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GIACOMO LEOPARDI - LE OPERE, IL PENSIERO

letteratura



GIACOMO LEOPARDI


LA VITA

Giacomo Leopardi nacque a Recanati, nelle Marche, nel 1798 dal conte Monaldo, uomo chiuso e tradizionalista, che voleva fare di suo figlio un bambino prodigio. Ebbe una vita solitaria e difficile; visse per tutta l'adolescenza isolato nel paese natale, che sentiva come una soffocante prigione. Si dedicò con passione ad intensi studi classici e umanistici, che gli rovinarono la salute. A 15 anni scrisse le sue prime opere, e a 18 iniziò a comporre quaderni di appunti, in cui esprimeva i suoi stati d'animo e le proprie riflessioni: lo "Zibaldone" (che continuò a scrivere per 15 anni). Scrisse le sue prime poesie (Canzoni e canzoni civili) e progettò la fuga dall'ambiente chiuso della sua famiglia e dal paesino. 343c24d Il tentativo fu scoperto dal padre, e la situazione per Leopardi diventò ancora più insostenibile. In questo periodo scrisse i piccoli idilli ("L'infinito", "La sera del dì di festa", etc.).

Nel 1822 ottenne di andare a Roma presso un suo zio, ma rimase deluso da questo viaggio. Al suo ritorno a casa si ammalò, e scrisse le "Operette morali".

Dal 1825 riuscì ad andare a Milano, poi a Bologna e a Firenze, grazie ai suoi lavori editoriali. Tornò a Recanati, dove compose i grandi idilli ("Il passero solitario", "La quiete dopo la tempesta", "Il sabato del villaggio", etc). Si trasferì a Napoli con l'amico Ranieri, che aveva curato la prima edizione dei Canti. Qui morì nel 1837.




LE OPERE

I Canti (pubblicati nel 1831, 1835 e 1845) comprendono tutta la produzione lirica del poeta: le canzoni civili e filosofiche, gli idilli, le poesie del Ciclo di Aspasia e La ginestra, composte negli ultimi anni.


Le Operette morali sono 24 prose di argomento filosofico, per lo più in forma di dialogo; vi compaiono personaggi storici, mitologici, simbolici. I temi principali sono: l'irrilevanza dell'uomo nella storia dell'universo, l'indifferenza della natura nei confronti degli esseri viventi, la noia, il suicidio.


IL PENSIERO

Al centro della meditazione di Leopardi è il tema pessimistico dell'infelicità dell'uomo. Egli ha una visione materialistica e identifica la felicità con il piacere; l'uomo non desidera un piacere, bensì il piacere, cioè un piacere che sia infinito. Pertanto egli non può soddisfare quest'esigenza, ma avverte un senso di insoddisfazione perpetua e di infelicità. La prima fase del pensiero leopardiano viene definita pessimismo storico, in quanto la condizione negativa del presente viene vista come effetto di un processo storico di allontanamento da una condizione originaria di felicità. La natura è vista come madre benigna e attenta al bene delle sue creature; gli antichi erano felici in quanto vivevano in armonia con la natura. La colpa dell'infelicità odierna è dunque dell'uomo, che si è allontanato dalla natura benigna.

In una seconda fase Leopardi vede invece la natura come crudele e indifferente alla sorte delle sue creature ed alle loro sofferenze. La colpa dell'infelicità non è più, dunque, dell'uomo, ma della natura malvagia; l'infelicità non è più legata ad una condizione storica e relativa dell'uomo, ma ad una condizione assoluta e immutabile (pessimismo cosmico). L'infelicità, che prima era concepita come assenza di piacere, è ora dovuta ai mali esterni, ai quali nessuno può sfuggire: malattie, cataclismi, vecchiaia, morte.


L'INFINITO

Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
lo nel pensier mi fingo; ove per poco
I1 cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare.


Il poeta si trova sulla sommità di una collina e osserva il cielo, soffermandosi a riflettere sul paesaggio che lo circonda e sugli elementi della natura; ecco allora che il rumore del vento riporta alla mente il suono degli anni che passano, e che l'immensità che avvolge l'autore è come una marea che travolge il suo corpo e il suo spirito.


LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA

Passata è la tempesta:
Odo augelli far festa, e la gallina,
Tornata in su la via,
Che ripete il suo verso. Ecco il sereno
Rompe là da ponente, alla montagna;
Sgombrasi la campagna,
E chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
Risorge il romorio
Torna il lavoro usato.
L'artigiano a mirar l'umido cielo,
Con l'opra in man, cantando,
Fassi in su l'uscio; a prova
Vien fuor la femminetta a còr dell'acqua
Della novella piova;
E l'erbaiuol rinnova
Di sentiero in sentiero
I1 grido giornaliero.
Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride
Per li poggi e le ville. Apre i balconi,
Apre terrazzi e logge la famiglia:
E, dalla via corrente, odi lontano
Tintinnio di sonagli; il carro stride
Del passeggier che il suo cammin ripiglia.

Si rallegra ogni core.
Sì dolce, sì gradita
Quand'è, com'or, la vita?
Quando con tanto amore
L'uomo a' suoi studi intende?
0 torna all'opre? o cosa nova imprende?
Quando de' mali suoi men si ricorda?
Piacer figlio d'affanno;
Gioia vana, ch'è frutto
Del passato timore, onde si scosse
E paventò la morte
Chi la vita abborria;
Onde in lungo tormento,
Fredde, tacite, smorte,
Sudàr le genti e palpitàr, vedendo
Mossi alle nostre offese
Folgori, nembi e vento.

0 natura cortese,
Son questi i doni tuoi,
Questi i diletti sono
Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena
È diletto fra noi.
Pene tu spargi a larga mano; il duolo
Spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto
Che per mostro e miracolo talvolta
Nasce d'affanno, è gran guadagno. Umana
Prole cara agli eterni! assai felice
Se respirar ti lice
D'alcun dolor: beata
Se te d'ogni dolor morte risana.

Il poeta descrive con esultanza la vita serena di Recanati, che riprende operosa ed animata dopo la violenza del temporale. La seconda parte del canto si risolve in una dolorosa meditazione sull'infelicità del genere umano, la cui unica gioia consiste esclusivamente nella cessazione del dolore: piacere = cessazione del dolore ("Piacer figlio d'affanno; gioia vana, ch'è frutto del passato timore, onde si scosse e paventò la morte chi la vita abborria")







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