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Hecyra - La Suocera - Una commedia di Publio Terenzio

latino



Hecyra - La Suocera

Una commedia di Publio Terenzio



Personaggi principali:

Panfilo Figlio di Lachete e Sostrata. Panfilo è un personaggio comprensivo, riflessivo, spesso combattuto nell'animo. Il cuore è il suo campo di battaglia interiore; infatti due sono le donne legate al suo destino: la libertina Bacchide e la timida Filumena. Si delinea così questo innovativo personaggio, protagonista della commedia, che con estrema facilità riesce ad amicarsi il pubblico, grazie ad una ottima cura del suo aspetto psicologico operata dal talentuoso autore. I caratteri innovativi possono essere trovati nell'unicità del suo monologo, aspetto molto raro nel teatro Terenziano, e nel suo doppio ruolo di protagonista (in quanto viene messo in difficoltà da svariate complicazioni) e di antagonista (in quanto è lui stesso autore inconsapevole dei suoi imprevisti).

Sostrata: Moglie di Lachete e madre di Panfilo. A lei è dovuto il nome all'opera: è infatti la "suocera" di Filumena, moglie di Panfilo. Viene così morbidamente tratteggiata un'anziana madre, talmente amorevole nei confronti del figlio, che è disposta a sacrificarsi per lui, sebbene sia considerata, anche se esente da colpe, la causa dei problemi della nuora. É un personaggio carico di forti sentimenti positivi, decisamente diverso dallo stereotipo neg 121c29b ativo dell'antica (e oserei dire anche moderna) suocera. Tale la forza del suo amore, tale la sua educata e ostinata difesa delle sue decisioni. Gli unici momenti di ilarità che suscita si possono identificare negli accesi dialoghi con il marito Lachete (topos del teatro greco e latino), nei quali ha sì la peggio, ma solo dopo un'agguerrita disputa.



Bacchide: Ex amante di Panfilo. Il personaggio di Bacchide, meretrice di vasta fama, colpisce Panfilo con la sua sensualità ed indiscussa cultura erotica. Allo stesso tempo stupisce il pubblico con la sua assennata intelligenza e profondità d'animo. Ella è infatti ancora segretamente innamorata di Panfilo, sebbene conscia che da lui non potrà mai più avere alcuna affettuosa attenzione. Con flebile voce questo triste e remissivo personaggio chiude il suo monologo: "Se un uomo ti dà felicità, da lui devi accettare anche l'infelicità".

Parmenone: Servo di Panfilo e Lachete. Amante del gossip e fedele servitore, Parmenone, rappresenta così non più un complice di inganni o raggiri, ma esclusivamente un servo devoto al padrone, che non si lascia sfuggire l'occasione di alimentare voci su di questi. La sua capacità umoristica trova terreno fertile in rozze e grottesche battute, a cui si lascia andare fra una riflessione e l'altra dei personaggi principali, sminuendo così il pathos dell'azione.


Personaggi secondari:

Lachete: Padre di Panfilo e marito di Sostrata; Fidippo: Padre di Filumena e marito di Mirrina; Mirrina: Madre di Filumena e moglie di Fidippo; Filumena: moglie di Panfilo.


Riassunto:

Panfilo ama la sensuale meretrice Bacchide, ma, per volontà del padre Lachete, sposa la timida Filumena. É con freddezza e scarso interesse che Panfilo accoglie l'indesiderata moglie nella sua vita, sebbene questa lo ricambi con dolcezza e remissività. In Panfilo comincia così a farsi strada una rispettosa tenerezza nei confronti di Filumena. Succede però che la morte di un parente lo costringe a recarsi ad Imbro, isola dell'Egeo nordorientale, per un'eredità. Partendo affida Filumena nelle mani della madre Sostrata, ma al ritorno apprende che la moglie si è rifugiata nella casa paterna, si sospetta, a causa di un incomprensione con la suocera. Panfilo scopre che Filumena, di cui è ormai innamorato, sta per partorire un bambino non suo. Infatti pochi mesi prima del matrimonio, una notte, uno sconosciuto violentò Filumena, portandole via l'anello regalatole da Panfilo. Scoperto tale infamante segreto, noto sinora alla sola Mirrina, madre di Filumena, Panfilo promette di non svelarlo ad alcuno. Ma perché nulla trapeli, Filumena è impossibilitata a tornare con il marito e questi è costretto a rompere definitivamente il matrimonio. Lachete, padre di Panfilo, e Fidippo, padre di Filumena, insistono invece perché il matrimonio si ricomponga. Panfilo adduce come scusa l'incompatibilità di carattere tra suocera e nuora, proclamando che, dovendo scegliere con chi vivere, sce­glie la madre. Filumena partorisce il bimbo e Fidippo, credendo fosse legitti­mo, decide comunque di tenerlo. Intanto Sostrata, generosa e intelligente, per allontanare da sé ogni sospetto, decide di andare a vivere in campagna ostacolata dall'opposizione di Panfilo. Quando però la notizia della nascita del piccolo giunge a Lachete, i due anziani insistono più che mai in una rafforzata riconciliazione. Credendo, infine, che causa dell'ostinato rifiuto di Panfilo sia il vecchio amore per Bacchide, Lachete ne parla con la meretrice. Questa svela però che non c'è più amore tra lei e Panfilo. A conferma di ciò, Bacchi­de si reca da Filumena per indurla a tornare con Panfilo. Qui Mirrina ricono­sce al dito della meretrice l'anello che aveva Filumena la notte della violenza. Infatti quell'anello era stato regalato da Panfilo stesso alla meretrice, dopo averlo trovato nelle proprie mani a seguito di una sbronza lunga una notte. Panfilo non può che essere lo sconosciuto violentatore. É così che tutto torna nell'equilibrio inziale.


Monologo di Panfilo; Atto 3,III:




Panfilo Pamphilvs

Da che parte cominciare a raccontarle le cose che, all'improvviso, mi piombano addosso? In parte le ho viste coi miei occhi, in parte con le mie orecchie le ho sentite, e per questo sono fuggito di là, tutto sbigottito. Ero appena entrato, ero, in fretta, pieno di inquietudine, pensando che l'avrei vista, mia moglie, afflitta da un male ben diverso da quello che dovevo scoprire, ahimé, quand'ecco che le serve, vedendomi arrivare, tutte insieme esclamano: "E' qui!" Erano liete del mio arrivo imprevisto. Poi di colpo mi accorsi che mutavano faccia, tutte quante, già... Il destino voleva che il mio arrivo fosse inopportuno. Una di loro, tuttavia, corse avanti ad annunciare che ero arrivato. Io dietro, subito, con la voglia che avevo di vederla, ma appena di là, povero me, fui costretto a capire che razza di male fosse il suo. No, non c'era il tempo per nasconderlo e lei, lei mica poteva lamentarsi con una voce diversa da quella che il suo stato le imponeva. Io vedendo gridai "Che vergogna!", e corsi via, via, con le lacrime agli occhi, sconvolto da quella cosa così incredibile e atroce. Sua madre mi vien dietro, io sono già sulla soglia, lei cade ai miei piedi piangendo, povera donna. Sento che la pietà mi prende. Lo sappiamo, no?, come vanno le cose. A noi tutti capita di sentirci dei draghi oppure dei vermi, a seconda che giri l'occasione. Lei cominciò a parlarmi, così: "O Panfilo mio, lo vedi perché Filumena ti ha lasciato. Ha subito violenza, lei, vergine, da un bruto che non conosciamo, tempo fa. Si è rifugiata qui, ora, per nascondere il parto a te e agli altri". Se le ricordo, le sue parole supplichevoli, non posso trattenere il pianto, povero me. E continuò: "Per colei che oggi ti ha condotto da noi, Sorte o Fortuna che sia, io e mia figlia ti preghiamo, Panfilo: se è giustizia, se è religione, fa che la sua disgrazia resti, per parte tua, nascosta e segreta a tutti. Se mai hai avvertito, in lei, per te, un sentimento d'amore, ti prega di concederle questa grazia, che non ti costerà. Quanto a riprenderla con te, vedrai tu, secondo l'animo tuo, poiché solo tu lo sai che partorisce non incinta di te. Ha diviso il tuo letto, mi dicono, solo dopo due mesi, e ne son passati sette da quando venne da te. I fatti parlano chiaro e dicono che tu sai. Ora, Panfilo, mio grande desiderio e sforzo è che il parto avvenga, se possibile, di nascosto da suo padre e da tutti. Ma se non sarà possibile nasconderlo, dirò che è stato un parto prematuro. A nessuno passerà per la testa, dico io, che il bambino non sia nato da te. Tutto lo lascia credere, no? Subito dopo verrà esposto. Tu coprirai, in questo modo, l'oltraggio subito da quella poverina, senza che a te ne venga alcun pregiudizio". Io ho dato la mia parola e sono certo che non mancherò. Ma riprenderla con me? No, non credo che sia una cosa onesta, e io non la farò, anche se l'amore mi stringe ancora a lei. Se penso a quel che sarà la mia vita, dopo, e la mia solitudine, mi vien da piangere. O Fortuna! Quale dono volubile sei tu. Già una volta l'amore mi ha messo alla prova, e io riuscii a liberarmene, ragionandoci sopra. Anche ora farò la stessa cosa... Oh, arriva Parmenone coi garzoni. No, non è bene che mi stia tra i piedi, in questo momento. Proprio a lui ho confidato che mi ero astenuto dal toccarla, al principio, la mia sposa. Se gli arrivano tutte queste grida, ho paura che mangi la foglia. Bisogna che lo spedisca altrove, nel mentre che Filumena partorisce.

Nequeo m<ea>rum rerum initium ullum invenire idoneum
unde exordiar narrare quae necopinanti accidunt;
partim quae perspexi hisce oculis, partim quae accepi auribus:
qua me propter exanimatum citius eduxi foras.
nam modo intro me ut corripui timidus, alio suspicans 365
morbo me visurum adfectam ac sensi esse uxorem: ei mihi!
postquam me aspexere ancillae advenisse, ilico omnes simul
laetae exclamant "venit", id quod me repente aspexerant.
sed continuo voltum earum sensi inmutari omnium,
quia tam incommode illic fors obtulerat adventum meum. 370
una illarum interea propere praecucurrit nuntians
me venisse: ego ei(u)s videndi cupidu' recta consequor.
postquam intro adveni, extemplo eiu' morbum cognovi miser;
nam neque ut celari posset tempu' spatium ullum dabat
neque voce alia ac res monebat ipsa poterat conqueri. 375
postquam aspexi, "o facinus indignum" inquam et corripui ilico
me inde lacrumans, incredibili re atque atroci percitus.
mater consequitur: iam ut limen exirem, ad genua accidit
lacrumans misera: miseritumst. profecto hoc sic est, ut puto:
omnibu' nobis ut res dant sese ita magni atque humiles sumus. 380
hanc habere orationem mecum principio institit:
"o mi Pamphile, abs te quam ob rem haec abierit causam vides;
nam vitiumst oblatum virgini olim a nescioquo inprobo.
nunc huc confugit te atque alios partum ut celaret suom."
sed quom orata huiu' reminiscor nequeo quin lacrumem miser. 385
"quaeque fors fortunast" inquit "nobis quae te hodie obtulit,
per eam te obsecramus ambae, si ius si fas est, uti
advorsa eiu' per te tecta tacitaque apud omnis sient.
si umquam erga te animo esse amico sensisti <ea>m, mi Pamphile,
sine labore hanc gratiam te uti sibi des pro illa nunc rogat. 390
ceterum de redducenda id facias quod in rem sit tuam.
parturire eam nec gravidam esse ex te solus consciu's:
nam aiunt tecum post duobu' concubuisse [eam] mensibus.
tum, postquam ad te venit, mensis agitur hic iam septimus:
quod te scire ipsa indicat res. nunc si potis est, Pamphile, 395
maxume volo doque operam ut clam partus eveniat patrem
atque adeo omnis. sed si id fieri non potest quin sentiant,
dicam abortum esse: scio nemini aliter suspectum fore
quin, quod veri similest, ex te recte eum natum putent.
continuo exponetur: hic tibi nil est quicquam incommodi, 400
et illi miserae indigne factam iniuriam contexeris."
pollicitus sum et servare in eo certumst quod dixi fidem.
nam de redducenda, id vero ne utiquam honestum esse arbitror
nec faciam, etsi amor me graviter consuetudoque ei(u)s tenet.
lacrumo quae posthac futurast vita quom in mentem venit 405
solitudoque. o fortuna, ut numquam perpetuo's data!
sed iam prior amor me ad hanc rem exercitatum reddidit,
quem ego tum consilio missum feci: idem [nunc] huc operam dabo.
adest Parmeno cum pueris: hunc minimest opus
in hac re adesse; nam olim soli credidi 410
ea me abstinuisse in principio quom datast.
vereor, si clamorem ei(u)s hic crebro exaudiat,
ne parturire intellegat. aliquo mihist
hinc ablegandu' dum parit Philumena.




Nel monologo Panfilo narra agli spettatori delle sue reazioni di fronte alla scoperta dell'erede illegittimo. É una visione sconvolgente e disgustosa. Panfilo a sento riesce a trattenere le lacrime, rivelando il suo contrasto interiore tra dolore, per il tradimento della donna che solo da poco ha incominciato ad amare, e l'importanza del suo onore, che gli nega l'agognato e sofferto amore. Ogni suo gesto traspira un velato strazio che trova terreno fertile anche nei movimenti e nelle parole di Mirrina. In Panfilo è questo che sfocia  violentemente nella sua condanna alla fortuna, che ancora una volta lo mette duramente alla prova. Il monologo si conclude con un segreto: infatti non potrà dire nulla al suo servo e amico Parmenide, poiché costretto dall'onore al più tacito silenzio.







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