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LA STORIOGRAFIA IN ETA' ELLENISTICA

greco



LA STORIOGRAFIA IN ETA' ELLENISTICA


La storiografia di età ellenistica è quasi tutta scomparsa, eccetto una parte di Polibio che si recupera attraverso Cicerone, però sono citazioni ridicole!! Infatti il Droysen è nei guai con la documentazione, perché c'è un vuoto di 2 secoli (III e IV, i primi 2 secoli dell'Ellenismo): non ci rimane niente, salvo minime citazioni fatte da altri autori, che però non ci servono. Sappiamo che furono storici di prestigio Eforo e Teopompo, allievi di Isocrate, che da buoni allievi di Isocrate partono da presupposti opposti a quelli di Tucidide, che predicava la non esistenza di valori assoluti. La storia è insieme di buoni e cattivi esempi; criteri di giudizio non sono l'utile o il disutile, ma  il bene e il male: è una storia di tipo moralistico. E' definita mimetica: definizione che deriva dallo storico Duride di Samo (considerato il teorico), sostiene che il compito di uno storico sia quello di fare un'opera d'arte basandosi sul principio aristotelico della mimesis, imitando la realtà nel modo di riprodurla → deve essere scritta come un'opera drammatica: le vicende devono comparire al lettore come se fossero rappresentate a teatro, suscitando pathos. Questo riguarda il modo di esporre e non il contenuto. Duride passa come colui che ha affermato queste cose, delle sue opere non ci rimane nulla. Accusò Eforo e Teopompo di non essere abbastanza mimetici. E' una storiografia che mirava ad avvincere il lettore, per colpire e dilettare il lettore. Ciò significa mettere da parte Tucidide → la sua storia era meno piacevole, ma utile. A noi sembrano mimetici, ma non possiamo giudicare.



La storiografia avrà molta importanza in Roma, dove oscilla tra quella di tipo scientifico e di tipo isocrateo, drammatica; nella parte di Livio che abbiamo risolve il problema che non capisce niente di battaglie concentrandosi sul pathos e presentando la scena come se lo spettatore l'avesse davanti agli occhi. È una componente anche di Tacito.

C'è interesse nel teorizzare quale tipo di storiografia vogliamo, avendo una tradizione alle spalle o ci si distacca (un po' come fa Duride; il Romano però rimane più legato all'aneddoto e ad altre tendenze) o si segue la lezione di Tucidide. Comunque c'è lo studio relativo al genere in sè.

Questa storiografia è scomparsa, ci rimangono solo nomi, influenzati da Isocrate.


A fornire notevole materia per gli storici ci fu Alessandro, visto ormai come figura chiave, leggendaria (la morte giovane contribuisce a dargli un'aura di leggenda), in quanto rappres 818b14i enta il greco che "conquista il mondo" esotico, che si apre di fronte a lui. Alessandro apre un'epoca nuova e diventa un personaggio centrale. Inizia una serie di "storici di Alessandro" (non l'abbiamo), si dividono in due filoni:

Quello serio, in quanto tecnico, ben rappresentato da Tolomeo, generale di Alessandro, che scrisse una storia della conquista di Alessandro, ma con una prospettiva limitata dovuta alla posizione dell'autore (generale di Alessandro). La sua storiografia è volta a descrivere la campagna militare, senza fronzoli: è una relazione veridica. Un altro rappresentante di questo filone è Nearco, ammiraglio di Alessandro, il quale scrive un'opera che è fra lo storico e il geografico: mentre Alessandro tornava con l'esercito via terra, Nearco dovette tornare via mare per esplorare le coste, che erano state conquistate dall'interno, e aprire nuovi mercati. E' una relazione della navigazione di ritorno, vista con gli occhi di un militare, quindi senza abbellimenti. E' una mentalità concreta.

Il secondo filone è costituito dagli storici e pseudo storici che mirano a ingrandire la figura di Alessandro che ormai era la figura di riferimento, tanto che Livio si chiede chi avrebbe vinto tra lui e i Romani. È una storiografia che descrive esagerando lo θαυμαστος, la meraviglia delle cose che escono dalla norma, come per esempio le zone orientali. L'oriente è per i greci il luogo misterioso: Alessandro ha conquistato l'India: si crea tutta una letteratura di queste zone mirabolanti. Si parla di virtù e vizi di Alessandro: prevalgono le virtù, tanto che diventa un taumaturgo. La spedizione di Alessandro diventa l'occasione per parlare sia della sua figura, sia dei luoghi, piante e animali mai visti. I maggiori esponenti sono: Callistene, Clitarco ed Egesia di Magnesia; quest'ultimo scrisse: "Tale impresa ha compiuto Alessandro, come se Zeus avesse tolto la luna dal cielo" (Però la sua scrittura è piena di punti, in cui si capisce che il suo stile NON è bello). Da questo secondo filone nasce una serie di storie esotiche, che non hanno praticamente nulla di credibile e sono ambientate in un mondo orientale; per questo possono essere considerati "precedenti" del romanzo. Per esempio Ecateo, che scrisse un'opera sugli Egizi e sugli Iperborei (un popolo mitico, che in realtà non esiste), a differenza di Erodoto che, quando riporta le cose, aggiunge che non sa se siano vere o no, quando parla di cose di cui non è sicuro, non solo non lo dice, ma ne aggiunge delle altre molto probabilmente inventate.


Evemero: è un italico; scrisse un'opera che pretendeva di essere fra geografia e storia e parlava di una presunta isola dell'Oceano Indiano (alcuni dicono che fosse Silon). Questi storiografi meno seri scrivono storie romanzate. Evemero scrisse che in quest'isola, nella piazza della capitale, c'era una colonna con incisi i nomi degli dei e veniva spiegato che in realtà questi erano nomi di grandi uomini del passato che avevano compiuto imprese straordinarie, e venivano qui ricordati. Questo va preso per quello che è: una vicenda romanzata, alla quale vennero aggiunti elementi di fantasia, nella quale si riflette che ormai questi dei sono in crisi (sarebbe finito sotto processo per empietà qualche secolo prima).

A lui tocca diventare l'inventore dell'evemerismo = atteggiamento razionalistico che cerca di giustificare razionalmente le credenze, soprattutto religiose = trovare una spiegazione razionale della religione, quasi come fosse un predecessore di Feuherbach. Ma in realtà in Evemero non c'è nessuna intenzione di voler distruggere la religione o di voler dare una spiegazione razionale! La sua opera è più un romanzo che una storiografia.


In questo periodo è diffusissimo l'interesse per la figura di Alessandro, che entra pure a Roma (Curzio Rufo). Per esempio l'opera in 7 libri, "Anabasi", di Arriano di Nicomedia: nel proemio dice di rifarsi all'opera di Tolomeo, la cui credibilità (secondo Arriano) è garantita perché è un re (visione moralistica); quest'opera ha il pregio di essere credibile, seria, documentata, è un tresto libresco fatto su una fonte letteraria precedente, da questa deriva direttamente l'opera di Curzio Rufo.

Il filone fantastico finirà con il dar luogo al così detto Romanzo di Alessandro (Callistene), che a seconda dei critici è credibile o fantasioso. In realtà non c'entra con Callistene, e si basa sugli aneddoti su Alessandro, il quale perde non solo le caratteristiche umane, ma anche il vizio (la collera), e viene trasformato in una specie di santo. Iter di Alessandro in Paradiso; lo fanno arrivare pure in Italia, le reliquie di Alessandro avrebbero poteri taumaturgici! I mirabilia delle zone del viaggio di Alessandro diventano enfatizzazione del personaggio. Alessandro diventa una figura talmente importante e centrale che Ariano costituisce quasi un'eccezione per la serietà e la documentazione della sua opera.

Storici seri ce ne sono due:

Polibio

Timeo di Taurimeno: ha origini nobili, autore di un'opera monumentale in 38 volumi "Storia della Sicilia", in cui parla di Cartagine e Roma; infatti si ferma nel 264, quando Polibio incomincia la sua storia. Polibio non lo poteva vedere perché riteneva che la storia fosse composta da documenti, visione diretta dei luoghi ed esperienza politica. Timeo era il classico topo da biblioteca: consultava tutti i testi su cui era riuscito a mettere le mani. Soprattutto era fanatico della cronologia: cerca i giorni esatti degli eventi: storiografia compilativa che si avvaleva di discorsi come abbellimento retorico; Polibio era contrario a ciò, anche se pure lui li userà. Ha uno stile asiano.



POLIBIO


La Grecia, dopo Cheronea, era sotto la Macedonia; i successori di Alessandro non furono in grado di controllare la Grecia; si realizzano così due leghe, che non davano alcuna noia alla Macedonia:



Peloponnesiaca, che comprende tutte le città del Peloponneso, eccetto Sparta

Etolica, che comprende la Grecia "continentale"

Nella battaglia di Sellasia la lega peloponnesiaca si scontra contro Sparta e Cleomene, re spartano, fu costretto ad entrare nella lega. Mentre quella etolica era "democratica", quella peloponnesiaca era "aristocratica"; stratega e ipparco erano le due cariche principali, due posizioni militari.

Un momento importante fu la conquista romana della Macedonia:

Era stata proclamata la libertà della Grecia

I Romani non trasformano la Macedonia subito in provincia, ma la tengono come alleata, controllando il re; portano, infatti, il figlio del re (Perse) a Roma, lo educano per poi riportarlo in Macedonia come loro fantoccio.

Quando, però, Perse ebbe l'età adatta per salire al trono organizzò l'esercito e attaccò Roma nella battaglia di Pidna, in cui la lega peloponnesiaca prende posizione a fianco di Roma (anche se non mandò nessun esercito). La battaglia si concluse con la sconfitta definitiva della Macedonia, che venne divisa in diverse parti. Tornando alla lega peloponnesiaca, in questo periodo salì al potere un gruppo di filo-romani, che, per rendersi più graditi a Roma, denunciarono un centinaio di persone che secondo loro erano antiromane; tra questi c'era Polibio, il quale, pur essendo molto aristocratico, non vedeva male Roma. Probabilmente salì al potere una famiglia avversaria di Polibio.

A Roma i Greci vennero tenuti come ostaggi e stavano presso varie città italiane; gli Scipioni ospitarono lo stesso Polibio (gli ostaggi più illustri stavano in Roma), il quale probabilmente si occupò dell'educazione di Scipione: più che un ostaggio, era un ospite.

Diventato anziano chiese, insieme agli altri ostaggi greci, di poter tornare in Grecia. In teoria, essendo loro ostaggi, non avrebbero potuto, ma "se ne erano dimenticati" un po' tutti. La richiesta fu mandata in senato e fu Catone a parlare: disse che non era una cosa importante di cui parlare e quindi il senato decise di lasciarli tornare. Con la conquista di Corinto la Grecia passò sotto Roma e venne divisa in quattro province; la presenza di Polibio riuscì a mitigare l'avversione dei Romani nei loro confronti. Morì a 83 anni, cadendo da cavallo.


Ha scritto una storia di Roma partendo da dove aveva terminato Timeo e arrivando ai suoi giorni (146). Dei 40 libri di cui è composta la sua opera noi possediamo i primi cinque interi, e degli altri solo frammenti. Il fatto che i libri fossero 40 non fa pensare che ci siamo persi qualcosa del riassunto totale.

Diversamente dalle sue intenzioni si è fermato al 144: forse perché è morto!

Il fatto che ci siano arrivati i primi cinque ci fa pensare a una pubblicazione a blocchi da cinque, ma non abbiamo nessuna garanzia di ciò: è un'ipotesi. Nella sua opera racconta eventi che ha in parte vissuto, personaggi che ha incontrato: la sua informazione è eccellente. Infatti, secondo lui, lo storico deve avere un'eccellente:

O  Documentazione: visione di tutti i documenti

O  Conoscenza diretta dei luoghi nei quali i fatti sono avvenuti (per vedere se ciò che sarebbe dovuto succedere in un posto era possibile); per esempio valicò le Alpi in inverno per vedere se Annibale l'aveva fatto davvero: ha voluto dimostrare che era umanamente possibile. Però, Polibio era da solo, mentre Annibale aveva al seguito un esercito, gli elefanti e in più viaggiava in paesi nemici.

O  Esperienza politica, indispensabile per poter approfondire le motivazioni di certi eventi; Cicerone, invece, sosteneva che bisognasse essere fuori dalla politica per avere quella tranquillità mentale che permette di scrivere.

Polibio sostiene inoltre che di ogni fatto bisogna distinguere:

causa vera

causa occasionale

il fatto che dà origine all'evento



E afferma anche che molti non distinguono le prime due; l'esperienza politica dovrebbe aiutare a farlo.

Polibio non vede più le cose con al centro l'uomo, ma il sistema politico.

Peccato che dopo aver indicato la necessità di distinguere le diverse cause, lui stesso ci casca: infatti l'assedio di Sagunto non è la vera αιτια; al massimo si può discutere se sia profasis o archè. Poi dice che tra le cause delle guerre puniche c'è la questione dei Mamertini, che in realtà è una profasis. Come cause delle guerre tra Filippo e i greci cita:

la ritirata della spedizione di Senofonte: è perché?!?

Il pasaggio in Asia di Agesilao.



Polibio analizza la costituzione romana e teorizza la costituzione mista, grazie alla quale Roma avrebbe un destino più lungo rispetto alle altre città.

La critica si è chiesta se Polibio accetta la teoria dell'eternità di Roma: È aria fritta.

Perché Polibio dichiara una lunghissima durata di Roma e non un'eternità!

Già Sparta e Cartagine avevano adottato la costituzione mista ed erano entrambe finite: essa aumenta la durata, ma non garantisce l'eternità

Polibio vide i moti dei Gracchi; Plutarco sostenne che essi erano conservatori e non innovatori perché con la legge agraria rivolevano la creazione di quel piccolo proprietario terriero che aveva fatto la grandezza di Roma (antistorico). Un aristocratico come Polibio, invece, li vede come rivoluzionari perché ledevano la sua posizione. La legge agraria prevedeva la distribuzione dell'ager publicus; prima la manutenzione era affidata ai confinanti, tanto che venne occupato abusivamente da loro perché l'avevano inglobato nel loro territorio. Ma se il piccolo proprietario terriero era scomparso era perché doveva scomparire. Questa gente, però, si trovò con questa terra, che dovette vendere perché non riusciva a mantenerla: e la comprarono i precedenti confinanti, così che scomparì l'ager publicus. In sostanza questa era una idea conservatrice, ma applicata con metodo rivoluzionario. E Polibio vide i metodi: piazza scatenata, con la proposta dell'eredità di Pergamo (passaggio da δημος a οκλος Avendo quindi assistito a questo turbamento, vedeva una non-eternità del sistema.

Erano gli dei che garantivano l'eternità: un razionalista come Polibio non avrebbe accettato ciò.

Per tutti questi motivi è da escludere che Polibio abbia parlato di eternità di Roma.

La costituzione mista non poteva garantire l'immobilità, ma uno dei 3 prima o poi avrebbe dovuto tendere alla sua parte peggiore. La concezione dell'eternità di Roma era una concezione teistica, che non poteva essere accettata dalla razionalità di Polibio. Una visione umana razionale esclude l'eternità in partenza. Non ha senso discuterne: Roma non è eterna, ma è la migliore possibile.

Applica il discorso sulle costituzioni alla visione ciclica del tempo. Alla costituzione mista nessuno ci aveva mai pensato: è logico perché né Platone né Aristotele le avevano messe in conto, hanno parlato separatamente dei sistemi, invece Polibio ne parla uno di seguito all'altro, con i passaggi da uno all'altro → in questo modo si mette in luce la costituzione mista: la compresenza dei tre sistemi ottimali (si presenta a Roma, Cartagine e Sparta), in cui ognuno dei tre impedisce agli altri due di degenerare. La degenerazione non ha spazio politico perché è già occupata dagli altri due sistemi.

Polibio a Roma vede i Gracchi: anche con la compresenza dei diversi sistemi rimane uno spazio, seppur piccolo, per una degenerazione. Li interpreta in modo tradizionale, come oclocrazia.. d'altra parte essendo razionalista non può pensare all'eternità di Roma → la prova è al capitolo 57, dove lo dice chiaramente: dice che tutti gli esseri devono avere fine, spiega la rovina dello stato. La democrazia secondo lui è la forma di governo peggiore: il popolo vuole più spazio e si trasforma in oclocrazia (quando il popolo pretende di governare) → fa riferimento ai Gracchi, vedendoli solo come rivoluzionari, in realtà solo i loro metodi erano rivoluzionari!

La legge dei Gracchi comunque ottenne il risultato opposto, perché la gente non ce la faceva a mantenere il suo terreno e lo vendeva → Plutarco infatti ha già notato che l'idea in realtà è conservatrice.

Pergamo era ricco, viene lasciato in eredità a Roma; Tiberio fa approvare il provvedimento di distribuire le ricchezze di Pergamo ai proprietari terrieri → non funziona perché l'eredità è gestita dal senato. Polibio non vedeva la legge antistorica, ma vede i metodi, la piazza scatenata, con Tiberio e poi Caio. È una vicenda limitata nel tempo, però lui la vede con una certa prospettiva (gli Scipioni si opposero) → quindi per lui è un fatto notevole. Cicerone lo riprende ma aggiunge che Roma era diversa dalle altre città non solo per la costituzione mista, ma anche per l'assenza di legislatori: notò, infatti, che, mentre per gli altri popoli era necessario un legislatore per mutare il sistema, per Roma no, non si può far risalire il sistema Romano ad un legislatore, non ci volle nessuno dall'alto che dettasse le regole: il cambiamento è qualcosa di spontaneo, un esito naturale dei Romani nel complesso.


Proemio

Nel secondo capitolo del proemio si chiarisce che la storia di Polibio è caratterizzata da due elementi:

la sua è una storia universale (infatti contesta il fatto che altre storie possano essere considerate universali): storia dell'universo, di tutta la terra; Roma, a differenza degli altri popoli, ha conquistato tutti gli altri popoli: non ci sono limiti né di spazio, né di tempo. Il dominio romano comprende tutta la terra abitata: è una conquista che riguarda l'universo e che non è trattata come una somma di storie diverse, ma come la sua storia (storia di un mondo, che Roma ha unificato, non solo conquistato). Egli riteneva che il solo Eforo avesse consapevolmente realizzato il progetto di una storia universale.



la sua storia è anche pragmatica, ovvero fondata sui fatti. Si basa su fatti e eventi realmente accaduti, narrandoli senza abbellimenti o forzature: è una storia più che obiettiva e tale obiettività è ottenuta senza aggiungere nulla. Qualcuno ne ha letta una presa di posizione nei confronti di Tucidide, che divideva la storia in τα πραχθεντα e τα λεχθεντα, aggiungendo qualcosa dei discorso, di ciò che ognuno avrebbe detto. Secondo alcuni quest'ipotesi non è valida: Polibio prenderebbe di mira un certo Timeo, le cui storie sono piene di "chiacchiere". Quella di Polibio non è una storia piacevole da leggere, come lo era quella di Tucidide: non vuole abbellire, vuole scrivere una storia pragmatica.

Nel capitolo 4 del proemio c'è una contraddizione: qui Polibio dice Roma è il più grande prodotto della τυχη, ma in altri punti sostiene che quello che guida la storia è il sistema politico! La visione razionalistica è quasi smentita da una visione quasi ateistica.



Egli non crede che gli eventi storici siano indirizzati da un progetto esterno ad essi: lo stesso Polibio attribuisce un valore pratico alla religione come pura utilità politica. Con la crisi generale della religione, al di là dei culti misterici, che sono il rapporto diretto del singolo con la divinità, sopravvive la τυχη, che occupa lo spazio che il razionalismo lasciava scoperto; questo succede sempre quando l'uomo si illude di liberarsi del soprannaturale e porsi al centro del mondo. L'uomo pensa che tutto possa essere spiegabile dalla ragione umana, nell'ellenismo è comune l'idea che la ragione può dominare tutto; però tutte le epoche che sono arrivate a questa visione sono arrivate a capire che non è vero, che c'è sempre qualcosa che la ragione non può spiegare. Così l'ellenismo ha la τυχη, oltre a sorte, caso cieco, copre anche lo spazio lasciato libero dalla provvidenza divina (προνοια). Con la crisi della divinità, anche la προνοια entra in crisi. La τυχη diventa προνοια, assumendo un significato quasi opposto al suo originario, perché ha uno scopo. A volte, solo in Polibio, diventa anche divinità sovrumana: dio. Il logos non spiega tutto, l'irrazionale si spiega con la τυχη, poi questa prende anche il posto della religione. È la risposta al bisogno dell'uomo di credere.


Esigenza di obiettività dello storico (1,14)

Sta attaccando due storici, Filino di Agrigento che scrive in prospettiva cartaginese, e Fabio Rustico, che scrive in greco per bilanciare l'interpretazione antiromana di Filino. Sostiene infatti che questi due storici hanno una prospettiva preconcetta. Questi sono due esempi, uno romano e uno antiromano, di storia a tesi, condizionati: sono talmente innamorati di una delle due parti da darne una visione distorta. Anche Polibio cade in quest'errore, quando dice che Roma è il più grande prodotto della τυχη sta già parteggiando. È parzialmente giustificato perché questi storici parlano dei suoi congiunti, mentre Polibio non è di Roma, la sua ammirazione per Roma ha un senso, non è dettata da ragioni di nascita. Comunque non è una storia trionfalistica, ha trovato in Roma la suprema realizzazione delle sue teorie. Per questo nota pochi errori commessi dai Romani. Comunque non dà giudizi morali, il greco è razionalista: non corre il rischio; vede in Roma tutto bello, ma non moralmente, ma in senso di utilità. Anche la religione è positiva perché ha unito i popoli ed è uno strumento politico.


Stile

Polibio è stato bistrattato dai critici; il Perrotta sostiene che sia il peggiore scrittore greco, il Croyset lo trova disgustoso. È pesante, ci sono periodi lunghissimi, con una struttura molto complessa, con molte subordinate, anche se in realtà è semplice perché usa uno schema consueto: la reggente comincia, e finisce alla fine del periodo, e contiene un sacco di subordinate, soprattutto genitivi assoluti (è un fanatico di genitivi assoluti). Così finisce per mettere tutto sullo stesso piano, participi e genitivi assoluti, anche se non dovrebbero esserlo. Ha però una motivazione: usa il linguaggio degli organismi politici creati dopo Alessandria, che usavano questo come linguaggio burocratico; non è fuori luogo perché la sua storia è per politici, il politico dell'epoca usava questo linguaggio. Poi il greco non aveva nessuna necessità di fare della storia un opus maximus, che è tipico latino, ci sono anche i grandi, ma erano grandi per conto loro. Polibio ha adottato questo linguaggio non per un canone di bellezza estetica, non è detto che non fosse in grado di scrivere bene, ma è un linguaggio adatto al destinatario. Tenendo conto di queste cose, non è il peggiore scrittore! Nessuno aveva mai attribuito alla grandezza di Roma una motivazione razionale, il suo scopo era questo, non di creare un'opera letteraria.


Religione

Per Polibio, razionalista greco, la religione è instrumentum regni: non parla di religione come mito per persone semplici né come numen, la vede solo nell'aspetto politico e come cosa positiva per mantenere l'ordine; da aristocratico e da razionalista non può più vedere la religione come superstizione.

Polibio inoltre parla del popolo, chiamandolo VOLGO → in senso sociale. È una visione politica e aristocratica: i saggi, infatti, sanno obbedire alle leggi perché sanno frenare le passioni, ma il volgo, non razionale, non può farcela: segue l'istinto e non potendolo razionalmente guidare bisogna dargli delle "paure", con la religione, sia della punizione degli dei dopo la morte, sia della loro collera quando sono ancora in vita. Non esaurisce il significato Romano di religione, ma solo la religio, gli altri non interessano. Mentre gli altri popoli sono da biasimare per le credenze, il popolo romano no, perché è in grado di mantenere l'ordine.


Timeo

Timeo è un greco che aveva scritto in greco la storia di Roma: storiografia di tipo erudito; Polibio la attacca appunto perché basa la sua storia SOLO sui documenti tralasciando gli altri due punti essenziali. Lo accusa riferendosi a lui come

"chi fa discorsi mai tenuti distrugge l'utile della storia

]chi crede che basta sapere la storia per saperla esporre"

È il logico antecedente di Polibio; gioca con TIMEO - EPITIMAIOS: cialtrone. Polibio non è spiritoso, lo fa solo con Timeo. Demolisce Pittore che scrive in greco per diffondere la sua opera nel Mediterraneo, e Filino che è antiromano, non li considera neanche. Timeo non ha posizione politica: è obiettivo → è l'unico suo antecedente (infatti lo attacca dove ha successo).








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