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EURIPIDE - I TREVERI SI SOTTOMETTONO A CESARE

latino



EURIPIDE

Teopompo, storico, dice che la madre del poeta Euripide, vendendo verdure di campagna nel foro si procurasse del cibo per sé. Quando quello nacque, fu predetto a suo padre dai vati di Caldea che quel ragazzo, quando sarebbe cresciuto, sarebbe stato vincitore nelle lotte. Dichiararono che quello onfatti era il destino di quel ragazzo. Allora il padre, poiché in base all'interpretazione del vaticinio aveva creduto che Euripide dovesse essere un atleta, dopo che il corpo del figlio si era irrobustito e esercitato, lo condusse a lottare a Olimpia, tra i fanciulli atleti. Ma in primo luogo, per lo più nella gara, i giudici si rifiutarono di accoglierlo per la sua età incerta, ma in seguito combattè nella gara di Eleusi e Teseo e fu premiato. Trascurata ben presto la cura del corpo, si applicò allo studio della letteratura: fu discepolo del fisico Anassagora e del retore Prodico; ma anche nella filosofia morale di Socrate. Iniziò a scrivere una tragedia a 18 anni. Si narra che nell'isola di Salamina ci fosse una grotta tetra e orrida, che noi abbiamo visto, in cui Euripide avrebbe scritto tragedie.


I TREVERI SI SOTTOMETTONO A CESARE

La popolazione dei Treveri è di gran lunga la più forte dfi tutta la Gallia quanto a cavalleria e ha grandi truppe di fanteria. In questa popolazione due individui si contendevano il potere tra loro, Induziomaro e Cingetorige; e tra questi il secondo, non appena seppe dell'arrivo di Cesare e delle legioni, andò da lui, promise che sarebbero stati lui e tutti i suoi in sudditanza e che non si sarebbero staccati dall'amicizia romana, e mostrò ciò che si svolgeva tra i Treveri. Ma Induziomaro decise di raccogliere la cavalleria e la fanteria e nascosti coloro che non potevanon essere per età in armi nella foresta delle Ardenne, che si estende per una grossa superficiedal fiume Reno all'inizio del territorio dei Reni, iniziò a preparare la guerra. Ma alcuni nobili tra quella popolazione, sia spinti dal consiglio di Cingetorige, sia spaventati dall'arrivo del nostro esercito, andarono da Cesare e iniziarono a chiedergli grazia in merito alle proprie sostanze a titolo personale, non potendo provvedere alla nazione. Allora Induziomaro, temendo di essere stato allontanato dal potere, mandò da Cesare degli ambasciatori, che dicessero che si era allontanato dai suoi e che non era andato da Cesare per potere mantenere più facilmente la popolazione in sudditanza.




PRODIGI CHE PRECEDETTO LA BATTAGLIA DI LEUTTRA

È stato tramandato che poco prima del disastro di Leuttra a Sparta, nel tempio di Ercole le armi avessero risuonato e che la statua di Ercole avesse grondato di molto sudore. Ma allo stesso tempo a Tebe nel tempio di ercole le porte chiuse con i chiavistelli si aprirono all'improvviso da sole, e le armi, che erano affisse alle pareti, caddero a terra. E poiché a quel tempo era stato annunciato che presso Lebadia, i galli domestici avessero inziato a cantare così assiduamete che non smettevano mai, allora gli indovini beoti dissero che la vittoria sarebbe stata dei Tebani, per il fatto che quell'uccello, se fosse stato vinto, era solito stare zitto, era solito cantare se avesse vinto. E in quel periodo di sciagura per gli Spartani la calamità della battaglia di Leuttra, era annunciata da molti segni. E allora, sulla statua del re Lisandro, che sta a Delfi, comparve in testa improvvisamente una corona di erbe selvatiche spinose; le stelle d'oro, che erano state poste a Delfi dagli Spratani dopo quella vittoria navale di Lisandro presso Egaspotami nella guerra contro gli Ateniesi prima della battaglia di Leuttra decisero che nessuno la ritrovò mai.


ORAZIO, IL VINCITORE DEI CURIAZI, UCCIDE LA SORELLA

Orazio procedeva portando sé il triplice bottino dei Curiazi. La sorella nubile di quello, che era stata promessa in sposa a uno dei Curiazi, corse davanti alla porta Capena, e dopo aver riconosciuto sulle spalle del fratello il paludamento del fidanzato, che aveva confezionato lei stessa, si sciolse i capelli e in lacrime invoca per nome il fidanzato morto. Il pianto della sorella irritò l'animo del giovane impetuoso durante la sua vittoria e il grande tripudio pubblico. E 555d37f estratta la spada, rimproverandola intanto, trafisse la fanciulla: <<Vattene da qui, dal tuo fidanzato, immemore dei tuoi fratelli morti e di quello vivo, immemore della patria. La stessa sorte tocchi ad ogni donna che piangerà qualunque nemico>>. Subito fu preso da dei custodi fu chiamato in sommo giudizio capitale davanti al re Tullio Ostilio. Ed egli, incerto su cosa fare, credendo contemporaneamente ingiusto sia condannare a morte un uomo tanto coraggioso, sia lasciare libero un reo tanto facinoroso: <<Nomino - disse- i duumviri, che giudicheranno secondo la legge Orazio>>. Allora, i giudici, per la severissima legge di alto tradimento, giudicarono colpevole Orazio e lo condannarono a morte.


ASTUZIA DI DATAME PER SFUGGIRE A UN'INSIDIA

Il re dei Persiani, poiché provava un odio implacabile nei confronti di Datame, dopo che si accorse che non poteva essere ucciso in guerra cercò di ucciderlo con un'insidia; e quello le evitò quasi tutte. Infatti poiché venne a sapere che tendevano a lui una trappola certi che erano nella lista dei nemici, volle provare se gli era stato riferito il vero o il falso. E si reco là, dove gli era stato detto che ci sarebbe stata l'insidia. Ma scelsee un servo dal corpo e la statura più simile alla sua e lo vestì con un suo abito e gli ordinò di aggirarsi dove egli aveva stabilito; ma lo stesso invece vestito ed equipaggiato da militare iniziò a fare il viaggio tra le guardie del corpo. Ma gli assalitori, dopo che l'esercito giunse in quel luogo, tratti in inganno dalla posizionme e dal vestito attaccarono, colui che era stato sostituto. Ma Datame li aveva avvisati quelli con cui faceva il viaggio, affinchè lo potessero fare preparati, poiché lo vedessero fare a lui stesso. Egli stesso, per fare attenzione agli insidiatori accorrenti, gli lanciò dei dardi. Dopo che ebbe fatto lo stesso con tutti prima che accorrassero da lui quelli che credeva, li massacrò.


DUE ESEMPI DI FORZA D'ANIMO

Poiché gli Spartani incalzavano in una grave guerra, gli abitanti dell'Attica poiché l'oracolo di Apollo aveva detto che sarebbero risultati vincitori, coloro il cui comandante fosse stato ucciso, Codro, re degli Ateniesi, dopo essersi tolto la veste regale, indossò un vestito da pastore, e, dopo essersi infiltrato nell'accampamento dei nemici scatenando di proposito con imprudenza una lota, morì. Così con la morte a Codro toccò in sorte l'eterna gloria, agli Ateniesi la vittoria.

Poiché Antioco, re della Siria, bloccava il fanciullo Tolomeo ad Alessandria, fu mandato da lui l'ambasciatore M. Papilio Lenate, affinchè gli ordinasse di desistere dall'impresa. Ed egli espose i suoi doveri e con un bastoncino tracciò un cerchio intorno a sé e gli ordinò di dare una risposta prima che finisse di tracciare il cerchio con la sabbia. Così la costanza romana distrusse il re tentennante e che obbedì al comando.


IL LUOGOTENENTE TITURIO SABINO NON OSA ATTACCARE I VENELLI

Mentre succedevano queste cose fra i Veneti, Quinto Titurio Sabino con quelle truppe che aveva ricevuto da Cesare arrivò nei territori dei Venelli. A questi era a capo Viridovice e teneva il supremo comando di tutte quele città che avevano defezionato: da queste avevano messe insieme un esercito e grandi truppe; e in pochi giorni altri popoli confinanti avendo ucciso il loro capo, chiusero le porte della città e si unirono a Viridovice; e si era raccolta da ogni parte della Gallia una grande moltitudine di malfattori e ladroni, che la speranza di predare e il desiderio di combattere avevano distolto dall'agricoltura e dalla fatica quotidiana. Sabino se ne stava nell'accampamento in un luogo adatto per tutte le cose, poiché Viridovice si era appostato di fronte a lui a due miglia di distanza e ogni giorno mandava avanti le truppe e offriva l'occasione di combattere; già Sabino non solo era disprezzato dai nemici, ma anche era oggetto delle critiche dei nostri soldati. Infatti aveva dato tanta dimostrazione di essere timoroso che i nemici già osavano avvicinarsi al vallo.


I TREVERI ESORTANO I GERMANI A PASSARE IL RENO

I Treveri e Induziomaro non lasciarono passare nessun momento di tutto l'inverno senza che mamdassero degli ambasciatori oltre il Reno, incitassero alla rivolta le popolazioni, promettessero denaro, dicessero che, essendo stata sterminata gran parte del nostro esercito, ne rimanesse una parte molto più piccola. E tuttavia, non si potè persuadere nessuna popolazione dei Germani ad oltrepassare il Reno, poiché dicevano di aver già provato due volte: non avrebbero tentato ulteriormente la fortuna. Abbandonato da questa speranza, Induziomaro iniziò nondimeno a raccogliere truppe, ad esercitarle, a comprare cavalli dai confinanti, ad attirare verso di sé con grandi ricompense gli esuli e i condannati da tutta la Gallia. Ma in tal modo si era già procurato tanta autorità in Gallia, che da ogni parte accorrevano da lui ambascerie, e gli chiedevano favori e amicizia, da pubblici e privati.

MITRIDATE

Anche i segni miracolosi predissero la grandezza futura di Mitridate. Infatti sia quell'anno in cui quello nacque, sia in quello in cui inziò in principio a regnare, una stella cometa brillò così per 70 giorni, perchè tutto il cielo fosse visto illuminarsi, infatti sia la sua grandezza aveva occupato la quarta parte di cielo sia con la sua lucentezza aveva vinto lo splendore del sole e sia sorgendo sia tramontando consumava 4 ore di tempo. Il fanciullo Mitridate sopportò le insidie dei tutori, che pensavano che egli cavalcasse e scagliasse dardi su un cavallo selvaggio; poiché invece non avevano raggiunto il loro proposito, cercarono di raggiungerlo con una pozione. E quello temendo ciò, bevve spesso gli antidoti e con l'uso quotidiano si fortificò così tanto contro le trappole, che da vecchio chiedendo del veleno non potè morire neppure di morte volontaria. Temendo allora che i nemici lo uccidessero con una spada, poiché non avevano potuto con il veleno, per 7 anni usò non vagare né per città né per campagne, ma dopo aver vagato per le foreste, soleva pernottare in diverse regioni montane, abituato sia a fuggire sia a dare la caccia alle fiere, con cui si era anche scontrato.


TISSAFERNE

Costui, non appena si impadronì del potere, persuase gli Spartani a inviare eserciti in Asia e a fare la guerra al re, dimostrando che era meglio combattere in Asia che in Europa. Infatti si era diffusa la voce che Artaserse preparava flotte e eserciti terrestri, per mandarle in Grecia. Ricevuto il permesso, si servì di tanta velocità da giungere in Asia prima che i satrapi del re sapessero che era partito. Da ciò conseguì che trovò tutti impreparati e ignari. Non appena venne a sapere ciò Tissaferne, che allora aveva il massimo potere tra i satrapi, chiese una tregua ad Agesilao, fingendo di adoperarsi affinchè gli Spartani venissero ad un accordo con il re, in realtà per procurarsi le truppe; e le ottenne per tre mesi. Giurò poi che entrambi avrebbero mantenuto la tregua senza inganno. Agesilao mantenne fede a questo patto con somma fedeltà, al contrario Tissaferne non progettò nient'altro che la guerra.


CRASSO, LUOGOTENENTE DI CESARE, SCONFIGGE GLI AQUITANI

Crasso, dopo aver esortato i prefetti dei cavalieri ad incitare i loro con grandi premi e promesse, mostrò che cosa voleva fosse fatto. Quelli, come era stato ordinato, dopo aver portato fuori le coorti che essendo state lasciate in difesa all'accampamento, non erano affaticate, e fatta compiere una manovradi aggiramento piuttosto lunga, affinchè non si potessero scorgere dall'accampamento dei nemici, essendo gli occhi e la mente di tutti dediti alla battaglia, arrivarono velocemente a quelle fortificazioni di cui abbiamo parlato e una volta abbattute queste penetrarono nell'accampamento dei nemici prima che potesse essere visto chiaramente da questi o che potessero capire quale azione venisse fatta. Allora dopo aver sentito un grido di guerra da quella parte, i nostri, riprese le forze, cosa che per lo più è solita accadere quando c'è speranza di vittoria, inizaiarono a combattere più accanitamente. I nemici, circondati da ogni parte, persa ogni speranza, mirarono a gettarsi attraverso fortificazioni e ottenere la salvezza con la fuga.


I SACERDOTI ED I LORO COMPITI

Alcuni siano sacerdoti ad alcuni dei, altri ad altri, pontefici a tutti gli dei, flamini ad ogni dio. E le vergini Vestali custodiscano nella città il fuoco perenne del focolare pubblico. E in questo modo e con un rito queste vengono formate a titolo privato e pubblico, che imparano dai sacerdoti pubblici. Invece le tre categorie di loro sono: uno presiede le cerimonie e i riti sacri, un altro che riveli le sentenze incomprese di indovini e vati, ricevute e accolte dal senato e dal popolo. Gli interpreti invece di Giove Ottimo Massimo, auguri pubblici, che vedano segni e auspici, tengano la disciplina e i sacerdoti augurino al popolo vigne, saliceti e salvezza. E coloro che dovrebbero condurre le attività belliche e coloro che dovrebbero condurre il popolo, premonire gli auspici e ottemperarli. Provvedono all'ira degli dei, e li mostrano. E questo augure fissa le cose giuste e ingiuste nefaste viziose funeste, sono vane e corrotte, questo non appare è il delitto capitale. I trattati di pace, di guerra, delle tregue e gli oratori e i giudici dipendono dai feziali che decidono la guerra. I prodigi ed i portenti per gli etruschi riferiscono agli aruspici se il senato comanda.


ANNIBALE E UNO SCIOCCO SACCENTE

Annibale, dopo essere stato cacciato da Cartagine ed essere andato esule ad Efeso da Antioco, si dice che fu invitato dai suoi ospiti ad ascoltare, se voleva, quel famoso Peripatetico Formione. Non avendo Annibale detto che non voleva si dice che quell'uomo parlò eloquente per alcune ore dei compiti di un comandante e di tutta l'arte militare. Allora, poichè altri che avevanop udito quello si erano assai divertiti, chiedevano ad Annibale che cosa mai pensava di quel filosofo. Si tramanda che Annibale avesse risposto che aveva visto spesso molti vecchi deliranti, ma non aveva visto nessuno che delurava più di Formione. Che cosa infatti poteva sembrare più arrogante sia più loquace dell'uomo greco, che non aveva visto nè un nemico nè un accampamento, per dare i precetti dell'arte militare ad Annibale, che si era conteso per così tanti anni il potere con il popolo romano vincitore di tutte le genti? A me sembra che facciano la stessa cosa tutti coloro che, per niente esperti, insegnano l'arte dell'eloquenza.

Cicerone


NOTIZIE SU SOCRATE

Si tramanda che Socrate fosse abituato a sottoporsi a sforzi volontari e esercizi per irrobustire il corpo: si dice che Socrate fu solito stare, in piedi nella stessa posizione per un giorno e per una notte dal sorgere del sole, senza chiudere gli occhi, immobile, pensieroso, dopo aver fatto, per così dire, una separazione della mente e dell'animo dal corpo. Si tramanda anche che fosse così tanto moderato che visse quasi tutti gli attimi della sua vita in buona salute. Anche nella grandezza di quella pestilenza che depopolò ai principi della guerra peloponnesiaca la stessa città di Atene con un micidiale genere di malattia, si dice che egli si fosse guardato dai piaceri e avesse sostenuto la salute del corpo con l'intento di risparmiare le sue forze e moderarsi, affinchè in nessun modo fosse fatto soggetto alla comune strage.

Gellio


LA VECCHIA SIRACUSANA

Mi sembra degno di ricordo la risposta determinata che una vecchia siracusana diede a Dionisio. Si dice che tutti i Siracusani desiderassero la morte di questo tiranno per la crudeltà; molti invece narrano che una vecchia avesse pregato quotidianamente gli dei affinchè lo mantenessero sano. Avendo egli sentito ciò, subito la fece chiamare presso di sè. Non appena quella andò al cospetto del re, gli ordino di ammettere perchè faceva ciò. E la vecchia: "Voglio- disse- essere sincera con te, Dionisio. Quando ero ancora una fanciulla, desideravo sempr la morte per colui che regnava nella nostra città, per colui che era creduto da tutti feroce e crudele; ma una volta che egli morì, gli successe il peggior tiranno nel regno. Anche a lui auguravo la stessa morte. Poi gli succedesti tu, il peggiore fra tutti gli altri tiranni. Allora poichè temevo che a te ne succedesse un altro peggiore, mi sembrò preferibile pregare per la tua salute piuttosto che per la mia". Dioniso non volle accanirsi contro la vecchia, che gli aveva palesato tanto apertamente la verità, e la congedò impunita.

Valerio Massimo


DISTRUZIONE DI CORINTO

Quando queste furono annunciate a Roma, subito il Senato assegnò la guerra achea al console Mummio, che immediatamente, avendo portato l'esercito e avendo provveduto a tutto, diede ai nemici la possibiltà di combattere. In quel mentre i Greci, come se pensassero al bottino, non alla battaglia, portarono i carri per riportare il bottino dei loro nemici e dispersero sui monti le loro mogli e i loro figli per lo spettacolo della battaglia. Ma una volta attaccata la battaglia, i morti lasciarono loro davanti agli occhi un lugubre spettacolo e il ricordo di un grave lutto. Anche le loro mogli e figli, essendo stati fatti da spettatori prigionieri, furono preda dei nemici. La stessa città di Corinto fu distrutta, tutto il popolo fu mercanteggiato sotto all'incanto.

Giustino


NUOVI ARRUOLAMENTI DOPO LA BATTAGLIA DI CANNE

Dopo la sconfitta di Canne i consoli presentarono una proposta al Senato sulla conduzione della guerra e su quante truppe ci fossero e dove fosse ciascuna. Parve opportuno che la guerra si facesse con 220 legionu: sembrò necessario che i consoli si prendessero due legioni e che dopo occupassero la Gallia e la Sicilia o la Sardegna; e che a due fosse a capo il pretore dell'Apulia Quinto Fabio e a due il volontario T. Gracco presso Lucera. Sembrò utile che ciascuna rimanesse al proconsole C. Terenzio per Riceno e a M. Valerio per la flotta presso Brinsisi. Questo affinchè il numero delle legioni fosse colmato, sei nuove legioni dovevano essere arruolate. Anche in un primo momento si ordinò ai consoli di arruolarle e di preparare la flotta, affinchè con le loro navi, che erano ferme sui litorali della Calabria, si completasse quell'anno le 150 lunghe navi. Fatta una leva e varate 100 nuove navi, Q. Fabio tenne i nuovi comizi: furono nominati consoli M. Attilio Regolo e P. Furio Filo.

Livio


UN GRANDE TERRORE SI IMPADRONISCE DELL'ESERCITO DI POMPEO

Conosciute le imprese che erano state compiute a Orico e a Apollonio, temendo molto per la salvezza dei suoi che erano a Durazzo, Pompeo si diresse lì con marce di giorno e di notte. Si diceva che Cesare si avvicinasse già; un così grande terrore invase l'esercito di Pompeo, che quasi tutti nell'Epiro e nelle regioni confinanti disertavano, i più gettavano le armi e la marcia sembrava simile ad una fuga. Ma dopo che Pompeo si fermò vicino a Durazzo e avendo ordinato di porre l'accampamento, essendo ancora l'esercito molto spaventato, primo fra tutti Labieno fattosi avanti giurò che non avrebbe abbandonato il suo comandante e che avrebbe subito lo stesso destino che la sorte gli avesse dato. I rimanenti ufficiali giurarono la stessa cosa. Seguirono i tribuni dei soldati e i centurioni, e la stessa cosa giurò tutto l'esercito. A Cesare, dopo essere stato informato di questi fatti attraverso dei disertori, sembrò opportuno porre l'accampamento presso il fiume Apso.


ALESSANDRO SI PENTE DI AVER UCCISO L'AMICO CLITO

Alessandro in giorno stabilito invita gli amici ad un banchetto. Qui tra gli ubriachi era sorta una discussione sulle imprese compiute da Filippo, egli stesso iniziò a ritenersi superiore al padre, che la maggior parte dei commensali adulava. E poichè uno solo tra i vecchi, Clito, con la fiducia nell'amicizia del re, custodiva la memoria di Filippo, e lòodava le imprese del suo re, Alessandro si indignò a tal punto che, presa un'arma dalla scorta, lo ha ucciso al banchetto. Ma dopo che l'animo saziato dalla strage trovò conforto, iniziò a provare rammarico del fatto e volle morire. Dapprima pianse, iniziò ad abbracciare il morto, a sfiorare le ferite e a confessare la follia; e poi afferratal'arma la volse verso di sè, e avrebbe compiuto il gesto, se gli amici non fossero intervenuti. Attese questa volontà di perire anche nei giorni seguenti. Aveva rivolto infatti il suo pentimento alla sua nutrice, sorella di Clito.

Giustino


CESARE PREPARA LA SPEDIZIONE CONTRO I NERVI

E, non ancora finito l'inverno, radunate le quattro regioni più vicine, si diresse all'improvviso verso i confini dei Nervi e, prims che quelli potessero o difendersi o fuggire, catturato un grande gregge e un gran numero di uomini e concessi ai soldati i bottini e devastati i campi, li costrinse ad arrendersi e a sottomettersi. Quello, risolta velocemente la faccenda condusse di nuovo le legioni all'accampamento. In primavera, convocato il concilio della Gallia, come aveva deciso, poichè erano venuti tutti, tranne i Senoni, i Carnuti e i Treveri, avendo pensato che questo fosse l'inizio della guerra e della ribellione, affinchè sembrasse che non ci fosse nulla di più importante, trasferisce il concilioa Lutezia capitale dei Parisi. Costoro erano confinanti con i senoni, avevano unito la civiltà ai tempi dei padri, ma si pensava che si fossero astenuti da questo piano di questo consiglio. Pronunciata la sentenza dall'alto della tribuna, nello stesso giorno partì con le legioni verso i territori dei Senoni e arrivò lì con marce forzate.


IMPORTANZA DELLA LETTURA

In un discorso le parole devono essere cambiate e variate. So che "non ignoro", "non mi sfugge", "non mi è ignoto", e "che cosa non sai?"; ma anche "capisco", "penso" e "comprendo" spesso hanno lo stesso valore. La scelta ci darà un abbondanza di parole, affinchè le utilizziamo nel modo in cui è opportuno. Ma affinchè si acquisti un'abbondanza di parole leggendo, così noi dobbiamo soltanto ascoltare ma anche leggere per le parole: qualsiasi cosa insegnamo, tutti gli esempi sono più potenti anche delle stesse capacità che sono raccomandate, poichè chi insegna che ciò può essere capito, senza nessuna spiegazione, e può essere seguito con tutte le forze: infatti l'oratore mostra ciò che il dottore insegna.

Quintiliano


AMMIRAZIONE PER I POETI

Da uomini eccellenti e sapientissimi apprendemmo che il poeta ha valore per la stessa natura, è ravvivato dalle forze della mente ed è animato da uno spirito come divino. Perciò giustamente quel famoso Ennio chiama i poeti santi, pichè come per un qualche dono degli dei sembra che ci siano affidati in dono. Allora sia questo nome di poeta santo poichè non si disonorò mai con nessuna rozzezza. Le montagne e i deserti riecheggiano la voce umana, spesso le grosse bestie sono ammansite dal canto e si fermano; noi regolati da cose ottime non siamo commossi dalla vose dei poeti? I Colofoni dicono che Omero fosse un loro concittadino, gli abitanti di Chio lo rivendicano come loro, gli abitanti di Salamnia lo reclamano, gli Smirnei assicurano che erano veramente loro: e anche se gli dedicarono un luogo di culto nella città, tantissimi altri inoltre combattono tra loro e se lo contendono.

Cicerone


MARIO ASSUME IL COMANDO DELLA GUERRA MITRIDATICA

Silla uscito dalla città si tratteneva vicino Nola, poichè quella città conservava assai ostinatamente le armi, ed era assediata dall'esercito romano, come se egli si fosse pentito della sua fiducia, era superiore rispetto alla guerra punica. Intanto P. Sulpicio, tribuno della plebe, arguto, energico, famosissimo per il vigore dell'ingegno e dell'animo, avendo chiesto prima con un onestissimo proposito presso il popolo la massima carica, come provasse rincrescimento per i suoi valori, subito fu giudicato malvagio e avventatò e passò dalla parte di C. Mario chiedendo tutte le cariche e tutte le provincie e presentò una proposta di legge che la carica di Silla fosse derogata, e che la guerra mitridatica fosse combattuta da C. Mario, e propose altre leggi dannose e rovinose, e da non tollerarsi dalla libera cittadinanza. Ma anzi il figlio del proconsole Q. Pompeo e stesso genero di Silla, lo uccise attraverso emissari della sua fazione.

Velleio Patercolo


DIFFICILE SITUAZIONE DELL'ESERCITO ROMANO

Poichè ormai si combatteva senza tregua da più di sei ore e si esaurivano non solo le nostre forze, ma anche le nostre armi e i nemici incalzavano piuttosto violentemente, e poichè i nostri erano sempre più deboli, avendo iniziato a spezzare i trinceramenti e a riempire le fosse, e le battaglia era già stata condotta all'estrema disgrazia, P. Sesto Baculo, centurione della prima centuria dei triari, che abbiamo detto era stato indebolito da più ferite durante la battaglia contro i Nervi, come anche C. Valuseno, tribuno dei soldati, uomini sia di grande ingegno e valore, accorsero da Galba e spiegano che c'è un'unica speranza di salvezza, se, dopo aver fatto irruzione, tentato il tutto per tutto. E, convocati i centurioni, informò velocemente i soldati di cessare per poco il combattimento e di raccogliere i colpi scagliati male, di ristorarsi dalle fatiche, di irrompere dall'accampamento dopo che il segnale era stato dato e di riporre tutte le speranze di salvezza nel valore.

Cesare


FUGA DI ANNIBALE

Poichè i Romani temevano che Annibale fosse pericoloso, mandano il loro ambasciatore Cn. Servilio in Africa per spiare le sue azioni, e gli consigliano di ucciderlo attraverso dei nemici. Ma la cosa non sfuggì, uomo che non mancò mai di prudenza, così che nessuna insidia lo potesse sorprendere impreparato. Allora per tutto il giorno si mostra ai cittadini e all'ambasciatore romano nel foro tutto assorbito dalle occupazioni dei Cartaginesi, per nascondere loro il suo progetto. Avvicinandosi poi la sera, chiese ai servi un cavallo, fingendo di volersi riposare fuori dalla città, come se provasse disgusto per la città. Ma dopo essere montato a cavallo, si diresse veloce verso la campagna urbana, che distava poco dal mare. Aveva qui una nave con rematori nascosta da un'insenatura nascosta della costa; c'era anche una grande somma di denaro preparata in quella campagna, che avrebbe giovato alla fuga. Raccolti allora dei servi che aiutassero, salì sulla nave e diresse la rotta verso Antioco, re della Siria.

Giustino


CHI SONO I FILOSOFI
Narrano che Pitagora fosse andato a Fliunte e che egli avesse discorso con Leonte capo dei Fliunti dottamente e abbondantemente di certe cose. Leonte, essendosi meragliato di questo suo ingegno ed eloquenza, gli chiese quale arte stimasse più grande; ma quello rispose che non conosceva veramente nessuna arte, ma che era un filosofo. Meravigliato Leonte dalla novità della parola, chiese chi mai fosse un filosofo e che differenza ci fosse tra loro e gli altri. Pitagora invece rispose che la vita degli uomini e quella adunanza si teneva quella adunanza che si teneva con grande magnificinza con l'affluenza di tutta la Grecia gli sembravano simili. Infatti là alcuni cercano la gloria con esercizi ginnici e la nobiltà della corona d'alloro, altri sono spinti dal desiderio di guadagno con compravendite, altri ancora invece non cercano nè gloria nè profitto, ma vanno per guardare e esaminano con zelo che cosa viene fatto e in che modo: così in questa vita sono rari coloro che, stimando poco le altre cose, si dedicano con zelo alla natura delle cose, questi si chiamano studiosi di sapienza, questi sono i filosofi.

Cicerone


IL PROCONSOLE GNEO POMPEO SCRIVE AL PROCONSOLE L. DOMIZIO

Mi meraviglio molto che tu non mi scriva nulla e che io sia informato da altri sullo stato. Noi non possiano, distrutto l'esercito, essere pari all'avversario. Spero che, radunate le nostre truppe, possano giovare sia allo stato sia alla salvezza comune. Perciò, avendo tu deciso di partire con l'esercito da Corfinio e di venire da me, mi meraviglio della causa per cui hai cambiato opinione. Infatti quanto più l'avversario cominciò ad avvicinarsi, a quel punto dovevi agire più velocemente, per congiungerti con me, prima che Cesare, o impedisse il tuo cammino o potesse separarci. Perciò ti prego e ti esorto ripetutamente, poichè non ho rinunciato a chiederti questo attraverso delle lettere piuttosto importanti, a venire da me a Luceria anche il primo giorno, prima che le truppe, che Cesare ha disposto di radunare, riunito in un solo luogo ci separino. È giusto che io ottenga da te, che tu mi mandi le coorti che arrivarono da Piceno e Camerino.

Cicerone


SCEGLIAMO UN UOMO CHE CI SIA DI GUIDA E DI MODELLO

Ascolta questa clausola, che voglio che tu ti imprimi nell'animo: "Dobbiamo scegliere qualche uomo buono e averlo sempre davanti agli occhi, per vivere come se quello osservasse e fare tutto come se quello vedesse. Possiamo eliminare gran parte degli sbagli se un testimone assiste colore che stanno per sbagliare. L'animo abbia qualcuno che rispetti, con la cui autorità faccia più onesta anche la sua solitudine. O felice colui che non tanto corregge il presente, ma anche il pensiero. O felice colui che può rispettare qualcuno cosicchè si predisponga per la sua memoria e si ordini. Così colui che può rispettare qualcuno, facilmente dovrà essere venerato. Sceglilo, di cui ti piacque sia la vita, sia l'eloquenza: presenta quello a te o come custode o come esempio.

Seneca


CONSIDERAZIONI SULLA BREVIT DELLA VITA
Si dice che Teofrasto morendo avese accusato la natura: la natura infatti diede una vita di lunga durata ai cervi e alle cornacchie, a cui ciò non interessava affatto; invece agli uomini, a cui interessava assai, tuttavia diede loro una vita corta. Infatti se la loro vita avesse potuto essere più lunga, gli uomini, valenti in tutte le arti, avrebbero potuto insegnare a tutti il modo. Teofrasto chiese di nuovo di essere ucciso allora, avendo iniziato ad imparare le arti. Non confessano i migliori e grandissimi filosofi che ignorano molto e devono imparare molto?

Cicerone


NON SEMPRE È CONVENIENTE L'ALLEANZA CON ROMA
Gli ambasciatori romani, proprio come se fosse stato ordinato loro a Roma arrivarono da Cartagine in Spagna per andare nelle città, per allettare la società e allontanarla dai Cartaginesi. Dapprima andarono dai Borgusi, da cui erano stati accettati di buon animo, destarono in molti popoli oltre l'Ebro il desiderio di una nuova condizione. Poi si andò dai Valciani, poichè la ripetuta risposta degli altri popoli attraverso la Spagna allontana dalla società romana. Così infatti rispose il più anziano fra loro durante un consiglio: "Che rispetto c'è, Romani, voi pretendete che noi preferiamo la vostra all'amicizia dei Cartaginesi, avendo voi alleati abbandonato i Saguntini, che avevano fatto ciò più crudelmente di quanto il nemico Annibale distrusse. Cercate alleati là dove la strage saguntina non è nota: i popoli spagnoli avranno una prova così lugubre, così evidente del disastro di Sagunto, che non confideranno più della fedeltà e dell'alleanza romana.

Livio


UN DONO NON GRADITO

Alessandro, ordinò che le vesti macedoniche e la grande veste color porpora mandata a lui in dono dalla Macedonia, fossero consegnate a Sisigambi, madre di Dario, con gli schiavi che le avevano confezionate; e avverte che, se la veste le fosse gradita, di abituare le sue nipoti a prepararle. A quell'ordine scoppiarono le lacrime, che mostrarono che la donna aveva rifiutato quel dono, infatti il più grande oltraggio per le donne persiane è avvicinare le mani alla lana. E quelli che avevano portato i doni annunciano ad Alessandro che Sisigambi era triste: la cosa sembrò al re degna di scuse e conforto. Egli stesso quindi andò da lei: "Madre -disse- questa veste con cui sono vestito, non è solo un dono ma anche un lavoro delle mie sorelle; i nostri costumi mi hanno tratto in inganno. Non voglio trasformare in offesa la mia ignoranza".

Curzio Rufo












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