Caricare documenti e articoli online 
INFtub.com è un sito progettato per cercare i documenti in vari tipi di file e il caricamento di articoli online.


 
Non ricordi la password?  ››  Iscriviti gratis
 

Letteratura greca di terzo liceo

greco



Letteratura greca di terzo liceo, L'ellenismo, La tragedia, Menandro 2, Callimaco 3, Aitia, Inni, Epigrammata, Giambi, Apollonio Rodio 4, Le Argonautiche, L 'epigramma 4. L 'elegia 4, Teocrito 5, Eroda 5, La Poesia 6, La Storiografia 6, Filologia 6, Scienza 6, Periodo greco-romano6/7, Plutarco 7, La retorica 8, Anonimo del Sublime 9 La Seconda Sofistica 10, Luciano Il romanzo greco 11, L'asino d'oro \ le Metamorfosi Lo Stoicismo 12




L'ellenismo

323 a. C.: muore Alessandro Magno e il suo sconfinato impero viene diviso fra i suoi generali; si vengono a creare numerosi regni di varie dimensioni, ma accomunati dalla stessa lingua, il greco della koinh dialektos. Tra loro s'instaura una fitta rete di scambi commerciali e su questo nuovo assetto politico si sviluppa una nuova cultura; questa cultura verrà chiamata Ellenismo.

Regno di Macedonia: il più stabile dei regni ellenistici, perché mancava la contrapposizione tra l'aristocrazia, classe dominante, ed il popolo, dualismo tipico della maggior parte degli altri regni. Vi regnò la dinastia degli Antigonidi. Il cammino verso l'acculturamento fu molto lineare e conseguenza della stabilità politica, favorita anche dal fatto di essere lo stato originario d'Alessandro Magno.

Regno di Pergamo: al centro dell'attuale Turchia, era piccolo ma ricco di miniere d'argento. Vi regnò la dinastia degli Attalidi, ma questa si esaurì ben presto. L'ultimo re, Attalo III, fu molto lungimirante; prevedendo che il suo regno sarebbe stato diviso tra gli stati confinanti, lo lasciò in eredità a Roma. Infatti, il regno di Pergamo fu l'unico a non essere stato conquistato dai Romani. A questo riguardo, va rilevato che l'unico autore greco a capire che la Grecia doveva cedere il passo a Roma f 616c21g u Polibio, che scrisse un'opera (le Storie) in cui esaltava la grandezza di Roma e della sua costituzione.

Regno di Siria: i Seleucidi controllavano una vasta zona, corrispondente più o meno alle attuali Siria, Giordania e Palestina. L'economia, erede di quella fenicia, era basata sui commerci marittimi.

Regno d'Egitto: politicamente visse un dualismo fortissimo, favorito dalla sua posizione geografica di pressoché totale isolamento; il faraone, appartenente alla dinastia dei Tolomei, era considerato un dio vivente, non un semplice imperatore, e veniva appoggiato dall'unica casta istruita, quella dei sacerdoti, mentre le masse popolari erano totalmente tagliate fuori dal potere politico e da buona parte di quello economico. In seguito ad una fitta rete di scambi commerciali via terra e soprattutto via mare, Alessandria (il porto principale) divenne la città più importante dell'ellenismo. Il resto dell'Egitto rimase in una condizione d'isolamento e d'arretratezza, sempre tenuto sotto stretto controllo dalla mano del faraone. Da un punto di vista culturale, di tutto l'Egitto solo la città d'Alessandria fu interessata dall'ellenismo, ed anzi ne divenne uno dei poli più importanti, in quanto fu sempre proiettata verso il mare e verso gli scambi commerciali (l'Egitto era un grande esportatore di frumento) e culturali con gli altri regni ellenistici.

Una fitta rete di scambi commerciali accrebbe il potere economico delle singole città e favorì il fenomeno dell'urbanesimo; in quest'epoca avviene la nascita della borghesia, nuovo ceto emergente creato da bottegai arricchitisi grazie al commercio. Questi fatti portano gli artisti ad interessarsi delle classi umili: lo vediamo nelle tragedie (pullulano servi e nutrici tra i personaggi), in architettura (dove si afferma lo stile Corinzio, che si applica solo alle colonne, le quali consentono una maggiore visibilità rispetto ai pilastri) e in scultura.

Mentre nella Grecia classica, dove si erano sviluppati governi democratici ed era permessa ogni libertà di pensiero ed espressione, esisteva il concetto della libertà di ogni cittadino di potersi acculturare a spese dello stato, nella cultura ellenistica i dotti rivolgono la loro opera non agli studenti, ma solo ad altri, pochi dotti. I monarchi ellenistici, infatti, non avevano nessun interesse a incoraggiare la diffusione della cultura nei vari strati della popolazione, ed era assolutamente vietato ai dotti trattare di politica. Per la prima volta per i Greci la politica veniva scissa dalla cultura. Per l'età ellenistica si può parlare esclusivamente di centri, isolati dal resto della nazione e in fitta comunicazione tra di loro.

Nell'Ellenismo l'oggetto dello studio si modifica, e l'interesse per la scienza comincia a differenziarsi da quello per la filosofia; cominceranno ad essere eseguiti studi scientifici fini a se stessi, slegati da convinzioni filosofiche. Atene diventa il principale centro della filosofia e Alessandria quello della scienza. La filosofia trova il suo campo di interesse nella morale dell'uomo, e nascono le due correnti filosofiche dello Stoicismo e dell'Epicureismo; laqe biwsas (=vivi di nascosto) dicevano gli Epicurei, portatori di una filosofia prettamente soggettiva e contrapposti agli Stoici, che propugnavano un cosmopolitismo coagulato dal logos, fiamma presente in ogni uomo. I rapporti tra Atene ed Alessandria si guastarono ben presto, essendo Atene molto invidiosa dell'importanza culturale di Alessandria. Ad Atene si sviluppò solo una filosofia di taglio moralistico (Epicuro e gli Stoici) e non più la ricerca all'interno dell'uomo.

Dal punto di vista pratico gli autori si staccano dal mondo esterno e si dedicano ad una ricerca interiore da un lato, dall'altro studiano le idee provenienti da altri paesi, sviluppando un pensiero cosmopolita. Callimaco, padre dell'Ellenismo, abbraccia non solo tutti i generi letterari, ma anche entrambe le correnti di pensiero; infatti gli autori non si specializzano su un genere specifico, ma abbracciano più di un genere e più di un ideale, sempre restando però esclusi dalla politica.

Tutti i temi letterari vennero trattati nell'Ellenismo; anzi, questo periodo vide nascere un nuovo genere letterario: il romanzo. Il tema amoroso vide la distinzione tra elegia ed epigramma; l'elegia, che precedentemente era usata per trattare vari temi (bellica, gnomica, amorosa, quotidiana, politica), nell'Ellenismo si sofferma prettamente sul quotidiano, in quanto l'amore viene ad inglobare tutti gli argomenti e non rimane settorializzato. Gli autori si dedicarono indifferentemente a cantare l'amore provato nei confronti della propria donna o quello nel confronti del mito, ma anche questo secondo caso viene approfondito come il primo perché l'autore cerca di immedesimarsi nel mito. L'amore cantato è un amore vero, reale, scavato in tutti i sensi e contrapposto al sentimento del dolore. L'amore viene codificato in eros (passione d'amore), imeros (amore in senso generale) e poqos (desiderio d'amore). Anche per il dolore ci sarà un'attenta analisi di tutte le possibili sfumature.

I personaggi, in ogni genere letterario, vengono analizzati tutti nella loro interezza e non più visti solo in funzione del protagonista (come accadeva nella cultura classica). Fu in questo periodo che nacque il concetto di arte per l'arte; l'opera letteraria è concepita in piena libertà e non è scritta con lo scopo di diffondere un messaggio. Lo stile è, per l'appunto, molto curato; l'autore riversa tutta la sua attenzione ad una cura formale volta alla perfezione, facendo sfoggio non di cultura, ma di erudizione (avviene per questo motivo un recupero dei miti minori ed una ricerca delle particolarità di quelli famosi). Molte opere ellenistiche saranno da leggere in quanto perfette dal punto di vista formale, ma totalmente prive di contenuti. Tuttavia non tutte queste opere d'arte sono sterili perché il lettore è libero di scegliere linee di interpretazione a suo piacimento. In quest'epoca nasce il libro.

La tragedia

La tragedia assume queste caratteristiche: viene a mancare sia un legame tra attori e spettatori, sia un dio che s'impone e detta le regole da seguire, l'individualismo viene esasperato. Per questi motivi la tragedia diviene uno sfoggio di erudizione.

Abbiamo solo due autori, Alessandro Etolo e Licofone, famoso per la tragedia "Alessandra", narrazione in 1400 versi di tutte le profezie di Cassandra (quasi tutte sbagliate). Riscontriamo anche nella tragedia l'attenzione per personaggi umili, quali servi e nutrici.


Menandro

Fu il principale esponente della commedia nea, che stravolse completamente i canoni della commedia arcaia e della commedia mesa; per certi aspetti il suo concetto di filanqropia, principale caratteristica delle sue commedie, è confrontabile con l'humanitas di Terenzio. Segnò la linea di demarcazione fra la cultura del 1V° secolo e l'ellenismo e ripose nell'uomo una fiducia illimitata, rifiutando nel contempo la religione ufficiale.

La filanqropia (simile all'humanitas latina) è la principale caratteristica della commedia di Menandro; il concetto di filia non è nuovo nella letteratura greca (basti pensare al fortissimo legame di amicizia esistente tra Patroclo e Achille) e riguardava un forte sentimento di unione tra due persone che si riproponevano i medesimi obiettivi. In Menandro la filanqropia diventa un cercare di capirsi con gli altri uomini, un sentimento di amicizia non circoscritto a due persone ma allargato a tutti gli uomini; e qui è evidente il parallelismo con Terenzio ("homo sum: humanum nihil a me alienum puto"). Mentre però Terenzio rivolge la sua humanitas ad una ristretta élite di persone, Menandro concepisce la filanqropia rivolta a tutti- gli uomini ("com'è cosa gradita per l'uomo essere uomo, qualora l'uomo sia veramente tale"). Tutti gli uomini sono uguali, sia il nobile cittadino sia l'umile servo; quest'aspetto anticipa l'uguaglianza promossa dal Cristianesimo.

Le commedie menandree ci presentano un uomo profondamente complesso psicologicamente, specchio della reale complessità esistente nel rapporto tra uomo e natura. Tutti gli uomini sono presenti nelle commedie di Menandro, con una particolare attenzione all'uomo borghese, il quale non può che comportarsi in modo morale conformemente ai canoni della cultura ellenistica. Questo dà origine al perbenismo, tipica chiave di lettura di tutte le commedie di Menandro. In ogni situazione troviamo un atteggiamento di ironico rispetto verso gli altri, rispetto che spesso sottintende una velata condanna ma che è manifestazione del dovere di rientrare nei canoni ellenistici, che prevedevano un assoluto rispetto del modus vivendi altrui. Perbenismo quindi sia nel nostro significato positivo che negativo del termine. L'uomo di Menandro, infatti, deve rispettare i dettami della sua società conservando sempre le apparenze. Ciò è innovativo per la cultura greca. Questo rispetto si traduce in un sorriso benevolo nei confronti dell'agire umano (anziché nel riso sguaiato di Aristofane, nelle cui commedie l'unico punto di contatto tra realtà e fantasia era rappresentato dalla politica), con una serenità che esclude la tristezza esacerbata e sfumando tutti i sentimenti anche nelle situazioni in cui la realtà spinge l'uomo alla tristezza. Lo scavo psicologico dei personaggi (tropos) è profondo ma non completo, a causa appunto del perbenismo. Menandro ripone nell'uomo una fiducia pressoché illimitata, rifiutando la religione ufficiale; egli vede un pericolo per l'uomo nel fatto che esso dipenda troppo da se stesso e dalla propria razionalità. Questa visione, pur contraddetta dall'uso di scrivere commedie, lo porta ad introdurre il concetto di tuch, che limita la possibilità dell'uomo di cambiare la realtà, ma che non corrisponde ad una divinità, poiché non guida l'uomo secondo un andamento logico (nell'Ellenismo era possibile dare ogni possibile risposta sul divino). Questa limitatezza dell'agire umano si rispecchia nel fatto che le commedie contengono un susseguirsi di azioni che s'incastrano tra loro, facendo sì che non tutto dipenda dall'uomo e consentendo allo stesso tempo lo scavo psicologico. Le commedie di Menandro finiscono tutte in maniera positiva, con una certa contentezza per l'uomo. Questo avviene per due motivi: la necessità di rispettare le regole della commedia e la fiducia estrema che Menandro ripone nella bontà umana dell'uomo. A far sì che le sue opere finiscano sempre bene provvede il perbenismo, chiave di lettura di tutto l'Ellenismo e tipico della borghesia del tempo.


Callimaco

Il maggiore dei poeti alessandrini, è considerato sia il principale teorico sia il migliore esponente della poesia ellenistica. Nato intorno al 300 a. C. a Cirene, in gioventù visse in ristrettezze economiche e si guadagnava da vivere insegnando in una scuola di provincia; poi, non sappiamo come, entrò a far pane della corte, ottenendo il favore dei sovrani. Lavorò alla Biblioteca come poeta ed erudito, ma sappiamo con certezza che non ne divenne mai il direttore; tutte le sue opere sono dedicate ai sovrani che lo proteggevano, Tolomeo Filadeflo e poi Tolomeo Evergete. Le sue opere gli procurarono fama e gloria, ma scatenarono aspri dibattiti con invidiosi contemporanei. Morì intorno al 240.

La produzione di Callimaco come erudito e come poeta fu immensa: la tradizione gli attribuiva ben 800 volumi, oggi quasi tutti perduti. Fatto nuovo nella letteratura greca, Callimaco s'interessò a diversi generi letterari. Delle sue opere di prosa la più importante furono i Pinakes, catalogo ragionato di tutti gli autori e di tutte le opere raccolte nell'immensa Biblioteca di Alessandria. Oltre a classificare le opere per genere e gli autori per ordine alfabetico, Callimaco affrontava anche numerose questioni biografiche e di autenticità. I Pinakes possono essere considerati la prima opera di storiografia letteraria.

Aitia

Gli Aitia erano l'opera più vasta di Callimaco: contenevano circa 4000 versi divisi in quattro libri. Non si trattava di un'opera ordinata, bensì di una raccolta di numerose elegie, in genere indipendenti tra loro. Ogni aition era dedicato alla ricerca delle origini di una festa, di una città, di un mito, di un'istituzione. Oggi ci rimangono il proemio ed alcuni frammenti, tra cui la Chioma di Berenice. Nonostante l'apparente contenuto scientifico, gli Aitia sono in realtà un'opera di intrattenimento, uno sfoggio di erudizione in cui risalta soprattutto la raffinatezza dell'arte di Callimaco.

Il proemio è un'invettiva di Callimaco contro i Telchini, soprannome dato ai poeti invidiosi del suo successo. Il poeta imputa ai Telchini di non rifarsi ai canoni ellenistici del tempo, ma a quelli classici. C'è pervenuto un elenco di questi Telchini, in cui stranamente non figura il nome di Apollonio Rodio, ma vi troviamo Posidippo, che ebbe con Callimaco un'aspra disputa riguardante non lo stile, come quella con Apollonio Rodio, ma l'interpretazione di un'opera che a noi non è pervenuta, probabilmente la Lide di Antimaco di Colofone, risalente al 400 a.C. e antesignana dell'ellenismo

La Chioma di Berenice è l'aition che chiude il quarto e ultimo libro dell'opera. La chioma stessa narra in prima persona la sua storia: fu offerta in voto dalla regina Berenice in occasione della partenza del marito, Tolomeo Evergete, per una spedizione militare in Siria. Ma scomparve dal tempio e l'astronomo di corte la scoprì in cielo, trasformata nella costellazione che da lei prese il nome. Quest'elegia piacque immensamente a Catullo, che la tradusse in latino nel carmen 66; ed è nella sua traduzione che oggi è a noi nota. In quest'elegia l'esaltazione del faraone si unisce a quella della nascente scienza: non si tratta solo di riscontrare una cosa umana nella sfera celeste, ma piuttosto di assecondare il crescente interesse verso la ricerca scientifica.

Inni

Gli Inni di Callimaco sono sei, ciascuno indirizzato ad una divinità. Probabilmente furono composti in momenti differenti e riuniti insieme solo in un secondo tempo. Sono tutti in esametri, tranne Per il bagno di Pallade che è in distici elegiaci. Il contenuto degli Inni è di tipo arcaico e ripreso dagli inni agli dei dello pseudo-Omero, ma affrontandolo con sensibilità totalmente nuova. Gli dei sono messi sullo stesso piano degli uomini e compiono le loro stesse azioni. La somiglianza arriva ad un punto tale che sono descritte la nascita e la fanciullezza del dio, cosa che prima non si era mai trovata se non in Eros, il cupido sempre bambino che scagliando le frecce fa innamorare le persone. Callimaco scrive non semplicemente per esporre il mito ma per fare sfoggio d'erudizione; la sua opera è scritta innanzi tutto per il piacere di scrivere, e solo in secondo piano c'è l'intenzione di erudire il lettore (siamo in un'epoca in cui si diffonde il libro, e con lui si allarga la diffusione della cultura).

Epigrammata

Gli epigrammi di Callimaco si caratterizzano per la loro brevità e per il fatto che al centro di ogni componimento è posto il sentimento. A noi ne sono pervenuti 63, la maggior parte di argomento funerario, ma alcuni anche riguardanti l'autore stesso.

Giambi

Erano tredici componimenti caratterizzati da una grandissima varietà di metro e di contenuto. I meglio conservati sono il primo e il quarto; quest'ultimo, bellissimo, narra un fortissimo contrasto tra l'alloro e l'ulivo.


Apollonio Rodio

In genere i poeti alessandrini attingevano alla tradizione epica per ricavarne non un ampio poema volto all'esaltazione di gesta eroiche, ma un componimento breve e raffinato; a questi fa eccezione Apollonio Rodio. Apollonio Rodio nacque ad Alessandria d'Egitto intorno al 290 a.C. e soggiornò a lungo a Rodi (da qui l'appellativo di Rodio). L'unica altra notizia certa della sua vita è che divenne direttore della Biblioteca.

Apollonio Rodio viene generalmente visto in contrapposizione con il suo ex maestro, Callimaco; in realtà questa rivalità è per alcuni aspetti solo apparente. Apollonio aveva in effetti uno stile molto diverso da quello dì Callimaco, e riteneva di poter scrivere un'opera di carattere epico in età ellenistica. Scrisse effettivamente un'opera gigantesca, le Argonautiche, unico poema ellenistico a noi pervenuto. Non gli riuscì di raggiungere l'acme della poesia in ogni punto dell'opera (era questo il suo intento), ma il III libro è rispondente ai canoni ellenistici e anzi supera per bellezza le opere di molti poeti a lui contemporanei. Paradossalmente Apollonio Rodio, che non voleva assolutamente essere vox dell'ellenismo, ne diventa una sorta di emblema.

Le Argonautiche

Sono un poema in esametri lungo circa seimila versi divisi in quattro libri. Narra le vicende della spedizione degli Argonauti, dalla partenza da Iolco fino al ritorno in Grecia. Il I, il II (che descrivono il viaggio di andata nella terra della Colchide) e il IV (dedicato al ritorno in patria) sono molto pesanti, ma il terzo, che racconta l'amore tra Giasone e Medea, è considerato uno dei capolavori dell'ellenismo. Eccettuato il terzo libro, si può affermare che Apollonio non si inserisce a viva forza nel mito, mutandolo o spezzandolo, ma lo mantiene sostanzialmente inalterato; ad esempio, il poema inizia con la descrizione dei partecipanti alla spedizione, che ricalca l'elenco delle navi che presero parte alla guerra di Troia contenuto del II libro dell'Iliade. Giasone viene messo in evidenza (è l'ultimo ad essere nominato), ma di lui sono descritti i tratti più umani; non è presentato come anhr, ma nemmeno come uomo emblema dell'ellenismo; ha dei sentimenti, ma non c'è uno scavo psicologico profondo. Egli vuole raggiungere il proprio fine (conquistare il vello d'oro), ma non scavalca il suo mondo sentimentale (come invece fece Enea). Giasone resta freddo (mentre il Giasone di Euripide ha un suo mondo sentimentale in cui crede), a metà strada tra uomo e eroe.

Si riscontrano anche delle caratteristiche peculiari dell'ellenismo, come lo scendere nel particolare (ad esempio quando Apollonio, anziché parlare di generici alberi, specifica di quali alberi si tratta, querce e pioppi) o l'azione ripetuta molte volte per aumentare il paqos e la tragicità dell'azione. E' invece tipico di Apollonio il gusto per l'avventura e per l'esotico, e si sofferma a descrivere posti nuovi, distanti e lontani (sullo sfondo c'è lo sviluppo commerciale raggiunto dall'ellenismo). Questa voglia di conoscere è però diversa dalla voglia di fare esperienza (swfrosunh) di Ulisse. Il gusto per l'elemento naturalistico non si limita al livello descrittivo, ma si presenta anche come interesse sentimentale nei confronti della natura. Non è questa una novità per il mondo greco: la partecipazione sentimentale verso la natura la riscontriamo in Omero e Saffo (1a quale, addirittura, diventava natura); anche se in Apollonio non c'è un annullarsi dell'elemento umano nell'elemento naturalistico, ci si arriva vicino sul piano del sentimento.


L 'epigramma

L'epigramma ellenistico, pur venendo ancora usato come iscrizione per motivi pratici, si slegò progressivamente dal motivo occasionale per diventare il componimento lirico più coltivato dagli autori ellenistici, in quanto genere che meglio di tutti rispondeva alle esigenze della poetica del tempo. La sua caratteristica fondamentale fu la brevitas, che permetteva di raggiungere immediatamente l'acme della poesia e di mantenerlo per tutto il componimento: la cura formale era infatti essenziale per i poeti dell'ellenismo. Un altra caratteristica peculiare fu la spiccata soggettività: l'autore si poneva in prima persona nel componimento e fissava in pochi versi uno stato d'animo o una vicenda della vita. I temi trattati erano svariati: l'amore il vino, la morte, un paesaggio, una disputa letteraria, la descrizione di un ambiente o di un mestiere. Il metro più usato fu il distico elegiaco. Quasi tutti gli autori ellenistici composero epigrammi, e tra loro spiccano Anite e Nosside, le uniche due autrici di tutto l'ellenismo.

L'intera composizione epigrammatica greca ci è giunta attraverso due raccolte: l'Antologia Palatina e l'Antologia Planudea. L'Antologia Platina fu scoperta in un codice della biblioteca Palatina di Heidelberg nel 1607; abbraccia una produzione di oltre 15, secoli, comprendente circa 3700 epigrammi divisi per argomento in 15 libri. La Palatina si basa su precedenti raccolte.

L'Antologia Planudea prende il nome dal monaco amanuense Massimo di Planudea che la portò a termine nel 1299. Comprende sette libri in cui compaiono sostanzialmente gli stessi epigrammi della Palatina con la totale esclusione di quelli a carattere erotico o amoroso. Per non far notare il taglio il monaco collocò gli epigrammi in ordine alfabetico. La Planudea ne comprende anche 388 che non si trovano nella Palatina e che vanno a costituire l'Appendix Planudea.


L 'elegia

Accanto all'epigramma, fu il genere letterario più coltivato dai poeti ellenistici. Pur avendo in comune con l'epigramma il metro (distico elegiaco); l'elegia presenta significative differenze con quest'ultimo; è un componimento di maggior lunghezza, e per questo non raggiunge subito l'acme della poesia e non sempre riesce a mantenerlo fino al termine; l'individualismo è meno accentuato e spesso il protagonista non coincide con il poeta, ma è un personaggio mitico, i cui sentimenti rispecchiano quelli dell'autore. Il tema più trattato fu quello amoroso, ma spesso l'amore del mito si sostituiva all'amore del poeta; si sviluppò anche un particolare tipo di elegia, detta elegia etiologica, che è dedicata a spiegare l'origine di una festa o di un nome e ha la sua massima espressione negli Aitia di Callimaco.


Teocrito

Fu il poeta che meglio interpretò le esigenze dei tempi e che seppe unire alla perfezione formale la sincerità del sentimento, riuscendo quasi sempre ad evitare quelli che erano i pericoli più gravi dell'ellenismo: l'erudizione e l'artificiosità. Uno dei suoi principali meriti è quello di essere stato il padre della poesia bucolica, raccogliendo il modello mitico di Dafni, il pastore-poeta cantato da Stesicoro, ed elevandolo a nobile e seguito genere letterario.

Incerte sono le vicende della sua vita; sappiamo però con certezza che egli fu particolarmente legato a tre località: Siracusa, Cos e Alessandria. A Siracusa il poeta nacque poco prima del 300 a.C. e da questa terra ebbe l'ispirazione per i suoi componimenti che cantano i pastori, la vita dei campi, il paesaggio mediterraneo. A Cos il poeta visse a lungo e conobbe Filita e Asclepiade, come è testimoniato dalle Talisie. L'Encomio di Tolomeo ci mostra Teocrito legato alla corte di Alessandria, dove certamente conobbe Callimaco, di cui fece suoi gli ideali artistici. Ignoriamo il luogo e la data della sua morte.

Di lui ci sono pervenuti 30 idilli (di cui una ventina di sicura attribuzione), 24 epigrammi e la Zampogna. Gli idilli (quasi tutti in esametro e lingua dorica) sono brevi componimenti di contenuto vario; appunto in base al contenuto vengono divisi in:

8 Carmi bucoIici (da boucolos =.pastore), composizioni in cui si canta la vita dei campi ed i sentimenti dei pastori. Particolare bellezza hanno quattro di loro: il Tirsi, le Talisie, I Mietitori, il Ciclope.

3 Mimi (L'Incantatrice, l'Amore di Cinisca, le Siracusane),che trattano la vita quotidiana.

4 Epilli (L'Ila, l'Epitalamio di Elena, i Dioscuri, l'Eracle bambino); si tratta di brevi poemetti epico mitologici che spesso introducono nel mito quella nota borghese caratteristica del tempo.

2 Encomi (a lerone, l'Encomio di Tolomeo), che abbondano di omaggio cortigiano.

3 Carmi lirici (metro lirico e dialetto eolico), due dei quali cantano l'amore adolescenziale, di scarso rilievo.

I 24 epigrammi, molti dei quali di discussa autenticità, hanno le stesse caratteristiche della migliore epigrammatica alessandrina.

La Zampogna è un tecnwpaegnion, ossia un carme figurato in cui Teocrito fa sfoggio della propria abilità; i versi, che a ogni riga diventano più brevi, imitano visivamente la figura della zampogna di Pan.


Eroda

Riprese il genere del mimo, ma in maniera diversa da Teocrito, adattandolo maggiormente alla realtà del quotidiano; non ebbe la genialità poetica del padre della poesia bucolica, ma ci ha lasciato ugualmente ritratti vivissimi e non convenzionali di alcuni popolani del III secolo a. C.

Fino alla fine del secolo scorso, quando furono ritrovati in un papiro egizio otto dei suoi mimi, non sapevamo praticamente nulla di Eroda. Grazie al ritrovamento possiamo collocare il poeta nel III a.C. e ipotizzare che sia vissuto in una delle isole del mediterraneo, Cos o la Sicilia. Gli otto mimi, l'ultimo dei quali lacunoso, presentano una particolare attenzione per il mondo borghese, per le descrizioni minuziose e particolareggiate, per il quotidiano e per il realismo delle situazioni; tutte caratteristiche tipiche per periodo ellenistico. Contrariamente ai mimi di Teocrito (che erano in distici elegiaci, il metro nobile per eccellenza), i mimi di Eroda sono dei mimiambi, cioè mimi in giambi, o più esattamente in coliambi, il metro di Ipponatte. E di Ipponatte, oltre al metro, Eroda adotta anche la lingua che presenta un forte colore ionico e un certo crudo verismo che si manifesta per la predilezione di ambienti e caratteri comuni.

Nel Mimo I (la mezzana) assistiamo al tentativo di una vecchia mezzana di convincere una giovane sposa il cui marito è in viaggio da mesi a lasciarsi andare alle avance di un giovane atleta. La mezzana incarna la saggezza popolare, slegata da qualsiasi morale, mentre la giovane difende la fedeltà del proprio sentimento, considerando tra l'altro che la bianchezza dei capelli rende ottusa la mente.

Nel Mimo III (il maestro di scuola) sono descritte le imprese di Cottalo, un ragazzino svogliato e monello che non vuole saperne di studiare. La madre, esasperata, decide di ricorrere ad un maestro privato, che però fallisce anche lui nell'intento.

Nel Mimo VII (il calzolaio) è descritta l'abilità di un bravo calzolaio a vendere le proprie calzature a nuove clienti al prezzo stabilito da lui, grazie anche all'aiuto di una sua vecchia cliente.

Il Mimo VIII (il sogno) ci è giunto gravemente mutilo; lo sviluppo della trama è molto particolare, in quanto esula dalla quotidianità e ci presenta un sogno con significato allegorico riguardante gli elementi della letteratura.

Riguardo ad Eroda sono stati molto discussi due problemi. Il primo riguarda il fatto se egli meriti il nome di poeta o se i suoi personaggi siano dei semplici tipi fissi; studiando attentamente la mezzana, il suo personaggio più riuscito, possiamo rilevare la sua abilità poetica, esistente ma certamente inferiore a quella di Teocrito. Il secondo problema riguarda il realismo in Eroda, ed è un problema che riguarda l'intera letteratura greco-romana: la rappresentazione del popolo e del quotidiano è veramente realistica? Non lo è nel senso moderno del termine, perché gli antichi riservavano lo stile sublime alla rappresentazione del mondo aristocratico e consideravano tutto ciò che è ordinario e quotidiano (insomma il mondo degli umili) solo come materia da rappresentare comicamente, senza un reale approfondimento. E questo limite è stato superato dalla letteratura moderna, che ha trattato ogni personaggio, nobile o umile che sia, con il differente taglio di approfondimento problematico scelto dallo scrittore.


La Poesia

Callimaco, Apollonio Rodio e Teocrito furono senza dubbio i maggiori poeti dell'età ellenistica. Tuttavia, meritano considerazione altri poeti, che si distinsero nel genere didascalico (Arato) e in quello bucolico (Mosco e Bione).


Filologia

Nell'ellenismo nacque una nuova disciplina, la filologia, che rientra nel campo dell'indagine scientifica ed esatta. Il suo oggetto è lo studio dei grandi autori del passato (ad esempio, Omero), finalizzato al recupero, alla ricostruzione e alla comprensione del testo originale. All'Iliade e all'Odissea vennero in questo periodo attribuite l'attuale scansione in libri e la successione cronologica (Iliade in lettere maiuscole, Odissea in lettere minuscole); inoltre, si affrontarono numerosi problemi di autenticità, si diedero le prime edizioni critiche e le prime interpretazioni dei punti più difficili. Risale a questo periodo il primo dibattito sulla questione dell'unità o meno dei due poemi omerici, e si vennero a creare i due filoni dei korizontes (separatisti) e dei neounitari (il cui campione fu Aristarco)

I centri principali per lo studio dei testi antichi furono Alessandria e Pergamo. Alessandria si specializzò nella critica testuale, occupandosi di organizzare le varie lectiones dei testi più importanti; ad Alessandria si svolse il dibattito sulla questione omerica, con tutte le conseguenze sopra elencate. A Pergamo si sviluppò prevalentemente il commento dei contenuti, che inizialmente vennero interpretati alla luce dello stoicismo in un'ottica allegorica e moraleggiante. Via via la scuola di Pergamo moderò i suoi eccessi, andando a costituire la prima scuola di critica letteraria in senso moderno. Ad Alessandria si affermò prevalentemente l'analogia, mentre a Pergamo l'anomalia.


Scienza

Nell'ellenismo si assiste al fenomeno delle specializzazione, che riguardò anche l'ambito scientifico; tranne la notevole eccezione di Eratostene, il più grande enciclopedico del tempo, i dotti si specializzavano in precisi settori: matematica (Euclide e Archimede), astronomia (Aristarco e Ipparco), medicina (Erofilo ed Erasistrato), meccanica (Ctesibio e Erone).

E' significativo notare come un così grande sviluppo scientifico non sia stato accompagnato da un altrettanto grande sviluppo della tecnica, esattamente l'opposto di quanto avverrà poi a Roma. La cause sono da ricercare in parte nell'impostazione della filosofia platonica, che metteva al primo posto il sapere e all'ultimo il fare, e in parte nella grande abbondanze di manodopera a basso costo fornita dagli schiavi, che non incoraggiava lo sviluppo di macchine che sostituissero il lavoro dell'uomo.

Eratostene di Cirene (che rivestì anche l'incarico di direttore della Biblioteca) fu il fondatore della geografia moderna: disegnò con sufficiente esattezza una carta geografica, tracciandovi meridiani e paralleli, misurò la lunghezza del meridiano terrestre con un'approssimazione che ha del prodigioso (40050 km. o, secondo altri, 46000 circa, rispetto ai 40003 calcolati dalla scienza moderna); distinse sulla superficie della terra le cinque zone astronomiche che sono rimaste fondamentali; ci diede infine nel primo libro della Geografia, la sua opera più importante, una prima storia della scienza geografica, da Omero ai suoi tempi.

Euclide fu il padre della scienza geometrica. Gli Elementi, in 13 libri, sono un'organica sistemazione dell'intera geometria sulla base del metodo ipotetico-deduttivo; per 22 secoli gli Elementi sono stati il testo fondamentale per l'apprendimento della geometria e solo ai giorni nostri si è giunti a concepire una geometria non euclidea.

Archimede di Siracusa fu non solo un grande matematico, ma anche un geniale ingegnere. Inventò numerose macchine, tra cui sono rimaste famose quelle da guerra, usate per la difesa della città contro il console romano Marcello. Tra le sue opere fondamentali ci rimangono uno scritto sulle sezioni coniche, Dei conoidi e sferoidi, e uno indirizzato ad Eratostene, Sul metodo, in cui l'autore precorre il moderno calcolo infinitesimale. Normalmente Archimede scrive in dialetto dorico; solo quest'ultima opera è scritta usando la koinh.


Periodo greco-romano

 Nel 30 a.C. cade l'ultimo dei regni ellenistici; ora la cultura greca è totalmente soggetta al dominio di Roma e si avvia verso il declino. Tuttavia, emergeranno ancora figure rilevanti come Plutarco, Luciano, Marco Aurelio, senza contare che il greco divenne la lingua del dirompente Cristianesimo negli anni della sua affermazione in tutto l'Impero.

L'ultimo periodo della letteratura greca va dal 30 a.C. (conquista dell'Egitto) al 529 d.C. (soppressione della scuola neoplatonica di Atene per ordine dell'imperatore Giustiniano). Tra le varie denominazioni possibili, si è scelto quello di periodo greco-romano per evidenziarne il carattere fondamentale: la letteratura greca si sviluppa ora in un mondo dominato politicamente e culturalmente da Roma, e non può più prescindere dal suo legame con essa.

Nel campo politico Grecia e regioni orientali, come anche le altre parti dell'Impero, non hanno nessuna indipendenza: ridotte a provincie imperiali, sono governate da proconsoli eletti dal senato (le provincie senatorie) e da legati scelti dall'imperatore (quelle imperiali). Nei primi tre secoli, tuttavia, gli imperatori permisero una certa autonomia locale e favorirono la formazione di una classe dirigente locale che, entro le strutture imperiali, regge l'amministrazione della città. Con l'avvento di Diocleziano (284-305) scompare ogni residua traccia di autogoverno cittadino e ogni parvenza di autonomia delle poleis. Nello stesso tempo, con l'introduzione della tetrarchia (divisione dell'impero in quattro zone rette da due Augusti e da due Cesari) si avvia un processo che porterà al completo distacco fra le regioni orientali e quelle occidentali, distacco sancito da Teodosio nel 395 con la creazione dell'Impero d'Occidente, ben presto miseramente travolto da onde si barbari, e dell'Impero d'Oriente, che riuscì a sopravvivere per circa un millennio (1453, caduta di Costantinopoli) e fu chiamato Bizantino.

In campo economico si diffuse in tutto l'Impero quel "capitalismo urbano" che aveva contrassegnato il periodo ellenistico: la città è il centro di tutte le attività produttive e commercia fiorentemente con le altre, trovando in una borghesia ricca e intraprendente il suo principale sostegno. Si raggiunse l'apice di questo sviluppo produttivo, ma soprattutto commerciale, nel II secolo, durante l'età di Adriano e degli Antonini. Nel frattempo si acuivano le tensioni sociali: all'agiatezza delle classi medie si contrapponeva la miseria del proletariato urbano e contadino. Nel III secolo scoppiò una grave crisi che portò ad una lunga anarchia militare e a sanguinose lotte di classe. Le riforme di Diocleziano e di Costantino cercarono di portare un rimedio a questa situazione, ma riuscirono solo in parte. Ne seguì un impoverimento progressivo, che portò al sostituirsi ad un'economia di tipo urbano, soprattutto nelle regioni occidentali, di una "economia domestica"; le città perdettero il loro importante ruolo, aumentò il significato ed il peso della campagna. Erano i prodromi del Medioevo.

In campo culturale, generalizzando, si avverte un'esasperazione delle tematiche ellenistiche. L'individuo si dissocia sempre di più dalla vita politica, sentendo estraneo a sé il significato e il destino dell'Impero. Nella generale instabilità politica, economica e sociale non crede più nella razionalità delle cose e afferma l'ideale della rinunzia e della fuga dal mondo, ricercando la salvezza dell'uomo nella sua interiorità e più ancora in Dio. La religione tradizionale ha definitivamente perduto ogni ragion d'essere: ora sono le religioni orientali e i culti misterici ad appagare le esigenze spirituali dei cittadini dell'Impero. La ricerca scientifica perde il suo carattere sociale e diventa uno strumento con cui poter accedere alla salvezza, confondendosi sempre di più con la magia, l'astrologia, l'alchimia. Anche la filosofia smette di ricercare la santità a favore della salvezza dell'uomo, privilegiando la rivelazione alla ragione e spesso sfociando in una fede religiosa (il neopitagorismo, lo stoicismo, il neoplatonismo di Plotino.). In questo clima di stanchezza e di sfiducia, mentre la sapienza antica canta il suo vanitas vanitatum, sorge il Cristianesimo e a predicare la mondo la "Buona novella". Uscito vittorioso da secoli di lotte e di persecuzioni, il Cristianesimo ottenne prima la libertà di culto (313, Editto di Costantino), e fu poi riconosciuto religione ufficiale dell'impero (380, editto di Teodosio), andando a rappresentare la svolta decisiva di questo periodo.

La letteratura del periodo greco-romano mostra evidenti segni di decadenza, acuiti, oltre che dal clima generale, dall'invadenza della retorica, che la rese vuota e sterile, e dalle mode classiciste che proponevano l'imitazione del passato, a scapito delle creazioni originali. Pure, si affermarono ancora notevoli scrittori, come Plutarco e Luciano, nobili figure di imperatori-filosofi, come Marco Aurelio e Giuliano, un geniale pensatore come Plotino. Il romanzo conobbe adesso la sua massima diffusione, e anche la poesia presenta qualche voce nuova, come quella dell'epigrammatista Agatia, autore del Ciclo. Infine, accanto alla letteratura profana sorse quella cristiana, che utilizzò il greco per diffondere il Vangelo in tutto l'Impero (il Nuovo Testamento è interamente in greco).

Con la chiusura della scuola neoplatonica, avvenuta nel 529, si fa finire tradizionalmente la letteratura greca antica; ma essa non finì mai veramente: la civiltà bizantina e cristiana ne assorbì gli elementi più fecondi e ne continuò l'eredità nei secoli del Medioevo.


Plutarco

E' il biografo per eccellenza della cultura greca, colui che ha creato che le sue Vite eroi immortali che sono stati visti nei secoli come modelli di virtù e di perfezione morale, o come simboli d libertà e di ribellione alla tirannide, o come esempi di destini tragici e dolorosi, o infine come rappresentanti dei più autentici valori umani.

Nacque a Cheronea in Beozia poco prima del 50 d.C. da una famiglia che apparteneva alla tipica borghesia del periodo imperiale. Completò la sua formazione ad Atene, aderendo al platonismo. Compì numerosi viaggi e fu a più riprese anche a Roma, ma non vi rimase a lungo; egli amava il piccolo borgo di Cheronea che non voleva abbandonare e dove trascorse la maggior parte della sua esistenza, dedicandosi ai suoi studi e occupando anche importanti cariche pubbliche nell'amministrazione cittadina. Per molti anni fece anche parte del collegio sacerdotale del vicino santuario di Delfi; assieme al platonismo, l'esperienza religiosa fu determinante per la formazione della sua concezione morale. Morì poco dopo il 125.

Della sua vastissima produzione a noi sono giunti due gruppi di opere: i Moralia e le Vite parallele.

Moralia

Sotto il nome di Moralia ci sono pervenuti un'ottantina di scritti (alcuni di dubbia autenticità) che trattano delle questioni più disparate: morali, filosofiche, religiose, pedagogiche, letterarie, politiche, scientifiche, erudite. Nelle opere filosofiche e morali Plutarco espone e divulga il pensiero platonico, polemizzando con epicurei e stoici e proponendo una serie di saggi consigli e pratici rimedi contro i vizi e le passioni, ponendosi come "un medico dell'anima". Inoltre Plutarco fu uno spirito profondamente religioso e animato da un vero interesse per il problema di Dio e della sua opera del mondo; da una parte resta fedele alle credenze e ai riti della religione tradizionale, dall'altra si apre alle esigenze filosofiche e alle idee dei suoi tempi e cerca di pervenire alla concezione di un dio unico e di una religione comune a tutti gli uomini.

Vite parallele

La fama di Plutarco è però legata alle Vite parallele, coppie di biografie nelle quali un personaggio greco viene contrapposto ad un personaggio romano (es. Alessandro-Cesare, Demostene-Cicerone, Teseo-Romolo); spesso, alla fine di ogni coppia segue un breve parallelo che sottolinea analogie e differenze tra i due personaggi studiati. Conserviamo in tutto 50 Vite: di esse 46 sono abbinate e 4 isolate. Questa impostazione rivela che il confronto non è tra i singoli personaggi, ma tra il mondo greco e quello romano, in modo da dimostrare la grandezza di entrambi. Va comunque rilevato che molti accostamenti sono forzati e arbitrari. La biografia di Plutarco segue in genere uno schema fisso: narra in ordine cronologico, dalla nascita alla morte, i principali avvenimenti del personaggio, ponendo una certa attenzione ad aneddoti e particolari curiosi, nell'ottica che "spesso un fatto insignificante, una parola, uno scherzo, manifestano l'indole di un uomo, più delle battaglie sanguinose o dei grandi schieramenti di eserciti o degli assedi delle città". Caratteristica di Plutarco è di porre in risalto i momenti più solenni e più drammatici della vita dei suoi eroi, creando scene piene di un paqos che avvince e commuove; questa predilezione per gli eventi più drammatici e per le tinte più fosche e macabre lo avvicina a Tacito. Plutarco definisce nella sua opera il taglio biografico che intende seguire: "non scriviamo storia, ma vite". Infatti, non ha un vero interesse per la storia e spesso è incapace di cogliere i nessi profondi degli avvenimenti e di analizzare in modo globale il contesto storico in cui si muovono i personaggi delle Vite. Il suo scopo dichiarato è quello di presentare al lettore le grandi figure del passato, creandone degli eroi (è più poeta che storico). Gli eroi di Plutarco sono imbevuti delle sue concezioni etiche, in modo che dalle azioni e dal carattere del personaggio si può con immediatezza trarne un insegnamento morale. Questo , se da una parte impedisce una visione profonda dell'esistenza con il giudicare ogni cosa con una visione unilaterale, dall'altra gli permette di disporre i fatti in virtù di un ordine superiore, illuminando il personaggio di una luce singolare da cui emerga il suo carattere e la sua grandezza. L'eroe di Plutarco non è perfetto, non è esente da difetti o da errori, ma anche nei suoi aspetti negativi si distingue dagli altri, ergendosi sopra un piedistallo.

Plutarco è confrontabile con tre biografi della letteratura latina: Varrone, Cornelio Nepote, Svetonio. In generale, l'interesse dei latini, volto alla vita, è per i fatti realmente accaduti, per le azioni (fine pragmatico), piuttosto che alla conoscenza del profondo dell'animo del personaggio, ottenuta da Plutarco facendo ricorso all'elemento patetico. Con Cornelio Nepote siamo nella fase delle guerre civili, ed il suo travaglio interiore si rispecchia nel De viris illustribus; anche lui aveva adottato lo stesso sistema di confrontare Greci e Romani con intento moralistico, ma senza l'ampiezza di respiro di Plutarco. Varrone, nei Logi Storici, parla di un miscuglio di razionalità e di azione compiuta; adotta un taglio particolare avvicinabile a Cornelio Nepote perché i personaggi sono travagliati e incapace di aderire a qualcosa di sicuro. Svetonio, nel De vita Caesarum, cammina per categorie chiuse (schema fisso della biografia), avendo già in testa la visione dei fatti. Questo avere un programma già prefissato gli permette di evidenziare i particolari, appagando il suo gusto per l'aneddoto: Svetonio narra la vita degli imperatori come se guardasse dal buco della serratura Plutarco è l'unico tra i biografi antichi che ha un vero interesse per l'uomo e per il suo dramma. Da notare il fatto che i biografi vengono fuori prevalentemente in momenti di crisi.


La retorica

Nel I e nel Il secolo d.C. la retorica assume una grandissima importanza e un notevole prestigio, andando a identificarsi con la cultura stessa. Il suo significato verrà molto approfondito, ma sarà accompagnato parallelamente da un impoverimento dei contenuti; l'interesse per la retorica sarà soltanto a livello formale. Il mondo greco lascerà la sua eredità in questo campo al mondo latino, il quale a sua volta lo trasmetterà alla letteratura apologetica (detta anche patristica dal nome degli artefici, "i padri della chiesa").

Il dibattito in campo stilistico fa sì che comincino a delinearsi due movimenti distinti, l'asianesimo e l'atticismo. L'asianesimo nacque all'inizio dell'ellenismo (III a.C.) per opera di Egesia di Magnesia in Africa, prendendo come modello lo stile di Lisia (denso, schematico, non indulgente a costruzioni artificiose). Nei due secoli successivi si venne a creare un ribaltamento totale all'interno dell'asianesimo (anche per il fatto che fu adottato in prevalenza dai retori dell'Asia Minore, che introdussero nel dialetto attico termini ionici): si venne a creare uno stile ricercato, pieno di ornamenti retorici, ampolloso, "bombastico". Noi intendiamo per asianesimo questo stile. Contemporaneamente (I a.C.) si venne a creare una nuova corrente di retorica basata su Lisia, ossia sulla stringatezza della frase e sull'essenzialità del costrutto. Questa corrente di retorica è detta atticismo. Per assurdo, l'atticismo nacque a Roma, capitale della ricerca di un nuovo indirizzo letterario, e si diffuse subito nel mondo greco. Ci fu una reale contrapposizione tra i due stili. Lo stile di Cicerone è lo stile rodiese, a metà strada tra i due a livello di costruzione, ma non a livello cronologico. Lo stile rodiese nacque nel II a.C. per mitigare gli eccessi dell'asianesimo prima maniera, quando l'atticismo non era ancora nato.

La retorica antica non si limitava a porre la propria attenzione sulla scelta del termine (come avveniva con i Sofisti), ma aveva come oggetto di studio anche la costruzione migliore per il periodo. Nel I secolo a.C. si precisano a questo riguardo due posizioni opposte: la prima fece capo al retore Apollodoro di Pergamo, la seconda a Teodoro di Gadara, vissuto nella generazione successiva. Apollodoro concepisce la retorica come un scienza fissa, dotata di canoni ben precisi (a questa concezione ha aderito anche Cicerone, e anche in Lisia avveniva una divisione tra le varie parti dell'orazione apologetica). Ogni logos deve essere suddiviso in quattro parti, ma solo alla prima (prologo) e all'ultima (epilogo) è riservato l'elemento patetico, la capacità di suscitare nel lettore un particolare sentimento. La parti centrali consistono nella descrizione del fatto e nell'esposizione del ragionamento dell'oratore (non c'è una schematizzazione ben precisa). Teodoro concepisce la retorica come un'arte, una capacità insita nell'uomo, il quale può comporre la propria opera a seconda del proprio modo di vedere. il paqos può esserci in qualsiasi parte dell'orazione, cosi come l'esposizione può riguardare anche il prologo o l'epilogo. La ricerca del paqos è spiegabile nell'ellenismo con il fatto che è la forma espressiva più istintiva. Per paqos si intende una partecipazione emotiva e sentimentale, non circoscritta necessariamente al sentimento del dolore (come avveniva nella tragedia, che mirava alla catarsi). I teodorei fanno ampio ricorso alla fantasia, intesa come forza irrazionale che possiede l'anima e che esce dai canoni del logos. Nell'ellenismo fantasia non vuoi dire uscire dalla realtà e proiettarsi in un mondo fantastico, ma semplicemente uscire dalla realtà (non c'è il bisogno di costruire un qualcosa).

In estrema sintesi possiamo dire che i retori seguirono principalmente due filoni ben distinti e contrapposti tra loro: quello degli apollodorei\atticisti\analogisti\puristi (orazione impostata secondo un rigido schema, stile stringato ed esatto, rifiuto della lingua corrente, rifiuto di parole nuove e di hapax) e quello dei teodorei\asiani\anomalisti\antipuristi.


Anonimo del Sublime

Nel I a.C. Cecilio di Calatte, fedele seguace di Apollodoro, scrisse un opera dal titolo peri uyous , a noi non pervenuta. Possiamo conoscere in parte il contenuto di quest'opera grazie ad un altro trattato, intitolato sempre peri uyous, scritto da un seguace di Teodoro per controbattere Cecilio, autore che tutt'oggi non siamo riusciti a identificare.

Ci è pervenuto quasi integro un trattato intitolato Sul sublime (peri uyous) e contiene un elenco di canoni grazie ai quali un'opera raggiunge l'acme della perfezione. E' stato scritto da un seguace di Teodoro intorno alla metà del I secolo d.C. che, per l'impossibilità di identificarlo con certezza, chiamiamo Anonimo. Sono state fatte due ipotesi di identificazione. La prima con Dionigi di Alicarnasso, che visse alla corte di Augusto (l'autore del Sublime ebbe sicuramente dei legami con la corte dell'imperatore) ma che è stato un fedele assertore delle idee dell'atticismo, mentre l'Anonimo è asiano. La seconda con Cassio Longino, asiano e conforme alla idee dell'Anonimo, ma vissuto due secoli dopo la data probabile di composizione del Sublime.

L'Anonimo afferma che le fonti da cui scaturisce il Sublime sono cinque, delle quali tre (poggia delle figure retoriche, nobiltà dell'espressione, collocazione delle parole) si possono acquisire con l'esercizio e l'arte retorica, mentre le altre due (elevatezza del pensiero, passionalità) devono essere per forza innate. L'Anonimo tende a scendere sempre di più nel particolare, secondo un uso tipicamente ellenistico, e a fondere elementi degli apollodorei nella concezione teodorea.

il Sublime è anche un'opera di critica letteraria, e contiene un'infinità di giudizi critici sui più disparati autori dell'antichità. Infine, nell'ultimo capitolo, viene affrontato il problema della decadenza dell'oratoria, che l'Anonimo attribuisce alla mancanza di libertà dovuta alla situazione politica della Grecia del tempo e soprattutto alla schiavitù delle passioni e alla conseguente corruzione morale; è singolare notare che le stesse cause per cui decade l'oratoria greca saranno le stesse per cui decadrà l'oratoria latina.


La Seconda Sofistica

La Seconda Sofistica si richiama già nel nome alla prima, fiorita in Grecia nel V secolo a.C. Mentre l'antica Sofistica aveva esteso i suoi interessi ai vari campi della civiltà (retorica, filosofia, religione, politica.) e aveva rappresentato un momento decisivo nella storia del pensiero, la Seconda Sofistica riprese e continuò solo l'aspetto retorico e risultò un fenomeno vistoso ed appariscente, ma poco profondo e poco fecondo per l'avvenire. I secondi sofisti si dedicarono quasi esclusivamente alla ricerca della bella forma, facendo sfoggio di bravura stilistica, in argomenti spesso futili o di scarsa importanza; molti di loro furono dei conferenzieri brillanti ed applauditi.


Luciano

Vissuto a Samosata sull'Eufrate, si formò di una cultura epidermica e visse un gran senso di sfiducia verso il mondo del divino, che derise apertamente, non per dissacrare ma per divertirsi. Secondo il giudizio di Lesky, "aveva abbracciato lo scetticismo come concezione del mondo e la satira come professione".

Nato intorno al 120 a Samosata sull'Eufrate, imparò il greco a scuola, perché la sua prima lingua fu il siro. Da ragazzo fu apprendista presso uno zio scultore, ma un incidente sul lavoro pose fine all'esperimento, come egli racconta nel Sogno. Quindi Luciano compì gli studi retorici e iniziò la sua attività di sofista, viaggiando in tutte le regioni dell'Impero fino alla Gallia. Verso i quarant'anni abbandonò la retorica per dedicarsi al dialogo e alla satira; questo improvviso cambiamento e alcuni brani del Nigrino hanno fatto nascere in alcuni critici l'idea di una conversione di Luciano alla filosofia: "il discorso lo condusse a lodare la filosofia, e la libertà che da essa deriva, ed a spregiare quei che il volgo crede beni, la ricchezza, la gloria, la potenza, gli onori, l'oro, la porpora, ed altre cose tanto ammirate da molti, ed una volta anche da me"; ". in breve acquistai acutissima la vista dell'anima, che fino ad allora era stata cieca, ed io non me n'ero accorto". In realtà il Nigrino è sì un'opera che denota un serio atteggiamento di Luciano, ma si trattò di una disposizione momentanea, non di una vera conversione alla filosofia. Negli ultimi anni della sua vita, Luciano fu funzionario imperiale in Egitto; morì probabilmente verso il 190.

Sotto il nome di Luciano ci è giunta una raccolta di 82 scritti, chiamati comunemente Dialoghi. In realtà solo alcuni hanno forma dialogica, altri solo semplici esercitazioni retoriche, altri sono a carattere autobiografico (Sogno, Nigrino) altri sono dei veri e propri romanzi (come Lucio o l'asino), altre sono opere satiriche, divise, secondo l'argomento che prendono a bersaglio, in tre gruppi:

Satira filosofica: Vite all'Incanto, Pescatore. Nelle Vite all'Incanto Zeus, con l'aiuto di Mercurio, vende all'asta le vite dei principali filosofi, e i compratori li prendono a pochissimo. Nel Pescatore si immagina che i filosofi che erano stati offesi nelle Vite all'Incanto risuscitino dall'Ade per vendicarsi del loro nemico; Luciano si difende sostenendo che egli ha inteso attaccare i filosofi contemporanei, che hanno tanto degenerato da quelli antichi. Per smascherali getta dall'Acropoli di Atene l'amo innescato con qualche fico e qualche moneta d'oro: subito molti abboccano.

Satira religiosa: Dialoghi degli dei, Dialoghi marini, Zeus confutato, Zeus tragedo. I Dialoghi degli dei e i Dialoghi marini (cioè di divinità marine) sono dei mimi in cui gli dei vengono presentati nei loro difetti e nelle loro debolezze. Non è ancora un attacco aperto contro la religione tradizionale, ma un'ironia leggera e velata. La satira diventa audace e aggressiva nello Zeus confutato, dove il padre degli dei non riesce a conciliare destino e provvidenza, e nello Zeus tragedo, dove il padre degli dei è costretto ad appoggiare un filosofo stoico perché vinca una disputa contro un epicureo, evitando così l'oblio dei mortali.

Satira morale e sociale: Dialoghi dei morti. Luciano deride apertamente la stoltezza degli uomini ed il loro affannarsi dietro alle grandi passioni; tanto, dopo la morte, tutto si deve abbandonare e tutti nudi e uguali si entra nel regno dei morti: vanità è la ricchezza, vanità è la potenza, vanità è la bellezza. C'è anche un po' dell'invidia di classe (Luciano, a quanto ne sappiamo, non divenne mai ricco) in questo scherno contro i ricchi e i potenti. Siamo ora nella mordace satira menippea; non a caso il protagonista è il cinico Menippo, al quale viene concesso da Mercurio di portare con sé nel regno dei morti la parlantina, la franchezza, il buon umore, il motto e il riso, "cose vuote, leggere, e buone pel navigare" , contrapposte alle pesantezze del discorso che i retori devono abbandonare prima di salire sulla barca di Caronte.

Il concetto della morte che è uguale per tutti e del giudizio, severo, che non risparmia niente e nessuno è una costante del pensiero di Luciano; la troviamo infatti anche in altri dialoghi, che ribadiscono come siano vane la gloria, la bellezza e la potenza.

Sotto il nome di Luciano ci sono pervenuti due romanzi. Lucio o l'asino è di contestata autenticità, e narra la vicenda di Lucio che viene trasformato in un asino e, dopo varie peripezie, alla fine riacquista la forma umana. L'argomento è lo stesso delle Metamorfosi di Apuleio, ma mancano molte novelle (tra cui quella famosissima di Amore e Psiche e la parte finale che descrive le esperienze mistiche del protagonista. La Storia vera prende spunto dal tentativo di fare una parodia dei romanzi d'avventura, ma finisce con il diventare il più bizzarro e fantasioso racconto (i protagonisti vanno sulla luna, finiscono nel ventre di una balena, giungono nell'isola dei Beati.) che sia mai stato scritto, precorrendo, per certi versi, i Viaggi di Gulliver e Pinocchio.

La satira di Luciano coinvolge tutti gli aspetti della cultura e della società. Nell'età degli Antonini e della Seconda Sofistica grande era il vuoto morale e spirituale, gravi erano i disagi e le ingiustizie sociali: i ricchi e potenti signori romani sfruttavano e vessavano le provincie, circondati da un nugolo di adulatori e di leccapiedi, gente che cercava con ogni mezzo la gloria e il denaro. Luciano dovette trovarsi proprio a fare questa scelta, se essere uno di loro o remare controcorrente, e scelse la seconda: "io sono un uomo che odia i millantatori, i ciarlatani, i bugiardi, i superbi, tutta la genia dei malvagi... Amo la verità, la bellezza, la semplicità, tutto ciò che è degno di essere amato".

Le invettive di Luciano non sono invettive serie e solenni, ma sono avvolte dall'ironia, che critica amaramente in primis la tradizione ma talvolta anche la realtà contemporanea. In realtà Luciano non crede in un ideale da proporre e da contrapporre alla realtà che critica; il suo scetticismo radicale rivela una grande aridità spirituale. Egli combatte l'ingiustizia sociale, ma non crede che quest'ingiustizia possa in qualche modo venire annullata, e questo atteggiamento lo porta all'incapacità di affrontare i grandi problemi dell'esistenza. Il suo scetticismo è tanto più assoluto in quanto egli non crede neppure nel valore della sua propaganda negativa, non è neppure convinto di riuscire a distruggere veramente qualcosa. L'assenza di una fede qualsiasi e un'aridità spirituale di fondo hanno impedito a Luciano di essere un grande scrittore.


Il romanzo greco

E' l'ultimo genere letterario inventato dall'ellenismo, quello che meglio riuscì a rispecchiarne i canoni letterari. Nato tardi, non riuscì a raggiungere quella bellezza e quella perfezione che troviamo negli altri campi della letteratura greca; infatti è ritenuto scarso il suo valore artistico. Tuttavia, il romanzo greco riveste una grande importanza come documento dei tempi e come fenomeno letterario che contribuì al sorgere della narrativa moderna: il romanzo moderno presenta tutt'oggi gli stessi caratteri fondamentali. I frammenti più antichi a noi pervenuti sono quelli del romanzo di Nino (il protagonista) e Seramide, innamorati l'uno dell'altra. In questo, come anche in tutti i romanzi successivi, il filone della trama è sostanzialmente lo stesso: due giovani s'innamorano, vengono separati da un evento casuale, vivono mille avventure, si rincontrano, nulla tra loro è cambiato, si sposano e vivono felici e contenti. Il romanzo di Nino è stato trovato su un papiro del I secolo d.C.; questo fece cadere, alla fine del secolo scorso, la tesi del Rohde, secondo la quale il romanzo sarebbe nato dalla fusione dell'elemento erotico con l'elemento avventuroso, fusione che sarebbe avvenuta nella pratica retorica della Seconda Sofistica. L'origine del romanzo è, invece, probabilmente da ricercare nel fatto che non fu un genere, come molti altri, destinato a pochi eruditi, ma alla classe borghese, benestante, non molto acculturata e spoliticizzata, che non si interessava più ai grandi problemi e cercava di evadere dagli angusti limiti della realtà quotidiana: era un genere d'evasione. Questo spiega anche il fatto - ed è unico per la letteratura greca- che solo i romanzi greci siano stati trovati in frammenti di papiro riutilizzato: era evidentemente un genere che non aveva molte pretese, come non ne avevano gli stessi autori, i quali non erano troppo eruditi e non trasmettevano alcun tipo di valori.

Due sono gli elementi fondamentali del romanzo greco: l'amore e l'avventura. L'amore sarà normale (ossia tra un ragazzo e una ragazza) e si ricollega alla feconda produzione poetica, in cui era uno dei temi più trattati dell'ellenismo, mentre le avventure di viaggio avevano avuto il loro battesimo con Omero (i viaggi di Ulisse finalizzati alla swfrosunh) e avevano trovato la loro piena espressione con le Argonautiche di Apollonio Rodio, appagando il gusto per l'esotico e la tendenza verso il cosmopolitismo tipici dell'ellenismo.

L'asino d'oro \ le Metamorfosi

Un famoso romanzo greco è il, già citato a proposito di Luciano, Lucio o l'asino, il quale ricalca nelle linee fondamentali la trama delle Metamorfosi di Apuleio, tanto che si è addirittura pensato, per le Metamorfosi, ad una traduzione in latino di un'opera greca. Quest'ipotesi è un po' forzata, perché un autore di grande levatura e preparazione come Apuleio, difficilmente si sarebbe accontentato di fare una semplice traduzione; è più probabile che le due opere abbiano un'origine comune, da ricercarsi, pare, in una piccola opera greca, denominata l'Asino d'oro, scritta da un certo Lucio di Patre di cui ci dà notizia il patriarca Fozio. Purtroppo non abbiamo altre informazioni su Lucio di Patre né resti della sua opera, per cui questa rimane una semplice ipotesi. E' stato anche ipotizzato che Apuleio, da giovane, abbia scritto un piccolo Asino d'oro in greco, utilizzato come base per le Metamorfosi. Le Metamorfosi di Apuleio si differenziano da Lucio o l'asino di Luciano di Samosata per due principali motivi:

a.   Nelle Metamorfosi compare un maggior numero di novelle (tra cui quella celeberrima di Amore e Psiche), tutte tratte dalle favole milesie e apparentemente prive di un legame unificante tra loro. Nel periodo finale della letteratura latina si diffondono ampiamente le religioni e i culti misterici; la chiave di lettura delle Metamorfosi è proprio in questi motivi escatologici, in quest'ansia religiosa che porta Apuleio a cercare ogni mezzo di accostarsi al mondo del divino.

b.   Le Metamorfosi sono in 11 libri, uno in più, rispetto all'opera di Luciano. L'undicesimo libro è completamente slegato dagli altri: l'autore si sostituisce al protagonista e fa passare per quelle di Lucio le sue esperienze personali, sempre collegate a quest'ansia misterica.

Comune a entrambe le opere è invece la voglia di sperimentare nell'ambito della tematica dell'amore; è straordinario il crearsi di una sorta di ciclicità tra la letteratura greca e quella latina, che finisce con questa voglia di sperimentare in amore, analoga a quella apparsa alle origini della letteratura greca (con Ulisse). Si tratta, però, in Apuleio, di una voglia di sperimentare che ha un che di mistico e di oscuro, assente nella voglia di nuove esperienze di Ulisse.


Lo Stoicismo

Lo Stoicismo fu la corrente di pensiero più diffusa nell'Impero romano nel I e II secolo d.C. La nuova Stoa, detta romana perché a Roma principalmente si sviluppò, si differenziò sempre di più dall'antica e dalla media, disinteressandosi della fisica e occupandosi prevalentemente di etica. Questo perché lo Stoicismo subì la generale crisi religiosa del periodo greco-romano, che determinò una generale sfiducia nella ragione, un rifiuto di cercare la risposta ultima e un accentuato misticismo nella pratica della filosofia. Non a caso in questo periodo si diffonde lo Scetticismo, che predicava la sospensione del giudizio. Lo Stoicismo si trovò così a predicare il distacco della vita e la preparazione alla morte. Gli esponenti principali della nuova Stoa furono Seneca, Epitteto e Marco Aurelio; dei tre Seneca scrisse in latino, ma generalmente la lingua usata dagli stoici romani fu il greco.





Privacy




Articolo informazione


Hits: 2923
Apprezzato: scheda appunto

Commentare questo articolo:

Non sei registrato
Devi essere registrato per commentare

ISCRIVITI



Copiare il codice

nella pagina web del tuo sito.


Copyright InfTub.com 2024