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Libro di versioni TEXTUS di Valenti, De Vivo,Scarpa,e Filippone

latino



Libro di versioni TEXTUS di Valenti, De Vivo,Scarpa,e Filippone (Editore: La Nuova Italia)

Pag.254 num.44

Il recupero dei documenti e il controllo dei pontefici.  ( Livio\ Ab urbe condita libro VI )


Hi ex interregno cum extemplo magistratum inissent, nulla de re prius quam de religionibus senatum consuluere. In primis foedera ac leges-erant autem eae duodecim tabulae et quaedam regiae leges-conquiri, quae comparerent, iusserunt; alia ex eis edita etiam in uo 333b18d lgus: quae autem ad sacra pertinebant a pontificibus maxime ut religione obstrictos haberent multitudinis animos suppressa. Tum de diebus religiosis agitari coeptum, diemque a. D. XV Kal. Sextiles, duplici clade insignem, quo die ad Cremeram Fabii caesi, quo deinde ad Alliam cum exitio urbis foede pugnatum, a posteriore clade Alliensem appellarunt.


Questi entrati in carica immediatamente dopo l'interregno, diedero importanza( oppure: precedenza ) in senato a nessuna cosa prima che delle questioni religiose. Dapprima ordinarono di raccogliere di qua e di là i trattati e le leggi- d'altra parte erano quelle delle 12 tavole e alcune leggi reali- le quali ancora esistenti, alcune di esse vennero esposti al pubblico: quelle che però riguardavano il mistero furono tenute celate dai pontefici soprattutto per soggiogare gli animi della massa con i vincoli religiosi. Poi si cominciò ad essere agitati circa i giorni nefasti, e il giorno 16 luglio, famigerato per una duplice sciagura, in quel giorno gli uccisi Fabii a Cremera e in quello poi coloro che combattevano orribilmente con la conseguente distruzione della città, dalla successiva disfatta venne chiamato Alliense.





Pag.320num.150

L'aegritudo (Cicerone\  Tusculanae Disputationes libro III )


Nam cum omnis perturbatio miseria est, tum carnificina est aegritudo. Habet ardorem libido, levitatem laetitia gestiens, humilitatem metus, sed aegritudo maiora quaedam, tabem cruciatum adflictationem foeditatem, lacerat exest animum planeque conficit. Hanc nisi exuimus sic ut abiciamus, miseria carere non possumus.Atque hoc quidem perspicuum est, tum aegritudinem existere, cum quid ita visum sit, ut magnum quoddam malum adesse et urgere videatur. Epicuro autem placet opinionem mali aegritudinem esse natura, ut quicumque intueatur in aliquod maius malum, si id sibi accidisse opinetur, sit continuo in aegritudine. Cyrenaici non omni malo aegritudinem effici censent, sed insperato et necopinato malo. Est id quidem non mediocre ad aegritudinem augendam; videntur enim omma repentina graviora.


Se è vero infatti che ogni passione è infelicità, allora l'afflizione è una tortura. La bramosia suscita il furore, la gioia sfrenata e l'incostanza, la paura, l'abiezione, ma in certo qual modo l'afflizione, il deperimento, il tormento, la prostrazione, un aspetto orribile, logora e consuma l'animo e lo distrugge completamente. Se non ce ne liberiamo così da eliminarla non possiamo tenerci lontano dall'infelicità. E questo almeno è evidente, che l'afflizione esiste, poiché così qualcosa sembra quasi un grande male che si avvicina e ci opprima. Epicureo invece ritiene che l'opinione del male sia una conseguenza per natura dacché chiunque considera un male in qualcosa di più grave, come se avesse creduto che esso è capitato a lui, si lascia prendere immediatamente dall'afflizione. I Cirenaici pensano che non tutti i mali producano l'afflizione, ma i mali inaspettati e improvvisi. Questo non è qualche cosa di mediocre dell'accrescere l'afflizione; infatti tutti(i mali) improvvisi sembrano più gravi.

Pag.274num.77

Differenze tra fatica e dolore ( Cicerone\Tusculanae Disputationes libro II )

Suggerimento:ripasso usi dell'infinito


Interest aliquid inter laborem et dolorem. Sunt finitima omnino, sed tamen differt aliquid. Labor est functio quaedam vel animi vel corporis gravioris operis et muneris, dolor autem motus asper in corpore alienus a sensibus. Haec duo Graeci illi, quorum copiosior est lingua quam nostra, uno nomine appellant. Itaque industrios homines illi studiosos vel potius amantis doloris appellant, nos commodius laboriosos; aliud est enim laborare, aliud dolere. O verborum inops interdum, quibus abundare te semper putas, Graecia! Aliud, inquam, est dolere, aliud laborare. Cum varices secabantur C. Mario, dolebat; cum aestu magno ducebat agmen, laborabat. Est inter haec quaedam tamen similitudo; consuetudo enim laborum perpessionem dolorum efficit faciliorem. Itaque illi qui Graeciae formam rerum publicarum dederunt, corpora iuvenum firmari labore voluerunt. Quod Spartiatae etiam in feminas transtulerunt quae ceteris in urbibus mollissimo cultu "parietum umbris occuluntur".  Ergo his laboriosis exercitationibus et dolor intercurrit non numquam, impelluntur, feriuntur, abiiciuntur, cadunt, et ipse labor quasi callum quoddam obducit dolori.





C'è qualche differenza tra fatica e dolore. Sono siffatto contigui, tuttavia differiscono un'pò. La fatica è l'esecuzione dell'animo o del corpo di un'attività e di un compito piuttosto gravoso, mentre il dolore (è) un brusco movimento nel corpo avverso ai sensi. Per questi due, proprio quei Greci, la cui lingua è più ricca della nostra, usano un solo termine. E così gli uomini operosi, quelli li chiamano appassionati o meglio amanti del dolore, noi invece più esattamente,pronti; altro è infatti faticare, altro soffrire. O Grecia talvolta povera di parole, mentre credi di abbondarne sempre! Altro, ripeto, è soffrire, altro faticare. C. Mario quando veniva operato per le varicose, soffriva; quando conduceva l'esercito sotto il grande calore, faticava. Tra queste c'è tuttavia somiglianza; infatti l'abitudine della fatica rendeva più facile la sopportazione dei dolori. E così quelli che diedero la costituzione agli stati della Grecia, vollero che i corpi dei giovani si irrobustissero con la fatica. Gli Spartani applicarono questa cosa anche alle donne, che nelle altre città "stanno nascoste all'ombra delle pareti con una vita estremamente molle. Dunque talvolta il dolore subentra in queste faticose esercitazioni, si spingono, si feriscono, si gettano a terra, cadono e propriamente la fatica stessa crea per così dire il callo del dolore.









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