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ALLEGORIA MEDIEVALE E ALLEGORIA MODERNA

letteratura




ALLEGORIA MEDIEVALE E ALLEGORIA MODERNA


L'interpretazione allegorica della Commedia. L'allegoria dantesca, e più in generale quella medievale, rimanda a una "chiave" prestabilita. Se si possiede il codice di riferimento, cioè appunto la "chiave" d'accesso, l'interpretazione di ogni elemento allegorico risulta evidente: nella Divina Commedia, ad esempio, la selva è il peccato, il colle illuminato dal sole è la via della salvezza, Virgilio è la ragione che funge da guida nel percorso di salvazione, Beatrice è la rivelazione che consente di ultimare il viaggio a Dio.

Il codice è costituito dalla visione cristiana del mondo, dall'insieme delle dottrine e dei dogmi: una concezione organica, salda, che abbraccia in sé tutti gli aspetti del reale (anche quelli del mondo soprannaturale), conferendo ad essi un senso univoco. Inoltri il codice è posseduto da tutto il pubblico, è un patrimonio culturale comune e condiviso da autori e lettori, che garantisce così l'omogeneità delle interpretazioni (anzi, la sua conoscenza si estende persino agli incolti, che, se non sanno leggere la parola scritta, grazie al possesso di quella "chiave" sono in grado di decodificare le immagini visive, le sculture, le pitture, i mosaici delle chiese, che costituiscono la "Bibbia dei poveri").




I caratteri dell'allegoria moderna. A partire dal Rinascimento, e ancora di più dall'età barocca, con l'avvio della rivoluzione scientifica moderna (si pensi solo a Galileo); si verifica una frattura tra scienza e fede, tra ragione e religione, e si dissolve così quell' interpretazione unitaria e organica del mondo. Nella modernità pertanto l'allegoria, anche se sopravvive, muta fisionomia e procedimenti. Non ha più come termine di riferimento l'ordine perfetto imposto da Dio al reale, la presenza invisibile della divinità nelle cose che conferisce ad ognuna di esse una collocazioni in una precisa gerarchia e un senso; un senso riconoscibile e condivisibile da tutti non è più non è più garantito. La conseguenza è che l'allegoria moderna ha un rapporto più precario con l'orizzonte del senso; il suo codice interpretativo non è più rapidamente prestabilito, ma aperto e problematico (anche perché è scomparso il legame organico tra l'intellettuale e il tessuto sociale, lo scrittore è isolato dal suo contesto o addirittura in conflitto con esso). La decodificazione dell'allegoria è di necessità incerta, non può approdare a risposte sicure e definitive (per queste differenze tra allegoria medievale e moderna si rinvia a R. Jauss, Il ricorso di Baudelaire all'allegoria, in Estetica del ricezione, Guida, Napoli 1988, pp. 115-134).


Un'allegoria manzoniana. Un' esempio può già essere fornito nell'Ottocento da uno scrittore ancora profondamente religioso, ma di una religiosità ormai ben diversa da quella medievale e dantesca: Manzoni. Si ricordi, nel capitolo XXXIII dei Promessi Sposi, la minuziosa descrizione della vigna che Renzo, tornando al paese durante l'infuriare della peste, trova inselvatichita e ridotta ad un intrico proliferante di piante ed erbacce (<<Una nuova, varia e fitta generazione, nata e cresciuta senza l'aiuto della man dell'uomo. Era una marmaglia d'ortiche, di felci, di logli, di gramigne, di farinelli, d'avene selvatiche [.]. Era un guazzabuglio di steli, che facevano a soverchiarsi l'uno con l'altro nell'aria>>). Questo quadro di una natura che prolifera selvaggiamente, venuta meno la cura dell'uomo, è indubbiamente un'allegoria. Ma qul è il senso ? sulla ricerca di esso si sono concentrati numerosi interpreti, senza giungere ad una spiegazione univoca. Come ha proposto Romano Luperini in una bella analisi, si ha qui il <<silenzio dell'allegoria>>: il narratore non interviene a orientare il lettore con un esplicito commento, e d'altra parte non esiste un codice prestabilito, rinvenibile nella cultura del tempo, che consenta un'interpretazione sicura, come avveniva per l'allegoria medievale. Attraverso l'immagine della vigna Manzoni segnale un problema, centrale nella sua visione cristiana, quale sia il senso del male nel mondo: ma è un problema che resta senza spiegazioni. Il mistero del male, della Provvidenza, della salvezza, del significato della vita sfugge ad una spiegazione razionale: la ragione confessa << il limite insuperabile di una visione di necessità circoscritta all'orizzonte storico e umana ma impotente rispetto a quello dell'universo e del suo senso>>, per cui <<la ricerca del significato è destinata a rimanere drammaticamente aperta>>. (R. Luperini, il silenzio dell'allegoria: la vigna di Renzo, in Il dialogo e il conflitto. Per un'ermeneutica materialistica, Laterza, Roma - Bari 1999, pp. 98 ss.).


L'allegoria di Montale. L'allegoria, inteso in senso moderno, è largamente presente nella letteratura del Novecento. Un esempio di straordinaria pregnanza è offerto da Montale. L'immagine della donna salvifica rinvenibile nelle Occasioni è ancora un'allegoria, ma ormai lontanissima da quella dantesca: è un'allegoria priva di chiavi prestabilite, che non rinvia a significati condivisi da un'intera collettività; il significato è individuale, proposto dal poeta come soggetto isolato; non scaturisce da un codice comune a scrittori e lettori, ma nasce solo da un'imposizione volontaristica di senso agli oggetti frammentari di un'esperienza degradata. Per questo stabilire di quali valori sia portatrice la "Beatrice" montaliana è altamente problematico. Più che il significato in sé conta dunque la tensione ad un significato, affermata con tanta maggior forza quanto più debole e precario è il significato in sé (per questi aspetti si rinvia sempre a Luperini, lo studioso italiano oggi più attento ai problemi connessi con l' allegorismo: vedi Note sull'allegorismo poetico novecentesco. Il caso di Montale, in L'allegoria del moderno, Editori Riuniti, Roma 1990, pp.296 ss., e "Nuove stanze" e l'allegorismo umanistico di Montale, in Il dialogo e il conflitto, cit., pp. I63 ss.).





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