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GIOVANNI PASCOLI (1855-1912) - LA POETICA DEL FANCIULLINO E L'IDEOLOGIA PICCOLO BORGHESE

letteratura



GIOVANNI PASCOLI



Il decadentismo italiano ha avuto i suoi massimi esponenti in Giovanni Pascoli e Gabriele D'annunzio, due poeti apparentemente opposti, ma che in realtà nascondono diverse analogie. Naturalmente, se molte sono le cose in comune, altrettante sono pure le differenze fra i due (a partire dalla formazione culturale). D'annunzio, più giovane di otto anni, ha una cultura moderna, ed è in contatto diretto con i modelli del 939i87j simbolismo francese; Pascoli ha una formazione molto più classica (il suo maestro era Carducci), a cui non corrispondeva un simile interesse per le culture estere; si può dunque dire che la sua adesione al simbolismo è stata più istintiva che meditata; entrambi i poeti aspirano al sublime, ma pascoli cerca quest'ultimo nel basso, nel quotidiano, caratteristica che non possiamo attribuire a D'annunzio. Una grande differenza sta anche nel rapporto instaurato dai due con il pubblico: D'annunzio si propone come personaggio che crea miti e leggende, che fa scandalo, mentre pascoli, con il suo carattere riservato, da questo punto di vista è ancora un poeta ottocentesco. Alla base della sua riservatezza, influisce sicuramente la sua dolorosa esperienza biografica, segnata da continui lutti familiari.

Giovanni Pascoli nasce il 31 dicembre 1855 a San Mauro di Romagna, trascorrendo un infanzia agiata, fino a che, il dieci agosto (titolo fra l'altro di una sua famosa poesia dedicata al padre) 1867, il padre viene assassinato mentre stava tornando a casa.
Questa esperienza lo segnerà indelebilmente, tanto che, dopo la successiva morte della madre e di due dei dieci fratelli, egli punterà per tutta la vita alla ricostruzione di un nucleo familiare. Non si sposerà mai, restando morbosamente attaccato alla sorella Maria (con la quale visse fino alla morte) fino ad arrivare ad essere geloso delle sue relazioni sentimentali. Resterà sempre sospettoso di tutto ciò che nasce al di fuori del "nido" familiare. Col matrimonio dell'altra sorella (Ida), Pascoli si trasferisce insieme a Maria a Castelvecchio di Barga (LU), la quale sarà la sua residenza definitiva.



I suoi componimenti più importanti sono: Myricae (1891), Poemetti (1897), Canti di Castelvecchio (1903), poemi conviviali (1904), ed il suo discorso del 1911 a favore della colonizzazione libica (la grande proletaria si è mossa). Muore pochi mesi dopo aver pronunciato questo discorso, a Bologna il 6 aprile del 1912


LA POETICA DEL FANCIULLINO E L'IDEOLOGIA PICCOLO BORGHESE


Nel 1897 Pascoli pubblica, sulla rivista fiorentina "IL MARZOCCO", una prosa dal titolo Il fanciullino, che rappresenta un discorso programmatico sulla sua poetica. Il poeta viene fatto coincidere con un fanciullino, ovvero quella parte infantile dell'uomo, capace di stupirsi come un bimbo, di fronte ai normali fenomeni naturali, che negli uomini "normali" tende a scomparire col passare degli anni. Il fanciullino avverte attraverso percezioni intuitive ed irrazionali, ciò che normalmente passa inosservato, individuando accordi segreti, legami inconsueti tra le cose (tematica puramente simbolista).

In Pascoli c'è un'eterna ambiguità fra continuità e rottura, fra tradizione e innovazione, tanto da farne insieme, l'ultimo dei classici, e il primo dei moderni in Italia; la stessa poetica del fanciullino presuppone tale ambiguità: esso è contemporaneamente qualcosa di democratico, perché presente in ogni uomo, e di estremamente aristocratico, poiché soltanto il poeta sa sentirne la voce, sa farlo parlare attraverso il linguaggio della poesia. In questo senso il fanciullino non è poi così diverso dal superuomo di D'annunzio, poiché come lui, contiene in se una vocazione alla superiorità. Si ha insomma una visione simbolista del poeta come veggente di una verità segreta, tuttavia il simbolismo pascoliano, più che alle corrispondenze, punta alla valorizzazione del particolare, nel quale si trova "l'effluvio poetico delle cose". La sua poetica del particolare simbolico, lo porta a scavare all'interno della realtà fenomenica, e di conseguenza a valorizzare figure retoriche come l'onomatopea e il fonosimbolismo.

Tra ideologia e poetica c'è uno stretto rapporto in Pascoli; egli crede ancora in una funzione sociale e morale della poesia: essa può essere una possibile pacificazione dei malcontenti sociali, poiché è il sentimento poetico che rende il contadino appagato della sua capanna, e il borghesoccio dalla sua casa ammobiliata, inibendo il desiderio di cambiamento con un "soave e leggero freno". Si esprime qua il sentimento di precarietà della piccola borghesia italiana negli anni tra Crispi e Giolitti. L'adesione a questa ideologia è resa esplicita attraverso il discorso a favore della colonizzazione libica (la grande proletaria si è mossa), in nome della necessità del popolo italiano di trovare un rimedio alla piaga dell'emigrazione, trovando nuovi spazi di lavoro. La superiorità culturale italiana avrebbe addirittura giustificato il fatto come gesto di civiltà.


Myricae


COMPOSIZIONE E TITOLO


E' forse il testo più importante e bello di Pascoli; è una raccolta di centocinquantasei poesie (almeno nell'ultima edizione) divise in quindici sezioni. Myricae ha subito numerose modifiche prima dell'edizione definitiva: dopo la prima, uscita a Livorno nel 1891 (comprendente solamente ventidue testi, e totalmente priva di suddivisioni), il testo è stato modificato ben otto volte. Il titolo è stato ripreso da un luogo delle bucoliche di Virgilio ("arbusta iuvant humilesque myricae", ovvero "mi piacciono gli arbusti e le basse tamerici") e usato poi come epigrafe del libro; gia si nota la consueta ambiguità che accompagna il Pascoli dei migliori componimenti: dalla traduzione emerge infatti una scelta di poetica del "basso", del discorsivo, mentre il rimando classico al latino, e soprattutto a Virgilio, indicano una ricerca di raffinatezza e di elevazione.


TEMATICHE


Fin dalla prefazione dell'opera, il poeta ne preannuncia le due tematiche di fondo, ovvero la morte invendicata del padre, e la natura vista come via di pacificazione; in realtà sarà il tema della morte, come gia annunciato ne il giorno dei morti (lungo componimento introduttivo all'opera), il vero protagonista: qui Pascoli immagina i suoi familiari morti, nel cimitero, riconciliati in una nuova unità familiare, più autentica di quella serbata dai superstiti, i quali vengono descritti come indifesi, non senza un certo senso di colpa verso i defunti, e un bisogno di riconciliarsi a loro. In questo difficile rapporto emerge, oltre a quello più esplicito della morte, un mito di una sorta di persecuzione funeraria, intesa come punizione, tanto che il poeta arriva a sentirsi in colpa per l'essere vivo. Questa estraneità dal mondo dei viventi, può essere superata attraverso due atteggiamenti: o si da alla propria vita una funzione sociale che la legittima rispetto al destino dei morti (il Pascoli, come si è detto, credeva ancora in tale funzione della poesia), o ci si confonde con quello stesso destino, regredendo all'infanzia (negando di essere adulti) e alla prenascita (negando di "essere"), quindi morendo; ma è la seconda via che prevale in Pascoli, presentando la morte come unica possibile "medicina", contro quella "malattia" che è la vita. Il concetto di vita intesa come malattia, è espresso molto bene nella poesia Ultimo sogno, dove il poeta immagina la sua "guarigione", e il riconciliamento con la madre morta. E' utile una lettura di questa poesia per una maggiore comprensione di ciò che abbiamo detto:




Ultimo sogno

G.Pascoli


Da un immoto fragor di carriaggi

ferrei, movimenti verso l'infinito

tra schiocchi acuti e fremiti selvaggi.

un silenzio improvviso. Ero guarito.


Era spirato il nembo del mio male

in un alito. Un muovere di ciglia;

e vidi la mia madre al capezzale:

io la guardava senza meraviglia.


Libero! .inerte si,forse, quand'io

le mani al petto sciogliere volessi:

ma non volevo. Udivasi un fruscìo

sottile, assiduo, quasi di cipressi;


quasi d'un fiume che cercasse il mare

inesistente, in un immenso piano:

io ne seguiva il vano sussurrare,

sempre lo stesso, sempre più lontano.


POETICA DI MYRICAE


Abbiamo gia accennato all'eterna divisione di Pascoli tra tradizionale ed innovativo. In Myricae al primo aspetto rispondono forme metriche chiuse (se pur spesso modificate e personalizzate), e la visione della poesia come qualcosa di socialmente utile; all'aspetto innovativo risponde invece la contiguità con il simbolismo europeo, e soprattutto un uso del lessico assolutamente inedito in lirica. Soprattutto quando si riferisce a flora e fauna, pascoli è solito usare termini tecnici. Questa ricerca di naturalità si esprime anche attraverso l'uso di onomatopee e fonosimbolismi. Il suo linguaggio non deve però far pensare ad una qualche adesione al positivismo, poiché i termini tecnici sono spesso usati in quanto rarissimi nella lirica, quindi hanno una funzione elevativa; in questo senso si avvicina di più all'estetismo che al positivismo. Altra caratteristica che lo allontana da tale corrente, è un punto di vista rigorosamente soggettivo: non è la realtà che conta, ma le impressioni avvertite dal soggetto; si può quindi parlare di un impressionismo simbolistico del Pascoli.


I Canti di Castelvecchio


Furono pubblicati nel 1903 (lo stesso anno dell'Alcyone Dannunziano). Sin dall'inizio si nota una certa continuità con Myricae (segnalata gia dall'epigrafe introduttiva: la stessa della precedente opera). Due sono i temi fondamentali dell'opera: quello naturalistico del trascorrere delle stagioni, e quello familiare della morte del padre. L'alternanza delle stagioni allude ad un ordine naturale, e all'armonia dell'alternanza di vita e di morte. LA morte del padre si configura invece come una perdita irreparabile; tale tema si pone quasi come minaccia per lo stesso poeta: sembra quasi che i defunti neghino il suo diritto alla vita. Il poeta può rispondere al solito in due modi: o rivendicando a se stesso, in quanto poeta, il diritto ad esprimere il proprio turbamento; o ponendosi nella prospettiva stessa dei defunti, abbandonandosi ad atteggiamenti vittimistici.

Nei Canti si perde il frammentismo di Myricae, cercando una lirica più distesa ed una più complessa musicalità. Nel linguaggio si tende al sublime sia dal basso, attraverso termini tecnici ed espressioni popolare, che dall'alto, attraverso l'uso di termini aulici della tradizione letteraria.





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