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Foscolo Ugo - Il bonapartismo

letteratura



Foscolo Ugo


Poeta e scrittore italiano (Zante, 1778 - Turnham Green, presso Londra, 1827).

Foscolo nasce nell'isola greca di Zante (già Zacinto), allora possedimento della Repubblica di Venezia, da un medico di bordo d'antica famiglia veneziana e da madre greca di modeste origini. Battezzato col nome di Niccolò, cui egli aggiunge dal 1797 e poi sostituisce, quello di Ugo, compie a Spalato i primi studi. Nel 1792 raggiunge la madre a Venezia, dove essa si è trasferita dopo essere rimasta vedova e che il poeta considererà sempre come la sua vera patria, nonostante il vivo attaccamento all'isola ionia dell'infanzia.

Formazione classica e sensibilità romantica nel giovane Foscolo

I primi anni veneziani sono decisivi per la f 222e42c ormazione culturale del Foscolo che acquisisce fra il 1793 e il 1797 una notevole padronanza delle lingue antiche e moderne, della cultura classica e delle nuove idee illuministiche, grazie alle vastissime letture personali testimoniate dal Piano di studi del 1796 e alla frequentazione della vicina università di Padova, dove segue le lezioni del sacerdote Melchiorre Cesarotti.

Illuminista moderato, insegnante di greco e di ebraico, il Cesarotti concorre inoltre, soprattutto con la traduzione dei Canti di Ossian, al diffondersi in Italia del gusto e dei modelli stilistici dei preromantici, destinati a esercitare una profonda influenza sul giovane Foscolo il cui temperamento esuberante e passionale trova contemporaneamente espressione nella relazione amorosa con la dama letterata Isabella Teotochi Albrizzi e in una sempre più coinvolgente partecipazione alle vicende politiche.



Modelli e grandiosità neoclassiche si intrecciano a enfatiche accensioni sentimentali già nelle prime opere in cui rivela la sua precoce vocazione poetica, dalla raccolta del 1794, apparsa postuma nel 1831, alla tragedia Tieste, rappresentata nel gennaio del 1797. In essa si manifesta inoltre quell'adesione alle idee giacobine, alimentata dalla lettura di Locke, Montesquieu, Rousseau, che lo mette in contrasto col regime oligarchico dominante a Venezia costringendolo in aprile ad abbandonare la città e a rifugiarsi nella Repubblica Cispadana, dove si arruola fra i cacciatori a cavallo dell'esercito napoleonico.

Il bonapartismo

La speranza di trasformare Venezia in una repubblica democratica grazie all'intervento francese anima il sonetto A Venezia, le odi A Bonaparte liberatore e Ai novelli repubblicani, i versi sciolti Al Sole, tutti composti nello stesso anno. Se per un verso queste posizioni si ricollegano al libertarismo alfieriano, tentando di superarne il limite individualistico e di dargli concreto sbocco politico, d'altra parte preannunciano quel moderatismo realistico che verrà in evidenza nel Foscolo maturo e che lo porterà a restare sempre fautore del regime napoleonico. Al pari di molti patrioti italiani dell'epoca, nota il De Ruggiero, Foscolo si mostra meglio disposto «ad apprezzare la libertà civile che non quella politica» e finisce così col professare «un liberalismo che ha per vertice la dittatura».

Il bonapartismo stesso è tuttavia vissuto da Foscolo in modo critico e contraddittorio, con frequenti oscillazioni fra impennate indipendentiste e diretta partecipazione alle imprese militari del Bonaparte. Causa di particolare delusione e amarezza è il trattato di Campoformio dell'ottobre 1797 con cui Napoleone cede all'Austria Venezia e che costringe nuovamente all'esilio il poeta, rientrato nella città dopo la caduta del regime oligarchico.

Ma questo avvenimento non provoca una sostanziale modifica del suo orientamento politico. Stabilitosi a Milano, dove conosce alla fine del 1797 Parini e diventa amico di Monti, Foscolo inizia una vivace collaborazione con la rivista liberale il Monitore italiano, proseguita l'anno successivo a Bologna attraverso il Monitore bolognese e il Genio democratico, e torna a combattere con l'esercito napoleonico nell'aprile 1799 contro la coalizione austrorussa. Dopo essere stato ferito a Cento e aver preso parte alla difesa di Genova, dove ristampa l'ode A Bonaparte liberatore, egli svolge per conto del governo napoleonico alcune missioni diplomatiche e compone nel 1802 l'Orazione a Bonaparte, in cui lo invita a unificare l'Italia. Essa evidenzia il significato e i limiti del liberalismo foscoliano, particolarmente là dove scrive: «E col popolo tutto io chiamo libertà il non avere (tranne Bonaparte) niun magistrato che Italiano non sia, niun capitano che non sia cittadino».

A questa intensa attività politica s'intrecciano intanto nuove relazioni amorose con Isabella Roncioni e Antonietta Fagnani Arese e un'altrettanto instancabile attività letteraria. Contrassegnata da materiali importanti nel quadro della formazione letteraria del Foscolo, come il romanzo autobiografico incompiuto Sesto tomo dell'Io o le lettere ad Antonietta Fagnani Arese poi confluite nel vastissimo Epistolario, essa culmina con la pubblicazione nel 1802 del romanzo epistolare Ultime lettere di Jacopo Ortis iniziato nel 1797, apparso una prima volta l'anno seguente e poi ripetutamente rivisto.

Le «Ultime lettere di Jacopo Ortis»

L'Ortis si colloca non a caso nel filone del romanzo epistolare, ossia del genere settecentesco che più aveva dato spazio a un autobiografismo e a un'analisi dei sentimenti già di gusto romantico. Il riferimento autobiografico è trasparente sia nell'intreccio sia nell'ispirazione dell'opera, influenzata da modelli famosi nel genere come La Nuova Eloisa di Rousseau o I dolori del giovane Werther di Goethe.

Attraverso la finzione delle lettere inviate dal giovane patriota Jacopo all'amico Lorenzo vengono narrate le disavventure politiche e amorose del protagonista, costretto a fuggire da Venezia dopo il trattato di Campoformio e isolatosi nei suoi nativi Colli Euganei. Qui s'innamora di Teresa, giovane figlia d'un conte che è però già promessa a Odoardo. Non potendo offrirle di dividere la sua sorte di profugo, Jacopo si rimette in viaggio per l'Italia traendo nuovo motivo di sconforto dallo spettacolo di sottomissione e oppressione che gli si presenta in tutta la penisola. Dopo aver vanamente cercato di avvicinare Alfieri, aver incontrato Parini e aver visitato le tombe dei grandi italiani in Santa Croce, Jacopo torna sui Colli Euganei dove apprende che Teresa ha sposato Odoardo e si uccide.

In questo atto, come nota Binni, si esprime la suprema protesta del Foscolo «contro una realtà troppo diversa dai suoi ideali e dal suo bisogno di vita alta e virile». Ma il romanzo, come nota sempre Binni, ci fa anche assistere allo «sdoppiamento fra autore e personaggio, tra il Foscolo collaboratore-critico del potere napoleonico e l'Ortis intellettuale disperato e suicida». Al personaggio il poeta assegna il compito di esprimere quel pessimismo esistenziale, quel sentire tormentoso e romantico, quel subitaneo trapasso dall'entusiasmo alla disperazione e quella disillusione politica cui seguitano a opporsi l'adesione intellettuale del Foscolo alla filosofia meccanicistica settecentesca e agli ideali giacobini. Questo contrasto si riflette anche nel modo complesso e contraddittorio di sentire la morte, che tanta parte avrà nella successiva poesia foscoliana: da un lato «fatal quiete» che pone fine ai travagli dell'esistenza e da cui l'autore si rivela romanticamente attratto anche nel successivo sonetto Alla sera; dall'altro ricordo e simbolo attraverso i sepolcri degli uomini illustri, di vite intensamente vissute che «A egregie cose il forte animo accendono», come avrà a esprimersi nei Sepolcri.

Le «Odi» e i «Sonetti»

Proprio il tentativo di armonizzare idee o modi di sentire così contrastanti anima la produzione poetica immediatamente successiva, dalla traduzione della Chioma di Berenice di Callimaco (1803), alle Poesie pubblicate lo stesso anno. Esse comprendono due famose odi (A Luigia Pallavicini caduta da cavallo, All'amica risanata) e dodici sonetti gli ultimi dei quali (In morte del fratello Giovanni, A Zacinto, Alla sera) sono fra le più alte espressioni della lirica italiana.

A differenza dei primi, anteriori al 1802 e maturati nel clima stesso del romanzo, gli ultimi sonetti rivelano un più maturo equilibrio che porta il poeta a trasfigurare la vicenda autobiografica fino a farne motivo di una meditazione intensa e di una rappresentazione pacata, squisitamente classica nella forma. Una visione più armoniosa e rasserenata esprimono anche le due odi che, in uno stile apertamente neoclassico, elegante e lieve, propongono un altro motivo centrale della successiva poetica foscoliana, quello dell'«aurea beltade» unico «ristoro» concesso agli uomini dal destino.

Si tratta tuttavia di una bellezza «non più decorativa come per gli scrittori neoclassici, ma già romanticamente identificata con la stessa coerenza del comportamento morale e politico» (Bonfiglioli).

La bellezza come i sepolcri, come la poesia stessa, ha valore in quanto simbolo e mito capace di suscitare nobili sentimenti e di stimolare ad azioni generose.

Comincia così a delinearsi quella religione delle «illusioni» (i sepolcri la bellezza, la poesia), come tali criticamente giudicate dalla ragione illuminista ma tuttavia accolte dal poeta come i soli valori capaci di consolare l'uomo e di conferire senso alla sua travagliata esistenza.

I «Sepolcri»

A questa visione si accompagna nel Foscolo una considerazione più distaccata della vicenda politica, di cui pure seguita a essere attivo protagonista nonostante i crescenti dissensi col governo francese in Italia.

Determinati soprattutto da una mai sopita aspirazione indipendentista che alimenta i sospetti delle autorità, essi spingono infine il poeta a lasciare nel 1804 la penisola per recarsi come ufficiale napoleonico nella Francia del nord, dove si sta preparando una spedizione contro l'Inghilterra. Qui Foscolo ha la relazione con l'inglese Fanny Emerytt da cui nascerà la figlia Floriana e comincia a tradurre il Viaggio sentimentale di Laurence Sterne.

Nel marzo 1806, sfumato il progetto napoleonico, ritorna a Milano. Ma nel frattempo la trasformazione della Repubblica Italiana in Regno d'Italia (1805) con la diretta assunzione della corona da parte di Napoleone, che governa tramite il viceré Eugenio di Beauharnais, rende sempre più stretta la dipendenza dai Francesi accentuando il disagio del Foscolo nei confronti del regime.

Poco dopo, viene esteso al Regno d'Italia (5 settembre 1806) l'editto di Saint-Cloud, emanato in Francia nel 1804 per vietare la sepoltura fuori dei cimiteri comuni e l'uso dei monumenti funebri. È questo il motivo occasionale che spinge Foscolo a scrivere il carme Dei Sepolcri, originariamente pensato come epistola in versi all'amico Ippolito Pindemonte, cui è diretto.

Alimentato da motivi comuni a tutta la poesia sepolcrale inglese, e dalla riflessione foscoliana sulla morte, quale si era sviluppata dall'Ortis ai sonetti, il poema rappresenta il momento di più alto e felice equilibrio raggiunto dalla lirica foscoliana fondendo razionalità illuministica, forma classica e nuova sensibilità romantica. Al centro del carme vi è la meditazione sull'esistenza umana che è sì perenne fluire, travolto dalla «forza operosa» del tempo secondo una concezione materialistica mai rinnegata dal poeta, ma che può attingere un superiore significato ove si stabilisca un ideale legame fra i vivi e i morti.

Il culto delle tombe, inutile ai defunti e che l'editto napoleonico vorrebbe eliminare sostituendovi le fosse comuni, diventa così essenziale ai viventi in quanto perpetua il ricordo degli illustri trapassati stimolando a rinnovarne le imprese e realizza quella continuità fra le generazioni e fra le stirpi che rappresenta a parere di Foscolo l'unica forma possibile d'immortalità.

In questo modo i sepolcri vengono ad avere una funzione simbolica e mitica, rasserenante e consolatoria, ma anche quella più immediatamente politica di incitare alla lotta per la libertà sull'esempio dei grandi. Proprio su questo ruolo fondamentale dei sepolcri nella storia di una nazione si sofferma la parte centrale del carme, traendone spunto per incitare alla liberazione e all'unificazione d'Italia.

Questo auspicio d altra parte offre spunto per un confronto con l'eroica lotta dei Greci contro i Persiani a Maratona o con la sfortunata difesa di Troia da parte di Ettore, riportando a riflessioni di significato più universale. Attraverso la figura di Ettore, cantato da Omero, il poeta esalta insieme all'eroismo sfortunato e al patriottismo la funzione eternatrice della poesia che, vincendo «di mille secoli il silenzio», ne immortala il ricordo finché il sole «risplenderà sulle sciagure umane».

Nella celebrazione dei sepolcri , inutili solo ai vili e ai mediocri che non lasciano «eredità d'affetti», si fondono così meditazione filosofica, potente lirismo e passione civile, eloquenza e poesia. Qui si saldano, come non accadrà più nelle opere successive, la forte tensione politica a lungo dominante nel Foscolo, e la tendenza più tardi prevalente a rifugiarsi in una dimensione atemporale trascendente la storia, in una sorta di religione delle «illusioni» seppure tutta laica e terrena.

Dalle «Lezioni sulla letteratura» alle «Grazie»

Tale equilibrio si rompe invece o vien meno nell'ultimo Foscolo, parallelamente al suo definitivo abbandono del giacobinismo giovanile.

Sia l'influenza delle letture preferite nella maturità, da Vico a Hobbes a Machiavelli, agli «ideologhi» francesi, sia la deludente esperienza del nuovo ordine napoleonico, cui resta tuttavia complessivamente legato, inclinano sempre più Foscolo verso un realismo politico che considera le speranze rivoluzionarie come vuote utopie. Alla tesi di Rousseau secondo cui l'uomo deve recuperare la libertà dello stato di natura mettendo fine alle diseguaglianze della società civile, egli oppone che la disegualianza è una condizione ineliminabile, determinata dalle stesse leggi della natura. La società è congenitamente un «aggregato di pochi, che comandano per mezzo della spada e delle opinioni, e di molti che servono». L'intellettuale, visto da Foscolo come portatore di verità sulla base di una concezione sostanzialmente aristocratica della letteratura, non può «pigliare tutte le parti degli uni senza offendere le ragioni degli altri» ma deve tendere piuttosto a farsi mediatore fra il potere e il popolo, che seguita a essere considerato con distacco.

Queste posizioni, già implicite nel bonapartismo del Foscolo, si precisano soprattutto dal 1809 quando egli ottiene la cattedra di eloquenza all'università di Pavia, particolarmente nelle sue Lezioni su la letteratura e la lingua (1809-11) introdotte dalla celebre orazione inaugurale Dell'origine e dell'ufficio della letteratura (22 gennaio 1809).

Poco dopo, la cattedra viene soppressa dalle autorità francesi che nel 1811 vietano anche le repliche della seconda tragedia foscoliana, l'Aiace, velatamente antinapoleonica, e tolgono al poeta l'incarico di revisore dei testi teatrali. Questi fatti, insieme alla clamorosa rottura con Monti contro cui scrive Ragguaglio dell'Accademia de' Pitagorici (1810), decidono il Foscolo a lasciare il Regno d'Italia per recarsi a Firenze dove conosce un periodo di relativa tranquillità, ha una relazione con Quirina Mocenni e attende alla stesura delle sue ultime opere importanti: la terza tragedia (Ricciarda), la traduzione assai libera e originale del Viaggio sentimentale di Sterne, pubblicata con la Notizia intorno a Didimo Chierico d'intonazione autobiografica, le parti fondamentali delle Grazie.

Ripreso anche in seguito, ma mai concluso, questo poemetto segna l'aperta adesione del Foscolo ai canoni neoclassici. Attraverso una ricerca formale che approda a risultati di grande raffinatezza si esprime ormai una concezione elitaria della poesia, che a tratti raggiunge ancora risultati di alto lirismo ma «in un dominio privato e non in senso civile» (Salinari). La funzione civilizzatrice avuta dalla poesia nel corso della storia è il tema stesso dei tre inni solo parzialmente svolti in cui si articola il poema e ne sottolinea il carattere didascalico. Nel primo, dedicato a Venere, si canta la nascita delle Grazie che accompagna i primi progressi della civiltà. Nel secondo, dedicato a Vesta, s'immagina di innalzare alle Grazie un altare sul colle Florentino di Bellosguardo e si chiamano a celebrarne il culto tre donne amate dal poeta. Nel terzo, dedicato a Pallade, si celebra con versi che sono fra i più belli di tutta l'opera il velo tessuto per proteggere le Grazie dalle passioni umane e rendere così possibile la loro azione nel mondo.

Il periodo londinese

Al tentativo del poeta di rifugiarsi in una distaccata lontananza dalle travagliate vicende quotidiane si oppone tuttavia il precipitare degli avvenimenti politici e il crollo dell'impero dopo la sconfitta dell'esercito napoleonico nel 1813 a Lipsia.

Foscolo ritorna a Milano per partecipare alla difesa del Regno d'Italia contro gli Austriaci. Successivamente valuta la possibilità di collaborare da posizioni critiche col nuovo regime, che cerca di assicurarsene i servigi offrendogli la direzione della rivista Biblioteca italiana. Ma nel 1815, quando si pone concretamente la necessità di prestare giuramento di fedeltà all'Austria, Foscolo rompe ogni indugio e fugge da Milano riprendendo definitivamente la via dell'esilio.

Dalla Svizzera, dove pubblica nel 1816 una nuova edizione dell'Ortis e la satira in prosa latina Ipercalisse, passa a Londra, dove resterà fino alla morte. Qui viene accolto con simpatia dai liberali inglesi e ritrova, in circostanze fortunose, la figlia Floriana che gli rimarrà affettuosamente legata per tutta la vita. Ma presto i suoi comportamenti improntati a scontrosa intolleranza ne provocano l'isolamento, mentre le difficili condizioni economiche lo costringono a un duro lavoro in campo editoriale e giornalistico che concorre a logorarlo fisicamente e ad aggravare le sue condizioni di salute, rese precarie dall'idropisia. Nonostante ciò il Foscolo continua a svolgere un'intensa attività intellettuale, curando la quarta edizione dell'Ortis (1817), tentando di riprendere il poemetto le Grazie e producendo soprattutto importanti opere di critica letteraria come il Saggio sullo stato della letteratura italiana nel primo ventennio del secolo decimono ( 1818), i Saggi su Petrarca (1821), il Discorso sul testo della Divina Commedia e il Discorso storico sul testo del Decamerone, entrambi del 1825. Si tratta di contributi che i n novan o profondamen te la cri tica italiana, rompendo con la tradizione settecentesca. Egli continua inoltre a seguire con lucida attenzione le vicende italiane, offrendoci un'analisi dell'esperienza giornalistica italiana che resta fra le più penetranti e intervenendo attivamente nella polemica fra «romantici» e «classici», a favore di questi ultimi.

Ma la sua vita è resa sempre più gravosa dalla malattia e dai disagi economici. Dilapidato il piccolo patrimonio della figlia è costretto a nascondersi nei più squallidi quartieri londinesi per sfuggire ai creditori, che lo fanno imprigionare nel 1824. Scarcerato ma ridotto in miseria deve adattarsi a vivere nel piccolo villaggio di Turnham Green, dove muore il 27 settembre 1827 a soli 49 anni.

Nel 1870, per decisione del governo italiano, i suoi resti vengono trasferiti a Firenze, nella chiesa di Santa Croce a lui tanto cara.

La collocazione di Foscolo fra classici e romantici

Concordemente ritenuto uno dei massimi poeti italiani, Foscolo resta tuttavia figura di non facile collocazione nel quadro della storia letteraria.

Per numerosi aspetti egli anticipa il romanticismo e di una sensibilità romantica è testimonianza la stessa rottura che in lui si opera rispetto alla figura del letterato tradizionale, con una stretta associazione fra vita e opera, produzione poetica e impegno politico.

Ma è contemporaneamente necessario sottolineare i persistenti legami con una concezione aristocratica di derivazione settecentesca sia in campo letterario sia politico. È da rilevare, soprattutto, come la sua tensione civile, «crucciosamente chiusa in se stessa», tradisca i limiti propri anche al «distacco e disprezzo» alferiano verso «la plebe» (Timpanaro), mentre il suo modo di intendere la poesia, segnatamente nelle Grazie, sembra rappresentare piuttosto il punto d'arrivo e la più alta sintesi del classicismo settecentesco che non un superamento di esso. Tale classicismo anzi, in quanto viene distaccandosi dai problemi politico-sociali per farsi celebrazione «della poesia consolatrice, in un mondo storico considerato ormai irrecuperabile alla bellezza e alla magnanimità» (Carretti), si allontana dallo stesso neoclassicismo illuministico ricollegandosi a quello accademico e riproponendo, come scrive Asor Rosa, «una poesia di tipo sublime (vecchia idea della retorica classicista italiana». Anche la polemica condotta da Foscolo contro i romantici durante il suo periodo londinese «consiste fondamentalmente in una rivendi( azione della poesia pura» (Timpanaro) .

Questo è uno dei motivi che possono spiegare la limitata influenza esercitata dal Foscolo sulla letteratura italiana dell'Ottocento e sugli scrittori romantici, «convinti che l'arte dovesse tener conto in primo luogo della società com'era» e «abbassarsi fino al livello di comprensione, di gusto e di predominanti idealità del pubblico contemporaneo» (Asor Rosa).

Ma un altro motivo è senza dubbio da vedere, all'opposto, nell'adesione del Foscolo al meccanicismo illuminista e nel suo conseguente fastidio per il moralismo cattolico dei romantici lombardi. Anche quando sfocia nella «religione delle illusioni» la sua poesia resta tenacemente laica rifuggendo da ogni apertura a quella visione religiosa e cristiana della vita che sostanzia invece gran parte del romanticismo italiano, da Pellico a Settembrini o a Manzoni. Da questo punto di vista gli è piuttosto accostabile Leopardi, che analogamente inscrive il suo profondo pessimismo esistenziale entro una visione laica e materialistica pervenendo tuttavia, attraverso un maggior approfondimento ideologico, a rifiutare il culto della poesia, al contrario di Foscolo.







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