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TRADUZIONE VERSIONE : LUCREZIA - LIVIO - AB URBE CONDITA I,57-58

latino



TRADUZIONE VERSIONE : LUCREZIA - LIVIO - AB URBE CONDITA I,57-58

Ardea apparteneva ai Rutuli, popolo che in quella regione e in quell'epoca spiccava per le sue ricchezze. La vera causa della guerra fu questa: il re di Roma, dopo essersi svenato con la sontuosità dei suoi progetti urbanistici, contava di riassestare il proprio bilancio e, nel contempo, facendo del bottino sperava di placare gli animi della gente, esacerbati non soltanto dalla sua ferocia, ma incapaci di perdonargli di essere stati co 828h75i sì a lungo impegnati in lavori faticosi e servili. Si tentò di prendere Ardea al primo assalto. Visto il fallimento del tentativo, i Romani scelsero la via dell'assedio e scavarono una trincea intorno alla città nemica. In questa guerra di posizione, come sempre accade quando si tratta di una guerra più lunga che aspra, le licenze erano all'ordine del giorno, anche se ne beneficiavano più i capi che la truppa. I figli del re, tanto per fare un esempio, ammazzavano il tempo spassandosela in festini e bevute. Un giorno, mentre stavano gozzovigliando nella tenda di Sesto Tarquinio e c'era anche Tarquinio Collatino, figlio di Egerio, il discorso cadde per caso sulle mogli e ciascuno prese a dire mirabilia della propria. La discussione si animò e Collatino affermò che era inutile starne a parlare perché di lì a poche ore si sarebbero resi conto che nessuna poteva tener testa alla sua Lucrezia. "Giovani e forti come siamo, perché non saltiamo a cavallo e andiamo a verificare di persona la condotta delle nostre spose? La prova più sicura sarà ciò che ciascuno di noi vedrà all'arrivo inaspettato del marito". Infiammati dal vino, urlarono tutti: "D'accordo, andiamo!" Un colpo di speroni al cavallo e volano a Roma. Arrivarono alle prime luci della sera e di lì proseguirono alla volta di Collazia, dove trovarono Lucrezia in uno stato completamente diverso da quello delle nuore del re (sorprese a ingannare l'attesa nel pieno di un festino e in compagnia di coetanei): nonostante fosse notte fonda, Lucrezia invece era seduta nel centro dell'atrio e stava trafficando intorno alle sue lane insieme alle serve anche loro indaffarate. Si aggiudicò così la gara delle mogli. All'arrivo di Collatino e dei Tarquini, li accoglie con estrema gentilezza e il marito vincitore invita a cena i giovani principi. Fu allora che Sesto Tarquinio, provocato non solo dalla bellezza ma dalla provata castità di Lucrezia, fu preso dalla insana smania di averla a tutti i costi. Poi, dopouna notte passata a godersi le gioie della giovinezza, rientrarono alla base.



Qualche giorno dopo, Sesto Tarquinio, all'insaputa di Collatino, andò a Collazia con un solo compare. Lì fu accolto ospitalmente perché nessuno era al corrente dei suoi progetti. Finita la cena, si andò a coricare nella camera degli ospiti. Invasato dalla passione, quando capì che c'era via libera e tutti erano nel primo sonno, sguainata la spada andò nella stanza di Lucrezia che stava dormendo: la immobilizzò con la mano puntata sul petto e disse: "Lucrezia, chiudi la bocca! Sono Sesto Tarquinio e sono armato. Una sola parola e sei morta!" La povera donna, svegliata dallo spavento, capì di essere a un passo dalla morte. Tarquinio cominciò allora a dichiarare il suo amore, ad alternare suppliche a minacce e a tentarle tutte per far cedere il suo animo di donna. Ma vedendo che Lucrezia era irremovibile e non cedeva nemmeno di fronte all'ipotesi della morte, allora aggiunse il disonore all'intimidazione e le disse che, una volta morta, avrebbe sgozzato un servo e glielo avrebbe messo nudo accanto, in modo che si dicesse che era stata uccisa nel degrado più basso dell'adulterio. Con questa spaventosa minaccia, la libidine di Tarquinio ebbe, per così dire, la meglio sull'ostinata castità di Lucrezia. Quindi, fiero di aver violato l'onore di una donna, ripartì. Lucrezia, affranta dalla grossa disavventura capitatale, manda un messaggero al padre a Roma e uno al marito ad Ardea pregandoli di venire da lei, ciascuno con un amico fidato, e di non perdere tempo perché era successa una cosa spaventosa. Arrivarono così Spurio Lucrezio con Publio Valerio, figlio di Voleso, e Collatino con Lucio Giunio Bruto (questi ultimi stavano per caso rientrando a Roma quando si erano imbattuti nel messaggero inviato da Lucrezia). La trovano seduta nella sua stanza e immersa in una profonda tristezza. Alla vista dei congiunti, scoppia a piangere. Il marito allora le chiede: "Tutto bene?" Lei gli risponde: "Come fa ad andare tutto bene a una donna che ha perduto l'onore? Nel tuo letto, Collatino, ci son le tracce di un altro uomo: solo il mio corpo è stato violato, il mio cuore è puro e te lo proverò con la mia morte. Ma giuratemi che l'adutero non rimarrà impunito. Si tratta di Sesto Tarquinio: è lui che ieri notte è venuto qui e, restituendo ostilità in cambio di ospitalità, armato e con la forza ha abusato di me. Se siete uomini veri, fate sì che quel rapporto non sia fatale solo a me ma anche a lui." Uno dopo l'altro giurano tutti. Cercano quindi di consolarla con questi argomenti: in primo luogo la colpa ricadeva solo sull'autore di quell'azione abominevole e non su di lei che ne era stata la vittima; poi non è il corpo che pecca ma la mente e quindi, se manca l'intenzione, non si può parlare di colpa. Ma lei replica: "Sta a voi stabilire quel che si merita. Quanto a me, anche se mi assolvo dalla colpa, non significa che non avrò una punizione. E da oggi in poi, più nessuna donna, dopo l'esempio di Lucrezia, vivrà nel disonore!" Afferrato il coltello che teneva nascosto sotto la veste, se lo piantò nel cuore e, piegandosi sulla ferita, cadde a terra esanime tra le urla del marito e del padre.








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