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LA STORIA Sintagma e sistema nel testo narrativo

italiano





Premessa

Una narrazione è individuata da una storia (una sequenza di eventi, legati da rapporti temporali e logici) e da un narratore che la racconti. La presenza di questa voce che racconta è ciò che distingue il genere narrativo da quello drammatico: anche le opere drammatiche presentano una storia (Edipo scopre di aver ucciso il padre e di avere sposato la madre, attirando così la pestilenza sulla sua città, e si acceca), ma non vi è in esse la mediazione di una voce che racconti i fatti: essi si svolgono direttamente in presenza dello spettatore (ritenendo tale anche il lettore, che si rappresenta mentalmente l'azione del dramma).

In ogni narrazione si può distinguere quindi la storia raccontata e l'atto del raccontare, il discorso. Detto in altri termini, la storia è il che cosa viene raccontato, il discorso è il come, il mezzo attraverso cui viene comunicato il contenuto del racconto.



La storia è un'astrazione, non esiste per sé; esiste solo in quanto un discorso la racconti. Leggendo un'opera narrativa noi abbiamo di fronte, concretamente, un discorso. Solo attraverso di esso noi possiamo attingere alla storia. Una storia può essere raccontata da discorsi diversi, addirittura con linguaggi diversi (la narrazione verbale, per immagini cinematografiche, con i fumetti): solo mediante un processo di astrazione si può salire da questi discorsi concreti alla storia comune che essi raccontano.


LA STORIA Sintagma e sistema nel testo narrativo

Al livello della storia raccontata da un testo è necessario operare una distinzione fondamentale. La storia consta di una serie di segmenti in successione lineare. Essi hanno tra loro rapporti di contiguità (vengono uno dopo l'altro). È questo l'asse sintagmatico del racconto (il termine proviene dal greco syn = insieme, tásso = ordino: è la stessa radice del termine sintassi). Ad esempio, nel I canto della Divina Commedia: 1) il personaggio Dante si trova smarrito in una selva oscura; 2) ne esce all'alba e si incammina su un pendio illuminato dal sole; 3) il cammino gli è sbarrato da tre fiere; 4) ritornando in basso verso la selva, incontra Virgilio, ecc. Ma esiste un altro modo di considerare la storia. Gli elementi costitutivi possono essere visti non solo nella loro successione, per contiguità, ma nei rapporti di similarità e opposizione che li legano, anche a distanza. Ad esempio: nel I canto dell'Inferno Dante sale il colle che rappresenta la salvezza; parimenti, nel Purgatorio, sale il monte che lo porta alla purificazione e al paradiso: i due momenti narrativi non sono legati da contiguità nella successione lineare del racconto, si collocano cioè a notevole distanza nella sua struttura; sono invece legati da rapporti di similarità. Ancora: tra la "selva selvaggia e aspra e forte" dell'Inferno, che rappresenta il peccato, e la "divina foresta spessa e viva" del Paradiso terrestre nel Purgatorio, che rappresenta l'innocenza originaria dell'uomo prima del peccato originale, vi è un evidente legame, ma questa volta di opposizione. Questi rapporti di similarità e opposizione si compongono in un sistema, in cui ognuno degli elementi ha una determinata funzione rispetto agli altri; si chiamano perciò rapporti di tipo sistematico (o paradigmatico, dal greco parádeigma = modello). Si riproducono così nel testo narrativo i due assi del linguaggio. Partiamo da un esempio, una frase qualunque: "Oggi è una bella giornata". Le varie parole (lessemi) che la compongono hanno rapporti di contiguità nella successione lineare, vengono cioè una dopo l'altra. Ma ogni parola, ad esempio "bella", ha rapporti di similarità od opposizione con altri termini che fanno parte del sistema generale della lingua, come "splendida" (similarità) o "brutta" (opposizione). Come si vede, in questo caso i rapporti non sono in atto, come nella successione sintagmatica, ma solo virtuali.

Nel testo narrativo, tali rapporti sistematici si possono dare per diversi tipi di unità, oltre ai segmenti narrativi. Ad esempio, a livello di motivi: nella Commedia un motivo fondamentale è la polemica contro la corruzione della Chiesa, che ricorre continuamente nelle tre cantiche, con precisi rimandi interni; così, nell'Inferno, il motivo dell'aria cupa e senza luce, che punteggia i vari episodi. Tali rapporti si possono dare anche tra personaggi. Nel Decameron vi è un rapporto di opposizione tra ser Ciappelletto, protagonista della prima novella della prima giornata, e Griselda, eroina dell'ultima novella della decima: Ciappelletto è il colmo di tutti i vizi e di tutte le nefandezze, Griselda è l'esempio delle più sublimi virtù. Un rapporto di similarità vi è invece tra Ghismunda e Lisabetta da Messina, entrambe vittime di un'ottusa oppressione familiare, che nega il loro diritto all'amore e le conduce alla morte.

Da tutto quanto detto scaturiscono due possibilità di analizzare un testo narrativo al livello della storia, o secondo la successione sintagmatica delle unità che la compongono, o secondo i rapporti sistematici.


La successione sintagmatica: intreccio, fabula, modello narrativo

All'interno della storia, intesa come successione sintagmatica, si possono distinguere tre livelli, salendo a gradi sempre maggiori di astrazione, cioè di lontananza dal concreto configurarsi della storia nel discorso che il lettore ha sotto gli occhi: intreccio, fabula, modello narrativo (Segre).

L'intreccio è la successione di eventi e di rapporti tra personaggi nell'ordine temporale in cui essa si presenta nel testo concreto. È il livello più vicino al discorso. La successione può non essere lineare, cioè eventi posteriori possono essere anticipati, o viceversa.

La fabula è la ricomposizione della successione temporale e causale lineare (comporta perciò già un processo di maggiore astrazione rispetto al testo come si presenta). Ad esempio nella novella di Nastagio degli Onesti si inserisce ad un certo punto il racconto del cavaliere Guido degli Anastagi, che si riferisce ad avvenimenti successi anni prima. L'intreccio vede dunque questa successione: 1) amore infelice di Nastagio e allontanamento da Ravenna; 2) incontro con Guido degli Anastagi nella pineta di Ravenna; 3) racconto del cavaliere; 4) sfruttamento della visione da parte di Nastagio, per spaventare la fanciulla ritrosa. Ricomponendo i fatti nella successione cronologica, si dovrebbe avere: 1) la vicenda del cavaliere; 2) l'amore infelice di Nastagio; 3) l'incontro nella pineta; 4) lo sfruttamento della visione infernale.

Più complesso è il concetto di modello narrativo. Dati due o più testi narrativi, nella loro storia si possono individuare azioni che si corrispondono, a prescindere da chi le compie, dalle sue caratteristiche individuali specifiche, dai suoi attributi. Questo modo di comparare i testi è stato introdotto dallo studioso russo di folklore Vladimir J. Propp per la fiaba di magia: tra il centinaio di fiabe russe esaminate da Propp, i personaggi e i loro attributi appaiono diversi, un fanciullo, un guerriero, un animale, la figlia del re, ecc., ma le azioni compiute sono le stesse, ed è possibile esprimerle in formule astratte, ad alto livello di formalizzazione: allontanamento, imposizione di un divieto, infrazione del divieto, ecc. Propp chiama funzioni queste azioni, spogliate delle caratteristiche specifiche che esse hanno nei singoli testi. Nelle fiabe di magia si succedono nello stesso ordine sintagmatico. È questo il modello narrativo (il termine è stato proposto da Segre; Propp usa il termine composizione). È chiara la differenza tra intreccio e modello narrativo: nell'intreccio fatti e personaggi conservano le lo 414b12e ro caratteristiche specifiche e individuali, nel modello narrativo tali caratteristiche scompaiono e restano solo le azioni al livello di massima astrazione. Esempio:

Fiaba 1: Il re dà a un suo prode un'aquila. L'aquila lo porta in un altro regno. Fiaba 2: Il nonno dà a Sucenko un cavallo. Il cavallo lo porta in un altro regno. Fiaba 3: Lo stregone dà a Ivan una barchetta. La barchetta lo porta in un altro regno.

Come si vede, nell'intreccio abbiamo personaggi diversi: il re, un prode e un'aquila, il nonno, Sucenko e un cavallo, ecc. A livello di modello narrativo questi particolari non contano; conta solo l'azione comune a tutti gli intrecci, l'allontanamento.

La stessa operazione si può fare con testi narrativi di altra natura, anche letterari, individuando le funzioni che essi hanno in comune. Occorre però avere un corpus di testi, perché le funzioni si possono individuare solo attraverso la comparazione. Su un testo singolo l'operazione diverrebbe del tutto arbitraria. D'Arco Silvio Avalle ha compiuto un'operazione comparativa del genere per l'episodio dantesco di Ulisse. Paragonandolo ad altri testi medievali, molto diversi a prima vista, quali i romanzi del ciclo arturiano e vari romanzi su Alessandro Magno, in latino o in lingue romanze, ha individuato il ricorrere di quattro funzioni comuni:

I. L'eroe decide di partire (allontanamento).

II. L'eroe comunica la sua decisione ai compagni con un discorso (allocuzione).

III. L'eroe coi compagni attraversa la frontiera di un paese sconosciuto (infrazione).

IV. L'eroe e i suoi compagni muoiono in seguito all'impresa (punizione).

La successione di queste funzioni costituisce il modello narrativo.

Se un testo è diviso al suo interno in tante sequenze narrative, è possibile che all'interno di ciascuna di esse ritorni lo stesso modello. Ad esempio nella novella boccacciana di Lisabetta da Messina nelle due grandi sequenze in cui il racconto si può dividere, sino all'uccisione del giovane amante della fanciulla e dopo di essa, ricorre due volte la successione delle stesse funzioni, divieto-infrazione-punizione: nella prima sequenza si ha il divieto (implicito nelle costumanze sociali) per la fanciulla di avere una relazione amorosa, la relazione con Lorenzo (infrazione), l'uccisione del giovane da parte dei fratelli di Lisabetta (punizione); nella seconda sequenza, il fantasma di Lorenzo vieta a Lisabetta di evocarlo ancora (divieto), Lisabetta disobbedisce disseppellendo il suo corpo e recidendo la testa (infrazione), i fratelli le sottraggono la testa, condannandola a morire di dolore (punizione).


Nuclei e satelliti

Tornando al livello dell'intreccio, cioè ad un grado minore di astrazione, che consente di affrontare il testo nella sua fisionomia specifica e individuale, si può ancora proporre un'operazione: distinguere i momenti essenziali allo sviluppo della vicenda, togliendo i quali l'intreccio avrebbe tutt'altro corso (e significato), e momenti "di contorno", che spiegano, completano, sviluppano, togliendo i quali la logica dell'intreccio non sarebbe sconvolta. I primi sono i nuclei, i secondi i satelliti.

Ad esempio sempre nella novella di Lisabetta, i nuclei sarebbero:

1) i tre fratelli non maritano Lisabetta; 2) Lisabetta si innamora di Lorenzo; 3) i fratelli uccidono Lorenzo; 4) Lorenzo appare in sogno a Lisabetta; 5) Lisabetta ritrova il suo corpo, ne stacca la testa e la seppellisce nel vaso di basilico; 6) i vicini si accorgono del fatto; 7) i fratelli le sottraggono il vaso; S) Lisabetta impazzisce; 9) i fratelli fuggono dalla città; 10) Lisabetta muore.

Gli altri elementi concomitanti del racconto sarebbero i satelliti (ovviamente, nell'individuare nuclei e satelliti, c'è un ampio margine di soggettività, che dipende dall'interpretazione che si dà del testo).


Il sistema dei personaggi

Come si è visto, in un testo narrativo l'analisi del sistema si può compiere a vari livelli; segmenti narrativi, motivi, personaggi. Quest'ultimo livello è quello che è stato più praticato e che ha dato i risultati più produttivi.

I personaggi di un racconto non hanno significato ciascuno per sé, ma lo assumono in rapporto ad altri personaggi. Cioè ciascuno di essi ha una funzione in un sistema, ed è legato agli altri personaggi da rapporti funzionali; tanto che modificando un elemento tutto il sistema viene a cambiare. Tali rapporti possono essere, come si è accennato, di similarità e di opposizione. Ad esempio nella novella di ser Ciappelletto il sistema si basa sull'opposizione di fondo tra personaggi astuti e personaggi ingenui:

Ciappelletto vs il frate;

I due usurai vs il popolo credulone.

Leggendo orizzontalmente lo schema, emergono i rapporti di opposizione; leggendolo verticalmente, quelli di similarità.

I sistemi di personaggi non sono statici, non restano necessariamente identici lungo tutto l'arco del racconto, ma possono essere dinamici, cioè subire trasformazioni con lo sviluppo dell'intreccio lungo l'asse sintagmatico, in conseguenza del mutamento di funzione di uno o più personaggi. Ad esempio nella novella di Andreuccio da Perugia vi è inizialmente un'opposizione tra l'ingenuo protagonista e la serie di Oppositori astuti e maliziosi, la siciliana, lo scarabone Buttafuoco, i due ladri; ma, con il processo di formazione percorso da Andreuccio, alla fine il rapporto diviene di similarità: nella conclusione l'eroe è astuto quanto i suoi oppositori. Tutti questi esempi, comunque, dimostrano come i personaggi assumano significato in relazione agli altri all'interno di un sistema, comunque esso si configuri.

Il semiologo Greimas ha costruito un modello generale di sistema, che dovrebbe essere valido per qualunque testo narrativo. Esso consta di sei ruoli fondamentali: Soggetto, Oggetto, Destinatore, Destinatario, Aiutante, Oppositore. Questi ruoli vengono chiamati attanti. Un simile modello è il prodotto, come si vede, di un processo di estrema astrazione dalle caratteristiche specifiche dei vari personaggi degli infiniti testi narrativi esistenti o possibili. I1 concetto di attante non va confuso con quello di personaggio, o attore. Un certo ruolo può essere ricoperto da diversi attori. Ad esempio nella novella di Lisabetta, se il Soggetto è la fanciulla stessa, l'Oggetto è rappresentato sia da Lorenzo sia dal vaso di basilico, e i tre fratelli costituiscono un unico attante, l'Oppositore. Viceversa un attore può ricoprire nello stesso testo ruoli diversi: nella novella di Landolfo Rufolo il mare, oltre che Oppositore dell'eroe, è anche il Destinatore dell'oggetto (la cassa di pietre preziose); in tal caso l'eroe diviene Destinatario. Ma a questo modello di Greimas sono state rivolte molte critiche per la sua eccessiva astrattezza, che fa perdere di vista il testo concreto e i suoi significati specifici. Un ruolo, in un sistema testuale, non ha senso in astratto, ma assume senso in quel dato testo, entro l'opera complessiva dello scrittore, all'interno di un sistema culturale storicamente configurato.


IL DISCORSO

Una narrazione, come atto di comunicazione, presuppone, oltre ovviamente al testo letterario (il messaggio), un autore e un pubblico, cioè, rispettivamente, il mittente e il ricevente. All'interno del testo sono i protagonisti della situazione narrativa, l'autore implicito e il lettore implicito, il narratore e il narratario.


L'autore

I Promessi Sposi sono opera di Alessandro Manzoni, di cui conosciamo molte notizie: che nacque a Milano nel 1785, che visse a lungo a Parigi ecc. I biografi ci hanno permesso di conoscere una grande quantità di particolari, dalla sua cultura alle sue vicende familiari, dai tratti del suo carattere ai suoi gusti personali. Leggendo i Promessi Sposi abbiamo l'illusione di stabilire un contatto con questa figura e, qualche volta, di poter cogliere le sue idee sui grandi temi della vita, oppure le sue simpatie per i personaggi, o le sue opinioni sui singoli argomenti.

Vi sono testi di cui l'autore ci é ignoto: non sappiamo chi li ha scritti, quale personalità avesse l'autore; eppure, leggendo, crediamo ugualmente - se il testo ce lo consente - di poter entrare in dialogo con un autore e di poterlo conoscere, anche se non sappiamo nulla della sua vita reale.

Designeremo come autore reale la persona storica che in una certa data si è messa a scrivere il testo che stiamo leggendo; come autore implicito la figura ideale che avvertiamo dietro il testo stesso. L'autore implicito è sempre presente, fa tutt'uno col testo; I'autore reale può anche essere molto diverso da quello implicito. Il testo é, per così dire, cristallizzato, rispecchia una fase della formazione dell'autore, che può anche non essere quella definitiva; o l'autore può volutamente alterare la propria immagine. D'altra parte il lettore può non cogliere certi elementi della comunicazione testuale, o può immaginare caratteristiche che non sono quelle dell'autore reale. Ad esempio l'idea che il lettore dei Promessi Sposi potrebbe farsi di Alessandro Manzoni - quella di un uomo sereno ed equilibrato, fiducioso nella vita - non coincide con la realtà: Manzoni fu tormentato per anni da un serio esaurimento nervoso.

Se non dobbiamo confondere l'autore reale con l'autore implicito, dobbiamo anche distinguere l'autore dal narratore.

La voce

La prima domanda che occorre porsi di fronte ad un concreto, specifico discorso narrativo è: chi parla? cioè <chi è che racconta? Infatti, leggendo un testo narrativo, noi sentiamo (idealmente) una voce che ci racconta dei fatti; e si è visto che è proprio la presenza di questa voce il tratto distintivo del genere narrativo. Occorre dunque in primo luogo identificarla.


Il Narratore

Non bisogna confondere questo Narratore con l'autore reale, in carne ed ossa. Ciò è del tutto evidente quando a raccontare è un personaggio della vicenda: l'Ortis è raccontato da Jacopo, attraverso le sue lettere; Il fu Mattia Pascal è raccontato da Mattia che scrive in un memoriale la sua bizzarra storia; La coscienza di Zeno è raccontato da Zeno che scrive le sue memorie per lo psicanalista. Ma la stessa situazione si verifica, a ben vedere, anche quando a raccontare è un'anonima voce a fuori campo", che saremmo istintivamente portati ad identificare con l'autore. Prendiamo il caso dei Promessi sposi: chiunque sarebbe pronto ad affermare che è la voce di Manzoni che ci racconta i casi della vicenda. Ma si rifletta su questo: chi racconta mostra di ritenere che il manoscritto secentesco sia una realtà, e che Renzo e Lucia siano realmente esistiti; ma noi sappiamo bene, e lo sa bene anche Manzoni, che si tratta di invenzioni. Se il Narratore li ritiene reali, è segno che anch'esso è interno all'universo della finzione. ll Narratore, insomma, è una funzione del testo, una costruzione fittizia, che ha uno statuto del tutto affine a quello dei personaggi. Se ha una fisionomia, un carattere, esso è costruito dallo scrittore esattamente come quello dei personaggi: non è detto infatti che questo carattere del Narratore corrisponda a quello dell'autore reale. Nel caso dei Promessi sposi il sereno, pacato, bonario Narratore non corrisponde certo al Manzoni storico, nevrotico, tormentato, cupo. Ciò non toglie che il Narratore possa essere il portavoce dell'autore reale entro il testo ed esponga le sue idee, le sue valutazioni (come è appunto il caso dei Promessi sposi, in cui la voce che narra è fondamentalmente quella dell'autore implicito).

Un caso particolare si ha quando un racconto è inserito entro un altro racconto: in tal caso quello che nel racconto di secondo grado è il Narratore, in quello di primo grado è un personaggio. Un bell'esempio è fornito dal Decameron, in cui a raccontare le cento novelle sono i dieci giovani della lieta brigata, che sono i personaggi del racconto della "cornice". Anche questi Narratori possono essere i portavoce dell'Autore reale, esponendo le sue idee e le sue valutazioni, nei preamboli o negli epiloghi delle novelle. Quando si parla di "Narratore" di una novella del Decameron non ci si riferisce dunque a Boccaccio, ma a quello dei dieci giovani che ha la funzione di raccontarla. Comunque, anche il Narratore della cornice non si può identificare direttamente con Boccaccio: vale qui lo stesso discorso fatto per i Promessi sposi: anche questo Narratore parla dei dieci giovani come di personaggi reali, rivelando così di essere interno all'universo della finzione, di essere cioè anch'esso una costruzione narrativa, una funzione del testo.


Lettore e Narratario

Come abbiamo introdotto distinzioni a proposito dell'autore (autore reale/autore implicito ecc.), così è necessario distinguere anche quando si consideri il versante opposto, quello del lettore.

È evidente che un testo presuppone la figura del lettore reale, cioè di chi materialmente compie la lettura. Si tratterà di persone diverse nel tempo e nello spazio, a seconda di dove e quando il testo venga letto. Ognuna di esse riceverà impressioni diverse dalla lettura; non v'è dubbio che il lettore lombardo contemporaneo al Manzoni doveva vedere nel romanzo riferimenti che a noi - a più di cento anni dall'epoca della composizione - sfuggono completamente.

Il lettore reale é una figura importante: è lui infatti che fa rivivere un testo leggendolo. Prendiamo ad esempio il capitolo xx dei Promessi Sposi: qui Lucia, rapita dall'innominato e terrorizzata, formula un voto, quello di rinunciare al matrimonio con Renzo; questo fatto ipoteca lo sviluppo ulteriore dell'intreccio, e sembra pregiudicare la possibilità del lieto fine. Per tutto lo sviluppo successivo, il lettore consapevole continua a tener conto di questo dato, e sa quindi che dovrà succedere qualcosa; sa cioè che l'autore, se vorrà arrivare al lieto fine, dovrà escogitare una soluzione. È evidente che il lettore può avere un diverso grado di consapevolezza di questo meccanismo narrativo: quanto più sarà attento e smaliziato, tanto più saprà far rivivere le finezze letterarie di un testo. A questo proposito è stato detto che un romanzo non è tale finché non trova il suo lettore.

Per il suo romanzo, secondo gli obiettivi romantici, il Manzoni presupponeva un pubblico borghese: non più elitario, ma capace tuttavia di apprezzare anche i riferimenti storici e culturali dell'opera, e soprattutto di coglierne i valori, le implicazioni morali e religiose.

Si designa come lettore ideale, o implicito, o virtuale il pubblico a cui l'autore intende rivolgersi.

Ma è importante vedere anche a chi in un testo narrativo, il Narratore racconta la storia. Questo destinatario del discorso sarà anch'esso interno all'universo della finzione, un ruolo del testo, come lo è il Narratore. All'interno del testo si crea perciò una situazione di comunicazione che riproduce, a livello della fiction, quella reale che vi è tra lo scrittore e il lettore in carne ed ossa che legge i suoi libri:

AUTORE REALE > Narratore > Narratario > LETTORE REALE

Il destinatario del discorso del Narratore è chiamato Narratario. Talvolta può essere una presenza specifica nel testo, con una fisionomia individuale e persino un nome. I Narratori delle novelle del Decameron sono di volta in volta i dieci giovani della brigata che si rivolgono agli altri nove: questi sono i Narratari. Oppure Jacopo Ortis indirizza le sue lettere all'amico Lorenzo Alderani: questi è il Narratario del racconto. Spesso poi, specie nei romanzi del primo Ottocento, il Narratario è identificabile con il "lettore" : nel corso dei Promessi Sposi, ad esempio, il narratore si rivolge spesso al narratario come a un interlocutore diretto (Risparmio al lettore i lamenti, le condoglianze, le accuse, le difese... Pensino ora i miei venticinque lettori... Questioni importanti; ma che il lettore risolverà da sè, se ne ha voglia. Son cose che chi conosce la storia le deve sapere.). Questo soggetto chiamato in causa, in fondo senza una effettiva necessità, non può essere confuso con il lettore reale: esso costituisce piuttosto una funzione della narrazione, quasi un personaggio silenzioso, tirato dentro alla scena dal narratore (E' ovvio, infatti, che lo scrittore o autore (non quel personaggio fittizio che è il narratore) non credeva in realtà che il suo pubblico dovesse limitarsi ai venticinque lettori: la scelta stessa di un genere oggi diremmo di massa o di consumo come il romanzo, ci fa capire che Manzoni presupponeva un pubblico ben più ampio). Lo stesso vale per le carissime donne, a cui Boccaccio si rivolge nel proemio del Decameron. Nei romanzi del secondo Ottocento il Narratario è del tutto virtuale: in Flaubert, in Zola non vi sono più apostrofi al "lettore". Però la fisionomia del Narratario si può egualmente ricostruire, indirettamente, dal tipo di discorso del Narratore. Quando il Narratore, all'inizio dei Malavoglia, dice dei protagonisti: «Tutti buona e brava gente di mare, proprio all'opposto di quel che sembrava dal nomignolo», dà per scontato che il destinatario del discorso conosca la consuetudine tipica della società rurale arcaica, per cui i soprannomi sono regolarmente il contrario delle qualità di chi li porta. Ciò ci permette di capire che il Narratario a cui questo Narratore si rivolge fa parte di quello stesso universo culturale.


Narratori omodiegetici ed eterodiegetici

Le "voci" narrative si possono distinguere in due grandi categorie:

1) Innanzitutto il Narratore può appartenere al mondo stesso dei personaggi, cioè può essere uno dei personaggi che agiscono nella vicenda: in tal caso si definisce Narratore omodiegetico (dal greco homós = comune, identico, e diégesis = narrazione). All'interno di questa categoria si può ancora distinguere il Narratore che è puro testimone, non protagonista (nel Barone rampante di Calvino le imprese di Cosimo Piovasco di Rondò sono raccontate dal fratello; nel Nome della rosa di Eco le vicende di Guglielmo di Baskerville sono raccontate dal giovane monaco Adso), e il protagonista che racconta la sua stessa storia (Il fu Mattia Pascal, La coscienza di Zeno, ecc.; per questa variante si usa la formula Narratore autodiegetico (autós in greco = stesso). Un chiaro esempio può ancora essere costituito dalla Divina commedia, in cui è Dante stesso che, terminato il suo viaggio nei regni oltremondani, racconta la propria esperienza.

2) La seconda grande categoria è quella dei Narratori che non fanno parte del mondo dei personaggi, pure voci "fuori campo": questo tipo di Narratore è detto eterodiegetico (in greco héteros= altro, diverso). In questa categoria rientra il Narratore della Chanson de Roland, o dei romanzi cavallereschi di Chrétien de Troyes, o del Novellino, o della Novella del Grasso legnainolo, o del Novellino di Masuccio salernitano, del Morgante di Pulci, dell'Orlando innamorato di Boiardo. Anche i Narratori delle novelle del Decameron sono eterodiegetici: essi infatti non fanno parte come personaggi del mondo narrato, non agiscono a fianco di Ciappelletto, Andreuccio, frate Cipolla; sono personaggi sì, ma ad un altro livello di racconto, quello di primo grado della "cornice".

Tutti i Narratori citati appartengono alla categoria dei narratori onniscienti: vale a dire che essi possono conoscere tutto della materia narrata, i pensieri più segreti dei personaggi (ad esempio ciò che prova Andreuccio da Perugia mentre si trova chiuso nella tomba dell'arcivescovo), gli avvenimenti presenti, passati, futuri. E evidentemente una convenzione narrativa, in quanto un essere umano non potrebbe secondo verisimiglianza leggere nel pensiero, o conoscere il futuro. Questa convenzione dell'onniscienza del Narratore, che viene come ad assumere il "punto di vista di Dio", che sa tutto, durerà molto a lungo, e conoscerà ancora una piena stagione nel grande romanzo dell'Ottocento, e oltre.

I1 Narratore onnisciente è di norma un Narratore attendibile, che, sempre per convenzione, è fonte per definizione della verità: ciò che afferma non è mai contraddetto o smentito da altri elementi del testo. Questa convenzione sarà poi rotta da romanzieri dell'Otto e Novecento, che affideranno talora i loro racconti a Narratori inattendibili, che forniscono ai lettori informazioni patentemente distorte, inesatte, deformate. Un bell'esempio può essere costituito dai Malavoglia di Verga, dove il Narratore, che coincide col livello di coscienza di un mondo popolare e primitivo, spesso deforma i fatti e viene smentito dall'evidenza oggettiva dei fatti stessi: quando la Provvidenza è in mare durante la tempesta, attribuisce l'angoscia di padron 'Ntoni al carico di lupini in pericolo, e solo in via subordinata al pericolo che corre la vita del figlio Bastianazzo, stravolgendo così i sentimenti autentici del vecchio, secondo una logica ispirata solo all'interesse economico. I Narratori onniscienti spesso hanno poi un'altra caratteristica saliente: intervengono spesso nel racconto con considerazioni generali, commenti, giudizi sull'operato dei personaggi. Ad esempio quando Andreuccio da Perugia si reca dalla siciliana convinto d'aver fatto colpo sulla donna, il Narratore commenta: "Quasi altro bel giovane che egli non si trovasse allora in Napoli"; così nella novella di frate Cipolla il Narratore definisce seccamente "stolta moltitudine" la schiera di contadini che si fa segnare coi carboni dal frate imbroglione. Anche nei poemi cavallereschi di Pulci e Boiardo la voce narrante interviene spesso con i suoi commenti.


Le funzioni del narratore

Nel corso dell'opera il narratore può quindi assumere diverse funzioni, cercare cioè di perseguire diversi scopi; l'intervento del narratore può riguardare infatti: la storia, il testo narrativo, la situazione narrativa.

Riferita alla storia è la fondamentale funzione narrativa: è funzione ovviamente inalienabile, senza la quale cioè un narratore non potrebbe essere definito tale.

La funzione metanarrativa o di regia si ha quando il narratore si riferisce al testo narrativo, e più precisamente al discorso narrativo, per metterne in evidenza l'organizzazione interna, per dar ragione del suo procedere. Ne abbiamo un esempio nel cap.XI dei Promessi Sposi, dove il narratore paragona la difficoltà del tenere insieme la materia narrativa con quella di un fanciullo alle prese col suo gregge di porcellini d'lndia.

Riferite alla situazione narrativa (cioè al narratore, al destinatario e ai loro rapporti) sono le funzioni fàtica, conativa, ideologica e testimoniale.

Esaminiamole singolarmente.

A volte il narratore si rivolge al narratario con tono di complicità: vuol stabilire un contatto, attirare la sua attenzione: Al lettore noi lo faremo passare in un momento tutto quel tempo...

Si parla a questo proposito di funzione fàtica, secondo l'indicazione del linguista Roman Jacobson (dal lat. fari parlare, e perciò anche tenersi in contatto).

Altre volte invece la presenza del narratore insiste sul narratario non soltanto per stabilire un contatto o per introdurlo nella narrazione, ma per influenzarlo, per fargli assumere un determinato atteggiamento emotivo o intellettuale o morale: è la cosiddetta funzione conativa (dal lat. conari tentare di, spingere a): Pensino ora i miei venticinque lettori che impressione dovesse fare sull'animo del poveretto, quel che s'è raccontato.

Si può ravvisare nel discorso la funzione conativa anche quando il narratore esercita una pressione indiretta sul destinatario del messaggio: Nei tumulti popolari c'è sempre un certo numero d'uomini che, o per un riscaldamento di passione, o per una persuasione fanatica, o per un disegno scellerato, o per un maledetto gusto del soqquadro, fanno di tutto per ispinger le cose al peggio. Ma per contrappeso, c'è sempre anche un certo numero d'altri uomini che, con pari ardore e con insistenza pari, s'adoprano per produr l'effetto contrario. ll cielo li benedica.

In casi come questo alla funzione conativa si unisce la funzione ideologica, orientata non più sul narratario ma sul narratore stesso, che commenta l'azione esprimendo, quasi in forma didattica, sue personali valutazioni.

Anche la funzione testimoniale è orientata sul narratore: si ha quando il narratore si riferisce a se stesso come testimone della storia narrata, o fa riferimento alla fonte da cui ha ricavato la storia (vedi, nei Promessi Sposi, la finzione dell'anonimo).


La distanza

Si parla di diegesi o di narrazione diegetica quando si avverte la presenza del narratore come mediatore tra gli eventi narrati o le cose rappresentate e il lettore; quanto più sarà forte questa mediazione, tanto più aumenterà la distanza tra il narrato e il lettore. Varie sono infatti le gradazioni della diegesi, a seconda che il narratore s'introduca esplicitamente nei testo coi suoi commenti (è la gradazione più forte della diegesi), oppure sia presente indirettamente, come nella descrizione dello studio del dottor Azzecca-garbugli: in questo caso, nonostante l'oggettività della descrizione, la presenza del narratore è avvertita, sia pur debolmente, in certi particolari (la toga ormai consunta che fa le veci della veste da camera, ecc).

In realtà è praticamente impossibile annullare la presenza del narratore; esistono però forme di narrazione che pongono la massima distanza tra il narratore e il narrato, e la minima distanza tra il narrato e il lettore; questi percepisce i fatti con immediatezza, cioè senza la mediazione del narratore. Si parla a questo proposito di narrazione mimetica.

Per Genette la mimesi si ha solo nel caso della pura e semplice registrazione di parole pronunciate dai personaggi ("racconto di parole"), senza didascalie o descrizione di gesti; per il resto, si avrebbero solo gradi più o meno deboli di diegesi, o forme pseudo-mimetiche, di "mimesi illusoria": infatti anche le descrizioni più oggettive come quelle che compaiono ad esempio nel romanzo naturalista o verista - e le più sobrie didascalie presupporrebbero sempre almeno la voce del narratore.


Parole e pensieri dei personaggi

Per quanto riguarda la citazione di parole e pensieri, è interessante notare, al di là della discussione teorica, le diverse forme, caratterizzate dalla maggiore o minore potenzialità mimetica, che può assumere il discorso.

Il discorso diretto è il grado più evidente della mimesi, perché il narratore cede la parola al personaggio. Le parole di quest'ultimo sono riportate tra virgolette e possono essere introdotte o meno da verbi come dire, chiedere, rispondere,.

Anche i monologhi o soliloqui, in cui un personaggio parla a se stesso o ad un interlocutore silenzioso, o pensa, possono essere riportati nella forma del discorso diretto.

Non sempre però le parole sono messe direttamente in bocca ai personaggi; in alcuni casi la loro voce viene sostituita da quella del narratore. Ad esempio, nel cap. XX don Rodrigo si presenta all'innominato chiedendo il suo intervento: le sue parole non vengono riferite direttamente, ma attraverso il discorso indiretto:

"Don Rodrigo disse che veniva per consiglio e per aiuto."

Come dimostra il passo, nel discorso indiretto le parole del personaggio vengono riportate secondo modalità vicine alla narrazione diegetica: non abbiamo nessuna garanzia che il narratore non abbia riassunto o citato in modo arbitrario. Infatti esse non sono registrate direttamente sulla pagina, ma introdotte dal narratore con espressioni come disse che/di, rispose che/di e riportate sotto forma di proposizioni subordinate.

E' più mimetico il discorso indiretto libero, in cui il narratore imita il discorso del personaggio: le parole e i pensieri non sono introdotti dai verbi del dire o del pensare e il personaggio fa riferimento a sé in terza persona:

Dunque la sua avventura aveva fatto chiasso; dunque lo volevano a qualunque patto; chi sa quanti birri erano in campo per dargli la caccia! quali ordini erano stati spediti di frugar ne' paesi, nell'osterie, per le strade!

Talvolta il discorso indiretto libero si caratterizza anche per l'uso dell'infinito, come in questi pensieri di don Rodrigo:

E poi, come tornare, o come rimanere in quella villa, in quel paese, dove, lasciando da parte i ricordi incessanti e pungenti della passione, si porterebbe lo sfregio d'un colpo fallito?

Anche in questo caso c'è però la mediazione, pur debole, del narratore. L'uso del discorso indiretto libero è frequente nei romanzi naturalisti e veristi; è sistematico nei Malavoglia del Verga.

Un ultimo caso che ci rimane da considerare è quello del monologo interiore, che designa una citazione di pensieri in stile diretto libero, non introdotto da virgolette né da altri espedienti grafici, né da verbi che indichino l'atto del pensare, ma semplicemente giustapposta all'enunciato del narratore. E una tipica modalità mimetica.

Nei Promessi Sposi (come in genere nel romanzo classico dell'Ottocento) I'uso dello stile diretto libero è infrequente. Valga un brevissimo esempio:

Si rimetteva col pensiero nelle circostanze più terribili di quella giornata; si figurava con quel martello in mano: ci sarà o non ci sarà? e una risposta cosi poco allegra; e non aver nemmeno il tempo di masticarla, che addosso quella furia di matti birboni; e quel lazzaretto, quel mare! lì ti volevo a trovarla! E averla trovata!

Riferire i pensieri dei personaggi, così come essi si presentano e si affollano nella loro mente, senza alcun ordine logico e sintattico, senza alcun tipo di spiegazione che aiuti il lettore a capirne la logica, è un procedimento tipico della narrativa del '900 (Joyce).

In conclusione il romanzo manzoniano, come in genere il romanzo ottocentesco, si presenta come un genere narrativo misto di diegesi e di mimesi, a differenza del romanzo tardo-ottocentesco naturalistico o verista, che si sviluppa secondo modalità mimetiche o pseudo-mimetiche rispondenti al canone dell'impersonalità. Naturalmente dietro alle diverse strutture si nasconde un discorso ideologico.

L'artificio dello straniamento

A proposito dei discorsi dei personaggi vale la pena di aprire una parentesi sul cosiddetto artificio dello straniamento. Si tratta di una procedura stilistica attraverso la quale l'artista ci dà una percezione inedita della realtà. Si potrebbe dire che causa dello straniamento è il paradosso, effetto dello straniamento è la reazione psicologica di spaesamento che tale paradosso provoca in chi legge (e in questo senso, rientrano nello straniamento, in poesia, molte figure retoriche, come ad esempio l'analogia).

In un romanzo, questa procedura può realizzarsi attraverso le parole di un personaggio che deformi la realtà fino a presentare come strano ciò che, almeno dall'autore implicito, è sentito come normale, o come normale ciò che, almeno dall'autore implicito, è sentito come strano. In casi come questo, l'autore prende la massima distanza dal personaggio e induce il lettore a fare altrettanto.

Ricordiamo ad esempio il racconto del tumulto di san Martino fatto dal mercante di Gorgonzola: è evidente che il racconto è enfatizzato e deformato dalla logica economicistica del personaggio, preoccupato solo dell'incidenza negativa del tumulto sulla bottega, ed è altrettanto evidente che l'autore implicito non condivide questa interpretazione dei fatti. Di qui lo scarto tra i due punti di vista, tra due sistemi di valori, e lo straniamento ironico; vale a dire la distanza ironica che l'autore implicito crea non solo tra sé e il personaggio, ma tra il personaggio e il lettore.

L'artificio dello straniamento si determina anche attraverso il montaggio di sequenze contigue di clima opposto (intendendo per sequenza un certo numero di segmenti della narrazione fra loro connessi: ad esempio una scena, un dialogo, una descrizione). Nel cap.XXIII vediamo la contrapposizione tra il clima drammatico, carico di tensione, del colloquio tra il cardinal Borromeo e l'innominato e il clima comico determinato dall'entrata in scena del cappellano crocifero e di don Abbondio. Lo scarto tra le due scene é rivelatore, ancora una volta, dei pensiero dell'autore, e mette in evidenza la meschinità morale dei due preti.

Registri stilistici

Abbiamo parlato di dialoghi e di monologhi; a questo proposito si deve rivelare la presenza di registri stilistici ben diversi, a seconda del personaggio che parla o che pensa.

Il termine registri, tratto dal linguaggio musicale, indica le varietà linguistiche dipendenti dalla situazione in cui gli interlocutori si trovano e dalla funzione, dallo scopo che in essa ha la comunicazione.

Vediamo alcuni esempi. Ecco Renzo e Tonio all'osteria:Domani... Bene Verso sera Benone.

Qui il registro é informale, cioè linguisticamente non controllato, umile e familiare. Il registro definisce il livello stilistico del discorso, non soltanto mediante il lessico, ma anche mediante le pause, i gesti, l'intonazione: lo scopo dell'atto comunicativo è in questo caso sancire un patto di reciproco aiuto (Tonio e Gervaso fungeranno da testimoni al matrimonio per sorpresa, Renzo pagherà venticinque lire a Tonio).

Un classico esempio di scontro di registri è costituito dal colloquio tra il cardinale e don Abbondio:

- Anche questi santi son curiosi, - pensava intanto don Abbondio: - in sostanza, a spremerne il sugo, gli stanno più a cuore gli amori di due giovani, che la vita d'un povero sacerdote...

Torno a dire, monsignore, rispose dunque, che avrò torto io... Il coraggio, uno non se lo può dare.

"E perchè dunque, potrei dirvi, vi siete voi impegnato in un ministero che v'impone di stare in guerra con le passioni del secolo? Ma come, vi dirò piuttosto, come non pensate che se in codesto ministero, comunque vi ci siate messo, v'è necessario il coraggio, per adempir le vostre obbligazioni, c'è Chi ve lo darà infallibilmente, quando glielo chiediate? Credete voi che tutti que' milioni di martiri avessero naturalmente coraggio?»

Il registro di don Abbondio è informale, rozzo e prosaico, quello del Cardinale formale, alto e composto, coerente con la dignità e il nobile sentire del personaggio.

Una prima classificazione di registri si può fare dunque distinguendo la tendenza formale, che corrisponde a un parlare più colto e meditato, dalla tendenza informale che corrisponde al parlare quotidiano più immediato e di uso confidenziale. All'interno di questa distinzione possiamo individuare infinite varianti: registro aulico, umile, colloquiale, gergale, burocratico, umoristico, ironico, patetico ecc.: Manzoni attribuisce a ciascun parlante un suo linguaggio o stile personale, un modo di esprimersi in cui si distinguono caratteristiche precise.

Anche nella lingua del narratore ovviamente si possono cogliere diversi registri stilistici, a seconda delle varie circostanze narrative.


La prospettiva - Focalizzazioni

Oltre che «chi parla?» è indispensabile chiedersi: "chi vede?", o meglio: "di chi è la prospettiva che orienta la narrazione?"

Quando il narratore descrive dall'esterno, senza commenti, una realtà oggettiva, fingendo di sapere della vicenda meno di quanto ne sappiano i personaggi stessi, si parla di racconto a focalizzazione   esterna: è un tipo di focalizzazione adottato quando si vuole realizzare, come nella narrativa verista, il canone dell'impersonalità, oppure nei romanzi polizieschi per creare effetti di suspense.

Ma in molti casi i fatti dell'intreccio sono visti attraverso gli occhi di un personaggio, anche se non è quel personaggio a raccontare, ma la voce narrante resta quella del Narratore. Si veda ad esempio il primo arrivo di Renzo a Milano, durante i tumulti (cap. XI): Renzo, ignaro di ciò che è avvenuto in città, non capisce perché farina e pani siano sparsi a terra, anzi, in un primo momento non riesce neppure a riconoscerli, scambiandoli per neve e ciottoli. Chi parla in questa sequenza è sempre il Narratore, ma chi vede è Renzo: la scena è filtrata attraverso la sua prospettiva di montanaro sprovveduto e stupefatto. I1 Narratore riproduce il suo modo di vedere soggettivo e i limiti della sua conoscenza, e non interviene (per il momento) a spiegare ciò che Renzo non capisce: avviene pertanto una temporanea limitazione dell'onniscienza. Questo procedimento è definito focalizzazione   interna, in quanto il centro focale da cui sono visti i fatti narrati è collocato nel personaggio.

Nella narrazione vi sono dunque due prospettive possibili: quella del Narratore e quella dei personaggi. In genere esse si alternano, ma, a seconda dei tipi di racconto, tende a prevalere l'una o l'altra. Vi può essere dunque un racconto prevalentemente focalizzato sul Narratore, nel quale la prospettiva da cui sono visti i fatti è di norma quella del Narratore (sia pur con momenti di focalizzazione interna ai personaggi): è il caso dei Promessi sposi, ad esempio, o dei romanzi di Balzac. In particolare, nei Promessi Sposi il caso più frequente è quello della focalizzazione zero, perché il punto di vista è quello del narratore onnisciente, che domina dall'alto la narrazione, penetra i pensieri più riposti dei personaggi, anticipa eventi, conosce cose che i personaggi ignorano, sa e vede tutto. Ma vi può essere un racconto a prevalente focalizzazione sul personaggio, in cui i fatti sono di norma presentati attraverso il punto di vista ristretto e soggettivo di uno o più attori della vicenda (sia pur con interventi della prospettiva del Narratore): è il caso di Senilità, in cui quasi tutto passa attraverso il punto di vista di Emilio Brentani, il protagonista.

Questo procedimento della focalizzazione interna è stato usato in tutta la gamma delle sue possibilità dalla narrativa moderna, dal secondo Ottocento in avanti; ma se ne possono trovare embrioni già anche nella letteratura medievale, specie in Boccaccio. Ad esempio nel seguire le vicende e gli incontri notturni di Andreuccio noi cogliamo gli eventi da un punto di vista molto vicino a quello del protagonista stesso, li percepiamo quasi con i suoi occhi, come li vede lui: tant'è vero che non conosciamo in anticipo gli sviluppi delle vicende, ma li veniamo ad apprendere man mano che li vive il personaggio. Lo stesso avviene nella sequenza del naufragio nella novella di Landolfo Rufolo: il pauroso avvicinarsi della cassa, che minaccia di sommergerlo, è visto attraverso la sua prospettiva; ed anche qui noi non sappiamo quale sia il contenuto della cassa: il nostro raggio visuale coincide con quello del personaggio. La focalizzazione sul punto di vista dei personaggi crea un effetto di sospensione e di sorpresa: in entrambi i casi quindi il procedimento narrativo, facendo vivere dall'interno al lettore il meccanismo dell'imprevisto, vale a sottolineare il capriccio imprevedibile della Fortuna, che nelle due novelle è un elemento determinante dell'intreccio. Se ne può dedurre come la focalizzazione non sia un espediente gratuito ed estrinseco, ma sia perfettamente rispondente ai nuclei tematici delle novelle.

La distinzione tra focalizzazione sul Narratore e focalizzazione sul personaggio vale non solo per il racconto eterodiegetico, ma anche per quello autodiegetico, in cui a raccontare è il protagonista stesso. Ciò può sorprendere, perché si è portati a ritenere che, essendo in quel caso Narratore e personaggio la stessa persona, il racconto sia sempre a focalizzazione interna. Ma il fatto è che, a ben vedere, Narratore e personaggio non sono propriamente la stessa persona: in primo luogo hanno nel testo funzioni diverse, l'uno vive i fatti, l'altro li racconta; in secondo luogo, ed è ciò che più importa, il Narratore racconta di norma a distanza di tempo dai fatti: ciò significa che tra io-Narratore e io-personaggio vi è inevitabilmente una differenza psicologica e di conoscenze; l'io-Narratore, nell'atto di raccontare, ne sa di più dell'io-personaggio, e ciò può portarlo a giudicare in modo diverso, ad avere idee e reazioni emotive diverse. Quindi anche nel caso del racconto autodiegetico esistono due prospettive distinte, e la narrazione può passare attraverso il centro focale più ampio del Narratore o quello più ristretto del personaggio. Un esempio eloquente può essere offerto dalla Divina Commedia, che è un racconto autodiegetico. C'è il Dante personaggio che compie il suo viaggio, e c'è il Dante Narratore che lo racconta. Il racconto avviene quando il viaggio è finito, quindi il Dante che narra ha una conoscenza ben maggiore del Dante che viveva quella esperienza (proprio per questo acquisto di conoscenza il viaggio oltremondano è stato effettuato). Di norma la narrazione della Commedia è condotta dal punto di vista del Dante Narratore; ma talora, in certi punti salienti, il campo visivo si restringe a quello del Dante personaggio. Si vedano gli episodi di Pier delle Vigne (Inferno, XIII), in cui Dante personaggio resta sbalordito dinanzi al ramo spezzato che sanguina e parla, della comparsa del mostro Gerione (Inferno, XVI), che salendo dall'abisso appare come una forma indistinta e misteriosa, dell'arrivo al Purgatorio della navicella con le anime, su cui Dante a tutta prima non riesce a distinguere la figura dell'angelo (Purgatorio, II): in tutti questi casi l'ottica adottata è quella del Dante personaggio che non sa e non capisce; solo in un secondo momento il Dante Narratore fornisce le spiegazioni necessarie, e ciò determina una forte sospensione narrativa.


Lo spazio

Narrare/descrivere

Gli enunciati narrativi, che rappresentano "eventi" (azioni, avvenimenti) vanno distinti dagli enunciati descrittivi, che rappresentano "esistenti" (personaggi, elementi dell'ambiente). La distinzione é però assai più problematica di quanto potrebbe apparire da questa schematizzazione; in concreto, nelle opere narrative in prosa descrizione e narrazione sono strettamente intrecciate. È difficile trovare testi puramente descrittivi, ed è ancora più raro trovare testi puramente narrativi: "la descrizione è indispensabile perché gli elementi dinamici della diegesi (o storia} non si potrebbero pensare e rappresentare senza un minimo di consistenza e di espansione nelle strutture dello spazio" (A. Marchese).

L'opposizione tra narrare e descrivere aveva tuttavia, all'interno di uno stesso testo, una sua giustificazione soprattutto nell'ambito di certe poetiche (ad esempio dell'età barocca), in cui la descrizione, spesso gratuita, non legata o debolmente legata alla storia, aveva una funzione essenzialmente decorativa; ma, come ha messo in evidenza Roland Barthes, il problema si ripresenta in nuova forma durante l'Ottocento, quando la descrizione assume nuove funzioni, determinate dall'inglobamento nella narrativa di vicende storiche e dalla ricerca del "vero". In questo secolo la descrizione risponde anch'essa al proposito realistico, tende a conseguire cioè un "effetto di realtà", a svincolarsi dal ruolo puramente esornativo, ad assumere una più accentuata funzionalità narrativa.

Ciò premesso, passiamo a un tentativo di classificazione delle descrizioni, che terrà conto:

a) del punto di vista da cui è condotta la descrizione e degli effetti che questo può produrre sulla descrizione stessa;

b) delle funzioni che la descrizione assolve nel racconto.

La descrizione secondo il punto di vista - Denotazione e connotazione

Abbiamo visto come la narrazione possa essere condotta da vari punti di vista; vediamo ora come questi possano incidere sulla rappresentazione dello spazio, e determinarne le caratteristiche. Consideriamo questi due brani:

"Il lazzaretto di Milano (se, per caso, questa storia capitasse nelle mani di qualcheduno che non lo conoscesse, nè di vista nè per descrizione) è un recinto quadrilatero e quasi quadrato, fuori della città, a sinistra della porta detta orientale, .(cap. XXVIII, rr. 308-321)

"S'immagini il lettore il recinto del lazzeretto, popolato di sedicimila appestati; quello spazio tutt'ingombro, dove di capanne e di baracche, dove di carri, dove di gente; quelle due interminate fughe di portici, a destra e a sinistra, piene, gremite di languenti o di cadaveri confusi, sopra sacconi, o sulla paglia; e su tutto quel quasi immenso covile, un brulichio, come un ondeggiamento; e qua e là, un andare e venire, un fermarsi, un correre, un chinarsi, un alzarsi, di convalescenti, di frenetici, di serventi. Tale fu lo spettacolo che riempì a un tratto la vista di Renzo, e lo tenne lì, sopraffatto e compreso.(cap. xxxv, rr. 1-8)

Il primo passo è condotto unicamente dal punto di vista del narratore (un narratore estraneo alla vicenda, ma che ne sa più di qualsiasi personaggio); la descrizione è oggettiva, nel senso che registra elementi oggettivi, necessari per fornire al lettore punti di riferimento spaziali.

Nel secondo passo la rappresentazione dello spazio passa attraverso una variazione di prospettiva: al punto di vista del narratore "onnisciente", presente nell'attacco e riconoscibile dal richiamo al lettore, subentra insensibilmente quello di Renzo, come il narratore stesso dichiara esplicitamente (tale fu lo spettacolo che riempì a un tratto la vista di Renzo...): si tratta di una descrizione soggettiva. Ma, al di là delle definizioni, è importante notare come nel secondo passo il sovrapporsi dei punti di vista conferisca pathos alla scena, la arricchisca di vibrazioni emotive.

L'adozione del punto di vista è in stretto rapporto con le scelte stilistiche. La prima descrizione si avvale di un linguaggio tecnico, che qualcuno ha definito "geometrico": risponde al bisogno di Manzoni di essere esatto nel suo descrivere "una storia veridica", testimonia una esigenza di referenzialità che esula dalla ricerca del "pittoresco" o del "poetico", nel senso convenzionale del termine; è una descrizione "denotativa". Si parla di denotazione quando ci si riferisce al valore informativo-referenziale di un termine, il cui significato sia comune a tutti i parlanti della stessa lingua, con esclusione di qualsiasi giudizio personale o di sovrassenso.

La seconda descrizione è intessuta di immagini che danno il senso di uno spazio vertiginoso ("interminate fughe di portici"), degradato a luogo animale ("immenso covile"); anche la fitta serie degli infiniti ("un andare e venire, un fermarsi, un correre, un chinarsi, un alzarsi...") rende l'idea di un accumulo di tensione; il termine "brulichìo", evoca il convulso agitarsi della vita del lazzaretto in contrasto con la città vuota e silenziosa. E' una descrizione "connotativa", intendendo per connotazione l'insieme di proprietà che aggiungono a un termine (o a un'espressione, o ad un'intera pagina) un valore allusivo, emozionale o evocativo.

In genere i sostantivi sono denotativi; ma sono frequenti le eccezioni, come nel caso dei sostantivi alterati. Quando ad esempio Manzoni parla della massa del tumulto come di un "corpaccio" è evidente che l'alterazione peggiorativa del sostantivo è connotativa. Anche nel secondo passo che abbiamo riportato il termine "covile" è connotativo. Allo stesso modo, gli aggettivi sono in genere connotativi; ma, ad esempio, nel primo brano che abbiamo preso in esame l'aggettivazione è denotativa, in quanto concerne la collocazione e le dimensioni degli oggetti indicati ("una grande apertura... una piccola... una piccola chiesa ottagonale").

Nel romanzo manzoniano denotazione e connotazione sono strettamente intrecciate e permettono la realizzazione di un romanzo realistico, e insieme capace di generare messaggi aggiuntivi, legati a contenuti sentimentali, morali, ideologici.

Funzioni delle descrizioni

La descrizione del lazzaretto che, nel precedente paragrafo, abbiamo definito "oggettiva", assolve varie funzioni: in primo luogo una funzione referenziale, nel senso che passa informazioni pure e semplici, ma necessarie, senza riflettere o sollecitare emozioni; in secondo luogo una funzione   mimetica, volta cioè a creare un "effetto di realtà", a dare l'impressione al lettore di trovarsi veramente di fronte all'oggetto descritto (le stesse considerazioni valgono per le descrizioni di "interni", cioè di ambienti).

Anche nella celebre descrizione con cui si apre il cap.I si possono ravvisare, almeno fino a un certo momento (rr. 1-23), le suddette funzioni; ma la sua particolare posizione rispetto all'insieme della narrazione è significativa in quanto scandisce lo stacco tra l'introduzione e l'inizio vero e proprio del romanzo. Quando la descrizione svolge tale compito, di separazione o di scansione della narrazione, viene detta descrizione dermarcativa.

Il cap. IV si apre con una descrizione tutta incentrata, anche quando non lo manifesta direttamente, sul personaggio di padre Cristoforo.

"Il cielo era tutto sereno: di mano in mano che il sole s'alzava dietro il monte, si vedeva la sua luce, dalle sommità dei monti opposti,. "

La scena, con le sue note contrastanti, si accorda non solo col tristo presentimento del cuore del frate, ma con tutta la tormentata trama della sua vita: e in questo senso la descrizione ha una funzione focalizzatrice, in quanto inquadra, mette a fuoco il personaggio, costituisce quasi la cifra di lettura della presentazione che seguirà. Al tempo stesso, la descrizione mette in evidenza un motivo del romanzo, cioè il contrasto tra la bellezza del creato e la dolorosa condizione umana, e costituisce l'avvio al tema della carestia; in tal senso funge da veicolo di trasmissione dei significati riposti dell'opera: guida cioè il lettore alla comprensione dell'opera stessa. Si parla in questo caso di funzione organizzatrice della descrizione.

Analizziamo un altro esempio di descrizione organizzatrice. In fuga verso il Bergamasco, Renzo si è rifugiato durante la notte in una capanna; al suo risveglio, I'annuncio della giornata è bene augurante, e lo si ricava dalla descrizione introdotta a questo punto:

"Il cielo prometteva una bella giornata: la luna, in un canto." Nel "clima" della descrizione c'è dunque l'anticipazione del buon esito della fuga di Renzo: la narrazione cioè viene organizzata coerentemente, annunciata e anticipata nei suoi sviluppi.

Altre volte la descrizione preannuncia una svolta negativa della vicenda. Si legga il celebre «Addio monti" dell'ottavo capitolo. Lucia sta fuggendo, e dalla barca guarda piangendo il paese che è costretta ad abbandonare:

"Addio, monti sorgenti dall'acque.", In questo caso il testo interrompe il flusso degli eventi in un momento di particolare drammaticità: il narratore, fingendo che l'addio occupi il tempo impiegato dalla barca per giungere all'altra riva dell'Adda, sembra voglia concedersi una pausa. Questa funzione della descrizione viene detta, appunto, funzione dilatoria. Anche in questo passo però la funzione della descrizione è molteplice: è «demarcativa» in quanto segna il passaggio tra due parti del romanzo, quella borghigiana e quella cittadina; è focalizzatrice in quanto mette a fuoco il trepido stato d'animo di Lucia.

La complessità delle funzioni dà spessore alla descrizione, che in Manzoni non assolve mai una funzione di puro ornamento, cioè decorativa.


Il tempo

Il tempo è una componente essenziale del racconto, visto che esso è una successione cronologica di eventi. Una distinzione fondamentale è quella tra tempo della storia e tempo del discorso. Tempo della storia (d'ora in poi indicato con TS) è il tempo in cui si svolgono i fatti raccontati nella storia. Se nel testo vi sono le necessarie indicazioni, esso si può calcolare in ore, giorni, anni. Ad esempio la vicenda dei Promessi sposi occupa circa due anni, dal novembre 1628 all'agosto 1630 (sino al ritrovamento di Lucia al lazzaretto, escludendo cioè l'epilogo, in cui le indicazioni di tempo sfumano nell'indeterminato); la vicenda di Andreuccio, se si esclude il preambolo sul mercato, dura una notte, dal tramonto all'alba. Il tempo del discorso (TD) è il tempo impiegato dal discorso per raccontare la storia. Esso non è quantificabile esattamente. Non può essere misurato dal tempo empirico della lettura, che è soggettivo e variabile. È quindi un tempo fittizio, che va assunto per convenzione. Forse sarebbe più facile parlare di spazio, lo spazio di righe e pagine occupato dal discorso narrativo.

I rapporti tra TS e TD si possono studiare secondo tre determinazioni: ordine, durata, frequenza.

Ordine - L'ordine di successione degli eventi nel discorso può non coincidere con quello della storia (della fabula per l'esattezza): cioè il discorso narrativo può introdurre prima dei fatti che nella storia vengono dopo, o viceversa. Si tratta di anacronie, cioè di rotture della linearità cronologica dei fatti nell'esposizione (analessi se vengono raccontati fatti che precedono quelli a cui è arrivata la narrazione, prolessi se vengono anticipati fatti non ancora avvenuti). Abbiamo già citato l'esempio della novella di Nastagio; ma un esempio classico può essere l'Eneide: il racconto si apre in medias res ad un punto già avanzato dell'intreccio, con il naufragio di Enea sulle coste dell'Africa, poi l'eroe narra a Didone la caduta di Troia e le proprie peregrinazioni, dopo di che il racconto ritorna al presente con le vicende d'amore di Enea e della regina. Questi inserimenti di avvenimenti del passato si definiscono analessi. Sono tali la storia delle peregrinazioni in Oriente di frate Cipolla, o il racconto della siciliana ad Andreuccio, anche se gli avvenimenti narrati sono inventati.

Durata - Elemento importante è la velocità del racconto, che è data dal rapporto TS/TD.

Se TS > TD la narrazione è veloce; un lungo periodo di tempo è raccontato in poche pagine, o addirittura in poche righe. Si tratta di una narrazione riassuntiva, o sommario. Esempi: il racconto delle vicende di Landolfo Rufolo sino al naufragio, e poi del suo ritorno in patria dopo la scoperta delle gemme; la relazione di Ghismunda e Guiscardo sino alla fatale scoperta da parte del padre.

Se TD = 0 si ha l'ellissi, cioè si omette di raccontare porzioni più o meno ampie di tempo. Ad esempio al termine del canto III dell'Inferno Dante perde conoscenza, e all'inizio del IV si risveglia dall'altra parte dell'Acheronte: il passaggio del fiume infernale non è raccontato, siamo quindi in presenza di un'ellissi.

Se TS=TD si ha la scena, cioè la coincidenza tra ciò che avviene nella storia e il tempo impiegato a raccontarlo. Esempio, la scena che si svolge nella cattedrale tra Andreuccio e i ladri, il lungo dialogo tra Ciappelletto e il confessore, quello breve e secco tra Cavalcanti e la brigata.

Se TS < TD si ha un racconto molto lento, come una scena vista al rallentatore. Un esempio può essere la conclusione della novella di Ghismunda, in cui l'eroina indugia la propria morte con lunghissime allocuzioni al cuore dell'uomo amato uccisole dal padre.

Se TS = 0 si ha la pausa: la storia non procede e il Narratore indugia in descrizioni o divagazioni. Le descrizioni nella Commedia e nel Decameron sono abbastanza rare: Dante e Boccaccio prediligono la rappresentazione dinamica, in movimento, in cui il quadro è creato dai particolari inseriti via via nel fluire del racconto. Tuttavia pause descrittive se ne possono trovare: ad esempio la descrizione di Malebolge nel canto XVIII dell'Inferno, quella di Lucifero nel XXXIV, quella del paradiso terrestre nel XXVIII del Purgatorio, della rosa dei beati nel XXX del Paradiso; in Boccaccio i ritratti di Ciappelletto e frate Cipolla, la descrizione della stanza della siciliana o del chiassetto nella novella di Andreuccio, dello scenario dell'incontro di Cavalcanti con la brigata tra il battistero e le arche di marmo. Un esempio di pausa è anche l'inizio della novella di Cavalcanti, in cui il Narratore indugia a rievocare nostalgicamente le "belle e laudevoli" usanze cortesi della Firenze di un tempo.

La velocità può mutare nel corso di un racconto: nella novella di Landolfo Rufolo la narrazione è inizialmente molto rapida, poi rallenta, dando origine ad una scena quando Landolfo naufrago cerca di respingere la cassa, infine si fa di nuovo rapida e riassuntiva nella parte finale, col ritorno in patria dell'eroe.

Frequenza - Per questo aspetto si possono indicare quattro tipi di racconto:

a) Raccontare una volta quanto è avvenuto una volta (racconto singolativo). Esempio: Andreuccio cade nel chiassetto, Guido Cavalcanti incontra la brigata di messer Betto.

b) Raccontare n volte ciò che è avvenuto n volte (racconto singolativo anaforico). Esempio: gli incontri di Dante con le anime che si meravigliano che egli sia vivo.

c) Raccontare n volte quanto è avvenuto una volta (racconto ripetitivo). Esempio: nella Commedia Dante ripete più volte, a vari personaggi, come Virgilio sia venuto a salvarlo per invito di Beatrice.

d) Raccontare una volta sola quanto è avvenuto n volte (racconto iterativo). Esempio: nella novella di Cisti, messer Geri Spina passa più volte con gli ambasciatori del papa dinanzi alla bottega del fornaio, ma il fatto viene raccontato una volta sola; così gli incontri amorosi di Ghismunda e Guiscardo.

I1 tempo narrativo è strettamente in funzione della voce: infatti ordine, velocità, frequenza dipendono dalle scelte del Narratore; è lui che decide se narrare prima o dopo un certo evento, se raccontarlo sommariamente o indugiando in una scena, se raccontare una o più volte un fatto.


La lettura: dal testo al contesto

Il riconoscimento e l'analisi delle caratteristiche specifiche, delle forme linguistiche e strutturali, delle scelte tematiche costituiscono la prima tappa del lavoro su un testo. Anche altri sono però i fattori di cui bisogna tener conto: per poter analizzare e valutare un'opera letteraria dobbiamo allargare il nostro campo di indagine oltre il testo stesso.

Vediamo quindi quali aspetti esterni al testo occorre considerare per poterlo comprendere in tutta la ricchezza dei suoi significati:

1) Dobbiamo innanzitutto tenere presente che non basta analizzare le caratteristiche testuali di un'unica opera per comprendere appieno le idee e le tecniche espressive di un autore, nonché il significato dell'opera stessa. Occorre invece considerare tutta la produzione letteraria di un autore: solo attraverso il confronto tra i vari testi noi siamo in grado di capire l'evoluzione del suo pensiero, le trasformazioni dello stile, possiamo inoltre ricostruire la sua ideologia, la sua concezione della vita e dell'arte. Le opere giovanili, ad esempio, sono indicative della formazione culturale dello scrittore e, confrontate con quelle più tarde, ci permettono di conoscere la sua crescita culturale ed artistica.

2) Nelle scelte tematiche e linguistiche di uno scrittore intervengono inoltre diverse componenti di cui bisogna tener conto.

Egli da un lato decide autonomamente di che cosa parlare, quali argomenti affrontare, dall'altro lato è condizionato in questa decisione da elementi esterni. Infatti già nella scelta di un certo genere letterario, sia esso romanzo, poema o racconto, ecc., si pone in relazione con quegli autori che precedentemente a lui hanno scritto opere del medesimo genere: dalla loro conoscenza e dallo studio dei loro testi può ricavare insegnamenti, spunti per il suo lavoro.

Lo scrittore può seguire le orme dei suoi predecessori, assumendo una posizione di continuità, oppure può introdurre elementi innovativi che modificano o trasformano completamente il genere cui fa riferimento. Egli è inoltre influenzato dalle tendenze letterarie contemporanee: anche se non partecipa direttamente a un movimento letterario (come possono essere il Romanticismo o il Futurismo), anche se non ne condivide le idee e le scelte espressive, è costretto a porsi in relazione con esso, se non altro per assumere una posizione di dissenso o di contrasto.

3) Lo scrittore infine è inserito in un certo momento storico e in una certa società che costituiscono il contesto storico-sociale in cui egli si muove. Egli risente dei problemi, dei dibattiti propri del suo tempo che, anche se non diventano argomenti specifici delle sue opere, incidono però sulla loro genesi, proprio perché lo scrittore fa parte di quella società e di essa riflette gli aspetti. Se ad esempio affrontiamo l'analisi di una novella di Pirandello, la conoscenza del contesto storico-culturale in cui l'autore visse ci aiuta a comprendere meglio i temi da lui trattati e ci permette di dare loro una portata e un valore più ampi, non più legati a un singolo individuo, Pirandello, ma alla cultura di una società e di un'epoca storica particolare. La nascita della psicologia, la nuova consapevolezza della complessità dell'animo umano, i profondi cambiamenti politici e sociali che mettono in discussione i valori fino ad allora accettati, tutto ciò determina il modo di scrivere e di pensare dell'autore siciliano, influenza la sua concezione della vita e dell'arte. Non tenere conto di tutti questi fattori significa comprendere solo in parte il significato delle sue opere.

Ogni testo letterario va quindi considerato in relazione alle opere dello stesso autore, al genere letterario cui fa riferimento, alla situazione storico-sociale in cui lo scrittore vive. La conoscenza degli elementi del contesto ci permette di valutare gli aspetti innovativi, sia di contenuto sia di tipo formale, rispetto alla tradizione letteraria, di comprendere meglio lo stesso significato dell'opera cogliendone i riferimenti letterari e storici.

I1 rapporto tra il testo e il contesto è di tipo dialettico, cioè reciproco. Molti elementi del testo infatti, come ad esempio il tipo di lingua usato, il genere letterario, lo stesso argomento, ci permettono di collocare l'opera in un certo periodo storico e culturale. È quindi dal testo stesso che noi ricaviamo le informazioni principali, così come dalle caratteristiche intrinseche di un quadro, ad esempio i colori usati, la tecnica pittorica, il soggetto rappresentato, i critici d'arte sanno valutarne l'epoca di appartenenza e anche riconoscerne l'autore. La conoscenza del contesto in cui l'opera si colloca ci permette inoltre di rilevare nel testo le maggiori novità, l'influenza che la situazione storico-sociale ha avuto sull'autore, il valore culturale dell'opera stessa. Anche il significato del testo, i riferimenti in esso contenuti appaiono più chiari se conosciamo la realtà in cui lo scrittore visse e operò.
























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