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Gianni Rodari - L'infanzia a Omegna

italiano



Gianni Rodari


L'infanzia a Omegna
Gianni Rodari nasce il 23 ottobre 1920 a Omegna sul Lago d'Orta in cui i genitori originari della Val Cuvia nel Varesotto si trasferiscono per lavoro. Gianni frequentò ad Omegna le prime quattro classi delle scuole elementari. Era un bambino con una corporatura minuta e un carattere piuttosto schivo che non lega con i coetanei. È molto affezionato al fratello Cesare mentre a causa della notevole differenza di età è poco in confidenza con il fratello Mario.
Il padre Giuseppe fa il fornaio nella via centrale del paese e muore di bronco-polmonite quando Gianni ha solo dieci anni. In seguito a questa disgrazia la madre preferisce tornare a Gavirate il suo paese natale.

La gioventù e l'adolescenza a Gavirate e l'esperienza del seminario
Nel varesotto vive dal 1930 al 1947. 
Frequenta la quinta elementare a Gavirate.
Il 5 agosto 1931 fa richiesta di entrare in seminario per frequentare il ginnasio. Nell'ottobre dello stesso anno entrerà quindi nella IC del seminario di Seveso. Gianni si distingue subito per le ottime capacità e risulterà infatti il migliore della classe. Risultati che furono poi confermati anche nella seconda classe. All'inizio della classe terza, nell'ottobre 1933 si ritirò. Concluse l'anno scolastico a Varese, ma non proseguì gli studi liceali bensì optò per le scuole Magistrali. Frequentò con profitto la quarta classe nel 1934-35 e venne ammesso al triennio superiore. Il 25 febbraio 1937 abbandonò gli studi per presentarsi alla sessione estiva con l'intento di sostenere direttamente gli esami e guadagnare così un anno. 
Già a partire dal 1935 Rodari militava nell'Azione Cattolica. Dai verbali delle adunanze di Gavirate risulta che nel dicembre dello steso anno Gianni svolgeva già la funzione di presidente. Anche l'anno successivo fu dedicato molto all'organizzazione cattolica. 
Nel 1936 pubblicò otto racconti sul settimanale cattolico L'azione giovanile e iniziò una collaborazione con Luce diretto da Monsignor Sonzini.



Nel 1937 iniziò un periodo di profondi cambiamenti. Nel marzo lasciò la presidenza dei giovani gaviratesi dell'Azione cattolica e da allora i rapporti con questa si allentarono molto. Tra la primavera e l'estate il suo massimo impegno venne dedicato allo studio  e a soli 17 anni conseguì il diploma magistrale.

In quegli stessi anni Rodari leggeva molto e amava la musica. Andò per tre anni a lezione di violino. Molto sensibile, si confidava solo con pochi amici. Aveva una grande curiosità intellettuale e cominciò a leggere le opere di Nietzsche, Stirner, Schopenhauer, Lenin, Stalin e Trotzkij. "Queste opere, -  commenta- ebbero due risultati: quello di portarmi a criticare coscientemente il corporativismo e quello di farmi incuriosire sul marxismo come concezione del mondo".
Nel 1939 si iscrive all'Università cattolica di Milano, alla facoltà di lingue. Abbandonerà poi l'esperienza universitaria dopo alcuni esami, ma senza laurearsi. Nel frattempo inizia ad insegnare in diversi paesi del varesotto.
Nel 1940, quando l'Italia entra in guerra Rodari viene dichiarato rivedibile e non viene richiamato alle armi.

Nel 1941 vince il concorso per maestro ed incomincia ad insegnare ad Uboldo come supplente. Fu un periodo molto duro di cui ha un forte ricordo. Si iscrive al partito fascista e accettò di lavorare nella casa del fascio pur di tirare avanti. I drammatici avvenimenti della guerra lo colpiscono profondamente negli affetti personali quando apprende la notizia della morte degli amici Nino Bianchi e Amedeo Marvelli, mentre il fratello Cesare nel settembre del 1943 viene internato in un campo di concentramento in Germania.
Subito dopo la caduta del fascismo Gianni Rodari si avvicina al Partito Comunista a cui si scrive nel 1944 e partecipa alle lotte della resistenza.

Gli anni del giornalismo politico tra Milano e Roma
Subito dopo la guerra viene chiamato a dirigere il giornale "Ordine Nuovo", nel 1947 viene chiamato all'Unità a Milano, dove diventa prima cronista, poi capo cronista ed inviato speciale.

Mentre lavora come giornalista incomincia a scrivere racconti per bambini. Nel 1950 il Partito lo chiama a Roma a dirigereil settimanale per bambini, il "Pioniere", il cui primo numero esce il 10 settembre 1950. Nel 1952 compie il primo dei diversi viaggi che farà Urss.

In quegli anni pubblica Il libro delle filastrocche ed il Romanzo di Cipollino. Nel 1953 sposa Maria Teresa Feretti, dalla quale quattro anni dopo ha la figlia Paola.
Dal settembre 1956 al novembre 1958 torna a lavorare all'Unità diretta da Ingrao. Farà l'inviato e poi il responsabile della pagina culturale e infine il capocronista. Nel 1957 supera l'esame da giornalista professionista.
Il 1° dicembre 1958passa a lavorare a Paese sera. Si realizza finalmente la scelta che contrassegnerà tutta la sua vita: affiancare al lavoro di scrittore per l'infanzia quello di un giornalismo politico non partitico.

Gli anni della scrittura per l'infanzia e della notorietà
Nel 1960 incomincia a pubblicare per Einaudi e la sua fama si diffonde in tutta Italia. Il primo libro che esce con la nuova casa editrice è Filastrocca in cielo ed in terra nel 1959.
Solo nel 1962-63 raggiunge una certa tranquillità economica grazie alla collaborazione  a La via migliore e a I quindici.

Dal 1966 al 1969 Rodari non pubblica libri, limitandosi a una intensa attività di collaborazioni per quanto riguarda il lavoro con i bambini. Lascia Paese sera e nel l970 vince il Premio Andersen, il più importante concorso internazionale per la letteratura dell'infanzia, che accresce la sua notorietà in tutto il mondo. 
Nel 1970Ricomincia a pubblicare per Einuadi ed Editori Riuniti, ma la sua prodigiosa macchina creativa non sembra più girare a pieno regime. Non è solo a causa del grande successo, ma anche della grande mole di lavoro e della sua condizione fisica.

Nel 1974 si impegna nel rilancio del Giornale dei genitori, ma subito cerca di disimpegnarsi. Cosa che accadrà agli inizi del 1977. 
Al ritorno da un viaggio in Urss Gianni Rodari nel 1979 comincia ad accusare i primi problemi circolatori che lo porteranno alla morte dopo un intervento chirurgico il 14 aprile del 1980.


La vita di Gianni Rodari non presenta eventi eccezionali. È la vita di un onesto lavoratore di penna, che non ha conosciuto né pause né interruzioni. Ha esercitato il mestiere di giornalista e di scrittore senza sosta, con passione e interesse non comuni. È impressionante la quantità di scritti che ha lasciato. Giorgio Diamanti, che ha fatto una ricerca meticolosa sulla sua attività di giornalista,  ha trovato e sistemato in uno schedario assai prezioso, per conto del Centro Studi Gianni Rodari di Orvieto, migliaia di articoli e saggi sparsi tra quotidiani, settimanali, mensili, trimestrali e quadrimestrali. Aggiungete a tutto questo i libri per i ragazzi e per gli adulti che sono usciti dalla sua penna e vi renderete conto di quanto siano state intense le sue giornate. Rodari, di fatto, lavorava su più scrivanie (lo diciamo in senso metaforico), su quella del giornalista, su quella dello scrittore, su quella del ricercatore. Ne sono testimonianza i suoi quaderni di appunti, conservati gelosamente dalla moglie, Maria Teresa Ferretti Rodari. Uno di questi quaderni di appunti, scritto a penna di suo pugno ha per titolo "Ideario". Vi sono riportate idee suggeritegli da un'osservazione, dalla lettura di un libro, da una conversazione, oppure semplici annotazioni su un libro da comprare, oppure ancora spunti per una filastrocca o un racconto o un articolo da scrivere. Sfogliando i suoi quaderni di appunti si ha la netta sensazione di trovarsi di fronte a una persona scrupolosa, che teme di perdere, se sopraffatto dagli impegni, un'idea bella o interessante o curiosa e foriera di sviluppi. Rodari, uomo di idee, sapeva che le idee non vengono in un luogo e in un momento preciso, quando sei a casa e seduto al tavolino. No, le idee sono come i folletti, arrivano nei momenti e nei luoghi più impensati.



Gli appunti autobiografici


Della sua infanzia sappiamo poco. Lui steso, quando ha dovuto fornire alle case editrici una nota autobiografica, non ha quas 515d34f i mai parlato dell'infanzia. Ecco come inizia una scheda autobiografica, trovata tra le sue carte, approntata da lui stesso verosimilmente intorno alla metà degli anni Settanta.

Gianni Rodari è nato a Omegna (Novara) nel 1920. È cresciuto tra il Piemonte e il Varesotto. Si è diplomato maestro nel 1938 e per qualche anno ha insegnato, frequentando nel frattempo l'Università, ma non fino alla laurea. Dopo la Liberazione ha fatto il giornalista, prima a Varese, poi a Milano e a Roma, dove lavora nella redazione del "Paese sera". Nel 1960 ha aderito al Movimento di cooperazione educativa. Per alcuni anni dirige"Il giornale dei genitori", fondato da Ada Marchesini Gobetti. Collabora al "Corriere dei Piccoli". Saltuariamente ha collaborato anche alla TV e alla Radio. Si è sposato nel 1953 e ha una figlia nata nel 1957.



La biografia di Marcello Argilli


Su una decina di cartelle dattiloscritte, alla vita sono riservate solo queste poche righe. Il resto è tutto dedicato all'elencazione delle sue opere, ai premi ricevuti e ai giudizi sulle sue opere ricavati dalle recensioni su giornali e riviste e da qualche libro di letteratura per l'infanzia. Come dire: gli eventi della vita di uno scrittore contano poco, quel che conta è l'opera e l'apprezzamento dell'opera da parte dei critici.


Chi volesse, però, conoscere le tappe più significative della vita di Gianni Rodari e la sua formazione culturale, può oggi  consultare il libro di Marcello Argilli, Gianni Rodari, una biografia, Einaudi, Torino 1990. Il lavoro di Argilli è assai prezioso perché è riuscito a mettere insieme i tanti tasselli della vita pubblica e privata di Rodari attraverso al ricerca meticolosa. Ha sfogliato i quaderni di appunti di Rodari, ha riletto in chiave storico-sociale i primi scritti di Rodari, intervistato le persone che hanno lavorato con Rodari, analizzato le sue posizioni all'interno del dibattito culturale degli anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta, anni difficili e pieni di canbiamenti.




L'infanzia

Il padre di Gianni faceva il fornaio e non aveva molto tempo da dedicargli. Anche la madre, impegnata tutto il giorno nel negozio, poteva dedicargli poco tempo, cosicché Gianni viene affidato a una balia a Pattenasco, un paese vicino a Omegna. Frequenta le scuole elementari di Omegna fino alla quarta. La quinta la frequenta a Gavirate perché muore il padre e la madre si trasferisce a Gavirate. Dopo la scuola media, Rodari si iscrive all'Istituto Magistrale di Varese e prende il diploma di maestro nel 1937, a diciassette anni, con un anno di anticipo. Mentre frequenta l'Istituto Magistrale si dedica anche allo studio della musica (violino).



Insegnante, musicista e studente

1940 circa



Inizia subito a insegnare in scuole private, a dare lezioni private anche per potersi mantenere agli studi universitari. Si iscrive alla facoltà di Lingue dell'Università cattolica di Milano. Intanto comincia a interessarsi di politica sia attraverso la lettura di libri allora "proibiti" sia attraverso incontri a volte casuali che fa nelle trattorie, nei cortili e nelle piazze, nelle case, dove suona il violino insieme ad altri due suoi amici con i quali ha formato un trio. Per due anni buoni Rodari si divide tra l'insegnamento, lo studio e l'attività di musicista.

Allo scoppio della guerra, Rodari resta solo perché dichiarato rivedibile per ragioni di salute, mentre i suoi due amici più cari e il fratello Mario partono per il fronte. I due amici del trio muoiono uno su una nave e l'altro in Urss, il fratello Mario viene fatto prigioniero in Germania. Nonostante fosse sempre stato dichiarato inidoneo al servizio militare, Rodari viene richiamato alle armi dalla Repubblica di Salò e inviato a prestare servizio presso l'ospedale di Baggio, a Milano. Ci resta meno di un mese. Infatti, non appena gli si presenta l'occasione propizia, fugge ed entra a far parte della Resistenza.



Il funzionario di partito

Dopo la Liberazione, si iscrive al Partito comunista e ben presto ne diventa funzionario presso la Federazione di Varese. È in questo periodo che comincia la sua attività di giornalista (gli viene affidata la direzione del settimanale della Federazione "L'Ordine nuovo") e di scrittore (pubblica con lo pseudonimo di Francesco Aricocchi le Leggende della nostra terra, per il giornale "La Prealpina"). Lo pseudonimo - spiega Argilli- è formato dal suo secondo nome e dal cognome della madre e le leggende altro non sono che una "trascrizione di leggende e storie popolari".



Si firmava Lino Picco


Le sue prime prove di scrittore per bambini risalgono al periodo milanese. Nel 1947, infatti, Rodari viene chiamato a lavorare presso la redazione milanese de "L'Unità", diretta da Davida Lajolo. Il caporedattore del giornale, Fidia Gambetti, gli chiede di scrivere per l'edizione domenicale dei racconti umoristici, leggeri, divertenti. Io feci le mie prove - raccontò Rodari sul n° 9 del "Pioniere" (4 marzo 1965) - e il risultato li per li mi parve sconsolante: la mie storie parevano piuttosto adatte ai bambini che agli adulti. Il direttore e il caporedattore non  ci pensano due volte e decidono di istituire sul "Giornale della domenica" un angolo per i bambini. Nasce così Gianni Rodari scrittore per bambini. In quell'angolo - è sempre Rodari che racconta - pubblicai le prime filastrocche, fatte un pò per ischerzo. Le filastrocche piacquero:  Cominciarono a scrivermi mamme e bambini, per chiedermene delle altre: "Fanne una per il mio papà che è tramviere", "Fanne una per il mio bambino che abita in uno scantinato". Io facevo queste filastrocche e firmavo "Lino Picco". E per un paio d'anni andai avanti così senza pensarci troppo.



L'approdo a "Paese sera" e all'Einaudi

Nel 1950 Rodari si trasferisce a Roma, gli viene affidata la direzione, insieme a Dina Rinaldi, del giornale per ragazzi "Il Pioniere" e poi dal 1953 al 1956 la direzione di "Avanguardia", settimanale della Fgci (Federazione giovanile comunista italiana). Dopo una breve parentesi, un anno appena, di lavoro presso "L'Unità", nel 1958, Rodari passa a "Paese sera". E' un passaggio importante perché da funzionario di partito che fa il giornalista per il partito, Rodari diventa giornalista che fa politica, ma senza gli obblighi e le limitazioni del funzionario di partito.

Il cambiamento avviene anche nella scrittura per i bambini. Nel 1960, infatti, Rodari pubblica per le edizioni Einaudi di Torino, per un editore indipendente dal Partito comunista, anche se editore di sinistra, il volume Filastrocche in cielo e in terra. E' il libro che porta Rodari alla notorietà come scrittore per l'infanzia. Prima della pubblicazione di questo volume, Rodari aveva avuto successo, ma le sue filastrocche, i suoi racconti e i suoi romanzi (ben 15 volumi fra cui: Il libro delle filastrocche, Il romanzo di Cipollino, Il treno delle filastrocche, Il viaggio della freccia azzurra, Gelsomino del paese dei bugiardi) erano conosciuti e apprezzati solo dal popolo comunista, se così si può dire, anzi solo dal popolo comunista che leggeva la stampa di partito.



Le collaborazioni

Filastrocche in cielo e in terra apre a Rodari la strada del successo nazionale e internazionale. Gli piovono addosso proposte di lavoro, fino a qualche anno prima del tutto impensabili. Comincia a collaborare con il "Corriere dei Piccoli", settimanale del "Corriere della sera", con "La Via Migliore", periodico dell'Acri (Associazione delle Casse di Risparmio Italiane) con "Il caffè", rivista diretta da Giambattista Vicari, assume la direzione del "Giornale dei genitori", partecipa a convegni e seminari di studio, a trasmissioni televisive. Intanto si impone come giornalista e opinion maker per la scuola attraverso gli articoli pubblicati su "Paese sera" e "Il giornale dei genitori" e con quel capolavoro di pedagogia e didattica sui generis che è La grammatica della fantasia, pubblicata presso Einaudi nel 1973.



Libri e premi

Continua a sfornare volumi di filastrocche, novelle e romanzi di successo: Favole al telefono (1962), Cip nel televisore (1962) Il libro degli errori (1963), La torta in cielo (1966), Venti storie più una (1969), Novelle fatte a  macchina (1963), La filastrocca di pinocchio (1974), C'era due volte il barone Lamberto (1978), Parole per giocare (1979), Il gioco dei quattro cantoni (1980). Sono tutti libri avvincenti, che vengono illustrati per lo più da illustratori di talento e da due artisti di fama mondiale come Bruno Munari e Lele Luzzati.

Vince premi prestigiosi: Il Premio Prato (1960), Il Premio Catello (1965), Il Premio Rubino (1965), e il Premio Andersen (1970) che è considerato l'equivalente del Premio Nobel per la letteratura per l'infanzia.



La morte

La morte prematura lo coglie a Roma il 14 aprile del 1980, in seguito a un intervento chirurgico a soli 60 anni.


RODARI racconta RODARI

Le note biografiche che seguono sono state pubblicate come parte della "Nota introduttiva" a "Filastrocche in cielo in terra", Einaudi - Gli Struzzi, Torino 1982, decima edizione. Sebbene non siano firmate è molto facile riconoscere nel loro tono lo spirito e la mano di Rodari, di cui infatti vengono riportati anche alcuni pensieri, e possono essere considerate un vero e proprio ritratto autobiografico dello scrittore piemontese.

Gianni Rodari è nato a Omegna (Novara), sul lago d'Orta, il 23 ottobre 1920, da genitori lombardi, della Valcuvia. Dal decimo al trentesimo anno è vissuto in Lombardia, tra il Varesotto e Milano. Questo gli permette di dichiararsi, caso per caso, piemontese o lombardo, giocando su due tavoli, come del resto fa per mestiere, lavorando contemporaneamente come giornalista (a Roma, nel "Paese Sera") e come autore di libri per bambini. I quali, a loro volta, appaiono spesso giocati su due tavoli: sono senza dubbio libri "per bambini", ma non manca chi li considera libri, tout court, capitati solo per qualche disguido nello scaffale della letteratura infantile.

La firma di Rodari è potuta apparire nello stesso mese, qualche anno fa sul "Giornale dei Genitori", che ha diretto per diverso tempo dopo la morte della sua fondatrice Ada Gobetti; sul "Corriere dei Piccoli", dove pubblicava racconti e filastrocche; e sul "Caffè" di Giambattista Vicari, dove si sono potuti leggere, di Rodari, versi come questi: Il dì dell'Ascensione
salivo in ascensor
e per combinazione
trovo il commendator.

Commendator, lei sale?
No, grazie, pepe sol.
Lo sale mi fa male
e l'insalata duol.

S'accomodi in salotto,
cosí le spiegherò
perché non havvi al Lotto
la ruota di Salò.

Se a lei non piace il sale,
né io son salottier:
siederò sulle scale,
da prode condottier

0 anche come questi altri:

Noi leggevamo un giorno per diletto,
noi leggevamo un giorno sul diretto,
soli eravamo e senza alcun sospetto,
sordi eravamo e senza alcun cornetto,
stolti eravamo e senza alcun concetto,
saliti a Teramo senza biglietto,
senza burro né strutto,
né pancetta né prosciutto.
Morti eravamo, senza alcun costrutto.
Sola, la morte, in sala d'aspetto,
era una morte di modesto aspetto,
povera morte senza doppiopetto,
ci fece un cenno dai vetri e fu tutto.

Lo stesso Rodari ha spiegato (in uno scritto per L'Avventura, antologia per la Scuola media, ed. La Nuova Italia) che non si tratta di vere e proprie poesie, ma di "materia prima", di esercizi della fantasia, con cui va in cerca di uno spunto per un racconto, di un verso per una filastrocca, di un'immagine da mettere da parte e coltivare per il futuro. Tale tecnica è nota ai surrealisti. Il "prodotto finito", secondo Rodari, non è quello del "Caffè", ma quello del "Corrierino". Però non si sa fino a che punto credergli.

scrivere per i bambini - (non "per i ragazzi", dice ancora lui: i ragazzi, è giusto che leggano Tolstoj, Primo Levi o Ho Chi Min; che nuotino nel mare grande, senza salvagente...) - Rodari ha cominciato per caso, Lavorava all'"Unità" di Milano, tra il '47 e il '50, quando, per una pagina domenicale dedicata genericamente "alla famiglia", scrisse i primi raccontini umoristici, ricordandosi di quelli che aveva inventato anni prima, maestro elementare, per tener buoni i suoi scolari. Ne nacque una rubrica per i più piccoli. In questa rubrica comparve anche una "filastrocca per Ciccio", su richiesta di una lettrice che aveva un bambino malato. Molte altre "filastrocche" vennero, su richiesta e ordinazione di lettori, grandi e piccoli. Erano poesie per ridere, canzonette sospese tra Di Giacomo e Palazzeschi. La loro novità era dettata dalla situazione. stessa. "Non scrivevo per bambini qualunque - racconta Rodari - ma per bambini che avevano tra le mani un quotidiano politico. Era quasi obbligatorio trattarli diversamente da come prescrivevano le regole della letteratura per l'infanzia, parlare con loro delle cose d'ogni giorno, del disoccupato, dei morti di Modena, del mondo vero, non di un mondo, anzi, di un mini-mondo di convenzione".

Dal '50 al '53 ha diretto un settimanale illustrato per ragazzi, "Il Pioniere". "È stato - è ancora lui che parla - quasi un compito di Partito. In principio non ne volevo proprio sapere. Ma a quei tempi eravamo tutti molto disponibili: se ci fosse stato bisogno di un quadro nuovo nella cooperazione, e mi fosse stata fatta la proposta di diventarlo, penso che avrei accettato. La generazione che il Pci ha rastrellato durante la Resistenza è quella che meno si è preoccupata di vocazioni personali. Nel mio caso, sì e no una ventina di filastrocche giustificava quella scelta".

Bisogna concluderne che le vocazioni si trovano anche per la strada, per caso, o per senso del dovere. Basta poi prenderle sul serio. Pare che Charles Dickens tenesse bene in vista sulla sua scrivania un "motto" che gli diceva: "Fa' bene quello che ti danno da fare ". Se le cose stanno come dice Rodari, questo potrebbe essere - prese tutte le misure - il suo motto.

Dal '50 ad oggi ha scritto due dozzine abbondanti di libri per bambini, quasi tutti tradotti in numerose lingue: Le avventure di Cipollino in più di trenta, dal francese al kabardino-balkarico, dal russo al cinese, dal tedesco allo jakuto.

Eccone l'elenco completo, comprendente titoli che sono stati poi riassorbiti in successive raccolte:

Il libro delle filastrocche, Ed. di Cultura Sociale, Roma 1950.
Le avventure di Cipollino, ivi 1951.
Il treno delle filastrocche, ivi 1952.
Le carte parlanti, Toscana Nuova, Firenze 1952.
La Freccia Azzurra, CDS, Firenze 1953.
Gelsomino nel paese dei bugiardi, Ed. Riuniti, Roma 1959.
Filastrocche in cielo e in terra, Einaudi, Torino 1960 (Premio Prato).
Favole al telefono, ivi 1961.
Il pianeta degli alberi di Natale, ivi 1962.
Castello di carte, Mursia, Milano 1963.
Gip nel televisore, ivi 1964 (Premio Castello).
Il libro degli errori, Einaudi, Torino 1964 (Premio Rubino).
La torta in cielo, ivi 1966 (Premio Europa Dralon).
Venti storie più una, Editori Riuniti, Roma 1969.
Le filastrocche del cavallo parlante, Emme Edizioni, Milano 1970.

Tante storie per giocare, Editori Riuniti, Roma 1971; Einaudi, Torino 1977.
Gli affari del signor Gatto, Einaudi, Torino 1972.
I viaggi di Giovannino Perdigiorno, ivi 1973.
Novelle latte a macchina, ivi 1973.
Grammatica della fantasia, ivi 1973.
Marionette in libertà, ivi 1974.
La filastrocca di Pinocchio, Editori Riuniti, Roma 1974.
C'era due volte il barone Lamberto, Einaudi, Torino 1978.
La gondola fantasma, ivi, Torino 1978.
Parole per giocare, Manzuoli (Biblioteca di lavoro), Firenze 1979
Bàmbolik, La Sorgente, Milano 1979.

Rodari, con Lele Luzzati e Teatro aperto '74, figura tra gli autori del volume Il teatro, i ragazzi, la città, Emme Edizioni, Milano, in cui egli ha pubblicato il suo testo teatrale La storia di tutte le storie. Tra i suoi inediti in volume (per ora) figura una serie di Novelle per l'estate apparse su "Paese Sera" nel 1979.

A chiedergli se ha qualcosa nel cassetto, risponde regolarmente: "Tanti progetti

I libri di Gianni Rodari pubblicati in vita


Il libro delle filastrocche, Roma, ed. del Pionere 1950


Il manuale del Pionere, Roma, ed. di Cultura sociale 1951




Il romanzo di Cipollino, Roma, ed. di Cultura sociale 1951
ristampato da Editori Riuniti nel 1957 con il titolo Le avventure di Cipollino


Cipollino e le bolle di sapone, Roma, ed. di Cultura sociale 1952


Il libro dei mesi, Roma, ed. di Cultura sociale (1952)


Il treno delle filastrocche, Roma, ed. di Cultura sociale 1952


Le carte parlanti, Firenze, ed. Toscana Nuova 1952


Gelsomino nel paese dei bugiardi, Roma, Editori Riuniti 1959


Filastrocche in cielo e in terra, Torino, Einaudi 1960


Favole al telefono, Torino, Einaudi 1960


Gipi nel telvisore. Favola in orbita di Gianni Rodari, milano, Mursia 1962


Il pianeta degli alberi di Natale, Torino, Einaudi 1962


Castello di carte, Milano, Mursia 1963


Il libro degli errori, Torino, Einaudi 1964


La freccia azzurra, Roma, Editori Riuniti 1964


La torta in cielo, Torino, Einaudi 1966


Venti storie più una, Roma, Editori Riuniti 1969


Le filastrocche del cavallo parlante, Milano, Emme 1970


Tante storie per giocare, Roma, Editori Riuniti 1971


Filastrocche in cielo e in terra, ed. definitiva, Torino, Einaudi 1972


Gli affari del signor gatto, Torino, Einaudi 1972


Il palazzo di gelato e altre otto favole al telefono, Torino, Einaudi 1972


Grammatica della fantasia, Torino, Einaudi 1973


I viaggi di Giovannino Perdigiorno, Torino, Einaudi 1973


Novelle fatte a macchina, Torino, Einaudi 1973


La filastrocca di Pinocchio, Roma, Editori Riuniti 1974


Marionette in libertà, Torino, Einaudi 1974


La gondola fantasma, Torino, Einaudi 1978


C'era due volte il barone Lamberto, Torino, Einaudi 1978


Il teatro i ragazzi la città, Milano, Emme 1978


Parole per giocare, collana Biblioteca di lavoro, Firenze, Manzuoli 1979


Bambolik, La Sorgente 1979


Il gioco dei quattro cantoni, Torino, Einaudi 1980


I nani di mantova, collana «C'era non c'era», teramo, Lisciani e Giunti 1980


Piccoli vagabondi, Roma , Editori Riuniti 1981




Il teatro di Gianni Rodari

Il mio teatro, pubblicato dalla casa editrice Titivillus e a cura di Andrea Mancini e Mario Piatti, approfondisce il lavoro, forse meno conosciuto, di drammaturgo per ragazzi svolta da Rodari durante tutta la sua carriera di scrittore.
Nella sua prefazione, intitolata "Un poeta sereno", Maurizio Costanzo ricorda la sua collaborazione con Rodari per la trasposizione teatrale di un suo racconto.
Vengono poi presentati testi teatrali che Rodari scrisse per il settimanale il Pioniere, di cui fu direttore dal 1950 al 1953, e che non compaiono tra quelli più noti pubblicati da Einaudi. Sono testi teatrali per ragazzi destinati ad animare le varie sezioni dell'Associazione Pionieri d'Italia. Oltre a presentare la rivista, Rodari tratta temi assolutamente nuovi per la letteratura d'infanzia del tempo, come lo schiavismo, la pace, la guerra, la mafia, la libertà.
Il mondo che i personaggi evocano è un mondo senza guerra e senza ingiustizie di cui i ragazzi possano essere sia costruttori che protagonisti.
C'è per esempio La fiaba dell'erba voglio nella quale la fata regala a Maria Rosa l'erba voglio che non cresce solo ne giardino del Re ma tutti possono averla e fiorisce ad esaurire solo desideri giusti ed altruistici. Nei testi teatrali del Pioniere compare per la prima volta il personaggio di Cipollino, le cui avventure verranno poi raccolte in un romannzo e regaleranno a Rodari il successo letterario in Unione Sovietica.
Riferendosi al periodo in cui scriveva per il Pioniere, Massimo Argilli [1] descrive il cambiamento subito da Rodari educatore. Inizialmente, come animatore e dirigente dell'Associazione Pionieri e della Fgci, è più interessato all'associazionismo e ad "una visione globale degliinteressi e della realtà dei ragazzi, dei loro rapporti con la famiglia, tra loro col territorio, col mondo e i valori dei lavoratori" [2]. In seguito concentra invece maggiormente la sua attenzione sulla scuola come luogo educativo e si adopera per riformarla dall'interno ed inizia a collaborare con il Movimento di cooperazione educativa.
E' negli anni '60 che editori importanti come Einaudi ed Editori Riuniti cominiciano a pubblicare le opere di Rodari ed arriva così la notorietà; rimane quindi meno conosciuto tutto il suo lavoro legato all'associazionismo dell'Api durante gli anni '50 e di cui ne è riproposto una parte nel libro della Titivillus.
Libro anche ricco di foto dello stesso Rodari, foto di scena di spettacoli tratti dai suoi testi e riproposizione di alcune delle illustrazioni che accompagnarono le pubblicazioni dei suoi libri, realizzate da Emanuele Luzzati e dalla figlia di Rodari, Paola.
Nel saggio di Andrea Mancini viene approfondito l'interesse di Rodari per il Teatro di Massa di Marcello Sartarelli negli anni '50 quando scrisse su "Vie Nuove" una recensione entusiasta di Domani è gioventù, spettacolo per quattromila attori di Sartarelli.
In seguito Rodari collaborò attivamente con il Teatro di Massa, "un teatro che" - scrive Mancini - "coscientemente o no, restò per lui un fondamentale punto di riferimento, ogni volta che si avvicinò al fare teatrale" [3]. Sono infatti successivi a quest'esperienza degli anni '50 i lavori con Passatore e Scabia, fino alla collaborazione con il Teatro Stabile di Torino, per il quale scrive Le storie di re Mida.
Oltre ai vari saggi, sono presenti delle interviste con persone che hanno conosciuto e lavorato con Rodari le quali permettono di illuminare anche l'aspetto più umano e quotidiano dello scrittore.
Particolarmente interessante la conversazione con la moglie, Mara teresa Ferretti Rodari, che racconta la sua vita con Gianni e descrive qual è era il rapporto con il mondo del teatro, del cinema e della televisione.
Giuliano Scabia poi ricorda il suo rapporto d'amicizia e la colloborazione artistica con Rodari. Scabia racconta che Rodari, di sorpresa, lo raggiunse in pulmann sull'Appennino modenese per vedere lui e il suo gruppo lavorare al Gorilla Quadrùmano. Episodio sintomatico della sua vivace curiosità, che anche in altre testimonianze emerge.
Gli attori Mara Baronti ed Enrico Campanati parlano del percorso svolto per la messinscena della Storia di tuttte le storie, testo nato, diversamente da Storie di Re Mida, dopo un lavoro di animazione con una classe di una scuola di La Spezia.
Viene poi riproposto un saggio del 1967 di Ada Marchesini Gobetti nel quale maggiormente viene spiegata la novità della scrittura di Rodari rispetto alla letteratura per l'infanzia prodotta fino ad allora.
"I motivi fondamentali dell'opera di Rodari" - scrive Ada Marchesini - "sono: da una parte il riconoscimento, l'osservazione attenta e amorosa della realtà quotidiana, senza schemi paralizzanti, senza mortificanti pregiudizi, senza veli di falso ottimismo; dallaltra l'aspirazione coraggiosa, l'impulso verso l'avvenire, visto come opera dell'uomo, capace di comprensione come di critica, di collaborazione come di battaglia, cosciente delle proprie possibilità e responsabile delle proprie azioni" [4].
Anche nel teatro ragazzi, secondo l'autrice del saggio, Rodari con Storie di Re Mida, scritto nel 1967 appositamente per il Teatro Stabile di Torino, apre nuove strade in un ambito fino ad allora quasi del tutto trascurato.
Un saggio di Mafra Gagliardi sottolinea la teatralità presente anche in molte delle opere narrative di Rodari e quindi ripercorre la produzione espressamente teatrale rodariana. Già nel'47 Rodari aveva tradotto, con Giuliano Carta, La linea politica di Bertolt Brecht, nel '51 scrive con Sartarelli Stanotte non dorme il cortile per il Teatro di Massa. Sempre degli anni '50 sono i testi teatrali scritti per l'Associazione dei Pionieri.
Fino ad arrivare al 1976 con La storia di tutte le storie, testo nato - con l'impegno di bambini,insegnanti genitori, amministratori, attori del gruppo Teatro Aperto 74 - dopo quasi due anni di animazione.
Il saggio si conclude con la citazione, arrivando fino a parlare dei giorni nostri, di alcuni degli spettacoli più significativi che o si sono direttamente riferiti alle opere teatrali di Rodari o che si sono ispirati alle sue opere narrative. Secondo l'autrice è la seconda strada qualla più seguita tanto che scrive: "il rapporto che oggi si intrattiene con Rodari non si fonda, tranne poche eccezioni, sui suoi testi teatrali, ma piuttosto sulla sua opera narrativa e poetica" [5]. "In poche parole", continua, "ciò che di Rodari oggi continua a venir rappresentato nasce soprattutto dall'esigenza di recuperare i motivi fondanti della sua poetica e della sua pedagogia, cercati spesso attraverso una pratica di contaminazione tra opere diverse" [6].
Conclude il libro la bibliografia di tutti i testi teatrali di Rodari e di suoi scritti sul teatro. Vengono poi elencati alcuni degli scritti e interventi, di altri autori, incentrati sul rapporto tra Rodari e il teatro. Interessante è anche il repertorio, a partire dal 1969 fino al 2005, degli spettacoli realizzati a partire da testi di Giannni Rodari.


Note:
[1] Massimo Argilli, Gianni Rodari, una biografia, Torino, Einaudi, 1990, pp. 140-144.
[2] Ivi, p. 141.
[3] Andrea Mancini in Gianni Rodari, Il mio teatro, Pisa, Titivillus p.161.
[4] Ada Marchesini Gobetti, in Gianni Rodari, Il mio teatro, Pisa, Titivillus, p. 185.
[5] Mafra Gagliardi, in Gianni Rodari,Il mio teatro, Pisa, Titivillus, p. 263.
[6] Ibidem.

TESTIMONIANZE


Antonino Bianchi, compagno di classe di Rodari

 

Di lui il Rodari scrisse: "... il Nino matto che ficcava i coltelli nella porta di casa per farsi comprare il mandolino da sua madre. Non sei morto nell'affondamento della Calipso, nei primi giorni della seconda guerra mondiale, nelle acque del Mediterraneo, nella mia dolorante memoria, nella mia schifosa ostinata memoria che non mi lascia libero un solo minuto, chè sempre mi tiene al guinzaglio, mi porta dove vuole, mi lascia piangere ed abbaiare, a ululare di sconforto, negli angoli più disperati del globo, e specialmente all'aereoporto di Karagandà, Unione Sovietica, Repubblica del Kasakstan, ventidue gradi sotto zero, e un vento soffiato da cinquemila chilometri di Asia, mi dici come avrebbe potuto resistere a questa lama gelida, a questo maglio intercontinentale, a questo assalto del cosmo un ragazzo cresciuto tra civili colline e amati fratelli, discutendo di Kant e di Hegel, cavando dal suo modesto violino un suono, disse il professore, degno di Vivaldi.

Nino. Matto. Mezzo matto. Il solo vestito di nero nelle balere del varesotto, da Cittiglio ad Angera, il solo figlio illegittimo di padre miliardario e di madre pettinatrice, bionda, alcolizzata. [.. .1 l'unico suonatore di mandolino e studioso di elettronica capace di cacciare dal letto la nonna, la madre e lo zio per farvi dormire gli amici, dopo un pasto notturno d'insalata e biscotti al burro".

Scrive Marcello Argilli, in "Gianni Rodari. Una biografia", Einaudi, 1990, pag. 10: "Con Giuseppe Gerosa, che suona la chitarra, e Nino Bianchi, che suona il mandolino, forma un trio (Rodari suona il violino), e va in giro a suonare nei cortili e nelle osterie. La madre di Gianni, preoccupata di chi frequenta e forse considerando indecorose queste esibizioni, manda invano il fratello Cesare a richiamarlo in casa. Ormai sedicenne, Rodari comincia ad affermare un suo bisogno di indipendenza, insofferente del rigido controllo materno"


 

 

Carlo de Bernardi

 

Carlo De Bernardi, fu un esponente di primo piano della lotta antifascista a Gavirate, decoratore, conosciuto con il soprannome di "Pignata". Nel '43, quando le incursioni dei militi si fecero sempre più minacciose, trovò rifugio presso la casa madre dell'istituto Sacra Famiglia a Cesano Boscone. Ritornato a Gavirate, prese parte attivamente alla lotta clandestina, divenendo il commissario politico del battaglione "Bai Bartolomeo" e sostituendo il Realini, come esponente del P.C.I., nel Comitato di Liberazione Nazionale di Gavirate. Fu uno dei soci fondatori della Casa del Popolo di Gavirate. Morì a Gavirate il 13 novembre 1969.

Scrisse il Rodari in un documento autobiografico presentato al partito nel 1950:

"... venne il 25 luglio 1943: il giorno dopo il compagno Carlo De Bernardi, attualmente Vice-Sindaco di Gavirate, mi invitò a raggruppare i giovani su cui avevo influenza e dopo l'8 settembre i compagni Realini Alessandro, responsabile del settore di Gavirate e Furega Francesco (che fu il mio primo capocellula) mi invitarono ad iscrivermi al Partito.

Io mi vergognavo molto dei miei... precedenti, che pure oggi vedo non essere stati tanto importanti, per il fatto che l'invito mi veniva rivolto da un compagno (Realini) che è stato qualche anno al confino e da un altro che è stato più volte bastonato dai Fascisti. Essi però mi accolsero bene: non avrei mai osato fare la domanda da solo. Essi mi dissero che mi conoscevano da anni e vedevano come mi sviluppavo".


 

Ricordo del maestro Nazareno Ferrari di Laveno

 

A Gavirate Gianni frequentò, con ottimo profitto, la quinta elementare. Del suo insegnante, Nazareno Ferrari di Laveno, ci ha lasciato un simpatico quadretto nella Grammatica della fantasia. "Era un maestrino con barbetta bionda e occhiali. Zoppicava. Una volta premiò con un "dieci" il tema del mio rivale in italiano, che aveva scritto: "L'umanità ha più bisogno di uomini buoni che di uomini grandi". Da questo si può capire che era socialista. Un'altra volta, per mettermi in imbarazzo e far capire ai miei compagni che io non ero poi un pozzo di scienza, disse: "Per esempio, se domando al Gianni come si dice bella in latino, non lo può sapere". Ma io che in chiesa avevo sentito cantare Tota pulchra es Maria e mi ero dato da fare per capire che cosa significassero quelle bellissime parole, mi alzai e risposi arrossendo: "Si dice pulchra".


 

Amedeo Marvelli, caro amico

 

Nel Rodari adolescente, appassionato di libri ma anche di musica (andò infatti per tre anni a lezione di violino), non mancarono esperienze di profonda amicizia. Amedeo Marvelli, un compagno del magistrale con molti interessi artistico-culturali, e Nino Bianchi, suonatore di mandolino, furono i coetanei più affezionati. Entrambi morirono giovanissimi: Nino nell'affondamento di una nave militare all'inizio della guerra mondiale, Amedeo nella campagna di Russia.



Soprattutto quest'ultimo torna più volte alla memoria di Gianni. Nell'ormai nota scheda autobiografica, egli precisa, con sicuro riferimento ad Amedeo: "Ero molto influenzato da uno studente che parteggiava per il sistema parlamentare inglese, del quale però capivo assai poco". Il ricordo dell'amico, a distanza di molti anni, rimane struggente, come documenta un passaggio della Grammatica della Fantasia. Rodari, procedendo per associazioni mentali, dalla parola "sasso" fa emergere l'immagine di un luogo caro della sua adolescenza: S. Caterina del Sasso, il celebre santuario del XII secolo, a picco sul lago Maggiore, nel comune di Leggiuno. "Ci andavo in bicicletta - dice -. Ci andavamo insieme, Amedeo e io. Sedevamo sotto un fresco portico a bere vino bianco e a parlare di Kant. Ci trovavamo anche in treno, eravamo entrambi studenti pendolari. Amedeo portava un lungo mantello blu. In certi giorni sotto il mantello s'indovinava la sagoma dell'astuccio del suo violino. La maniglia del mio astuccio era rotta, dovevo portarlo sotto il braccio. Amedeo andò negli alpini e mori in Russia".


 

Ricordo del padre

 

I riferimenti più ampi a papà Giuseppe sono nella celebre Grammatica de/la fantasia, del 1973. Conviene riportare per esteso quanto l'autore scrive di lui, muovendo da un'"esercitazione creativa" intorno al termine "forno". Dopo aver precisato di essere "figlio di un fornaio", così prosegue: "La parola "forno" (nella foto la casa di Omegna dove Rodari abitava) vuol dire, per me, uno stanzone ingombro di sacchi, con un'impastatrice meccanica sulla sinistra, e di fronte le mattonelle bianche del forno, la sua bocca che si apre e chiude, mio padre che impasta, modella, inforna, sforna. Per me e per mio fratello, che ne eravamo ghiotti, egli curava ogni giorno in special modo una dozzina di panini di semola doppio zero, che dovevano essere molto abbrustoliti". Nella rievocazione entrano poi altri particolari, sempre rivelatori dei sentimenti di gratitudine e tenerezza del figlio: "L'ultima immagine che conservo di mio padre è quella di un uomo che tenta invano di scaldarsi la schiena contro il suo forno. E' fradicio e trema. È uscito sotto il temporale per aiutare un gattino rimasto isolato tra le pozzanghere. Morirà dopo sette giorni, di bronco-polmonite. A quei tempi non c'era la penicillina". E di rincalzo: "So di essere stato a vederlo più tardi, morto, sul suo letto, con le mani in croce. Ricordo le mani ma non il volto. E anche dell'uomo che si scalda contro le mattonelle tiepide non ricordo il volto, ma le braccia: si abbruciacchiava i peli con un giornale acceso, perché non finissero nella pasta del pane. Il giornale era La Gazzetta Del Popolo. Questo lo so di preciso, perché aveva una pagina per i bambini. Era il 1929".


 

La prima occupazione di Gianni Rodari

 

Gianni Rodari riesce a diplomarsi un anno prima dei suoi coetanei sostenendo l'esame di maturità come privatista. Il giovane diciottenne viene quindi alle prese con i duri problemi della vita quotidiana, tra i quali - ovviamente - il lavoro. La prima occupazione è presentata con dovizia di particolari nella Grammatica della Fantasia:

"Nell'inverno 1937-38, in seguito alla raccomandazione di una maestra, moglie di un vigile urbano, venni assunto per insegnare l'italiano ai bambini in casa di ebrei tedeschi che credevano - lo credettero per pochi mesi - di aver trovato in Italia un rifugio contro le persecuzioni razziali. Vivevo con loro, in una fattoria sulle colline presso il lago Maggiore. Con i bambini lavoravo dalle sette alle dieci del mattino. Il resto della giornata lo passavo nei boschi a camminare e a leggere Dostojevskij. Fu un bel periodo, fin che durò. Imparai un po' di tedesco e mi buttai sui libri di quella lingua con la passione, il disordine e la voluttà che fruttano a chi studia cento volte più che cento anni di scuola".

Conclusa quest'esperienza, la necessità di una sistemazione professionale, in grado di garantire autonomia economica, divenne impellente per Rodari. Il diploma magistrale gli consentiva, intanto, di accedere alle supplenze nella scuola elementare. Gianni, in parte per convinzione in parte per necessità, si mise su tale strada: Biandronno, Gavirate, Ronco di Angera, Brusimpiano, Cardana di Besozzo, Tradate furono, nel biennio 1938-40, le sedi del suo insegnamento come maestro precario. Così ricorda la sua esperienza come maestro nella Grammatica della fantasia, in cui l'autore, con una punta di civetteria, scrive: "Dovevo essere un pessimo maestro, mal preparato al suo lavoro e avevo in mente di tutto, dalla linguistica indo-europea al marxismo [...]; avevo in mente di tutto fuor che la scuola. Forse, però, non sono stato un maestro noioso. Raccontavo ai bambini, un po' per simpatia un po' per voglia di giocare, storie senza il minimo riferimento alla realtà né al buonsenso, che inventavo servendomi delle "tecniche" promosse e insieme deprecate da Breton".


INTERVISTE

Maria Teresa Ferretti

 

Maria Teresa Ferretti, conosce Gianni Rodari a Modena nel 1948 nell'ufficio dove lavorava come segretaria della «Permanenza dei deputati». Si sposa con lui nel nel 1953 e dopo quattro anni nascerà la figlia Paola. Ancora oggi segue molto da vicino tutte le manifestazioni organizzate in onore del marito.

Come ha conosciuto Gianni Rodari?
Ho conosciuto Gianni Rodari nel 1948. Io ero segretaria dei parlamentari eletti col gruppo del Fronte popolare democratico a Modena e lui era inviato speciale dell'Unità. Quindi per ragioni di informazioni veniva in ufficio e piano piano abbiamo fatto amicizia. Nel 1949 a Modena ci fu un grande raduno che si chiamava "Terra e non più guerra" dove chi lavorava la terra chiedeva migliori condizioni di lavoro e modifiche dei contratti. I quell'occasione ebbi l'occasione di conoscerlo meglio poichè noi ragazze facevamo il servizio d'ordine mentre lui lavorava per l'Unità. Nel 1950 venne chiamato a Roma per dirigere la rivista per bambini " Il Pionere" e quando per motivi di lavoro andai nella capitale lo rincontrai e dalla amicizia nacque qualcosa di più. E nel 1953 ci sposammo.

Che uomo era Gianni Rodari?
Era una persona spiritosa e molto intelligente. Metteva subito le persone a proprio agio anche se al primo impatto era piuttosto riservato.

Come era Gianni Rodari con i bambini?
Gianni non andava alla ricerca dei bambini, ma se capitava in mezzo ai più piccoli stava ben volentieri ed organizzava subito giochi e storie per loro. In realtà ebbe occasione di vistare le scuole solo da un certo punto in avanti della sua vita, poichè il mestiere di giornalista non gli permetteva di avere molti contatti con i bambini.

Quanto è importante Gianni Rodari oggi?
Io le consiglierei di chiederlo agli esperti. In realtà se ancora oggi si parla e si compra Rodari vuol dire che è importante.

Come era Gianni Rodari quando organizzava il suo lavoro di scrittore?
Essendo giornalista non aveva orari e spesso appuntava su fogli o block- notes le idee che gli venivano in mente durante il giorno. Una volta tornato a casa riorganizzava le idee e scriveva  con la sua sigaretta in bocca. Quando aveva dei progetti a volte ne parlava con me e i suoi amici.

Come era Gianni Rodari tra le mura domestiche?
Era una persona che amava l'ordine ed era piuttosto preciso, forse perché era stato abituato fin dall'infanzia a questo. Poche cose gli davano fastidio ed aveva molta capacità di isolarsi dovuta forse al fatto che il suo lavoro di giornalista lo costringeva a lavorare in ambienti molto rumorosi e l'unico modo era quello di estraniarsi per scrivere gli articoli. Era abbastanza sereno e tranquillo, non è che non volesse uscrire ma gli piaceva stare anche in casa.


 

 

Roberto Denti

 

Entrare nella "Libreria per Ragazzi" di Roberto Denti provoca una strana sensazione. Non è come visitare un qualsiasi negozio che vende libri, ma quasi nascosta in una traversa di via Torino, bisogna cercarla tra le numerose vetrine del centro di Milano.
Una volta entrati viene quasi naturale gironzolare tra gli scaffali, prendere in mano e fogliare gli innumerevoli libri esposti. Curiosare e ed ammirare la quantità di favole, racconti e poesie scritte per il fantastico mondo dell'infanzia. L'atmosfera è familiare ed estranea al clima austero e freddo che solitamente si respira nelle grandi librerie, dove sembra quasi vietato toccare e guardare tra le pagine dei libri in mostra. Una grande passione che nasce quasi trenta anni fa.

Come mai Roberto Denti ha aperto una libreria per ragazzi?
È sempre molto difficile spiegare cose di questo genere. Quando frequentavo il liceo classico tutti i miei compagni avevano idee chiare su cosa avrebbero fatto da grandi, per lo più gli stessi mestieri dei loro padri (medici, avvocati e così via). Io essendo figlio di insegnanti ero stato istruito, involontariamente naturalmente, a non fare l'insegnante, e sognavo di fare il libraio. Per realizzare questa idea non avevo mi avuto soldi abbastanza finché grazie ad una passione in comune incontrai mia moglie. Entrambi siamo amanti dei viaggi e ci conoscemmo nel 1971 in Mongolia. Facevamo parte di due gruppi turistici diversi e quando la vidi pensai subito che quella era la donna della mia vita. Nella serata del 20 agosto parlammo per tutto il tempo li libri e dei grandi scrittori spagnoli e sudamericani ed alla fine mi chiese che lavoro facessi: "mi occupo di pubblicità e rideche di mercati ma mi piacerebbe aprire una libreria" le risposi. Per fortuna, o sfortuna sua lei disse "interessa molto anche a me". Da allora ci siamo messi la lavoro ed il 28 agosto 1972 inauguravamo la "Libreria per ragazzi".

Perché proprio per ragazzi? Per due motivi principali: mi affascinava molto il mondo dell'infanzia, conoscevo bene Rodari ed era quindi un genere letterario interessante. In secondo luogo era impensabile proporre a Milano una libreria per adulti poiché il mercato era già saturo, al contrario mancava proprio una libreria per ragazzi. Quindi un motivo legato alla passione ed uno alla praticità.

Roberto Denti conosce Gianni Rodari a Milano nel 1948. Il giovane giornalista arriva dalla piccola città di provincia nella grande metropoli in quell'anno e comincia a collaborare a "L'Unità". La sede del giornale è nello stesso edificio del "Giornale 24 ore" dove lavora Denti. Si incontrano in ascensore, per le scale, in mensa ed a poco a poco fanno amicizia.

Che ricordo ha di Rodari?

Era un uomo piuttosto chiuso, non era facile diventare suo amico, parlava poco. Veniva da Varese e nel trambusto di Milano (che non è per nulla paragonabile ad oggi, ma era pur sempre una grande città) non si trovava molto bene. Mi ricordo la sua fine ironia e la capacità di fare battute fulminanti. Era un uomo molto colto con una fantasia incredibile. Non sapevo neanche che fosse nato ad Omegna, ne sono venuto a conoscenza molto tempo dopo. Non amava raccontare della sua vita e ricordare la sua infanzia anche perché non era stata molto felice, chi ha vissuto la vera miseria spesso tende a dimenticare quei momenti.

Gianni Rodari inizia a lavorare molto giovane come maestro nelle scuole della provincia di Varese. Un mestiere scelto inizialmente più per motivi contingenti che per passione. La sua famiglia non era ricca e la scuola di magistrale venne frequentata per ottenere al più presto un diploma e cominciare a guadagnare.

Secondo lei Rodari scriveva per bambini per passione o per lavoro?
Io credo per tutti e due i motivi. Da una parte nutriva grande amore per i bambini, che rispettava innanzitutto come individui, e dall'altra questo mestiere gli dava la possibilità di vivere. Non dimentichiamoci che Rodari ha passato anche momenti di grande difficoltà economiche. Quando scriveva per "L'Unità", infatti, era pagato pochissimo, una volta arrivato alla grande casa editrice Einaudi, non vide mai un soldo ed era quindi costretto a collaborare con articoli anche molto modesti al "Corriere dei Piccoli" perché era l'unico lavoro che gli permetteva di guadagnare. Comunque il quotidiano comunista incominciò a scrivere per bambini quasi per caso. Il direttore di allora gli affidò la rubrica riservata ai giovani perché era stato maestro, ma quando Rodari era arrivato a Milano era arrivato come giornalista.

Perché Rodari entra nel cuore dei bambini ed anche quando racconta storie tristi trasmette allegria?
Innanzi tutto perché usa un linguaggio adatto ai bambini, non parla mai per metafore ma è chiaro e diretto. Non ha mai scritto fiabe ma le conosceva molto bene. Sapeva che nonostante i pericoli e le difficoltà, a volte molto paurose e tristi, che si possono incontrare nella avventura l'importante è lasciare la possibilità e trasmettere ai bambini la sensazione che tutto si possa risolvere.

Quanto è importante oggi Rodari per maestri, educatori e tutte quelle persone che si occupano della crescita dei bambini?
Sarebbe più corretto dire: quanto dovrebbe contare. Purtroppo Rodari è orecchiato molto ma conosciuto poco.
Nel 1943 Rodari si iscrive al Partito Comunista ed incomincia la sua militanza nella politica.

Quanto ritroviamo della sua passione politica nei suoi libri?
Molto. Rodari faceva una distinzione importante e sosteneva che ai bambini bisogna raccontare una storia come per esempio "Gelsomino nel paese die bugiardi", che devono vivere nella loro dimensione di bambini, se poi l'adulto è abbastanza intelligente e capisce che la storia va oltre, tanto meglio. Non a caso questo racconto fu scritto nello stesso anno in cui si svolgeva in Russia il XX congresso Comunista "...nel paese dei bugiardi" è un titolo molto esplicativo.

Rodari è ricordato principalmente come scrittore per ragazzi ma ha scritto anche libri per adulti.
Certo. Pensiamo per esempio all'ultimo libro pubblicato quando era ancora in vita "Il gioco dei quattro cantoni" in cui una maestra guardando fuori dalla finestra vede che i quattro alberi del giardino della scuola giocare ai quattro cantoni. Preoccupata telefona al preside per spiegare il fenomeno, il quale a sua volta telefona al prefetto, che telefona al generale e così via, senza che la questione venga risolta. La storia è chiaramente una metafora della burocrazia che riempie carte su carte ma alla fine non risolve nulla. È un racconto per adulti e non certo per bambini. A Rodari piaceva scrivere per adulti.

Sarebbe curioso sapere cosa penserebbe Rodari delle nuove tecnologie e di Internet?
Innanzitutto credo che avrebbe già scritto una filastrocca. Rodari era molto attento alle novità e già negli anni Quaranta componeva una filastrocca sulla tv. ancora prima del grande boom, ai quei tempi inimmaginabile della televisione lui aveva già colto il fenomeno e a suo modo lo aveva raccontato.


Gianni Rodari nasce a Omegna, sul Lago d'Orta dove vive con la famiglia. Dopo la morte del padre, avvenuta quando lui aveva solo dieci anni, si trasferisce a Gavirate paese natale della madre mantenendo però con il paese piemontese un forte legame e tornando sempre volentieri a trovare il fratellastro maggiore che lavora nel panificio del padre. Quando visita ad Omegna rivede volentieri sia i parenti che gli amici.

Lino Cerutti ricorda lo scrittore nei suoi soggiorni piemontesi.

"In Rodari credo rimanga sempre questo mondo infantile legato ai primi anni della sua vita passati ad Omegna. Nelle lettere che lui scrive negli anni 60 ricorda la fabbrica, l'oratorio, le domeniche quando con il padre e la famiglia andava nelle feste dei paesi vicini ad assaggiare il vino novello ed i dolci".

In quale occasione ha conosciuto Rodari?
Gianni Rodari ritorna ad Omegna è un premio letterario dedicato alla resistenza ed organizzato dal sindaco di allora Pasquale Maulini, personaggio mitico della città, operaio in fabbrica, parlamentare della sinistra ed insegnante negli ultimi anni. Nella commissione ci sono i migliori nomi della letteratura nazionale ed internazionale. Uno dei primi premiati è Alleghe, con uno scritto sulla guerra di Algeria e poi Sartre, Alberti. Compone la commissione insieme a Bonfantini e Soldati. Io allora ero studente e presi parte a questo lavoro. Da allora è nata una amicizia. Negli anni '70 avevo fondato la rivista "Ostrona" sulla quale scrisse degli articoli e dei racconti, dimostrando l'attenzione che nutriva per Omegna.

Diceva "io vorrei essere affabulatore della mia terra". Nella sua produzione si può ritrovare questo passaggio dal Rodari creativo al Rodari che riflette sulla storia della sua regione. Abbiamo diverse opere ed in modo particolare il Barone Lamberto con cui parla del suo attaccamento alla terra.

Che ricordo ha di Gianni Rodari?
Ho molti parecchi di Rodari. quando veniva ad Omegna mi telefonava e generalmente ci trovavamo in una libreria di un comune amico. Lì riceveva, faceva salotto e firmava i libri. Poi c'era una parte del tempo che consumava con noi amici portandoci nei luoghi che gli servivano per i racconti.

È rimasta celebre l'estate in cui abbiamo girato tutto il lago cercando tutti posti con dei campanili da dove si vede l'isola che poi riprende nei suoi racconti. C'era questo piacere di stare insieme..

Come era Gianni Rodari?
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare era un uomo molto riservato e direi quasi timido, che si apriva a tavola con il piacere della compagnia e diventando gioviale Era molto gentile e generoso, aveva una sensibilità particolare.

Era una persona riservata non rideva ma sorrideva, con un sorriso molto trattenuto, però era anche la persona che ti metteva a tuo agio.

Come era con i bambini?
Spesso mi diceva di parlare poco ai bambini, soprattutto nelle ore di lezione, perché si rischia di annoiare i ragazzi. Il trucco era quello di attirare sempre l'attenzione. Un giorno che lo accompagnai in classe ho assistito al suo modo di cogliere l'attenzione legandosi una scarpa, tirando fuori dalla giacca dei foglietti ed inventando modi sempre nuovi per non annoiare i ragazzi. Egli sosteneva infatti che senza attenzione non vi era comunicazione. "Devi far lezioni corte" mi diceva sempre.

Aveva un'altra particolarità. Come Piero Chiara, raccontava delle storie e poi ti interrogava chiedendoti cosa ti ricordavi di più. In questo modo lui capiva che cosa rimaneva impresso e poi eliminava, toglieva e puliva il racconto scrivendo poi l'essenziale.

Quanto conta Rodari oggi ad Omegna?

Nella città c'è questa grossa scommessa su Rodari. Omegna non ha tradizione ne turistica né culturale anche se è per una combinazione storica la patria di personaggi di notevole livello, l'amministrazione ha fatto da qualche anno questa scelta.

Fernanda De Bernardi Nangeroni, compagna di scuola

Gianni Rodari, nei ricordi di una compagna di scuola è l'adolescente delle grandi curiosità intellettuali, avido di letture, aggiornatissimo sulle ultime novità librarie. È il Gianni animatore, ricco di iniziative, corteggiato dalle ragazze

"Conobbi Gianni Rodari nel 1930 - scrive Fernanda nella sua lunga testimonianza -frequentando la V Elementare a Gavirate in quell'edificio ora abbattuto per far posto ad un parcheggio, ma fu un fugace incontro durato pochi giorni, perché noi bambine restammo con la maestra Zanni ed i maschietti passarono al maestro Ferrari. Lo incontrai di nuovo alle Magistrali a Varese (anche questo edificio ai margini del giardino pubblico è stato abbattuto) e questa volta si trattò di una consuetudine che durò almeno fino al 1937 perché fummo compagni di classe, non solo, prendevamo gli stessi treni della Nord da Gavirate a Casbeno.

Di quel periodo ho molti ricordi - continua la De Bernardi - Rodari si distingueva per originalità e anticonformismo in quei tempi in cui vigevano nella scuola e fuori autoritarismo e disciplina. Cito solo due episodi dì cui egli fu l'animatore. Le pareti delle aule erano abbellite da riproduzioni di opere d'arte. Ebbene: razziando nelle altre aule, egli sostituì tutte le riproduzioni di brutti dipinti della nostra con altre di buoni autori. Questa passò liscia, ma non passò liscia la seconda iniziativa. Egli aveva fondato un giornaletto scolastico di cui mi dispiace di aver dimenticato il titolo (ndr "La naja"). Le copie del primo numero ciclostilato furono distribuite fra noi. Tra i vari articoli di vita scolastica c'era una rubrica assai divertente in cui si faceva dell'umorismo sui nostri professori, designati, come da sempre usa tra gli studenti, ciascuno con un nomignolo. Era una satira garbata ed intelligente del tutto priva di volgarità. Ma il preside non la pensava così. Ricordo ancora con spavento il giorno in cui, entrato come una furia in classe, non solo urlò come un ossesso davanti a noi ammutoliti, ma, al colmo dell'ira, sollevò e rovesciò un banco delle prima fila: davvero una reazione poco edificante e sproporzionata rispetto alla causa, significativa, però, della scarsa considerazione in cui erano tenuti allora i giovani. lì giornale morì così, appena nato. Ma Gianni Rodari era un grande stimolatore. Già allora egli scriveva poesie e racconti (non avremmo immaginato, però, che sarebbe diventato uno scrittore di letteratura infantile)".

La testimonianza di Fernanda De Bernardi continua ricordando le simpatie, gli amori di Gianni. "Non c'erano molte opportunità allora per i ragazzi, men che meno per le ragazze, di coltivare amori. Gli incontri, al di fuori delle aule scolastiche, si limitavano alle passeggiate nei Giardini Estensi di Varese, ai furtivi colloqui nella Biblioteca Civica, a qualche gita in bicicletta. Una volta andai con lui e con Carla (la ragazza di cui era innamorato), la quale aveva voluto che ci fossi anch'io, in bicicletta all 'Eremo di S. Caterina sul lago Maggiore. Per quanto ne so, fu un amore non corrisposto e forse, proprio per questo, fu una esperienza amara per lui cui non mancavano le spasimanti. Una volta, in mia presenza, ridusse in mille pezzettini il messaggio amoroso di una compagna gaviratese che io, ignara, ero stata incaricata di portargli e intanto esclamava "Chi se ne frega! Chi se ne frega!".

Egli uscì prima di noi dalle Magistrali.

Ritrovai Gianni Rodari all'Università Cattolica di Milano dove entrambi eravamo iscritti. Devo a lui la scoperta, che avrebbe avuto una influenza decisiva in me, dell'Arte moderna. Fu lui ad indirizzarmi alla Galleria del Milione che, allora, a Milano faceva conoscere quelli che sarebbero diventati gli artisti più famosi tra i contemporanei. Fu lui ad indurmi a leggere Dos Passos, Joyce, Faulkner, Thornton Wilder e tanti altri e il Montale de "Le occasioni", uscito proprio allora. Conservo ancora le copie che gli prestai di tale opera e de "Il Ponte di San Luis Rey", sottolineate e chiosate da lui.

Passarono gli anni - termina Fernanda De Bernardi -. Seguii la sua ascesa e fortuna letteraria. Venne una volta a tenere una conferenza a Torino, allora mi presentai e avemmo un breve colloquio denso di ricordi. Nella prima pagina del volume "La grammatica della fantasia", che gli porsi per un autografo, scrisse: "A F D.B. quasi un ricordo del secolo scorso". Dopo un paio di mesi appresi la notizia della sua morte".





OPERE PER BAMBINI

Per colpa di un accento

Per colpa di un accento
un tale di Santhià
credeva d'essere alla meta
ed era appena a metà.

Per analogo errore
un contadino a Rho
tentava invano di cogliere
le pere da un però.

Non parliamo del dolore
di un signore di Corfù
quando, senza più accento,
il suo cucu non cantò più

Il punto interrogativo


C'era una volta un punto
interrogativo, un grande curiosone
con un solo ricciolone,
che faceva domande
a tutte le persone,
e se la risposta
non era quella giusta
sventolava il suo ricciolo
come una frusta.
Agli esami fu messo
in fondo a un problema
così complicato
che nessuno trovò il risultato.
Il poveretto, che
di cuore non era cattivo,
diventò per il rimorso
un punto esclamativo.


Il vigile urbano


Chi è più forte del vigile urbano? 
Ferma i tram con una mano.

Con un dito, calmo e sereno, 
tiene indietro un autotreno:

cento motori scalpitanti 
li mette a cuccia alzando i guanti.

Sempre in croce in mezzo al baccano:
chi è più paziente del vigile urbano?


Il povero ane

Se andrete a Firenze
vedrete certamente
quel povero ane
di cui parla la gente.

È un cane senza testa,
povera bestia.
Davvero non si sa
ad abbaiare come fa.

La testa, si dice,
gliel'hanno mangiata...
(La " c " per i fiorentini
è pietanza prelibata).

Ma lui non si lamenta,
è un caro cucciolone,
scodinzola e fa festa
a tutte le persone.

Come mangia? Signori,
non stiamo ad indagare:
ci sono tante maniere
di tirare a campare.

Vivere senza testa
non è il peggio dei guai:
tanta gente ce l'ha
ma non l'adopera mai.

La passeggiata di un distratto

Mamma, vado a fare una passeggiata.
- Va' pure, Giovanni, ma sta' attento quando attraversi la strada.
- Va bene, mamma. Ciao, mamma.
- Sei sempre tanto distratto.
- Si', mamma. Ciao, mamma.

Giovannino esce allegramente e per il primo tratto di strada fa bene attenzione. Ogni tanto si ferma e si tocca.

- Ci sono tutto? Si, - e ride da solo.

E così' contento di stare attento che si mette a saltellare come un passero, ma poi s'incanta a guardaté le vetrine, le macchine, le nuvole, e per forza cominciano i guai.

Un signore, molto gentilmente, lo rimprovera:

- Ma che distratto, sei. Vedi? Hai già perso una mano.
- Uh, è proprio vero. Ma che distratto, sono.

Si mette a cercare la mano e invece trova un barattolo vuoto. Sarà proprio vuoto? Vediamo. E cosa c'era dentro prima che fosse vuoto? Non sarà mica stato sempre vuoto fin dal primo giorno...

Giovanni si dimentica di cercare la mano, poi si dimentica anche del barattolo, perché ha visto un cane zoppo, ed ecco per raggiungere il cane zoppo prima che volti l'angolo perde tutto un bràcao. Ma non se ne accorge nemmeno, e continua a correre.

Una buona donna lo chiama: - Giovanni, Giovanni, il tuo braccio!

Macché, non sente.

Pazienza, - dice la buona donna. - Glielo porterò alla sua mamma.

E va a casa della mamma di Giovanni.

- Signora, ho qui il braccio del suo figliolo.
- Oh, quel distratto. Io non so piu' cosa fare e cosa dire.
- Eh, si sa, i bambini sono tutti cosi.

Dopo un po' arriva un'altra brava donna.

- Signora, ho trovato un piede. Non sarà mica del Giovanni?
- Ma si che è suo, lo riconosco dalla scarpa col buco. Oh, che figlio distratto mi è toccato. Non so piu' cosa fare e cosa dire.
- Eh, Si sa, i bambini sono tutti così.

Dopo un altro po' arriva una vecchietta, poi il garzone del fornaio, Poi un tranviere, e perfino una maestra in pensione, e tutti portano qualche pezzetto di Giovanni: una gamba, un orecchio, il naso.

Ma ci può essere un ragazzo piu' distratto del mio?

- Eh, signora, i bambini sono tutti Così

Finalmente arriva Giovanni, saltellando su una gamba Sola, senza piu' orecchie nè braccia, ma allegro come sempre, allegro come un passero, e la sua mamma scuote la testa, lo rimette a posto e gli dà un bacio.

Manca niente, mamma? Sono stato bravo, mamma?
- Sì Giovanni, sei stato proprio bravo.


La leggenda del lago di Varese

IL LAGO DELLA LEGGENDA

Ogni lago ha la sua leggenda: una leggenda che ricorda le sue origini con precisione fantastica, e si tramanda di padre in figlio finché vien fissata sulla carta e stampata, nera sul bianco, da qualche raccoglitore.

Quanto al nostro lago, questo nostro magnifico lago di Varese, bianco sul nero se lo vedete nelle notti di luna, che si lascia comprendere d'un sol colpo d'occhio, non ha, ch'io mi sappia, una leggenda che ne racconti la nascita: nessuno dei buoni antichi ha trovato nipotini tanto poco amanti del sonno da dover inventare, per addormentarli, che gli Angeli riempirono con secchi d'oro tutta una valle, gli Angeli fecero spuntare l'isolotto, buon cane da guardia, e gli Angeli fecero questo, fecero quello.

Che lago prosastico, direte voi.

Adagio: c'è un compenso.

Non avete mai visto, scendendo o salendo la strada così detta del Sasso, tra Comeno e Gavirate, a mano destra, una Chiesuola con un piccolo portico ed un campaniletto muto?

No: voi non vi siete mai fermati. Se avete la macchina rombante, non vi siete accorti di nulla: se eravate pellegrini francescani, non vi siete fermati a guardare, attraverso una finestrella, nella penombra di questa chiesa dedicata alla Santissima Trinità.

E nemmeno vi siete seduti sul muricciolo del portico a guardare quel po' di lago che trema lontanamente. Questa chiesa ha una leggenda.

A me l'ha raccontata una vecchina di quelle che si incontrano nelle favole o negli angoli ignoti dei paesi.

Dunque ai tempi dei tempi (quando, e chi lo sa!) avvenne ad un cavaliere che si trovasse a percorrere in pieno inverno questi paesi. La neve era tanta che pareva che tutti i mulini del cielo avessero rovesciato la loro farina, su questa piana terra di Lombardia.

Si trova dunque d'un tratto il cavaliere davanti ad una distesa di neve dove non un arbusto, uno stecco ed un albero ischeletrito, drizzava le braccia al cielo.

Una prateria che si allargava improvvisamente, come un miracolo. In fondo, lontano, poche casupole indicavano l'esistenza d'un villaggio.

Il cavaliere affronta decisamente la pianura: sprona il cavallo, e sollevando turbini di neve vola a galoppo sfrenato. Gli sferza in volto un'aria più fredda: quasi direbbe gelida. In poco più di mezz'ora ha percorso tutto il prato di così insolite dimensioni.

Eccolo ora davanti alle casupole in rovina del villaggio. Chiama, passando, perché qualcuno gli risponda. Chiama, chiama e nessuno risponde. Scalpita il cavallo ed egli batte ad una porta.

"Buona gente!".

S'apre finalmente la porticina cigolando sui cardini, ed emerge dall'ombra nera una vecchina piccina piccina (forse una delle nonne più lontane di quella che mi raccontò la storia).

"Buon dì, cavaliere di Dio!".

Egli l'interpella in modo deciso: "Dite: chi è il padrone di quel prato senz'alberi né stecchi che vedete laggiù? L'ho attraversato or ora e mi punge voglia di comprarmelo!".

"Signore Iddio!" esclama la vecchia crocesegnandosi: "Passaste là sopra?". "Diamine, sì. Ma che avete che vi segnate su tutte le parti del corpo? Ho forse l'aria di un pagano?". La vecchina, commossa, accenna a rispondere: "Signor mio, no. Voi non siete un pagano: ché altrimenti il Signore non vi avrebbe fatto sì leggero da passare sul lago senza che il ghiaccio si rompesse sotto gli zoccoli del cavallo!".

Ora è la volta del cavaliere ad essere stupito: ché molte avventure gli son capitate, ma giammai passò sui ghiacci di un lago scambiandoli per prati distesi sotto il cielo.

Si fa gente e tutti lo guardano con meraviglia: il Cavaliere del miracolo egli è ormai per essi. Da le casupole le donne lo mostrano ai fantolini: il Cavaliere che passò sul lago.

Quando infine egli si riebbe dalla sorpresa, trasse una borsa d'oro e parlò ai contadini: "Buoni terrieri, uditemi. Io voglio che in ringraziamento al Signore Nostro Uno e Trino, voi costruiate una Chiesa e vi facciate orazione".

E come quelli annuirono, egli li ringraziò, diede loro il denaro e se ne partì, né fu più visto.

Cominciarono essi a costruire la Chiesa della Santissima Trinità, secondo che dicono le storie. Poi cambiarono i tempi, Gavirate divenne un borgo popoloso ed industre, la Chiesa ebbe bisogno di essere rimessa a punto, forse non è più come a quei tempi.

Ma il lago è sempre quello: a volte gela, a volte ride.

E' sempre il lago che noi amiamo, quello che alcuni vecchi dicono sia un avanzo delle acque del diluvio, che lasciarono sepolto un paese per volontà del Signore Uno e Trino.

In verità un paese ci fu, dove ora le acque ondeggiano contro le molli rive.

Come rimase sepolto e quando?

Sedete sul muricciolo della Chiesa di cui vi ho raccontato la storia: guardate quel tratto di lago che trema al vostro sguardo e forse vi parrà di vedere tra le onde le risate dei ragazzi che furono sepolti un giorno, ma molto lontano, con le loro vecchie case di legno.


Gli uomini di burro

Giovannino Perdigiorno, gran viaggiatore e famoso esploratore, capitò una volta nel paese degli uomini di burro. A stare al sole si squagliavano, dovevano vivere sempre al fresco, e abitavano in una città dove al posto delle case c'erano tanti frigonferi Giovannino passava per le strade e li vedeva affacciati ai finestrini dei loro frigoriferi, con una borsa di ghiaccio in testa. Sullo sportello di ogni frigorifero c'era un telefono per parlare con l'inquilino.

- Pronto.
- Pronto.
- Chi parla?
- Sono il re degli uomini di burro. Tutta panna di prima qualità. Latte di mucca svizzera. Ha guardato bene il mio frigorifero?
- Perbacco, è d'oro massiccio. Ma non esce mai di li?
- D'inverno, se fa abbastanza freddo, in un'automobile di ghiaccio.
- E se per caso il sole sbuca d'improvviso dalle nuvole mentre la Vostra Maestà fa la sua passeggiatina?
- Non può, non è permesso. Lo farei mettere in prigione dai miei soldati.
- Bum, - disse Giovannino. E se ne andò in un altro paese.

L'Acca in fuga

C'era una volta un'Acca.

Era una povera Acca da poco: valeva un'acca, e lo sapeva. Perciò non montava in superbia, restava al suo posto e sopportava con pazienza le beffe delle sue compagne. Esse le dicevano:

E così, saresti anche tu una lettera dell'alfabeto? Con quella faccia?

Lo sai o non lo sai che nessuno ti pronuncia?

Lo sapeva, lo sapeva. Ma sapeva anche che all'estero ci sono paesi, e lingue, in cui l'acca ci fa la sua figura.

" Voglio andare in Germania, - pensava l'Acca, quand'era- più triste del solito. - Mi hanno detto che lassù le Acca sono importantissime ".

Un giorno la fecero proprio arrabbiare. E lei, senza dire né uno né due, mise le sue poche robe in un fagotto e si mise in viaggio con l'autostop.

Apriti cielo! Quel che successe da un momento all'altro, a causa di quella fuga, non si può nemmeno descrivere.

Le chiese, rimaste senz'acca, crollarono come sotto i bombardamenti. I chioschi, diventati di colpo troppo leggeri, volarono per aria seminando giornali, birre, aranciate e granatine in ghiaccio un po' dappertutto.

In compenso, dal cielo caddero giù i cherubini: levargli l'acca, era stato come levargli le ali.

Le chiavi non aprivano più, e chi era rimast6 fuori casa dovette rassegnarsi a dormire all'aperto.

Le chitarre perdettero tutte le corde e suonavano meno delle casseruole.

Non vi dico il Chianti, senz'acca, che sapore disgustoso. Del resto era impossibile berlo, perché i bicchieri, diventati " biccieri", schiattavano in mille pezzi.

Mio zio stava piantando un chiodo nel muro, quando le Acca sparirono: il " ciodo " si squagliò sotto il martello peggio che se fosse stato di burro.

La mattina dopo, dalle Alpi al Mar Jonio, non un solo gallo riuscf a fare chicchirichi': facevano tutti ciccirici, e pareva che starnutissero. Si temette un'epidemia.

Cominciò una gran caccia all'uomo, anzi, scusate, all'Acca. I posti di frontiera furono avvertiti di raddoppiare la vigilanza. L'Acca fu scoperta nelle vicinanze del Brennero, mentre tentava di entrare clandestinamente in Austria, perché non aveva passaporto. Ma dovettero pregarla in ginocchio: Resti con noi, non ci faccia questo torto! Senza di lei, non riusciremmo a pronunciare bene nemmeno il nome di Dante Alighieri. Guardi, qui c'è una petizione degli abitanti di Chiavari, che le offrono una villa al mare. E questa è una lettera del capo-stazione di Chiusi-Chianciano, che senza di lei

diventerebbe il capo-stazione di Ciusi-Cianciano: sarebbe una degradazione

L'Acca era di buon cuore, ve l'ho già detto. È rimasta, con gran sollievo del verbo chiacchierare e del pronome chicchessia. Ma bisogna trattarla con rispetto, altrimenti ci pianterà in asso un'altra volta.

Per me che sono miope, sarebbe gravissimo: con gli "occiali" senz'acca non ci vedo da qui a lì.


FILASTROCCHE


Filastrocca impertinente Gianni Rodari

Filastrocca impertinente,
chi sta zitto non dice niente;
chi sta fermo non cammina;
chi va lontano non s'avvicina;
chi si siede non sta ritto;
chi va storto non va dritto;
e chi non parte, in verità,
in nessun posto arriverà

Gli odori dei mestieri
Gianni Rodari

Io so gli odori dei mestieri:
di noce moscata sanno i droghieri,
sa d'olio la tuta dell'operaio, 
di farina il fornaio,
sanno di terra i contadini,
di vernice gli imbianchini,
sul camice bianco del dottore
di medicine c'è un buon odore.
I fannulloni, strano però 
non sanno di nulla e puzzano un po'


Dopo la pioggia
di Gianni Rodari

Dopo la pioggia viene il sereno,
brilla in cielo l'arcobaleno:

è come un ponte imbandierato
e il sole vi passa, festeggiato.

È bello guardare a naso in su
le sue bandiere rosse e blu.

Però lo si vede - questo è il male -
soltanto dopo il temporale.

Non sarebbe più conveniente
il temporale non farlo per niente?

Un arcobaleno senza tempesta,
questa si che sarebbe una festa.

Sarebbe una festa per tutta la terra
fare la pace prima della guerra.

Il pescatore
Gianni Rodari

Pescatore che vai sul mare,
Quanti pesci puoi pescare?
Posso pescarne una barca piena
Con un tonno e una balena,
Ma quel ch' io cerco nella rete
Forse voi non lo sapete:
Cerco le scarpe del mio bambino
Che va scalzo, poverino.
Proprio oggi ne ho viste un paio
Nella vetrina del calzolaio:
Ma ce ne vogliono di sardine
Per fare un paio di scarpine.....
Poi con due calamaretti
Gli faremo i legaccetti.

Il vestito di Arlecchino
Gianni Rodari

Per fare un vestito ad arlecchino
ci mise una toppa Meneghino,
ne mise un'altra Pulcinella,
una Gianduia, una Brighella.
Pantalone, vecchio pidocchio,
ci mise uno strappo sul ginocchio,
e Stenterello, largo di mano
qualche macchia di vino toscano.
Colombina che lo cucì
fece un vestito stretto così.
Arlecchino lo mise lo stesso
ma ci stava un tantino perplesso.
Disse allora Balanzone,
bolognese dottorone :
'Ti assicuro e te lo giuro
che ti andrà bene li mese venturo
se osserverai la mia ricetta:
un giorno digiuno e l'altro bolletta!".

Le favole a rovescio
Gianni Rodari

C'era una volta
un povero lupacchiotto,
che portava alla nonna
la cena in un fagotto.
E in mezzo al bosco
dov'è più fosco
incappò nel terribile
Cappuccetto Rosso,
armato di trombone
come il brigante Gasparone...,
Quel che successe poi,
indovinatelo voi.
Qualche volta le favole
succedono all'incontrario
e allora è un disastro:
Biancaneve bastona sulla testa
i nani della foresta,
la Bella Addormentata non si addormenta,
il Principe sposa
una brutta sorellastra,
la matrigna tutta contenta,
e la povera Cenerentola
resta zitella e fa
la guardia alla pentola.

A voce bassa
di Gianni Rodari

Filastrocca a voce bassa,
chi è di notte che passa e ripassa?
E' il principe Fine e non può dormire
perché a sentito una foglia stormire?
O forse é l'omino dei sogni che porta
i numeri del lotto di porta in porta?
E' un signore col mal di denti
in compagnia di mille tormenti?
L'ho visto: é il vigile notturno
che fa la ronda taciturno:
i ladri scantonano per la paura,
la città dorme sicura.











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