamente tipo quella scelta da Ungaretti, ma rifiuta inoltre la poesia realistica, comunicatrice di messaggi. Rifiuta a identificarsi nel ruolo di vate anche se svolge un ruolo nel proprio tempo: dissente infatti dalle scelte politico-sociali del fascismo. Montale rimarrà sempre fedele alla poesia intesa come voce della solitudine e come espressione della personalità di un uomo. Nella prima raccolta poetica di Montale, Ossi di seppia prevalgono i tono della negatività e dell'insufficienza della poesia. Il linguaggio della poesia di Montale appare normale, anche nelle strutture sintattiche, e la metrica riprende strofe e strutture tipiche della tradizione. La raccolta Occasioni, scritta tra il 1926 e il 1938, rappresenta un evoluzione nella poesia di Montale. Questa raccolta ha come senso principale gli oggetti che si caricano di un senso segreto e diventano fonte di una momentanea rivelazione. Lo stile delle Occasioni è caratterizzato da moltissime rispondenze foniche, da un lessico senza sfumature e da una sintassi costruita su coordinate scandite. Il viaggio poetico di Montale si conclude con le raccolte Quaderno di quattro anni, e La Bufera, che segna la connessione tra il male di vivere e il male storico. Altre raccolte sono Satura, e Xenia, composta per la moglie defunta.

Vita e opere. Montale nacque a Genova nel 1896 da una famiglia agiata. Nel 1916 scrisse la sua prima poesia Meriggiare pallido assorto, ma la sua prima raccolta, Ossi di seppia, la scrisse nel 1925. Inizia in questi anni la sua attività di critico letterario. Nel 1927 si trasferì a Firenze dove lavorò presso l'editore Bompiani e in seguito come direttore del Gabinetto Vieusseux. Nel 1939 pubblica la raccolta Occasioni e a causa del suo antifascismo venne esonerato dalla carica al Gabinetto. Nel 1945 fondò Il Mondo; nel 1946 pubblicò Intenzioni, un commento alla sua opera poetica. Si trasferì a Milano nel 1948 e divenne giornalista per il Corriere della Sera, e in seguito riunì i suoi articoli sotto la raccolta La farfalla di Dinard. Nel 1956 pubblicò La bufera e altro; tra il 1964 e il 1967 scrisse Xenia che uscì nel 1971 con il titolo complessivo di Satura. Gli venne conferito il Nobel nel 1975 e morì a Milano nel 1981 e fu sepolto a Firenze insieme alla moglie.



- Spesso il male di vivere

Spesso il male di vivere ho incontrato:

era il rivo strozzato che gorgoglia,

era l'incartocciarsi della foglia

riarsa, era il cavallo stramazzato.


Bene non seppi, fuori del prodigio

che schiude la divina Indifferenza:

era la statua nella sonnolenza

del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

- Cigola la carrucola

Cigola la carrucola del pozzo,

l'acqua sale alla luce e vi si fonde.

Trema un ricordo nel ricolmo secchio,

nel puro cerchio un'immagine ride.

Accosto il volto a evanescenti labbri:

si deforma il passato, si fa vecchio,

appartiene a un altro...

Ah che già stride

la ruota, ti ridona all'altro fondo,

visione, una distanza ci divide.


La carrucola nel pozzo cigola, mentre l'acqua raggiunge la superficie e vi si riflette. Un ricordo riaffiora nello specchio dell'acqua, un volto che ride. Avvicino la faccia a quell'immagine, ma essa si deforma e si dissolve. Cigola di nuovo la carrucola e ti ridona un'altra visione dal fondo nero del pozzo.


Commento.

La lirica ha come tema l'oblio dei ricordi del passato, e il fluire irrimediabile della vita. la memoria non riesce a colmare la distanza trascorsa nel tempo e i barlumi del ricordo non sono altro che una fugace visione. La poesia descrive il cigolio di una carrucola che rompe il silenzio, e l'affiorare in superficie di un secchio colmo d'acqua dalle profondità di un pozzo. il riverberare della luce sull'acqua richiama al poeta l'immagine di una donna ridente. L'immagine appare talmente realistica che il poeta avvicina il suo volto ma la visione si dissolve. Le metafore del pozzo e del riflesso rappresentano le profondità della memoria, l'oblio e l'effimeratezza del ricordo.




SALVATORE QUASIMODO

- Alle fronde dei salici


E come potevamo noi cantare

con il piede straniero sopra il cuore,

fra i morti abbandonati nelle piazze

sull'erba dura di ghiaccio, al lamento

d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero

della madre che andava incontro al figlio

crocifisso sul palo del telegrafo?

Alle fronde dei salici, per voto,

anche le nostre cetre erano appese,

oscillavano lievi al triste vento.


Come potevano cantare sotto la violenza straniera, fra i cadaveri abbandonati nelle piazze sull'erba ghiacciata, ai gemiti dei bambini, all'urlo agghiacciante della madre che vede il figlio morto crocifisso sul palo del telegrafo?

Per voto, sotto i salici, anche le nostre cetre erano appese, oscillanti al vento.


Commento.

La lirica, che fa parte della raccolta Giorno dopo giorno, scritta nel 1947, dopo la seconda guerra mondiale, descrive l'orrore di essa e la degradazione dell'animo umano in seguito alle violenze da lui prodotte. Quasimodo prende come spunto un salmo ebraico, che ha per tema l'esilio degli Ebrei in Babilonia; da qui inizia una ansiosa interrogazione sulle immagini violente che descrive: il lamento d'agnello dei fanciulli, l'urlo nero della madre, il figlio crocifisso al palo del telegrafo non sono altro che metafore che riportano all'esperienza drammatica di Cristo, e che hanno come significato la disumanizzazione dell'uomo, in seguito alla sua stessa violenza, che porta chi ne ha tratto dolore, ad essere protagonista di un sacrificio. Anche l'ultima immagine, quella delle cetre che oscillano al triste vento, che ha come funzione quella di rispondere ai precedenti interrogativi, porta con se il significato della morte.



EUGENIO MONTALE

- Ho sceso, dandoti il braccio


Ho sceso, dandoti il braccio almeno un milione di scale

e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.

Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.

Il mio dura tuttora, né più mi occorrono

le coincidenze, le prenotazioni,

le trappole, gli scorni di chi crede

che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio

non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.

Con te le ho scese perché sapevo che di noi due

le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,

erano le tue.


Ho sceso, insieme a te, dandoti il braccio, innumerevoli scale, e adesso che sei morta, sento la tua mancanza a ogni gradino. Anche così è stato breve il nostro tempo passato insieme. la mia vita dura ancora, ma non mi occorrono più le convinzioni, gli impegni, le preoccupazioni di chi crede che la vita abbia un senso visibile a tutti.

Ho sceso innumerevoli scale dandoti il braccio, non perché insieme si vedesse di più, ma perché, di tutte e due, la sola a vedere eri tu, sebbene i tuoi occhi fossero tanto offuscati.   



Commento. La poesia di Montale fa parte della raccolta Xenia, ed è stata scritta in onore della sua moglie defunta. Nella lirica viene descritto il ricordo della consorte, rivisto nelle difficoltà quotidiane, affrontate insieme (lo scendere le scale insieme, dandosi il braccio), e l'affetto che provava per lei. La Mosca, come lui affettuosamente la soprannominava, per via della sua carente vista, riusciva a vedere lontano, a convivere nella società, al contrario del poeta, il quale riusciva a sentirsi a proprio agio solo nella poesia. Nell'ultima riga, le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue, il poeta esprime l'amore e l'affetto per la compagna e la convinzione che la moglie sapesse "capire" meglio del poeta intellettuale.  




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