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Apuleio - Le Metamorfosi

greco



Apuleio


Le Metamorfosi


Apuleio, come molti altri letterati del periodo, era africano, nato a Madauro, sul confine tra la Numidia e la Getulia. Si formò nelle scuole dei retori e dei sofisti di moda, a Cartagine, Roma ed Atene. Quindi a Roma esercitò la professione di avvocato; e più tardi si stabilì in patria. Ma spesso amò girovagare per il mondo, soddisfacendo la sua istintiva curiosità di esperienze.

Le sue avventure culminarono ad un certo punto, verso il 155-158, in una clamorosa vicenda giudiziaria. Avendo sposato una ricca vedova di Oea (Tripoli), Pudentilla, i parenti di quella lo accusarono di avere sedotto la donna con incantesimi e filtri magici per ottenere la dote; quindi egli pronunciò, e poi scrisse, in propria difesa un'ampia e vivace orazione, intitolata Apologia, o anche De magia, nella quale troviamo rispecchiato molto della sua vita e delle sue attività.



Grazie alla sua arte oratoria Apuleio venne scagionato da tutte le accuse; è interessante notare che per quanto riguarda l'accusa di magia, Apuleio nega sdegnosamente di usare pratiche di bassa stregoneria, di invocare spiriti malefici ed infernali (la cosiddetta magia "gotica"), ma non esita ad elogiare la forma più elevata di magia la "teurgia", praticata dagli antichi maghi persiani, che invoca le potenze divine a scopo benefico, e si appella alla demonologia platonica per difenderla.

Apuleio si professa anche conoscitore e seguace dei vari riti misterici, pervaso da un sincera aspirazione religiosa. All'interesse per la religione si unisce quello per la scienza: egli si presenta come un uomo di studio che consuma la sua esistenza e il suo patrimonio nella ricerca ansiosa del sapere, un sapere enciclopedico e rivolto agli interessi più svariati.

L'ambizione di Apuleio di possedere una cultura enciclopedica trova conferma nella sua svariatissima produzione: poesia e letteratura amena, discorsi e conferenze.

La singolare mescolanza di filosofia, di credenze superstiziose, di vacuità brillante e di salotteria, che si trova nelle opere minori di Apuleio, riflette le antitetiche tendenze della società e della cultura dell'epoca. Il secolo di Apuleio era quello di Alessandro d'Abotonico, di Peregrino e di altri taumaturghi e predicatori di nuove fedi, ma era anche quello della satira scettica e razionalistica di Luciano. Apuleio, più che mediare le opposte tendenze, partecipava di entrambe. Era in sostanza uno spirito inquieto, stravagante, eccessivo, bisognoso di immergersi nel mistero e ansioso di purificazione religiosa, ma anche incline all'ironia, assistito da uno spiccato senso estetico e burlesco, e preso talvolta dal piacere del puro divertimento.


Le Metamorfosi

Questa ambiguità di posizione caratterizza anche l'opera principale di Apuleio, costituendone il più arduo problema critico. Il suo capolavoro è una composizione novellistica, un ampio e strano romanzo in undici libri, le Metamorfosi, intitolato anche (già dagli antichi), l'"Asino d'oro": Asinus aureus. Appartiene a quel genere di romanzo che era stato coltivato da Petronio, o che era molto sviluppato, pur senza trovare molti autori di valore, nell'Oriente greco.

L'argomento non è di per sé nuovo, ma deriva dal romanzo greco di un certo Lucio di Patre. La fonte greca per noi è andata perduta, ma conserviamo un'operetta, di cui è discussa l'attribuzione a Luciano, Lucio o l'asino, derivata anch'essa da Lucio di Patre, che in forma più succinta svolge la stessa trama delle Metamorfosi. Dal confronto con l'opera pseudoluciana risulta che Apuleio ha molto ampliato la trama del romanzo greco, inserendovi novelle ed aggiungendovi significati mistici e simbolici.

Le avventure del romanzo sono narrate in prima persona dal protagonista, Lucio, un giovane di buona famiglia, amante di esperienze insolite e attirato dal fascino del mistero; la curiositas è la sua qualità più spiccata.


La trama

L'eroe della vicenda, come detto, è Lucio, un giovane pieno di curiosità, che desidera imparare l'arte della magia; egli usa però un unguento sbagliato e viene trasformato in un asino. Sotto questa forma sarà costretto a vagare per il mondo cambiando spesso padrone; e poiché gli uomini non vedono in lui che l'asino, non gli prestano attenzione, e parlano e agiscono davanti a lui senza alcun ritegno. Nel corso delle sue peregrinazioni egli ha modo, così, di conoscere le situazioni più diverse e di vedere gli uomini quali sono in realtà. In tal modo Apuleio ci offre un affresco del mondo. La conclusione di questo libro satirico è religiosa: Lucio viene iniziato ai miseri di Iside.


Le Metamorfosi

Si presentano nella forma del racconto autobiografica. Gia Encolpio, nel romanzo di Petronio, aveva esposto le sue avventure in prima persona, ma nel Satyricon la forma autobiografica è una finzione ironica, anche se il protagonista in parte rispecchio i gusti e la mentalità dell'autore. Apuleio invece si propone seriamente di fare una specie di storia simbolica delle esperienze della sua anima, con un fine edificante e mistico. S'intende che l'autobiografismo delle Metamorfosi deve essere accolta in senso molto vago e generico: ad esempio ha un significato autobiografico il passaggio di Lucio dalle passioni e dal peccato alla purezza religiosa, dalla curiositas dispersiva e immoderata all'acquisizione nella conoscenza del divino. Il carattere simbolico, mistico e iniziatico del romanzo si avverte poco nel corso dei mentre domina incontrastato nell'undicesimo, tanto da produrre sorpresa e imbarazzo nei critici.



In realtà, ad un esame più approfondito, non è difficile scorgere intenzioni simboliche e moralistiche lungo tutto il corso del romano, e la stessa sua struttura da queste intenzioni è guidata; sennonché l'intento simbolico rimane marginale, non investe la sostanza dell'arte, né conferisce una vera unità estetica al romanzo. Si può assumere come esempio proprio la favola di Amore e Psiche, dove il significato simbolico è più evidente. Psiche è colpevole, come Lucio, di una colpa di curiositas, e la sconta con una serie di peripezie, finché viene salvata da un atto di grazia divina, e conquista la beatitudine congiungendosi con il divino Amore. Tuttavia la novella di Amore e Psiche è narrata in forma del tutto aliena da spiriti religiosi ed ascetici; essa ha il tono della fiaba popolare, e riesce avvincente per il favoloso candore del racconto, anche se non mancano quelle esibizioni di bravura oratoria e descrittiva che non sono mai assenti nella prosa di Apuleio.

Analogo discorso si può fare per le altre numerosissime novelle, che occupano uno spazio molto superiore a quello della storia di Lucio. È chiara l'intenzione dell'autore di raggrupparle organicamente e collegarle con i vari momenti delle vicenda di Lucio, però il collegamento è fragile ed occasionale, e per lo più si limita ad una consonanza di timbro artistico. Le novelle vivono di una loro via autonoma, e il gusto della narrazione prende la mano al romanziere diventando fine a se stesso.


Il tono dell'opera

La poliedricità sfuggente dell'arte di Apuleio rende difficile stabilire anche quale sia il tono prevalente della narrazione. Lo stile brillante e scoppiettante può dare l'impressione che prevalgano i toni comici, ironici e beffardi, ma in sostanza si tratta di un'impressione superficiale. Il riso di Apuleio non suona schietto, ed è intorbidito da riflessi striduli e sinistri. Prevale invece nel romanzo la tendenza al favoloso, al misterioso, al truce e all'impressionante: ciò in fondo costituisce il legame più autentico fra i primi dieci libri e il finale, fra la materia torbida e magica delle novelle e il fascino mistico della conclusione. Nel giro di questa definizione generica rimane aperto il campo ad una varia gamma di toni. Con sintetica approssimazione, si può dire che nei primi tre libri domini il tetro fascino della magia, nella favola di Amore e Psiche l'ingenuità fiabesca, nei racconti briganteschi il senso dell'avventura eroica e tragica, su uno sfondo di orrore romantico, e infine nelle ultime novelle il senso della perversione lussuriosa e sadica, che prepara per contrasto la catarsi mistica del finale. In ogni caso l'interesse del racconto non è dato dalla psicologia dei personaggi che vivono su di un piano di irreale astrattezza, anche nelle novelle di ambiente borghese, ma dai valori narrativi, dalla spettacolare capacità di evocazione fantastica, dalla suggestione delle varie atmosfere.


Il confronto con Petronio ed il Satyricon

Pur essendo per tanti aspetti simile al romanzo di Petronio, l'opera di Apuleio se ne differenzia profondamente, perché non conserva la limpidezza distaccata di visione che costituisce il segreto artistico del Satyricon: l'autore si immerge in quel mondo torbido, decadente e composito che rappresenta. In Petronio la potenza della fantasia si associa a una grande capacità di rappresentazione realistica, come è il caso della Cena di Trimalchione; Apuleio deforma la realtà seguendo schemi fantastici dove confluiscono la maniere della letteratura popolare e la sua personale inclinazione a creare atmosfere magiche.


Lo stile

Se nello stile di Petronio è sovrano il senso della misura, ed emerge la capacità di adeguarsi alle situazioni e ai personaggi, nello stile di Apuleio regna la dismisura, e attraverso la differenza dei soggetti si conserva una sostanziale uniformità. La prosa di Apuleio è un ininterrotto fuoco pirotecnico di pezzi di bravura e di artifici stilistici: vi sono profusi immagini barocche, giochi di parole, preziosismi sonori, costrutti e termini popolareschi, mescolati con luoghi comuni del discorso retorico e con tirate declamatorie. Caratteristica costante della proda di Apuleio è la ricerca di valori musicali, con cadenze dal suono ora languido e sensuale, ora concitato e drammatico; la musica verbale acquista un suo valore evocativo autonomo, quasi precorrendo le poetiche del barocco e del decadentismo. Nonostante questi caratteri, che allontanano Apuleio dall'arte classica, anzi proprio per la sua capacità di tradurre in arte le tendenze e lo spirito della sua epoca decadente, Apuleio è l'ultimo grande artista della letteratura latina.










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