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PREMESSA

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PREMESSA


L'artista del '900 si sente un "diverso"nel mondo che lo circonda, un estraneo rispetto ai valori che lo dominano e si rivolge più all'interiorità che al mondo esterno, per cui dalla ricerca dell'interiorità si lascia condurre in una dimensione nuova, il cui perno è costituito dal rapporto realtà - finzione, tra persona e personaggio, tra realtà e anormalità.

La psicologia tesa e maniaca, la pazzia latente ed espressa è una realtà interiore connessa alla condizione dell' "individuo sempre insidiato, come scrive Baratto, da un conflitto interiore insanabile". Lo stesso Pirandello scrive: "Non c'è uomo che differisca di più da un altro che da se stesso nella successione del tempo" e ancora che "l'uomo è un atomo in cielo che si affanna e si agita senza ragione", poiché non riesce a dare un valore alla propria esistenza: "Mattia rappresenta un vinto, è forestiere della vita e non è coscienza, ma rappresenta il dilemma umano dell'essere e non essere. La coscienza per Mattia non basta come guida" per riuscire a risolverlo. Avviene così il progressivo orientarsi verso un'arte sottratta al condizionamento della realtà, opposta ai valori borghesi e alla confusione ideologica, agli eventi storici. Nell'ambito della crisi della civiltà, tutto diventa problematico, tutto diventa possibile e, in questo senso, frantumato il vecchio ordine di valori, Pirandello e Joyce si abbandonano alla comprensione e alla compassione verso tutti gli aspetti e le forme che può assumere di volta 949b11j in volta la condizione umana per questo il loro soggettivismo diventa dramma.



Anche Joyce, infatti, affronta la perdita da parte del mondo di valori pubblici e condivisi, secondo lui l'artista deve trovarsi al di fuori della società, se vuole ritrarla. Ritiene, infatti, che si debba essere oggettivi per capire ed analizzare a fondo i problemi del mondo in cui si vive. Per riuscire ad ottenere ciò, decide di lasciare un paese, l'Irlanda, per lui troppo opprimente e provinciale pur continuando a trattare storie di vita della sua terra.


Il mito

Pirandello, in particolare nella produzione teatrale, dà voce al bisogno dell'assoluto: ".in molte pagine abbandonato il tono umoristico dà voce all'epifania dell'oltre. A questi squarci di essenza, spesso legati nella narrativa a notti lunari, fanno da contrappunto i miti teatrali, che rappresentano le verità essenziali e incontrovertibili, rintracciate in fondo alla storia degli uomini giù giù fino a raggiungere le strutture originarie, patrimonio di tutte le umanità di ogni tempo e ogni luogo.Questi miti Pirandelliani sono molto vicini agli archetipi junghiani; sono ciò che rimane dopo la frantumazione. Sono le verità profonde e inalienabili ritrovate alle origini della vita."

La ricerca dell'autenticità, che costituisce il sottofondo psicologico dell'opera pirandelliana, approda alla consapevolezza di una tensione, del resto mai sopita, verso una "verità" che non possa essere contraddittoria poiché, come Pirandello scrisse in una lettera ad Eugenio Levi nel '21, la sua "concezione ritorna di necessità all'Assoluto", e per far questo egli aggredisce, domanda, sacrifica, strappa la "maschera" alla folla dei suoi personaggi con pietà accorata, sincera, ma umanissima e prospetta una fuga dalla propria finitezza che, nel linguaggio del mito pirandelliano, equivale ad una salvezza contemplata.

"Pirandello attinge alla fonte dei miti e degli archetipi antichi, componendoli e ricomponendoli a suo modo in chiave contemporanea per drammatizzare la realtà del nostro presente e del nostro vivere." (F. Zangrilli - Pirandello e la fede-Centro studi pirandelliani - Agrigento 2000 - pag. 152) in un tentativo del recupero corretto di valori sociali, religiosi e artistici. La Spera nel dramma "La Nuova Colonia" e Sara in "Lazzaro" emblematizzano la forza della natura e della vita, la fecondità, il rapporto salvifico con la madre Terra, la capacità di riorientare l'anima in una vita primigenia attraverso una poligenesi operata da un atto di umiltà. La sconfitta di Ilse ne "I Giganti della Montagna", rappresenta invece la sconfitta dell'arte e, ripetendo quanto ha sostenuto Leone di Castrio, è il segno del destino del poeta Pirandello che " si ritrova solo con le creature della sua compassione."

Il metodo mitico evidenzia il contrasto tra la condizione misera dell'uomo del presente e quella gloriosa dell'uomo del passato.La novità di Joyce dal punto di vista tematico dipende dal fatto che egli nell' "Ulisse", "un'Odissea moderna", riprende in considerazione la figura dell'eroe classico contrapposta all'uomo contemporaneo tutt'altro che eroe e piuttosto preda, nella sua crisi esistenziale, dei suoi stessi bisogni, desideri ed istinti: "Ulysses si propone come summa dell'esperienza fisica dell'uomo e negazione di quella metafisica" (I Contemporanei - Letteratura Inglese - volume 1 - Ed. Lucarini, pag. 362). È questa un'Odissea eroicomica che ridimensiona tempo e spazio, rappresentata in un unico giorno, 16 Giugno 1904.

Secondo Joyce il mito, il sogno rappresentano sia certezze che realtà esistenziali grazie alle quali possiamo entrare nell'esperienza universale.

In "Ulisse" Joyce ci presenta un uomo che denuncia tradimenti e persecuzioni: Leopold è tradito dalla moglie infedele e sente il bisogno di un figlio, Stephen è perseguitato dal senso del suo fallimento come artista e dal bisogno di un padre. Essi tentano di dare un valore, un significato, alla propria esistenza. Leopold è un antieroe, vittima delle proprie debolezze, non ha nessuno dei tratti che contraddistinguono Ulisse ma è lui che rappresenta l'uomo medio sensuale del suo tempo, curioso di nuove esperienze e rapporti umani; Stephen è l'artista, l'idealista alla ricerca di valori spirituali; Molly è l'essenza della natura femminile, "espressione della fisicità più assoluta e dell' accettazione più incondizionata ma non passiva della condizione umana."(I Contemporanei - Letteratura Inglese - volume 1 - Ed. Lucarini - pag.365). In tal modo, al mito omerico si affianca il mito cristiano della Trinità dove però alla terza persona, lo Spirito si sostituisce la figura femminile di Molly, che rappresenta la carne, la sensualità, la fertilità naturale.


ANGOSCIA NELLO SCOPRIRSI

Pirandello si serve dell'individuo per indagare sulla sua angoscia interiore ed esistenziale senza però riuscire a trovarne una motivazione dal momento che la realtà è un susseguirsi d'incoerenze e la vita del soggetto si svolge nell'antitesi tra il mutamento e il cristallizzarsi delle forme fisse. Toglie ogni maschera ai suoi personaggi, con furore, con sorriso, con effetti drammatici o con una "pietas" sincera e liberatoria; ingrandisce le loro figure, altre volte ne coglie i particolari più inconsueti, altre ancora le deforma; e mette a fuoco una dissonanza del carattere, un'alterazione della personalità e delle capacità di valutazione con il metodo usato nella caricatura. Egli crea delle maschere attraverso l'introduzione dei protagonisti in un altro luogo o in un altro periodo, diverso rispetto a quello per loro abituale. Lo strabismo di Mattia Pascal è la metafora della voglia di libertà, della sua indole ribelle e contestatoria e gli occhiali che gli vengono imposti fin da ragazzo, per raddrizzargli l'occhio ribelle, sono una parte del programma educativo che ha lo scopo di indirizzare le sue abilità in campo intellettivo e correggere le sue abitudini.

Nel romanzo "Uno, nessuno e centomila", invece, Vitangelo a causa del naso che pende a destra è estraneo a se stesso, si vede vivere, e incomincia ad inseguire quell'estraneo che lo condurrà in un'immaginazione surreale o in una metafora distruttiva.

Pirandello non consente ai personaggi di manifestare liberamente il proprio carattere: anche quelli che sembrano non riuscire a trattenere la loro irrequietezza finiscono per essere bloccati e trattenuti da qualche ostacolo caratteriale o psicologico. Lo scoprirsi avviene attraverso un mutamento del piano di coscienza e del modo di vedere le cose quando entra in gioco il rapporto fra l'umanità della persona e l'esistenza. A questo punto si ha la percezione che quelle immagini che dovrebbero essere la variante di una stessa e sola immagine sono proprio immagini del tutto distinte, che forzano lo stesso soggetto ad essere diverso secondo la persona con la quale tratta. La personalità cambia nel progredire del tempo e perciò l'uomo è una somma di personalità.

Per Pirandello il "guardarsi allo specchio" rappresenta il vedere quel se stesso che gli altri vedono e funge quindi da meccanismo di difesa, costituendo una maniera indispensabile per tenere a bada ciò che può accadere di pericoloso nel rapporto con gli altri.

In Joyce nel romanzo "Gente di Dublino", la funzione dello specchio viene sostituita dalla finestra. Il personaggio può guardare al di fuori o attraverso essa, per osservare ciò che avviene all'esterno o all'interno della casa. "sera per sera passavo dinnanzi alla sua casa. e scrutavo il quadrato di luce della finestra, e sera per sera lo trovavo illuminato allo stesso modo, fioco ed uniforme" (Gente di Dublino , Ed. Mondadori ,Cles (TN) ,1971, pag. 41). Talvolta è una finestra per guardarsi dentro: "Seduta alla finestra guardava la sera invadere il viale. Teneva la testa appoggiata contro le tendine e sentiva nelle narici l'odore della cretonne polverosa. Era stanca." (Op. cit. - Eveline pag. 68). Talvolta è la metafora di un essere che non vive realmente, ma osserva gli altri mentre vivono. "Viveva in una vecchia casa tetra e dalle finestre poteva posare lo sguardo nell'interno di una distilleria abbandonata o farlo risalire lungo il magro fiume, sul quale sorge Dublino." (Op. cit. - Un increscioso incidente - pag.141). Talvolta guardare fuori della finestra segnala al protagonista il momento in cui si sente pronto ad aprirsi verso il mondo esterno, verso la realizzazione di sé, come succede per Gabriel alla fine della storia I Morti.




L'INETTITUDINE

L'uomo che Pirandello descrive è intelligente e parte integrante dell'universo, anche se non è in grado di capirlo, perché la problematicità è nelle cose soggette a continue smentite. Per questo motivo l'uomo è costretto a cercare continuamente verità assolute, solidi punti di appoggio, ma anche a distruggere le sue scoperte: se l'esperienza si cristallizzasse nella coscienza, la vita non sarebbe più una forza dinamica e quindi uscirebbe dalla storia.

L' esperienza dunque travolge e svuota l'uomo pirandelliano: la vita conserva sempre gli stessi bisogni, è sempre uguale, per cui limita o mortifica i suoi protagonisti. L'energia vitale, pertanto, spesso resta inespressa, il desiderio di rivolta rimane soffocato e l'individuo si ritrova solo personaggio "in cerca di autore", in cerca cioè di quella energia che possa liberarlo dalla "trappola" in cui lo ha imprigionato l'improvvisa coscienza. "Morto? Peggio che morto; me l' ha ricordato il signor Anselmo: i morti non debbono più morire e io sì, io sono ancora vivo per la morte e morto per la vita. Che vita, infatti, può essere più la mia? La noja di prima, la solitudine, la compagna di me stesso?" (da "Il Fu Mattia Pascal ").

L'inettitudine, nel clima culturale europeo, viene concepita generalmente come rifiuto della lotta, l'accettazione dell'inferiorità. L'inettitudine dei personaggi joyciani in "Gente di Dublino" è una condizione molto simile a quella dei protagonisti dell'opera di Svevo e Pirandello anche se un po' meno elevata.

Essa è uno stato di grigiore e di impotenza, che spinge l'individuo ad immergersi in un mondo di azioni e sogni che lo vedono protagonista di un'esistenza diversa, nella quale egli realizza le proprie aspirazioni. Ma non è la grande varietà di scelte possibili che gli impedisce di scegliere, o di fuggire, non è neanche, come per Zeno la difficoltà di accettare la vita in una sola e definitiva dimensione. Anche se in qualche caso il conflitto interiore tra pensiero e azione, tre sogno e realtà rende il personaggio immobile e incapace di reagire (Eveline), l'inetto di Joyce è più una vittima di se stesso e del suo carattere, della sue frustrazioni, della sua modesta condizione sociale. L'inettitudine del Piccolo Chandler in Una Piccola Nube nasce dalla timidezza, dalla malinconia, dal timore. "Come sempre avveniva allorché pensava alla vita s'immalinconì. Una dolce malinconia s'impadronì' di lui. Sentiva quanto fosse inutile lottare contro il destino.ma la timidezza lo aveva sempre trattenuto.A volte era lui stesso a ricercare le cause del suo timore. a volte il suono sommesso di una risata fuggitiva lo faceva tremare come una foglia. " (Op. cit. - pagg. 104, 105);

Essa è la rigidità dell'approccio alla vita per Mr Duffy in Un increscioso incidente: "Egli viveva ad una certa distanza dal proprio corpo considerandone le azioni con dubbiose occhiate di sbieco.Non faceva mai l'elemosina e camminava rapido e fermo portando una robusta mazza di nocciolo." (Op. cit. - pag. 142) ;

è la povertà morale che spinge Farrington alla dipendenza dall'alcool in Contropartita: ".capì che avrebbe avuto bisogno di una bella sbornia quella sera.Sentiva il bisogno di calmare quella sete nella gola.S'avvicinava la notte umida e buia ed egli avrebbe voluto passarla nei bar, bevendo con gli amici, fra le luci abbaglianti del gas e l'acciottolio dei bicchieri." (Op. cit. - pagg. 121, 122, 123).

In sintesi, l'inettitudine dei dublinesi rappresenta la debolezza spirituale di individui che non possiedono ideali né certezze e che consapevoli, anche se in parte, della loro piccolezza morale ed umana, si rassegnano ad essa.


CENTRO DELLA PARALISI

Il centro della paralisi in Pirandello è rappresentato in primo luogo dall'atroce immobilità del personaggio che è costretto ad indossare la maschera che altri gli hanno messo accanto al volto o che egli stesso ha assunto per gioco ("Enrico IV") e che lo obbliga a recitare la sua parte. L'esistenza scorre insignificante e logora la persona. Paralizzato è chi è cosciente della finzione e chi s'illude di scegliere la propria esistenza perché il soggetto non riuscirà mai a vivere la vita neppure quando crede di dominarla (Adriano Meis). Le passioni continuano a pulsare, l'energia psichica si sviluppa, ma il dramma si consuma sull'impossibilità di attuare la propria liberazione. Tutto sembra accanirsi nel paralizzare l'individuo, la famiglia, le istituzioni. Sia ne "Il Fu Mattia Pascal che in "Uno, nessuno e centomila la famiglia rappresenta un impedimento per l'uomo che non può manifestare se stesso e la propria coscienza. In particolare modo è il personaggio della moglie che costringe i rispettivi protagonisti ad essere altre persone. Mattia Pascal, per essere libero e finalmente se stesso, è costretto ad allontanarsi dal focolare domestico che paralizza ogni sua aspirazione. Tentare di guarire dalla paralisi per Mattia significa cambiare identità e scegliersi un nome, da Mattia a Adriano Meis, significa rivoluzionare il proprio stile di vita, da bibliotecario a giocatore d'azzardo, da marito frustrato ad amante di Adriana, ma il germe della paralisi non è solo nella famiglia, ma anche nel mondo esterno, che blocca ogni sua azione ed aspirazione.

Vitangelo Moscarda è paralizzato dall'idea di essere visto dalla moglie diverso da come egli si è sempre creduto. A quel punto si crea un mondo tutto suo, quello della follia, attraverso il quale cerca di sfuggire all'immobilità in cui lo getta la sua crisi esistenziale. Alla fine nella consapevolezza che non esiste un solo Vitangelo, ma ne esistono forse centomila o nessuno, crede di poter realizzare la sua guarigione, ma precipita in un nuovo centro di paralisi che è il manicomio in cui viene rinchiuso.

Lo scrupolo religioso, il senso del peccato paralizzano Diego Spina ("Lazzaro") che sopporta rassegnato l'abbandono e il tradimento della moglie cercando una giustificazione nell'espiazione. Anche quando umoristicamente viene distrutto l'edificio della fede in cui Diego aveva chiuso la sua vita, il vuoto delle sue astrazioni non è colmato e continua a fallire ogni sua mossa di ribellione (la nuova vestizione del figlio, il tentato omicidio). Il miracolo avviene solo in Lia, grazie al richiamo della madre che, essere privilegiato, si è riscoperta soggetto. Paralizzante è la folla nella sua volgarità, (I Giganti) che, nella sua ottusa brutalità, non si apre alla parola della poesia e fa a pezzi Ilse.


La Dublino di Joyce, in "Gente di Dublino", è il centro della paralisi: questo termine viene pronunciato per la prima volta da un bambino nel racconto Le Sorelle, e descrive il disagio sia fisico, sia morale, che ha colpito uno dei protagonisti della storia, il rev. Flynn. Il corpo del vecchio prete è paralizzato, e la sua inabilità non è soltanto fisica: essa rappresenta la malattia della sua anima, la perdita della fede: " stato per via di quel calice che ha rotto." (Op. cit. - pag. 50).



Il tema ritorna nella scena finale di Eveline, come malattia della volontà e incapacità di trovare la forza di cambiare la propria vita:"lei non rispondeva. Si sentiva le guance pallide e fredde e da un confuso fondo di disperazione pregava Dio di guidarla, di mostrarle quale era il suo dovere.lo sgomento le dette quasi un senso di nausea.Lei lo fissava con la faccia pallida, passiva, come un animale smarrito. I suoi occhi non gli diedero alcun segno d'amore o d'addio o di riconoscimento." (Op. cit. - pagg. 72,73).

Nel racconto Un increscioso incidente Mr. Duffy è un personaggio paralizzato nella sua ricerca di isolamento: "Non aveva né compagni, né amici, né chiesa, né credo. Consumava la sua esistenza spirituale senza comunione alcuna col prossimo." (Op. cit. - pag.143); nella sua mania per l'ordine più assoluto:"Mr Duffy rifuggiva da ogni indizio esteriore di disordine fisico e mentale." (Op. cit. - pag. 142); nella rigidità con cui controlla ogni suo gesto ed emozione; nella minuziosa regolarità delle sue azioni quotidiane e delle sue abitudini:" la sua vita scorreva uniforme ed uguale: storia senza avventure." (Op. cit. - pag.142). La durezza dei tratti del suo volto è specchio dell'aridità della sua anima, egli è incapace di lasciarsi andare al coinvolgimento amoroso con Mrs. Sinico:"un legame.è sempre un legame di dolore." (Op. cit. - pag. 146), perché questo sconvolgerebbe la sua "natura morale", la "rettitudine della propria esistenza", in altre parole, lo costringerebbe a cambiare,ad uscire dalla sua immobilità per farlo partecipe del "banchetto della vita".

Nel racconto I Morti, il tema della paralisi è rappresentato dalla storia del cavallo di Patrick Morkan come ci viene detta da Gabriel. Infatti il cavallo è incapace di cambiare la sua abitudine e compie sempre lo stesso tragitto intorno alla statua del re inglese William III. Quest'animale è la metafora della paralisi di Dublino, dovuta all'incapacità degli abitanti di scrollarsi di dosso la dipendenza politica dal governo di Londra, la dipendenza religiosa dalla chiesa di Roma, l'immobilità culturale e spirituale dovuta ad un'insoddisfazione incapace di reagire. Il romanzo "Ulisse" inizialmente era stato concepito come novella da aggiungere alle altre di "Gente di Dublino" e anch'esso nasce dal rifiuto di queste strutture paralizzanti: "La novella non fu mai scritta, ma si deve ricordare che era stata concepita nel contesto generale di Dubliners, l'opera intesa a rappresentare una condizione di paralisi provocata dalle sovrastrutture che rendevano impossibile, a Dublino, il manifestarsi della vita autentica della persona umana: la chiesa e la religione cattolica, le convenzioni sociali, il dominio straniero e il gretto, inetto nazionalismo che gli si contrappone." (I Contemporanei - Letteratura Inglese - volume 1 - pag. 363). Come i personaggi che animano le sue opere, Joyce non simpatizza con i movimenti nazionalisti, nonostante il suo amore per l'Irlanda, poiché vede il patriottismo come un movimento che paralizza lo sviluppo di uno spirito libero. Egli è anche scettico verso la religione troppo opprimente, sebbene non divenga mai ostile alla chiesa.

Dublino non è solo un punto su una cartina geografica, ma un luogo della mente. I suoi abitanti sentono che per vivere pienamente dovrebbero lasciare alla città, ma manca loro la determinazione per farlo e il loro eterno conflitto tra fuga e rassegnazione li arresta per sempre, li rende immobili anche se consapevoli della propria nullità.












BIBLIOGRAFIA:

PAGINE WEB CONSULTATE:

https://digilander.iol.it/leolor/spaziotempo/Joyce.htm

https://digilander.iol.it/sukynho/TesinaII/James_Joyce.htm

https://www.cg95.fr/biblio/europe/italiano/Joyce.com

LIBRI CONSULTATI:

Luigi Pirandello, "Il fu Mattia Pascal"

Luigi Pirandello, "Uno, nessuno e centomila"

Luigi Pirandello, "Maschere nude" a cura di Italo Borzi e Maria Argenziano, Grandi tascabili economici, edizioni Newton, 1994, Cartiera di Kajaani

Luigi  Pirandello, "I Giganti della Montagna"

Luigi Pirandello, "Lazzaro"

Luigi Pirandello, "La Nuova Colonia"



Pasquale Tuscano, "Pirandello: dal vero alla verità", Critica Letteraria 49, Loffredo editore, Napoli, 1985, pagina 705

Giuseppe Amoroso, recensione di Nino Borsellino su "Ritratto di Pirandello", Laterza, Bari, 1983, pagina 206

Oliver Friggeri, "Pirandello uomo del '900" da "Pirandello e le avanguardie", Enzo Lauretta, Centro Nazionale Studi Pirandelliani, 1999

James Joyce, "Gente di Dublino"

James Joyce, "Gente di Dublino", edizione Garzanti, Italia, 1976, pagine VII-XXVII (prefazione)

James Joyce, "Gente di Dublino", edizione Oscar Mondadori, Cles (TN), 1987, pagine VII (prefazione)

James Joyce, "Dubliners" a cura di Mariella Stagi Scarpa, società editrice internazionale, Torino, 1992, pagina 189

James Joyce, "Ulisse"

Aldo Tagliaferri, "Antologia critica di Gente di Dublino", edizione Oscar Mondadori

David Daiches, "A critical history of English literature" volume IV, Secker & Warburg, London 1969 pagina 1161-1164

Italo Svevo, "Senilità"

Italo Svevo, "Senilità", Bompiani, Milano, 1991, prefazione di Haydee, pagina XXXI

Italo Svevo, "Senilità", Bompiani, Milano, 1991, prefazione di Eugenio Montale, pagina XXXI

R. Esposito, "Rassegna di studi su Italo Svevo" da "Critica letteraria", Loffredo, Napoli, 1976, pagina 160

Gioia Pace, "Critica letteraria", Loffredo, Napoli, 1991, pagina 365

P. D. Giovannelli, "Filologia e critica", Roma, 1984, pagina 352-382

P. D. Giovannelli, "Filologia e critica", Salerno, 1989, pagina 325

E. Providenti, "Nuova antologia", Le Monier, Firenze, 1999, pagina 354

Pasquale Soccio, "Nuova antologia", Le Monier, Firenze, 2000, pagina 168-177

I Contemporanei - Letteratura Inglese , Ed. Lucarini, Roma, 1977.












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