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ALESSANDRO MANZONI E LA POLITICA: LE ODI CIVILI: "IL CINQUE MAGGIO" "MARZO 1821"

letteratura



LICEO SCIENTIFICO STATALE "E.FERMI"

BAGNARA CALABRA


Anno Scolastico 1999-2000

ALESSANDRO MANZONI

E

LA POLITICA:




LE ODI CIVILI:


"IL CINQUE MAGGIO"

"MARZO 1821"







"Alla illustre memoria di "Ei fu. Siccome immobile,

TEODORO KOERNER dato il mortal sospiro,

poeta e soldato stette la spoglia immemore

della indipendenza germanica orba di tanto spiro,

morto sul campo di Lipsia così percossa, attonita

il giorno XVIII d'ottobre MDCCCXIII la terra al nunzio sta."

nome caro a tutti i popoli

che combattono per difendere "Il Cinque Maggio"

o per riconquistare

una patria"


"Marzo 1821 "






Caratteri generali delle Odi



Nate in un periodo di importanti avvenimenti politici e sociali, le Odi Civili rappresentano la sintesi del pensiero manzoniano, cioè gli ideali di democrazia, libertà e giustizia, ereditati dalla corrente illuminista e mantenuti caparbiamente per tutta la vita.

Dal movimento romantico il Manzoni acquisì il grande patriottismo che caratterizza entrambe le sue opere, anche se fu sempre legato ad una religiosità molto forte che contribuì a rafforzare le sue concezioni di vita, discostando 929h73j si completamente dalle credenze ottocentesche negative degli altri letterati dell'epoca. La sua fede, infatti, aderente ai contenuti positivi che il Vangelo presenta, non transige nel rispettarle.

Il suo"modus vivendi",dunque, non poteva che gettare le basi di un nuovo concetto, di cui egli ne è il rappresentante assoluto: la "provvida sventura".

Pur sembrando, in apparenza, la non-via d'uscita che condanna l'uomo alla disperazione eterna, è in realtà l'unico mezzo di salvezza per coloro che desiderino essere in grazia di Dio e meritare il suo perdono. Nelle Odi ne ricorrono esempi eclatanti, in particolar modo il "Cinque Maggio": mentre in "Marzo 1821" viene messo maggiormente in rilievo l'amor di patria, esplicitato dalla dedica introduttiva al Koerner, il patriota tedesco morto a Lipsia combattendo contro Napoleone, il "Cinque Maggio", invece, può considerarsi l'opera più completa e geniale del Manzoni.

In primo luogo dal punto di vista dei contenuti: vari e numerosi. Il necrologio introduttivo, i flashback che contribuiscono a rievocare la grandezza delle imprese, fino ad un'indagine psicologica e ad una possibile interpretazione del pensiero del Bonaparte, quindi l'applicazione del vero storico e poetico, comune a tutti gli scrittori romantici.

In secondo luogo, la fama procuratagli: il clamore suscitato dall'avvenimento, rese il componimento noto e diffusissimo, anche grazie al Goethe, che la tradusse per condividerne la bellezza dei versi con i letterati tedeschi.

In terzo luogo, la conferma della sua genialità: le fonti storiche affermano che l'autore, turbato dalla notizia, la compose in meno di tre giorni ; la vastità e la complessità, l'impiego di termini e strutture poetiche alquanto ricercati, inducono a riflettere sulle effettive capacità poetiche del Manzoni, che , a quanto pare, sono davvero incommensurabili.

Per tutti i motivi enunciati, "Marzo 1821" non può certo considerarsi alla stregua del "Cinque Maggio", che è certamente la più famosa, ma che in fin dei conti non è da meno per quanto riguarda la scelta lessicale, metrica e semantica.

E' notevole come anche in questo contesto la figura di Napoleone abbia un ruolo di spessore, che, da un certo punto di vista, può essere riconosciuto come il vero protagonista delle Odi, sotto due aspetti nettamente contrapposti: l'oppresso esule, l'oppressore imperatore.

Il rapporto "oppresso-oppressore" è un altro concetto che ricorre spesso nelle opere manzoniane: dalle Odi, alle tragedie, al romanzo più popolare "I Promessi sposi".

L'oppresso è colui che è costretto, spesso con la violenza, a subire la volontà altrui, sia esso un semplice signorotto (Don Rodrigo) o l'imperatore dei francesi in persona (Napoleone): è sempre destinato a riscattarsi e a vincere l'oppressore, che finisce per pagare con la vita ed essere condannato alla dannazione, a meno che non intervenga la "Provvida sventura" per salvarlo. L'oppresso confida in Dio e nella fede, ed è questa la sua forza.

"Marzo 1821", per questo aspetto, assume un valore educativo: è uno stimolo per capire l'importanza della libertà e trovare il coraggio di lottare per affermarla ad ogni costo.

Il popolo deve essere parte attiva, perché esso costituisce la nazione, non deve sperare passivamente nell'intervento altrui, proprio perché affidarsi ad esterni, è segno di poca intraprendenza, quindi di incapacità nell'autogestirsi, precludendo così un'eventuale futura indipendenza nazionale.

Per questo è vitale, innanzitutto, acquisire una nuova mentalità, sentendosi tutti cittadini di un solo paese, e solo dopo cementare quest'unione senza distinzioni, da nord a sud.

Forse in fondo l'intento del Manzoni consisteva proprio nell'aiutare sia i suoi concittadini, sia l'intera nazione, anche se lo spunto che lo spinse alla composizione fu la delusione personale procuratagli dal Bonaparte: venuto in Italia come alleato, se ne impadronì con prepotenza per annetterla al suo impero; non è allora casuale la scelta del Koerner come simbolo dell'indipendenza.

Nonostante tutto, l'ode è più che mai piena di ottimismo, qui espresso come concetto di unità, mentalità piuttosto all'avanguardia per un'epoca in cui niente lasciava prevedere il futuro di un unico suolo italiano, di una sola etnia con usanze, costumi e religione identiche, data la scompattezza all'interno dei singoli stati e le condizioni sociali impossibili.

Senza ombra di dubbio, comunque, la poesia che il Manzoni prende in considreazione, è quella "utile" moralmente e semanticamente, con le sue basi di verità e con le forme che hanno il compito di coinvolgere il lettore.

In tutti i suoi lavori, il poeta non si è mai allontanato da questo stile, perché, in fin dei conti, il significato nascosto in ognuna delle sue opere, è la commiserazione della fragilità e della miseria umana, contrapposta alla celebrazione della Provvidenza divina.























La corrente romantica e il Manzoni


Del Romanticismo il Manzoni è indubbiamente uno tra i maggiori esponenti a livello europeo, anche se spesso gli viene attribuito un legame con la corrente settecentesca dell'Illuminismo, il movimento antagonista per eccellenza della corrente romantica.

In effetti vi sono parecchie analogie tra alcune ideologie del poeta e gli illuministi, dovute specialmente agli intellettuali di quel periodo che frequentò giovanissimo, per il resto, la formazione che ebbe in seguito, è strettamente romantica.

Intanto per l'originalità e l'unicità dei componimenti, che non lasciano spazio solo ed esclusivamente a fredde strutture razionali definite, né la loro esistenza presuppone un preciso scopo strumentale; tutte le opere nascono sotto la spinta di particolari sentimenti, siano essi rabbia, tristezza, felicità, voglia di libertà, amore per la patria. Oltre a questo, l'uomo di cultura romantico, non appartiene più alla cosiddetta classe aristocratica, o meglio, non solo alla classe privilegiata, bensì alla borghesia, la classe emergente che ha trovato nel sapere il suo riscatto da una società che voleva gli uomini disposti e inquadrati secondo certi canoni che impedivano loro qualunque tentativo di uscirne fuori.

Il borghese non accetta un'esistenza delimitata e razionale, ma si lascia guidare dal sentimento: lotta per la libertà perché riconosce di averne il diritto, ama la patria perché la sente propria, ha un'istruzione perché solo così può continuare a riguardarsi e difendere ciò che gli spetta. 

Inutile sottolineare che il Manzoni incarna l'ideale del Romanticismo da ogni punto di vista, anche Umberto Saba, in seguito, ne sottolineò l'unicità definendolo il poeta "onesto", unica eccezione per l'interesse storico.

L'importanza della storia nel Romanticismo crebbe in modo impressionante tra i letterati, ma egli sembrò non interessarsi; infatti non fu mai un grande storico, non ebbe mai gli interessi profani dei "colleghi". Piuttosto la storia costituì il campo delle osservazioni morali, il paragone dell'agire umano, la storiografia manzoniana è molto particolare per una diffusa religiosità che lo conduce intendere e spiegare il male, la perversità e le calamità.

Naturalmente i romantici consideravano inspiegabile l'origine del bene e del male così come ritenevano Dio l'Essere esistente  a-priori, dunque la pretesa del Manzoni era inammissibile.

La varietà di definizioni che il Romanticismo acquistò, è dovuto ,in parte, anche alla diversità di stile dei suoi appartenenti, sia in Italia, sia in tutta Europa, ecco perché ogni paese può benissimo affermare di possedere un proprio Romanticismo indipendente, che con gli altri condivide solamente alcuni punti di riferimento, identici per tutti.

Sicuramente si deve tantissimo a questa corrente, un solo secolo ha modificato scuole di pensiero dalle radici millenarie, a volte calibrandone meglio l'ottica e allargando gli orizzonti alla modernità dei tempi attuali, e si deve riconoscere anche un grande merito a molti intellettuali che, proprio come il Manzoni, sono stati i precursori e i promotori del cambiamento.






"Il Cinque Maggio": vita e morte di Napoleone Bonaparte

L'ode è stata scritta da Manzoni in soli tre giorni (17-19 luglio 1821) subito dopo la notizia della morte di Napoleone, giunta a Milano il 16 luglio, che doveva provocare nel Poeta una notevole impressione che creò quello sgomento che sempre coglie gli uomini quando muoiono i Grandi che sembrano indistruttibili, una certa commozione che nel Manzoni si traduce nella meditazione sulla vita e sulla morte, sulla fragile transitorietà delle glorie umane e terrene, sulla dolorosità della solitudine, acuita dal ricordo delle grandezze passate e dall'ansietà di un desiderio, talvolta potente, di un aiuto che non arriva (Napoleone che scruta l'orizzonte lontano sul mare), e infine la pacificazione nella Benefica Fede, con una preghiera "a speredere ogni ria parola" superando la condizione umana contingente nell'attesa di raggiungere il premio / che i desideri avanza.
Possiamo dividere l'ode manzoniana, composta da 18 sestine per complessivi versi 108, in due distinte parti simmetriche, comprendenti ciascuna 9 sestine:

o la prima fino al verso 54, dominata dalla presenza dell'uomo di fronte a se stesso, alla sua storia terrena, alla sua gloria umana, al premio / ch'e follia sperar; domina Napoleone e la sua storia, per il quale Manzoni non si era prodigato in elogi negli anni in cui dominò l'Europa, e non aveva neanche pensato un codardo oltraggio quando il destino dell'uomo era ormai segnato solo dalla sconfitta; di fronte alla morte di Napoleone il Poeta e la terra tutta restano muti nella meraviglia un po' dolorosa di una morte "incredibile".

o la seconda dal v. 55 alla fine, dominata dall'incontro tra l'uomo e Dio, la benefica / Fede ai trionfi avvezza, che sola può dare quel premio / che i desideri avanza, / dov'è silenzio e tenebre / la gloria che passò. I verbi al passato remoto in questa seconda parte sono soltanto sei, le tre coppie sparve/chiuse, imprese/stette, ripensò/disperò ed esprimono una escalation verso una condizione di disperazione e di solitudine assoluta che può essere risolta solo attraverso l'intervento di una Forza esterna all'uomo. Per questo, finita l'escalation verso la disperazione, si impone una presenza diversa.

Entrambe cominciano con la realtà presente della morte di Napoleone (Ei fu al v. 1, E sparve al v. 55), di un Napoleone che è solo uno dei due centri costitutivi dell'ode (l'altro è Dio). Ciò che colpisce l'immaginazione e la spiritualità del Manzoni non è la figura di Napoleone, dominatore degli eventi a cavallo fra il Settecento e l'Ottocento, o la storia dei fatti o delle idee di quegli anni, quanto il silenzio e la solitudine vissuti nell'isola di Sant'Elena, e la possibilità di un profondo pentimento maturato nella meditazione sulla sua vita passato e di un affidamento alla pietà di Dio all'avvicinarsi della fine dei propri giorni.
Il poeta rimane muto ripensando agli ultimi attimi della vita di un uomo che il Fato aveva voluto arbitro della storia e di tanti destini umani, di un uomo che si era posto lui stesso come Fato/arbitro dei destini dei popoli e che racchiuse in sé le aspettative di un'epoca; e allora non può che ripensare a quando potrà esistere nuovamente un uomo altrettanto decisivi per i destini umani, che, calpestando la sanguinosa polvere del mondo e della vita, lascerà nella storia un'orma altrettanto grande.
E quegli ultimi attimi sono fusi nell'ansietà di un naufrago, oppresso dalla solitudine e dal peso delle memorie e delle immagini che si affollano nella memoria; e da quel naufragio lo salverà solo la benefica Fede nel Dio che atterra e suscita / che affanna e che consola.


"Marzo 1821": elogio della libertà umana

L'ode fu scritta da Manzoni in occasione dei moti carbonari piemontesi del 1821, quando l'atteggiamento riformistico e liberale del giovane Carlo Alberto, erede al trono piemontese e Reggente in attesa dell'arrivo del Re Carlo Felice di Savoia, che sembrava stesse per varcare il Ticino ed entrare con le armi in Lombardia per aiutare i patrioti a liberare il Lombardo-Veneto dall'oppressivo dominio austriaco, aveva acceso le speranze dei liberali e di coloro che aspiravano all'unificazione dei vari stati italiani sotto un'unica bandiera. Ma le speranze vennero ben presto vanificate sia dall'intervento di Carlo Felice che della polizia austriaca, che procedette a una dura repressione nella quale furono coinvolti, tra gli altri, Silvio Pellico e Federico Confalonieri.
L'entusiasmo di quei giorni venne quindi subito stroncato dagli eventi, ma l'ode rispecchiò profondamente uno spirito che non verrà mai soffocato e che ha rappresentato uno degli elementi politici e culturali fondamentali dell'Ottocento, elemento che, dopo circa trentanni di discussioni e approfondimenti, che toccarono non solo le sfere della politica e del diritto, ma anche quella della religione (pensiamo ad esempio al Neoguefismo), a partire dal 1848 in poi, comincerà a trovare una sua qualche realizzazione, non appena i sentimenti liberali si diffonderanno nelle classi sociali medio-basse e diventeranno popolari, non appartenenti più a una ristretta élite.
Nel timore di una perquisizione della polizia, il Manzoni nascose o addirittura distrusse il manoscritto dell'ode, ma qualche copia venne conservata da amici, e fu pubblicata solo nel 1848, a cura del Governo provvisorio di Milano, a seguito del successo delle Cinque Giornate che facevano ben sperare in una felice conclusione della liberazione dallo straniero, devolvendo i proventi ai patrioti.
Alla base dell'ode si trovano, quindi motivi storici e politici e di esaltazione della libertà dallo straniero insieme a una presenza di Dio, viva e puntuale nelle vicende umane, una presenza che aiuta l'uomo a combattere non solo per il personale riscatto dal peccato, ma anche in senso più universale a combattere per il riscatto della patria dallo straniero, portando gli uomini verso la creazione di un mondo in cui ci sia veramente un maggiore rispetto dell'uomo per gli altri uomini, superando la barriera dell'egoismo personale e dell'interesse politico di una classe sociale che pensa solo e innanzitutto a mantenere il proprio potere.
L'ode è un appello alla libertà di tutti i popoli, che va al di là della polemica contro i princìpi (soprattutto quello di legittimità) sanciti dal Congresso di Vienna, princìpi che non tenevano conto delle nuove aspirazioni dei popoli e della nuova situazione europea, venutasi a creare sia con la Rivoluzione francese (sul piano ideologico e politico) che con la Rivoluzione industriale (sul piano economico); l'ode è un appello, infine, contro ogni forma di violenza, ad abbandonare la via del male per seguire quella del diritto dei popoli, rivolto proprio a quei popoli e a quei governi che solo qualche anno prima l'avevano sbandierato per liberarsi dall'oppressione napoleonica. Per questo diventa fondamentale un concetto in questo appello: Dio protegge gli uomini oppressi, e come aveva già protetto a suo tempo i Tedeschi (accomunati agli Austriaci) così avrebbe protetto gli Italiani; ed è proprio il concetto della protezione degli oppressi che troverà la sua grandiosa e definitiva sistemazione ideologica ed artistica ne I Promessi Sposi.
Il Poeta dedicò l'ode a Teodoro Koerner, patriota e poeta romantico tedesco, autore di drammi e canti patriottici contro l'oppressione napoleonica, morto combattendo nel 1813 combattendo nella battaglia di Lipsia, secondo il Manzoni.
"In questa poesia il Manzoni esprime il proprio ideale nazionale unitario, fondato sull'unità di lingua, di religione, di tradizioni, di stirpe e di aspirazioni, superando ogni forma politicamente gretta o vuotamente rettorica dell'ideale patriottico e incentrandolo su un'effettiva comunione di vita, materiale e spirituale, del popolo, sancita da una tradizione nazionale (le memorie del v. 32). Altrettanto importante &egreave l'ammonimento rivolto agli stranieri che si sono serviti degli ideali nazionali per far ribellare i popoli a Napoleone, ma subito dopo hanno sostituito la loro oppressione a quella dell'imperatore francese. Qui c'è un'altissima e nobile protesta contro la bassa politica della violenza e dell'intrigo, totalmente opposta al messaggio cristiano. È la voce di un cattolico liberale, che esorta gli italiani a insorgere contro l'oppressione in nome di un Dio che è amore ma anche giustizia. Il diritto alla libertà diviene così un dovere, un momento della lotta per l'affermazione del del bene contro il male; Il Manzoni, che nelle Tragedie esecra la guerra, non esita qui a invocare il Dio degli eserciti, a incitare gli Italiani a combattere in nome della giustizia.









Formazione e nascita del Regno d'Italia


Dopo la Restaurazione del 1815, per il ripristino dello "status quo", il territorio italiano si trovò, ancora una volta, ad essere colonia di molteplici stati europei, primi tra tutti la Spagna, l'Austria, la Francia.

Questa situazione, ormai insostenibile, diede luogo a moti e rivolte: i primi segnali si ebbero nel napoletano, nel 1820, ad opera dei militari appartenenti alla Carboneria; A capo dell'insurrezione erano i tenenti Silvati e Morelli.

La tattica sembrò avere un buon esito, infatti il re Ferdinando I fu costretto a concedere la Costituzione spagnola, ma in seguito alla sua richiesta d'aiuto, l'Autria inviò un esercito che stroncò la ribellione e restituì al legittimo sovrano pieni poteri, di cui fece uso sfrenato, facendo impiccare i due tenenti e sciogliendo l'esercito.

Allo stesso modo, in Piemonte, era sorta una rivolta, guidata non più dal solo esercito, ma dagli aristocratici ispirati da Silvio Pellico e il suo "Conciliatore", sostenitore delle idee antiaustriache. Fu, dapprima, impedito nel continuare il suo lavoro, poi, alla fine del 1820, fu arrestato dagli austriaci, insieme al musicista Pietro Maroncelli. A questo punto i liberali piemontesi confidarono in Carlo Alberto di Savoia, il giovane erede presunto al trono. Insorti i militari, il re Vittorio Emanuele I abdicò in favore del fratello Carlo Felice, provvisoriamente assente, così la reggenza passò a Carlo Alberto, che, trovandosi in difficoltà, concesse la Costituzione. Carlo Felice si sdegnò per il suo comportamento, lo mandò via e chiese l'intervento degli Austriaci, che sedarono la rivolta.

Tutti gli stati italiani sembravano destinati a sottostare all'Austria, qualsiasi tentativo di ribellione si concludeva nel sangue e nell sconfitta, sia per la sudditanza del popolo nei confronti degli Austriaci, sia per la poca organizzazione delle squadre d'azione che pretendevano di mandarli via.

Ma dopo il 1830, una debole speranza sembrò provenire dalle idee di Giuseppe Mazzini, estimatore e membro della Carboneria. La sua formazione romantica egli ideali a cui si ispirò, lo spinsero a ricercare i motivi dei precedenti fallimenti e a combatterli; a suo parere le società segrete difettavano nell'organizzazione e nella finalità dei loro programmi, in quanto coinvolgevano una piccola parte delle poche classi sociali aderenti, e da regione a regione differivano notevolmente: alcune miravano esclusivamente alla concessione della famosa Costituzione spagnola, altre avevano ancora piena fiducia nei princìpi.

Per Mazzini era semplicemente assurdo tentare un'insurrezione non coinvolgendo tutto il popolo, il quale doveva acquisire una coscienza di orgoglio nazionale, perché l'Italia doveva essere una, libera e indipendente, basata sulla democrazia e guidata da Dio.












Honoré de Balzac et la "Comédie Humaine"

Meme s'il est un écrivain réaliste, Honoré de Balzac a beaucoup de points que l'approchent au représentant du Romantisme italien, c'est-à-dire Alessandro Manzoni. Il fut, en effet, le précurseur du Réalisme, mais pas le théoricien. Son oeuvre présente des traits incontestablement romantiques, tels que le goût pour le fantastique et les tirades lyriques, l'exaltation de la sensibilité, l'individualisme et surtout l'imagination.

Mais ce romantique passionné a été le restaurateur du réalisme par le don d'une observation qui pénétrait l'âme sans négliger le corps, par les procédés qu'il a employés pour donner une fidèle image des choses et des êtres, par le souci qu'il a eu d'établir les faits, en faisant usage de documents exacts, par la description minutieuse des paysages et des intérieurs; mais surtout parce qu'il a été un observateur des hommes et un créateur de vie.

Il a élargi le cadre du roman. Il ne s'est pas borné à étudier les âmes d'exception, ni à retracer les siècles passés. Il a enregistré le présent, il a décrit tout ce qui a sollicité sa curiosité et, comme il était un esprit sans distinction, il a mieux réussi dans l'étude de l'humanité vicieuse, grossière et triviale.

Balzac a réussi ses romans dans la "Comédie Humaine", peut-être s'inspirant de l'oeuvre de Dante, et jamais titre ne fut plus approprié, car la "Comédie" est, dans ses détails infinis, la fidèle histoire, le tableau exact de la société moderne.

Oeuvre immense, elle reflète tous les types sociaux, toutes les conditions sociales de la fin du premier Empire au governement de julliet, elle est la résurrection intégrale de la France de 1800 à 1850, elle est l'histoire naturelle de l'homme. Balzac a regardé l'humanité en naturaliste, il a classé les types, il les a analysés, il les a décrits, il a assimilé l'homme aux animaux ou aux plantes, et il a expliqué l'activité humaine en dehors de toute liberté par l'insinct et par l'influence du milieu social et familier. Ses personnages n'appartiennent pas à l'humanité moyenne. Il a étudié les individus en proie à un défaut exceptionnel (l'avarice, l'ambition, la faiblesse paternelle) qui en grandissant hors de toute proportion, détruit l'équilibre et crée une sorte de monstruosité, fait de l'homme l'esclave d'une passion maîtresse, ainsi l'individu devient un type universel à la manière classique, c'est-à-dire intéressant pour toute l'humanité et pour tous les siècles.

Mais Balzac a, dans un certain sens, renouvelé le réalisme classique, en introduisant un procédé de composition nouveau qu'il a appris de Walter Scott: la description minutieuse du décor et son incorporation nécessaire à l'intrigue.

Les objets inanimés (rues, jardins, maisons, meubles etc.) participent à la vie des personnages et expliquent leurs réactions et leurs caractères. En combinant heureusement l'élément romantique de la couleur locale aux vieux procédés réalistes, Balzac a su tirer des effets nouveaux et il a frayé le chemin au roman réaliste moderne. Il ne fait pas de psychologie profonde, il ne s'attache pas au travail intérieur qui fait ou défait un âme, il compose solidement son personnage intérieur et tous les types sont si bien déterminés, moralement et physiquement qu'il est presque impossible de distinguer les personnages fictifs et ceux qui sont réels.

La forme des romans n'est pas parfaite, car l'écrivain prolonge ses descriptions en alourdissent les périodes. Il ne s'attache pas à l'application de la syntaxe. Au point de vue du style, enfin, balzac est plus romantique que réaliste par son goût de métaphores et de la phraseologie pompeuse, encore que les propos qu'il prête à ses personnages s'adaptent à merveille à leur caractère et sont souvent créants de vérité.


Walter Scott and the historical novel


In a period, called by historians "Age of Revolutions", in which the middle class was achieving more power and  people had many rights, there was a writer who represented, and exprimed, thoughts of respectful people as the Scottish one: sir Walter Scott.

He cames from Edinburgh, a town which was growing and falling under the new social class of merchants and businessmen. In his life he didn't follow his father's career, who wanted to introduce the son in legal fields, but he choise literary studies.

After the first novel "Warvely", which gave him the succes, he wrote others famous novels as "Ivanhoe", "Rob Roy" and "The Antiquary".

Fame conquered by his books, found his reason in themes and style characterising his works: historical context, in which Scott use setting stories.

He was often compared with the Italian Romantic writer more representative in european culture: Alessandro Manzoni.

Even if they share lots of theories, they have also some differents points of views: the most important one they share is the definition of historical novel, an invented story sets in a real historical context. And the story obliged them to start their works.

In 1707, Act of Union had been joined England and Scotland, even if Scottish had their autonomy only in political field, but in that new age, english middle class plucked out scottish traditions, in which there never was been a classes division; families was only divided in "clan" and they had social relationships. Now, the new ones couldn't interact, every class had to follow his laws; Scottish had to acquired English customs too, so Scott tried to recove his people's folk, celebrating Scotland past history.

On the contrary, Manzoni's target was much more difficult to realize: Italy wasn't a nation such as Scotland, it was divided in lots of states.

The reason of Manzoni's history's use had been given by the people situation: he wanted to teach them to have a conscience and to join together becoming a nation. It seems impossible during a period in which political situation was at the opposite of his ideas.

So we can see how history is the main theme in those authors works, and how it is also interpreted at the same way: they always thought history as a sequel of events based on a "middle hero", an ordinary person belonging to the people. The great and important hero is less considered, he can start a revolution, but he needs the ordinary people to balance his role, this is because this theory come from the idea supported by Scott and Manzoni, that is to say, history is the way of life of a nation, of a people.















Le Highlands: storia e formazione


Le Highlands sono le formazioni montuose tipiche della Scozia. Nonostante il nome, questi rilievi hanno una caratteristica particolare: l'altezza dell'unità più elevata non supera i 600 metri.

L'erosione, i movimenti della terra, i fenomeni atmosferici, sono la causa del lror aspetto collinoso; oltre ciò, cronologicamente le Highlands risalgono all'era Paleozoica.

Tutto il continente europeo ha avuto origine dalla scudo antico russo-baltico: la prima parte del Paleozoico vide la formazione della catena Caledoniana, di cui fanno parte tutte le montagne meno elevate d'Europa, cioè Scozzesi, Irlandesi e Norvegesi.

Verso la fine del Paleozoico, durante l'orogenesi ercinica, vi fu la formazione di archi montuosi più elevati, che si estendevano dall'Europa Centrale a quella Occidentale e Meridionale. Questo genere di formazione costituì le Alpi e i corpi granitici che caratterizzano il Monte Bianco, inoltre fu la causa della fase di vulcanismo esplosivo in Norvegia, Trentino e Sardegna.

Il Paleozoico è anche l'era in cui tutti i continenti dei due emisferi erano posizionati in modo tale da costituire il macrocontinente chiamato Pangea.

Ma durante il Mesozoico il macrocontinente si ruppe e andò alla deriva, originando due subcontinenti denominati Laurasia e Gondwana, tra i quali si formarono gli oceani; nell'attuale Europa rimasero emerse la Scozia, la Bretagna, l'Irlanda, parte della Francia, della Spagna, della Boemia e della Germania, invece l'Italia era coperta da sedimenti marini.

Nel Terziario si conclusero i movimenti orogenici nelle Alpi e nei Pirenei; qusta orogenesi alpina compresse i bacini del mare del Nord, per fase distensiva si aprirono sistemi di fosse tettoniche, interessate da vulcanismo fino al Mediterraneo.

Il Quaternario vide i continenti quasi nella disposizione attuale, anche se quest'era fu caratterizzata da una periodo di glaciazioni: grandi calotte di ghiaccio ricoprirono l'Europa fin quasi al Mediterraneo e l'America fino agli Stati Uniti.
































































































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