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PENELOPE (Phnelopeia)

greco



PENELOPE (Phnelopeia)


Il nome Penelope deriva dal termine greco phneloy anitra, simbolo frequente su coppe antiche e in sepolcri, che sta ad indicare una buona dea protettrice.

Figlia di Icario, re dell'Attica, e della naiade Peribea; secondo altre versioni, di Icario e Policaste, figlia di Ligeo, re dell'Arcarnaia. Infine c'è un'altra tradizione, attestata solamente da un'allusione di Aristotele, secondo la quale Penelope non era figlia di Icario, ma di un certo Icadio di Corfù, confuso a torto con il primo. Questa versione è però smentita dal fatto che Odisseo aveva a Sparta un santuario innalzatogli in ricordo delle origini spartiate della moglie; quanto a sua madre, a 212h78c ltre fonti fanno anche i nomi di Dorodoche o Asterodia.

Sulle circostanze del matrimonio fra Penelope e Odisseo esistono due versioni ufficiali presso i mitografi: secondo la prima, fu tramite Tindaro, desideroso di ricompensare Odisseo per un buon consiglio, che Icario acconsentì ad accordare la figlia in sposa all'eroe, per la seconda Penelope fu il premio di una gara di corsa vinta da Odisseo.


Penelope è sempre stata vista, nei secoli, come il simbolo di una fedeltà incrollabile, che la porta ad aspettare il marito che tutti credevano morto per vent'anni, sola nella conservazione dell'unità della famiglia, e nella direzione dell'oikos, rimasto senza uomini: il figlio Telemaco, infatti, inizia appena a dare i segni di una certa maturità e l'anziano Laerte è ormai infermo e afflitto dalle sventure.



Ma Penelope personifica anche le radici ideali dell'uomo, la casa, il luogo di ritorno ciclico alle origini e la patria stessa; si può considerare l'equivalente femminile di Odisseo, eroina di una società ideale non più bellicosa (come nell'Iliade), ma che si compiace di gloriarsi delle proprie vittorie. È questa una società in cui la donna godeva di una grande considerazione, e non veniva apprezzata solo per la bellezza, ma anche per l'intelligenza e il dinamismo, doti che certo non mancavano alla regina di Itaca, la quale vive in funzione di Odisseo e prende anche parte della sua astuzia, ideando il famoso stratagemma della tela.

Penelope, Inoltre, ha il ruolo, all'interno del Poema, di "polo statico" verso cui tende la dinamica dell'azione di Odisseo, e di "filo conduttore" dell'intera Odissea, poiché tutte le avventure del marito sono motivate dal fatto che vuole tornare da lei. Il rapporto che lega Odisseo a Penelope è di integrazione, ma anche di distanziamento: integrazione, poiché durante gli anni d'assenza da casa non lo abbandona mai la nostalgia, distanziamento in quanto non le resta fedele. L'infedeltà di Odisseo, però, serve a far risaltare ancora di più il suo amore nei confronti della moglie nel momento in cui, per esempio, rifiuta da Calipso il dono dell'immortalità.

... enqade k auqi menwn sun emoi tode dwma fulassoiV

aqanastoV t eihV, imeiromenoV per idesqai

shn alocon, thV t aien eeldeai hmata panta.


potna qea, mh moi tode cweo oida kai autoV

panta mal , ouneka seio perifrwn Phnelopeia

eidoV akindoterh megeqoV t eisanta idesqai

h men gar brotoV esti, su d aqanatoV kai aghrwV.

alla kai wV eqelw kai eeldomai hmata panta

oikade t elqemenai kai nostimon hmar idesqai.


. qui resteresti con me a custodire questa dimora,

e saresti immortale, benché voglioso di vedere

tua moglie, che tu ogni giorno desideri."


"Dea possente, non ti adirare per questo con me: lo so

bene anche io, che la saggia Penelope

a vederla è inferiore a te per beltà e statura:

lei infatti è mortale, e tu immortale e senza vecchiaia.

Ma anche così desidero e voglio ogni giorno

Giungere a casa e vedere il dì del ritorno. (.)

(V, vv. 208-210, 215-220)


Calipso, come del resto Circe, ha dunque la funzione di ritardare il ritorno dell'eroe a Itaca, ma nello stesso tempo di mitizzare la figura di Penelope; Nausicaa rappresenta un momento lieto per Odisseo, il primo dopo tante avversità, un presagio della fine dei suoi dolori. È attratta non tanto dalla bellezza, ma dalla personalità di Odisseo, e fa capire che è questa che spinge Penelope ad essergli fedele.

Nonostante che il sentimento provato da Odisseo nei confronti della moglie sia certamente uno dei più forti, se non il più forte, di qualsiasi eroe omerico verso la propria compagna, è ben diverso da quello con cui viene ricambiato. Per Penelope, Odisseo è il centro di tutto: è per lui che passa vent'anni della sua vita sola, nonostante che lo stesso Odisseo, prima di partire, l'avesse autorizzata a sposarsi nuovamente e trasferisrsi nella casa del suo nuovo marito, una volta che Telemaco fosse stato grande abbastanza da poter gestire da solo la reggia di Itaca.


... autar ephn dh paida geneihsanta idhai,

ghmasq w k eqelhsqa, teon kata dwma lipousa.


. e quando vedi spuntare la barba al ragazzo,

sposa chi vuoi, lasciando questa casa."

(XVIII, vv. 269-270)


E quando parla del marito lontano, dice:


... aiqe moi wV malakon qanaton poroi ArtemiV agnh

autika nun, ina mhket oduromenh kata qumon

aiwna fqinuqw, posioV poqeousa filoio

pantoihn arethn, epei exocoV hen Acaiwn.


. Oh se una morte così mite la pura Artemide subito

ora mi desse, perché io non consumi ancora la vita

con animo afflitto, rimpiangendo le tante virtù

del caro marito, perché tra gli achei eccelleva."

(XVIII, vv. 202-205)


Odisseo, invece, quando durante il viaggio auspica il ritorno, lo fa dicendo ". rivedere gli amici e tornare/ all'alta casa e alla terra dei padri". Il cuore di Penelope è dunque totalmente preso da Odisseo, mentre costui fa spazio anche ad altri valori, quali gli affetti, la patria: ma si è detto che Penelope simboleggia anche queste cose, quindi il ricordarle e desiderarle lo porta inevitabilmente a ricordare e desiderare la moglie.

Il rapporto fra Penelope e Odisseo è particolarmente evidente alla fine del poema, quando l'eroe fa finalmente ritorno ad Itaca.

Quando la nutrice Euriclea sale verso la stanza superiore (uperwa) dal megaron per svegliare Penelope e annunciarle che Odisseo è tornato, inizialmente si irrita per l'inverosimiglianza della notizia:


maia filh, marghn se qeoi qesan, (...)

pipte me lwbeueiV polupenqea qumon ecousan

tauta parex ereousa (...) ;

Balia cara, ti resero folle gli dei, (.)

Per quale motivo mi burli, che ho l'animo così addolorato

per dirmi queste stoltezze (.) ?

(XXIII, vv. 11, 15-16)


In seguito è presa da un impulso istintivo di gioia


... ws efaq , h d ecarh kai apo lektroio qorousa

grhi periplecqh...


. Disse così ed essa gioì e, saltata dal letto,

abbracciò la vegliarda .

(XXIII, vv. 32-33)


Ma alla gioia segue un pianto deluso ed amareggiato, il suo animo resta incredulo (qumos apistos). Non osa neanche pronunciare il nome di Odisseo, se non per esprimere la certezza che sia morto o per ricordare il giorno della sua partenza, mentre Euriclea, ormai sicura del ritorno, lo nomina in continuazione.

Finalmente, l'incontro.

Penelope va a sedere presso la parete che sta di fronte al focolare, vicino alla fiamma che ha conservato viva (en puros augh) per vent'anni, come il suo amore; Odisseo, invece, sta in piedi appoggiato ad una solida colonna (pros kiona makrhn), accostamento della persona e della cosa, che sorreggono la casa. L'animo di Penelope può sembrare duro (sterewterh liqoio, più duro della pietra) ma in realtà è turbato, sconvolto. Il figlio Telemaco le rimprovera quella che a lui sembra freddezza; Penelope gli risponde allora che non è durezza di cuore che le impedisce slanci d'affetto nei confronti del "presunto" Odisseo, ma incredulità, stupore.


mhter emh, dusmhter, aphnea qumon ecousa,

tifq outw patroV nosfizeai, oude par auton

ezomenh muqoisin aneireai oude metallaV;


teknon emon, qumoV moi eni sthqessi teqhpen,

oude ti prosfasqai dunamai epoV oud ereesqai

oud eiV wpa idesqai enantion. (...)

"Madre matrigna, che hai un cuore duro,

perché stai lontana così da mio padre, non ti siedi

al suo fianco e non chiedi e domandi?


"Figlio mio, nel petto il mio animo è attonito

e non posso parlare né fare domande

o guardare dritto il suo volto. (.)

(XXIII, vv. 97-99, 105-107)


Infine Penelope viene persuasa dai "segni" che le dà Odisseo, i quali, egli dice:


...esti gar hmin

shmaq , a dh kai nwi kekrummena idmen ap allwn...


.sono nascosti agli altri

e che noi due soli conosciamo.

(XXIII, vv. 109-110)


e piangendo (dakrusasa) butta le braccia al collodi Odisseo, lo bacia in viso e gli prende le mani, come aveva desiderato fare durante gli anni di lontananza: in entrambi sorge un bisogno di pianto liberatorio, pianto già anticipato da Penelope all'annuncio di Euriclea. Dall'amore tempestoso e combattuto (tafos) si passa dunque all'amore dolce e coniugale (teryis): Atena provvede ad allungare la notte seguente all'incontro fra i due in modo che possano raccontarsi liberamente tutto ciò che è loro accaduto. Esprimono rimpianto per la passata giovinezza, consolazione per essere finalmente insieme, il piacere di sentire le loro voci dopo tanto tempo e la serenità che ha portato Odisseo, garantendo la sicurezza della casa. Penelope rievoca la sua sventura, e Odisseo espone una sintesi retrospettiva dei propri "errores", senza tralasciare di confessarle i momenti di infedeltà: Penelope, però, capisce che queste "parentesi" non dipendevano direttamente dal marito, ma erano le tappe di un più ampio disegno ordito dagli dei.







PENELOPE E I PROCI


È bene chiarire che quello fra Penelope e i proci non è amore, da nessuna delle due parti; questo (lungo) episodio è però rilevante per definire i sentimenti di Penelope in quanto nell'ingegnoso stratagemma della tela e nella tenace fedeltà, dimostra tutto il suo amore per Odisseo.

Sull'identità dei proci, si hanno due differenti opinioni. La prima li vede come esponenti della ricca borghesia mercantile che miravano al matrimonio con Penelope per sovvertire lo stato di monarchia vigente a Itaca; la seconda, più largamente condivisa, come semplici aspiranti al governo di Itaca e possibili continuatori del regime monarchico.

I Proci non si comportavano correttamente nella reggia di Itaca: consumavano quanto prodotto nell'oikoV senza ricambiare in alcun modo


... mnhsthron ouc hdh dikh to paroiqh tetukto

oi t agaqhn te gunaika kai afneioio qugatra

mnhsteuein eqelwsi kai allhloiV eriswsin

autoi toi g apagousi boaV kai ifia mhla

kourhV daita filoisi, kai aglaa dwra didousin

all ouk allotrion bioton nhpoinon edousin.


. non era questo una volta il costume dei pretendenti,

che volevano fare la corte ad una donna di nobile stirpe

e figlia di un ricco, e tra loro competere;

sono loro che portano i buoi e le pecore grasse

ai parenti della fanciulla per il convito, e danno splendidi doni:

ma non mangiano senza compenso la roba di un altro."

(XVIII, vv. 275-280)


ed hanno nei confronti di Penelope e degli abitanti della reggia un rapporto di prevaricazione basato sulla superiorità numerica e sulla certezza che i pochi uomini di casa non hanno le risorse per fronteggiarli.

Penelope tiene con i proci un comportamento dignitoso e distaccato. Quando compare davanti a loro copre sempre il volto con uno scialle e si fa accompagnare dalle ancelle.



...alla moi Autonohn te kai Ippodameian anocqi

elqemen, ofra ke moi parstheton en megaroisin

oih d ouk eiseimi met anhraV aideomai gar.


.ma comanda per me ad Autonoe ed Ippodamia

di venire, per stare al mio fianco dentro la sala.

Sola non vado tra gli uomini, perché mi vergogno."

(XVIII, vv. 182-184)


Nonostante l'insistenza dei pretendenti, Penelope ama ancora suo marito, trova ogni modo per restargli fedele e solo dopo vent'anni la sua decisione comincia a farsi più vacillante: quando ancora ignora che sotto le false spoglie di mendico è celato proprio Odisseo, gli parla e gli svela le sue angosce. Non sa se sia più giusto continuare ad aspettare il ritorno dell'amato marito, o se risposarsi perché i beni dell'oikos non vengano completamente dilapidati dai proci. Nella stessa occasione racconta ad Odisseo un sogno fatto qualche notte prima e gli chiede una sua interpretazione: nel sogno le sue venti oche erano state assalite da una grande aquila che aveva spezzato il collo a tutte, uccidendole. Penelope allora piangeva ma veniva subito consolata dalle altre donne per la perdita. L'aquila stessa aveva dato una spiegazione a Penelope: le oche erano i proci e l'aquila Odisseo, che rivendicava i suoi diritti sulla casa.

Il sogno è stato successivamente interpretato da vari studiosi, che ne hanno ricavato un importante aspetto della personalità di Penelope: quello, cioè, di una donna gratificata dal fatto di essere corteggiata dai pretendenti in quanto nel sogno si rallegra di vedere le sue oche e si dispera della loro eliminazione. E. Dodds nel libro I Greci e l'irrazionale fa riferimento alla freudiana "inversione degli affetti", secondo la quale nei sogni spesso si verificano situazioni che in stato di veglia vengono sentite come aberranti.

Penelope ormai ha perso quasi del tutto la speranza nel ritorno di Odisseo, ma continua a comportarsi come se dovesse tornare: per questo non si può parlare di alleanza fra i due quando Odisseo torna a casa senza farsi riconoscere, perché Penelope collabora senza saperlo alla vendetta, comportandosi come sempre. Il fatto che Odisseo non le sveli da subito la sua identità permette di apprezzare ancora di più la fedeltà di Penelope, che, ignara, lo aiuta ugualmente nei suoi propositi.






ODISSEA, Omero, a cura di G. Aurelio Privitera, Oscar Mondadori, Milano, 19911

OMERO ODISSEA CANTO XXIII, Giovanni Maina, Paravia, Torino, 19692

ENCICLOPEDIA DEI MTI, a cura di Carlo Cordié, Garzanti, Milano, 19901

DIZIONARIO DEI MITI LETTERARI, a cura di Pierre Brunel, Bompiani, Bergamo, 19951

PENELOPE RESTA IN CASA, Aristide Casolini, Loffredo Editore, Napoli, 19781

FEMMINILITÀ E RIBELLIONE, Renzo Ricchi, Vallecchi Editore, Firenze, 19871






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