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Dante - LA VITA, PENSIERO POLITICO DI DANTE

letteratura






 




INFERNO, CANTI: I, VI, X, XXI.

 

 

 


 

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LA VITA

Dante Alighieri nacque a Firenze nel 1265 da una famiglia della piccola nobiltà cittadina di parte guelfa. La sua esistenza intellettuale e giovanile si concentra intorno alla figura di una donna che egli chiama Beatrice. La morte di Beatrice nel 1290 segna per Dante un periodo di smarrimento che si conclude con lo stimolo ad ampliare i suoi orizzonti culturali e a stabilire un rapporto con la realtà della vita civile e politica. Nel 1293 Giano della Bella 959i82j , con i suoi ordinamenti di giustizia, aveva escluso la nobiltà cittadina dalle cariche pubbliche; nel 1295 il provvedimento fu attenuato e fu consentito ai nobili di ricoprire cariche purchè fossero iscritti ad una corporazione. Dante così entrò a far parte dell'arte dei Medici e degli Speziali e negli anni successivi ricoprì varie cariche finchè nel 1300 diventa uno dei Priori di Firenze. Era quello un periodo difficile per il comune fiorentino lacerato tra le fazioni dei Guelfi bianchi e neri e minacciato dalle manovre del papa Bonofacio VIII che mirava ad imporre il dominio della Chiesa. Dante aveva a cuore sia la pace interna che l'autonomia interna del comune e agì con ogni mezzo per ristabilire la concordia tra i cittadini. Pur essendo al di sopra delle parti si avvicinò ai bianchi che difendevano la libertà di Firenze mentre i neri difendevano Bonifacio VIII. Il legato pontificio Carlo di Valois, con il pretesto di portare la pace tra le due fazioni, favorì invece i neri che scatenarono le persecuzioni contro la parte sconfitta. Dante in quel momento non si trovava a Firenze poiché era stato mandato a Roma come ambasciatore e lì apprese di essere stato condannato all'esilio con l'accusa di baratteria, cioè di corruzione nell'esercizio delle cariche pubbliche. Non essendosi presentato per discolparsi due mesi dopo fu condannato al rogo. Ebbe inizio il suo pellegrinaggio per varie regioni italiane presso le corti di grandi signori e a Firenze rivolgeva sempre il pensiero. Lo spettacolo che gli si presentò fu quello delle città italiane dilaniate dalle lotte civili e da violenze e il quadro di una Chiesa mondanizzata e corrotta. Egli credette d'individuare la causa di tutto ciò nell'assenza di un imperatore che facesse ritornare la Chiesa alla sua missione spirituale e fu convinto allora di essere investito da Dio della missione di condurre l'umanità sulla via del riscatto. Da questa vocazione profetica nacque il disegno della commedia. Nel 1310 il suo sogno di una restaurazione del potere imperiale parve doversi tradurre in realtà: il nuovo imperatore Enrico VII di Lussemburgo scese i Italia per essere incoronato da clemente ma le illusioni di Dante svanirono di fronte alla condotta del papa, ala resistenza delle città italiane e alla morte improvvisa dell'imperatore ed erano svanite anche le ultime speranze di tornare in patria; nel 1315  infatti Dante rifiutò sdegnato un'amnistia che aveva come prezzo il riconoscimento della propria colpevolezza e un'umiliazione pubblica. Negli ultimi anni visse a Ravenna circondato da una grandissima fama e vi morì il 14 settembre 1321.



PENSIERO POLITICO DI DANTE:

la figura di Dante è estremamente complessa e non è assolutamente possibile scindere il poeta dal politico. La visione dantesca del mondo è tipicamente medioevale all'interno della quale però sono presenti due sfere distinte: quella del potere politico terreno e quella della religione.

Al centro del pensiero politico sta l'accusa di degenerazione morale e di corruzione politica rivolta alla Chiesa cattolica, per colpa soprattutto della Curia romana  in particolare dei pontefici. La corruzione della Chiesa è peccaminosa perché stravolge la volontà divina in due modi: da un lato allontana l'umanità dalla salvezza esaltando il vizio e deprimendo il bene; dall'altro insidia la distinzione tra potere temporale, destinato all'impero, e potere spirituale, destinato alla Chiesa. Quest'ultima infatti usurpa anche il potere temporale con l'esito di provocare divisioni, guerre e corruzioni nella Cristianità.

Queste due massime istituzioni medioevali sono riguardate da Dante  come fondamenti assoluti in materia politica. Nessuna prevaricazione dei poteri dell'altro deve essere possibile tra papa e imperatore: i due poteri sono entrambi infinti e distinti. Di qui l'orientamento prevalentemente Ghibellino di Dante, le sue invettive contro la corruzione della Chiesa. Egli vede nel distacco dall'antico costume di vita (classico) l'origine profonda di quella disonestà e di quel senso prevaricatore che invade sia chierici che laici, che corrode i più alti fondamenti della civiltà e pone gli uomini come bestie in lotta fra loro, abbandonati ala violenza della fazioni.



DE MONARCHIA:

negli ani della discesa di Enrico VII in Italia (1310-1316) , Dante componeva un'opera in tre libri, la "Monarchia", in cui era esposta la sua concezione politica.

Le idee che vi sono contenute esprimono una delle speranze più care al poeta e che ritornerà varie volte nella Commedia. Nel primo libro Dante sostiene la necessità di un impero che raccolga sotto la sua giurisdizione tutti i popoli, in modo da porre così un termine alle cupidigie e alle guerre dei var stati e instaurare la pace e la giustizia. Nel secondo libro è dimostrato che l'autorità imperiale spetta al popolo romano, il cui impero fu voluto da Dio. Nel terzo libro, il più rivoluzionario, è affrontato il problema dei rapporti tra impero e papato. Contro la teocrazia sostenuta dai più grandi pontefici vi si afferma l'indipendenza dell'autorità temporale da quella spirituale, che mirano l'una alla felicità terrena e l'altra alla celeste. Ma accanto all'ideale di impero del pensiero di Dante già vive la differenziazione dei vari stati moderni, che si stavano determinando ala fine del medioevo. Contro i tanti mali del mondo, la corruzione, gli egoismi, le cupidigie scatenate sulla terra, Dante vede una sola salvezza nella ricostituzione sulle basi solide delle due già note autorità (Chiesa e Impero).


EPISTOLE:


Di Dante sono giunte a noi anche alcune lettere. Tra le più notevoli sono le tre lettere scritte per la discesa di Enrico VII in Italia: una ai signori della penisola perché accolgano u imperatore; la seconda ai fiorentini perché non resistano alla suprema autorità e l'ultima allo stesso Enrico VII perché schiacci Firenze. Famosa l'epistola ai cardinali italiani dopo la morte di Clemente V perché eleggano u papa che riconduca Roma al pontificato. Ma la più nota è la lettera all'amico fiorentino con cui Dante respinge nobilmente l'umiliante amnistia  in difesa della sua dignità.




INTELLETTUALE COME PROFETA:


Dante ritiene di essere stato investito da Dio della missione di indicare all'umanità la via della rigenerazione e della salvezza. Per questo deve compiere il viaggio nei tre regni dell'oltretomba, esplorare tutto il male dell'inferno, trovare la via della purificazione nel purgatorio e ascendere al cielo fino ala visione di Dio nel paradiso. Alla fine dovrà ripeterlo agli uomini mediante il suo poema, in modo che essi possano ritrovare la diritta via che hanno smarrito.


PETRARCA:


L'importantissimo elemento che accomuna Petrarca a Dante è la loro concezione di figura di intellettuale. La loro elevata posizione di uomini colti e letterati li obbliga ad assumere una funzione pubblica, una figura cioè no più di intellettuale - cortigiano ma di intellettuale-cittadino. È l'atteggiamento che si può dedurre dall'opera di Petrarca "Italia mia" dove Petrarca critica le lotte fra i signori italiani e invita alla pace e dalla poetica contro la corruzione della Curia papale.



LA DIVINA COMMEDIA


La narrazione del viaggio ultraterreno da occasione a Dante di esporre una serie di opinioni su innumerevoli campi del sapere, discute di questioni teologiche e astronomiche, di scienze naturali e di linguistica, di filosofia, letteratura e storia. Soprattutto però Dante dedica appassionatamente molto spazio alle questioni politiche a lui contemporanee (già espresse nel De Monarchia) che contribuiscono a dare al poema quel senso di coerente realtà, quel senso antiletterario che gli attribuisce concretezza anche nelle situazioni più fantastiche di quel mondo sovraterreno, mondo in cui Dante appare giudice e attore di un tempo, nel quale  l'eccezionale delle situazioni non gli fa dimentica re l'importanza di conservare un contegno dignitoso ispirato ai suoi solidi principi politici. Il personaggio principale del poema è lo stesso Dante. Egli, incompreso dai suoi contemporanei, esiliato, perseguitato, condannato in contumaci, quasi in ricompensa dei preziosi servigi resi alla sua patria che invece di prostrarsi e umiliarsi di fronte ai suoi perseguitori preferì evadere da un mondo così perverso e ingrato e rifugiarsi i quello meraviglioso che la sua fantasia era riuscita a creare.

I ^ CANTO:

La selva è simbolo di una condizione di traviamento intellettuale e morale dello stato di corruzione e di ignoranza della società cristiana. Il colle rappresenta la vita virtuosa alla base dell'umana felicità. Le tre fiere sono le disposizioni peccaminose che ostacolano la conversione dell'uomo singolo e distruggono i fondamenti dell'ordine politico ed etico: lussuria, superbia e cupidigia. Il veltro allude all'avvento di un riformatore che rinnoverà gli istituti ecclesiastici e civili e ristabilirà fra gli uomini la giustizia e la pace. Dante infatti è anche la figura dell'umanità i cerca di ordine e purezza.


VI ^ CANTO:

il sesto canto si può definire un canto prevalentemente politico perché contiene il dialogo tra Dante Ciacco, figura rilevante nella storia di Firenze, al quale il poeta chiede l'esito dei contrasti tra le fazioni, Guelfi bianchi e Guelfi neri. Questo canto ci introduce una delle tematiche principali della Divina Commedia, ovvero l'analisi della decadenza morale della comunità, dovuta , secondo il parere di Ciacco, all'invidia e alla cupidigia, alla violenza e alla sopraffazione che sono diventati i nuovi modelli dell'umanità. Da questo canto possiamo dedurre quanto per Dante la politica e la morale siano strettamente collegate. Infine Ciacco rivela a Dante che i conflitti civili termineranno con la vittoria dei neri e che anche se qualcuno come lui ha aspirato ad una società basata sulla giustizia questa possibilità sarebbe svanita a causa del numero ridotto di aspiranti.


X ^ CANTO:

Anche questo canto può essere definito politico. Il sesto cerchio è la zona degli epicurei, coloro che non credettero nell'immortalità dell'anima, all'interno del quale Dante incontra un suo contemporaneo, Farinata. All'improvviso il poeta si sente interpellato da una voce con un nobile discorso che si sposta subito su quell'argomento che aveva costituito il significato della sua intera vita: la vicenda della sua nobile patria. Egli infatti si è sempre attivato per il bene di Firenze, identificato nella sua fazione Ghibellina. Dal dialogo tra i due si genera un conflitto determinato dalle loro differenti posizioni politiche in cui ognuno cerca di difendere la propria fazione e Dante zittisce Farinata dicendogli che i Guelfi, nonostante de esili, a differenza dei Ghibellini, riuscirono a ristabilirsi a Firenze; ma l'amore per la stessa città fa si che il conflitto venga abbandonato. Dante stima e rispetta moltissimo Farinata perché ai suoi occhi rappresenta il modello politico disinteressato che agisce non per egoismo ma per il bene dell'umanità e lo idealizza come migliore personaggio politico della passata generazione fiorentina ma anche del suo presente.


XXI ^ CANTO:

In questo canto ci viene presentata la quinta bolgia, oscura a causa della pece nera che la riempie, in cui sono immersi i dannati. Qui sono condannati i barattieri, quei politici corrotti che fecero mercato fraudolento delle cose pubbliche per lucro e a danno del comune o del signore da cui dipendevano. La baratteria fu l'accusa che costrinse Dante all'esilio quindi per l'autore è uno dei canti più importanti. Ma, nonostante ciò, Dante si mostra distaccato, ha scelto il tono della arsa e evita di drammatizzare perché non vuole introdurre nessun elemento autobiografico; con questo mette in atto un processo di Reificazione, si comporta, cioè, come semplice spettatore. Egli infatti li condanna non per un motivo personale ma perché è giusto farlo, perché chi ha responsabilità politiche è un modello di comportamento da seguire per tutto il popolo. Non c'è disdegno nella condanna ma assoluta indifferenza, al contrario degli altri dannati di cui invece ha pietà.




PLATONE:L'uomo e la filosofia


Platone, per carattere e condizione sociale, era portato a intraprendere una vita di tipo politico ma in seguito alla delusione ricevuta dalla democrazia ateniese, che aveva mandato Socrate a morte, si dedicò alla meditazione. Tuttavia non gli venne mai meno la tensione verso la creazione di un nuovo sistema, è sempre interessato alle sorti della propria città e aperto alla questione politica. È evidente la sua concezione di uomo che deve essere sia collaboratore sociale che filosofo. Lo scopo principale del saggio, del filosofo, è la pratica della virtù , e in particolare della giustizia , nel governo della polis. Vita contemplativa e vita politica si trovano quindi in stretto rapporto.


MACHIAVELLI:

Il pensiero politico di Machiavelli scaturisce dal rapporto diretto con la realtà storica in cui egli è impegnato grazie agli incarichi che ricopre nella repubblica fiorentina. Alla base della riflessione di Machiavelli vi è la coscienza che l'Italia a lui contemporanea sta attraversando: una crisi politica, in 

Quanto l'Italia non presenta quei solidi organismi statali unitari che caratterizzano le maggiori potenze europee ma appare frammentata in una serie di stati regionali deboli e instabili; ma anche una crisi morale perché sono scomparsi tutti quei valori che danno fondamento ad un vivere civile e che per Machiavelli sono rappresentati dall'antica Roma, l'amore per la patria, il senso civico, lo spirito di sacrificio, e sono stati sostituiti da un atteggiamento scettico e rinunciatario. Da qui Machiavelli teorizza l'agire politico come scienza ben distinta dall'agire etico sotto una visione pessimistica dell'uomo come essere morale: l'uomo agli occhi di Machiavelli, infatti, è fondamentalmente malvagio.









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