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TEMA SULL'IMMIGRAZIONE

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TEMA SULL'IMMIGRAZIONE

L'immigrazione è un fenomeno che ha talvolta caratterizzato la formazione dei popoli, spesso influenzandone la politica sociale ed economica. Fin dall'antichità si sono verificate immigrazioni, a volte anche di massa, e, ancora oggi, questi spostamenti influenzano il mondo.

Negli ultimi anni si è assistito ad un forte aumento del fenomeno dell'immigrazione clandestina, riconducibile per lo più al differente grado di benessere tra stati in via di sviluppo e stati sviluppati.

Come sottolineano le vicende di cronaca, non c'è giorno che clandestini, disperati che non hanno nulla da perdere, provenienti da: Europa Orientale (23%), Nord Africa (18%), Europa Occidentale (16%), Africa Subsahariana (11%), America Latina (9%), America Settentrionale (5%) o da altri paesi corrano ad imbarcarsi sopra le decrepiti imbarcazioni che li porteranno non si sa dove, verso quella che credono la salvezza.

Molti di questi immigrati giungono sulle nostre coste con ogni mezzo disponibile, nascosti ovunque possibile, sopportando fatiche bestiali e molto spesso rischiando anche di morire durante il "viaggio della speranza" e tutto per trovare "l'Eldorado".

Vari sono i motivi che spingono gli extracomunitari a stabilirsi nel nostro stato: guerre che coinvolgono gli stati di provenienza, mancanza di lavoro nel proprio stato, sogno di trovare benessere nel paese di destinazione. L'Italia, come sempre tutto il mondo occidentale, è vista come una meta da raggiungere per trovare il benessere; purtroppo non è veramente questo ciò che spesso trovano una volta qui. Una crisi di tipo economico che sta investendo gran parte dell'Europa e il numero sempre crescente di immigrati non rendono sempre disponibili posti di lavoro.



Molto spesso è la criminalità organizzata internazionale a gestire l'ingresso clandestino, e questo rende il problema ancora più drammatico, basti pensare a quei "trafficati" che, dopo essere stati introdotti nei paesi di destinazione, vengono spesso inseriti nel mondo criminale e sfruttati come fonti di nuovi profitti illeciti (ad esempio nel campo della prostituzione, dello spaccio di droga, furti o accattonaggio, lavoro nero, ecc.).

La popolazione italiana a questo riguardo si spacca in due fazioni: la maggior parte vogliono 919e48j che i clandestini siano rimandati ai loro paesi di origine; altri credono che sia meglio trattenerli nei centri di accoglienza, in quanto ritenterebbero l'impresa non appena possibile, affrontando rischi sempre maggiori.

Sinceramente non so quale posizione prendere, ma sono sicuro che se non si giunge al più presto ad una soluzione del problema, questo si moltiplicherà all'ennesima potenza. Mi sembrerebbe  opportuno promuovere un'accoglienza dignitosa per uomini e donne in fuga dalla loro patria alla ricerca di un futuro migliore per sé e per i propri figli, che vogliono venire in Italia per lavorare legalmente ed inserirsi a pieno titolo nella nostra società, rispettandone le leggi e la cultura ma questo non vuol dire spalancare le porte all'immigrazione, ma governare il fenomeno conciliando le ragioni della legalità con quelle dell'ospitalità, le ragioni della sicurezza con quelle della solidarietà.

Noi italiani abbiamo centri di accoglienza straripanti e possediamo leggi non adeguate per affrontare questo problema di non facile soluzione; penso sia possibile governare le migrazioni, operando con intelligenza e umanità, rilasciando il permesso di soggiorno solo se lo straniero è in possesso di un contratto di lavoro che gli garantisca di potersi procurare i mezzi di sostentamento, una casa dignitosa ed il denaro necessario per il suo rientro in patria, una volta dichiarato non accetto se in seguito si sono accertati eventuali atti criminosi da lui commessi.

Altra soluzione efficace, per me, sarebbe quella di mandare aiuti concreti nei paesi originari: soldi, personale specializzato, costruendo opere pubbliche adeguate, insegnando tecniche all'avanguardia in modo di risolvere localmente i problemi degli immigrati, evitando così che migliaia di persone lascino la loro terra natale.

Resta il fatto che siamo ancora molto diffidenti rispetto ai "diversi" e non ci ricordiamo che anche nella nostra storia è stato scritto un triste capitolo di immigrazione: come dimenticare le grandi navi o gli straripanti treni che partivano dal mezzogiorno per andare in America o in Europa, migliaia di sventurati con le valigie di cartone pronti all'avventura, gente che accettava umili lavori pur di sopravvivere: ora la storia si ripete con l'unica variante che i poveri del mondo, almeno in larga parte, non siamo noi . ma aumentano sempre più.

Vi è infatti mai capitato di osservare sull'autobus o in metropolitana che molte persone preferiscono fare tutto il viaggio in piedi, piuttosto che sedersi accanto a una persona di colore? O se sentono parlare con un forte accento albanese alle vostre spalle, di non controllare istintivamente se la borsa o lo zaino sono ben chiusi? Non è difficile immaginare le risposte a queste domande.
La cronaca di tutti i giorni, purtroppo, porta a essere piuttosto prevenuti verso una certa fascia di immigrati, soprattutto se provenienti da alcuni stati. Poche persone, prendendo un mezzo pubblico magari di notte, sceglieranno un posto libero accanto a un marocchino o ad un tunisino, dall'aspetto trascurato e stanco, non immaginando certo che magari quell'uomo è un padre di famiglia che sta tornando a casa, se ne ha una, dopo ore di estenuante lavoro. Molti giovani italiani snobbano lavori umili e faticosi, ma molti immigrati disperati non se lo possono permettere e non ci pensano due volte ad accettare un qualsiasi lavoro. Essi sono principalmente impiegati nel settore terziario: in pochi vengono impiegati nei posti di livello medio ed alto delle imprese, ma nella misura più cospicua vengono occupati nei servizi domestici e nelle mansioni dequalificate della ristorazione, del commercio e degli altri comparti dei servizi. L'agricoltura è un altro dei settori dell'attività economica dove il lavoro straniero è più utilizzato, sia per le occupazioni più gravose, specie dell'allevamento e della pastorizia, sia per quelle a carattere stagionale. Vi è inoltre il commercio ambulante nelle località turistiche. La massa degli immigrati è tale che lo stato non riesce - e spesso, forse, non fa nemmeno il minimo indispensabile - a controllare il fenomeno nei suoi aspetti più negativi. Basti pensare che nel 1997 gli immigrati regolari in Italia rappresentavano il 2,2% della popolazione italiana. Tale entità corrisponde a meno della metà della media europea. La percentuale più alta di immigrati nel mondo si registra in Oceania (17,8% della popolazione totale); seguono  Usa e Canada (8,6%), Europa (5%), Africa (2,5%), America Latina (1,7%), Asia (1,4%).

Il razzismo è un argomento di quelli pesanti e che causano sempre accese discussioni. "Diverso" non deve diventare sinonimo di "inferiore" o "pericoloso". Anzi, la diversità va sfruttata, conosciuta. Anche perché chi consideriamo diverso è un uomo come noi, con desideri, aspirazioni, capacità da esprimere.

In un mondo in cui la "globalizzazione" è considerata di vitale importanza, non ci si può poi chiudere a riccio nei confronti dell'esterno.
Alla fine chiediamoci se non siamo un po' tutti "parenti" di qualcuno, legati dal fatto di abitare un po' questa grande casa che è la Terra e dal fatto che se saremo un giorno in difficoltà avremo bisogno anche di qualcuno che abbiamo escluso e non considerato come parte della "famiglia" italiana.






























Spunto 1 (analisi del fenomeno)

Nel tentare di arrivare ad una valutazione complessiva del fenomeno, tenendo soprattutto conto dei luoghi di inserimento e dei diversi fattori attrattivi presenti nel paese appare possibile individuare alcune interessanti aree di riferimento. Una delle prime modalità con cui si è manifestato il fenomeno è stata quella di una immigrazione "di confine ", molto vicina ai flussi frontalieri ( Carcadè e Ranuzza, 1987), legati all'esistenza di un potenziale migratorio tra due aree contermini, che tende ad attivarsi una volta che fattori espulsivi ed attrattivi abbiano superato una certa soglia. In Italia tale meccanismo si è messo in moto in due aree molto distanti, non solo geograficamente tra loro: il Friuli e la Sicilia occidentale. Solo parzialmente assimilabili a questa categoria sono i più recenti flussi di albanesi e di cittadini dei paesi dell'ex-Jugoslava, in questi casi infatti, come del resto vale per la stessa immigrazione tunisina diretta in regioni diverse dalla Sicilia, i fattori di attrazione agiscono su una scala nazionale più che regionale, per cui le zone prossime ai confini rappresentano ormai la naturale, ma non esclusiva, area di ingresso più che quella di destinazione finale come dimostra la stessa dispersione delle tre comunità sul territorio italiano.

Un secondo insieme di fattori attrattivi, più stabile nel tempo e più intenso del precedente, è di natura propriamente metropolitana. I grandi agglomerati urbani conservano infatti una capacità di richiamo notevole, anche se gli immigrati non trovano più lavoro nei grandi impianti industriali delle periferie ma si dirigono soprattutto verso le occupazioni del terziario. In parte vengono richiamati nei posti di livello medio ed alto delle imprese, italiane e straniere, operanti soprattutto nei mercati internazionali, ma nella misura più cospicua vengono occupati nei servizi domestici e nelle mansioni dequalificate della ristorazione, del commercio e degli altri comparti dei servizi. Complessivamente le province delle due maggiori città italiane, Roma e Milano, raccolgono quasi un terzo della presenza straniera regolare del paese: è così nei grandi centri che l'operatore pubblico si trova a dover affrontare i problemi più vistosi, anche in relazione alle già presenti situazioni di disagio sociale nelle zone più degradate della realtà urbana e che, molto spesso, diventano anche le aree di insediamento e di aggregazione dell'immigrazione. Problemi aggravati dal fatto che l'immigrazione irregolare è, con ogni probabilità, molto più diffusa nelle grandi aree metropolitane che nel resto del paese, vuoi per le maggiori possibilità di occupazione, vuoi per il minor controllo sociale rispetto ai centri di dimensioni più contenute.

Nel caso italiano il fenomeno ha trovato una sua collocazione anche nei centri urbani di dimensioni medie e piccole, sia perché alcuni fattori di attrazione già richiamati per le aree metropolitane sono il risultato di deficienze strutturali comuni a tutto il paese, si pensi alle carenze dei servizi di assistenza ai minori e agli anziani ed alla conseguente necessità per le famiglie di provvedere per proprio conto, sia perché una struttura urbana e produttiva articolata e decentrata come la nostra tende, per sua natura, più a diffondere i fenomeni sul territorio che non a concentrarli in aree delimitate e circoscritte.

Le stesse aree rurali sono rimaste tutt'altro che escluse dal fenomeno dell'immigrazione, anzi l'agricoltura è uno dei settori dell'attività economica dove il lavoro straniero è più utilizzato, sia per le occupazioni più gravose, specie dell'allevamento e della pastorizia, sia per quelle a carattere stagionale. Proprio la temporaneità delle occupazioni appare un carattere importante del fenomeno, comune a molte delle sue diverse componenti. D'altra parte la frammentazione di fattori attrattivi e il concentrarsi della domanda di lavoro ai margini o all'esterno del mercato del lavoro ufficiale, ha spinto gli immigrati a ricercare su tutto il territorio le proprie nicchie di inserimento, determinando anche un'elevata mobilità occupazionale e territoriale. Questi elementi sembrano in grado di definire un'area di problemi peculiare e trasversale alle diverse aree di inserimento nel paese, caratterizzata da un'ampia diffusione su tutto il territorio nazionale e dall'alternarsi di attività temporanee, ora nei servizi delle grandi o delle piccole città, ora nelle campagne, ora nel commercio ambulante nelle località turistiche.

Nel complesso il fenomeno dell'immigrazione appare in fase di progressiva stabilizzazione, è soprattutto l'allargamento dei fattori attrattivi alle occupazione dell'industria in molte aree dell'Italia settentrionale e centrale a dimostrare la maturazione del processo migratorio. Già nel 1992 dei lavoratori stranieri occupati registrati negli archivi dell'INPS 43.000 erano occupati nell'industria e oltre 15.000 nell'edilizia, segnando il consolidamento del processo di utilizzazione degli immigrati nelle attività centrali per il sistema produttivo nazionale. Le tendenze demografiche in atto nel paese, con un processo di invecchiamento sempre più intenso, concorreranno nei prossimi anni a far aumentare i fattori di attrazione. Da una parte infatti l'aumento delle attività di cura e assistenza a carico delle famiglie spingerà ad un maggior ricorso al lavoro immigrato, dall'altra, è molto probabile che lo stesso settore industriale troverà ostacoli sempre maggiori a coprire le proprie necessità di forza lavoro, specie nelle mansioni di più basso livello, anche come conseguenza del forte calo di natalità degli ultimi venti anni. La presenza degli immigrati continuerà così il suo processo di sedimentazione nella società italiana, facendosi sempre più elemento permanente e definitivo della realtà, di qui la necessità di intervenire a livello generale e locale per costruire percorsi di inserimento certi e sicuri che consentano di sfruttare al meglio le opportunità e le risorse rappresentate da questi nuovi arrivati.









































Spunto 2 (analisi economico-politica)

Perché la politica dell'immigrazione in Italia appare spesso inadeguata a dare risposte efficaci ai problemi dell'integrazione e incapace di cogliere le opportunità che si manifestano? Credo che la causa principale di tale inadeguatezza dipenda dal fatto che l'immigrazione sia considerata essenzialmente come un fenomeno economico, legato alla domanda di lavoro. Lo dimostra il fatto che a occuparsi di immigrazione è in Italia prevalentemente il ministero per il Lavoro e per lo Stato Sociale.

Ma una interpretazione puramente economista dell'immigrazione comporta, tra gli altri, tre inconvenienti maggiori:

primo inconveniente: concentra l'attenzione sulla "domanda" di immigrazione piuttosto che sulla "offerta"; conduce, perciò, a politiche errate; non favorisce la soluzione dei problemi di integrazione.

L'attenzione è tutta portata sui bisogni di manodopera del Paese che attira immigrati mentre vengono trascurati o fortemente sottovalutati i fattori e le motivazioni che spingono le persone a lasciare i loro Paesi di origine. Gli stessi fautori dell'immigrazione giustificano tale interpretazione affermando che dobbiamo accettare i lavoratori stranieri perché "ci servono", sia per ragioni demografiche (bassa natalità degli italiani e conseguente futura riduzione della popolazione in età di lavoro) sia per motivi socio-economici (gli italiani si rifiutano di fare "certi lavori", che devono perciò essere fatti da immigrati). L'immigrazione viene quindi considerata una risorsa e non un costo o un dovere per i Paesi ricchi. Anche gli avversari dell'immigrazione fanno discorsi analoghi, giungendo però a conclusioni opposte. Essi contestano la necessità di importare manodopera straniera, affermando che basterebbe far lavorare di più gli italiani. A riprova di ciò sta il bassissimo tasso di partecipazione alla vita attiva degli italiani, specie con riferimento alle donne. Inoltre occorrerebbe pagare meglio i lavori rifiutati dagli italiani per trovare persone disponibili a farli. Se poi avessimo ancora bisogno degli immigrati, basterebbe far muovere i disoccupati del Sud dell'Italia o, al limite, richiamare dall'estero i lavoratori italiani (o meglio i loro figli) espatriati negli anni passati.

In realtà, entrambe le posizioni sono parziali e trascurano l'unico fatto che conta: l'immigrazione deriva soprattutto da una forte spinta ad abbandonare i Paesi di origine, per fuggire a condizioni di miseria o anche a persecuzioni odiose da parte di regimi incivili. Anche se non avessimo bisogno di immigrati, questi verrebbero egualmente e sarebbe disumano rifiutarli. Posto poi che la nostra popolazione sta diminuendo, rifiutarli sarebbe anche antieconomico.

secondo inconveniente: da questa impostazione economista e lavorista dell'immigrazione derivano politiche inadeguate. Si pretende di poter determinare il numero degli immigrati sulla base delle esigenze di lavoro in Italia, invece che in funzione della pressione esterna. Qualcuno propone anche che siano le Regioni a farlo, come se l'immigrato non avesse poi diritto a muoversi da una regione a un'altra una volta che è in Italia. Si pensa di poter scegliere gli immigrati sulla base della provenienza e della professionalità. Si confezionano norme ad hoc per gli immigrati, tipo i contratti di lavoro a termine con annesso visto di soggiorno legato al posto di lavoro.

Questa impostazione genera squilibri a causa dell'eccessiva selezione dell'immigrazione (solo maschi per l'industria, solo donne per i lavori domestici, solo persone in età di lavoro...). Produce segregazione e precarietà nei rapporti sociali e lavorativi. Induce a forti oscillazioni di domanda di immigrazione, con il rischio di dover mettere in opera azioni di espulsione a ogni fase negativa del ciclo economico, quando si riduce la domanda di manodopera;

terzo inconveniente: Politiche errate per l'immigrazione conducono a difficili processi di integrazione sociale e civile. Se l'immigrato è solo un lavoratore, la sua presenza è tollerata durante il lavoro e mal sopportata fuori del lavoro. La politica dell'abitazione si riduce, nel migliore dei casi ai dormitori vicino ai luoghi di lavoro. Senza essere inserito in una comunità articolata, l'immigrato avrà una difficile vita sociale. Non si integrerà se non avrà alcuni diritti civili fino a quello di cittadinanza, sia pure con specifiche regole per ottenerlo.

In realtà l'immigrazione è "anche", e non "solo", un fenomeno economico. Essa è prevalentemente un fenomeno umano e sociale che ci accompagnerà nei prossimi anni. Le politiche per l'immigrazione non devono essere affidate al ministero del Lavoro e devono tenere più conto della spinta a lasciare i Paesi di origine che della domanda di manodopera nel nostro. Occorre aumentare l'accoglienza del nostro Paese, per consentire agli immigrati di inserirsi nella nostra società, senza per questo perdere la nostra e la loro identità. Un problema difficile da affrontare, ma non impossibile e che trova a livello territoriale molte e articolate risposte da parte della società civile: istituzioni, comunità religiose, sindacati, associazioni; di imprese, volontariato... Sono queste risposte multiple che vanno promosse ed estese, più che una politica centrale per l'immigrazione fatta di statistiche e di burocrazia.

L'IMMIGRAZIONE NEL MONDO E IL PROBLEMA DEGLI IMMIGRATI'IMMIGRAZIONE NEL MONDO E IL PROBLEMA DEGLI IMMIGRATI



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