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CANTO NOTTURNO DI UN PASTORE ERRANTE DELL' ASIA Di Giacomo Leopardi (pp. 498- 502)

italiano



CANTO NOTTURNO DI UN PASTORE  ERRANTE DELL' ASIA

Di Giacomo Leopardi (pp. 498- 502)

Lavoro svolto da Pasini&Piantoni



  • Parafrasi puntuale

Che fai tu luna in ciel! Dimmi che fai o luna amica del silenzio? Spunti la sera e vai illuminando i deserti, quindi tramonti non sei ancora soddisfatta di r 959h77j ipercorrere gli eterni sentieri del cielo?.

Non provi affatto noia, sei ancora desiderosa di contemplare queste terre? La vita del pastore è simile alla tua. Si alza alle prime luci dell'alba e spinge il gregge oltre il suo campo, per vedere altri greggi, altre fontane, altri prati; infine stanco si riposa al sopraggiungere della sera: non spera di vedere mai cose diverse. Dimmi o luna, che significato ha la vita del pastore, e la vostra vita per voi? Dimmi: dove è destinato questo mio breve vagare e il tuo percorso immortale ?





Vecchio coi capelli bianchi, malato, mal vestito e scalzo, con un pesantissimo fardello sulle spalle, attraverso le montagne e le valli, attraverso sassi sporgenti, sabbia e cespugli, con il vento con la tempesta, sia d'estate quando fa caldo, sia d'inverno quando tutto è gelo, come senza mai fermarsi,attraversa torrenti e paludi, cade, si rialza, e si rimette poi in cammino senza riposarsi e rifocillarsi mai, lacero, sanguinoso; fino a quando arriva nel luogo dove tutte le sue fatiche furono indirizzate (morte), orrido abisso, smisurato, nel quale, precipitando, dimentica ogni cosa. Intatta Luna, questa è la vita degli uomini.



L'uomo nasce a fatica, e già alla nascita rischia di morire. Per prima cosa prova angoscia e sofferenza; e già in principio i genitori cercano di consolarlo per essere nato. Poi man mano che cresce , i genitori lo sostengono e cercano, in seguito di incoraggiarlo con azioni e parole, e cercano pure di consolarlo: i genitori non compiono altro compito più gradito di questo. Ma perché far nascere, perché mantenere poi in vita chi bisogna consolare? Se la vita è sventura, perché la facciamo durare? Inarrivabile Luna, tale è la condizione degli uomini. Ma tu non sei mortale e forse poco ti importa delle mie parole.



Eppure tu, solitaria, eterna viandante del cielo, che sei così pensierosa, tu forse capisci che cosa sia questa vita terrena, le nostre sofferenze, i sospiri, che cosa sia questo morire, questo estremo impallidimento del viso, questo scomparire della terra, e il venir meno a ogni solita compagnia di amici. Anche tu certamente comprendi il perché delle cose, e vedi l'utilità del mattino, della sera, del silenzioso incessante trascorrere del tempo. Tu sai, certamente, a qual suo dolce amore sorrida la primavera, a chi sia d'aiuto il caldo, e che cosa procuri l'inverno con i suoi ghiacciai. Tu conosci mille cose, né riscopri altrettante, che sono nascoste al semplice pastore. Spesso quando io ti contemplo mentre stai silenziosa sulla solitaria pianura, che all'orizzonte confina con il cielo;oppure mentre mi segui quando sono in compagnia della mia greggia; e quando guardo in cielo luccicare le stelle, dico pensando fra me: che fanno tante luci? che cosa fa l'aria infinita e quel profondo sereno infinito? Che cosa significa questa solitudine immensa? E io che cosa sono?. Così ragiono nella mia mente:e io non so trovare alcuna utilità, alcuna ragione, sia intorno alla vita dell'universo, sia intorno alla società; e poi non so pure trovare il significato dei numerosi movimenti degli astri, delle cose terrene che girando senza posa ritornano poi al punto di partenza Ma tu sicuramente conosci già il tutto. Questo soltanto io so, che dell'eterno movimento delle sfere celesti, della mia precarietà di uomo qualche utilità e gioia l'avrà forse qualcun altro; per me la vita è male.


O gregge mia che riposi, o te beata che, credo non conosci la tua miseria! Quanta invidia ti porto! Non solamente perché sei sgombra di ogni dolore; che ogni fatica, ogni danno, ogni paura dimentichi subito; ma perché non sai che cosa sia la noia. Quando ti siedi all' ombra sul prato sei tranquilla e contenta; ma non provi la mia stessa noia. Anche io sto seduto sul prato, all'ombra, e  un pensiero mi angoscia, mi opprime la mente, e l' ansia quasi mi spinge, così che, stando seduto, sono molto lontano dal trovare pace e riposo. Eppure non desidero nulla, e non ho fino a qui, alcuna ragione di pianto. Io non so ripetere quanto tu gioisca; ma certamente sei fortunata. Io invece sono poco felice, o gregge mia e non mi lamento solamente di questo. Se tu sapessi parlare, io ti chiederei: perché riposando nell'ozio ogni animale è contento, invece, se io giaccio in riposo vengo assalito dalla noia?



Forse, se io avessi le ali e potessi volare sopra le nubi, e contare le stelle ad una ad una, oppure potessi errare come il tuono di colle in colle, sarei più felice, dolce mia greggia, sarei più contento, candida Luna . O forse il mio pensiero si allontana dal vero, quando guarda alla sorte altrui: forse in qualunque forma, in qualunque condizione dentro una tana o una culla , il dì natale è un giorno di lutto per chi nasce.



Commento metrico- ritmico


Il "Canto notturno di un pastore errante dell' Asia" a livello metrico non segue uno schema preciso e ordinato. E' composto da sei strofe libere di varia lunghezza. I versi sono prevalentemente composti da sette oppure undici sillabe con rime irregolari. Ciascuna strofa si conclude con una parola che termina in "ale" e che fa rima con uno dei versi precedenti.




  • Parafrasi tematica

Il "Canto notturno di un pastore errante dell' Asia" è stato composto a Recanati fra il 22 Ottobre e il 2 Aprile del 1830. Appartiene al periodo pisano - recanatese dell' autore. L'idea del canto fu suggerita al poeta dalla letteratura di un passo di un articolo riportato sul Journal des Souvants. Nell' articolo si legge che "alcuni pastori nomadi dell'Asia Centrale sono soliti trascorrere le notti all'aperto e seduti su una pietra rivolgono delle parole malinconiche alla Luna". Questa lettura è stata l'idea occasionale per la composizione del canto.

Nel canto il pastore errante pone diverse domande alla luna sulla vita e sull' esistenza dell' essere umano, pur sapendo che lei è un essere immateriale.

Nella prima stanza Leopardi affida ad un pastore il compito di esporre le proprie concezioni intorno alla vita. L' autore usa l'immagine del pastore perché esemplifica le sue concezioni. Egli, è un'anima semplice che pone delle domande altrettanto semplici e spontanee alla luna. Il pastore, che può fare solamente domande, non è in grado di avere nessuna risposta, perché a lui sfuggono le ragioni ultime intorno all'esistenza.

Nella stanza successiva il poeta-pastore anziché dare delle risposte, fa un'accurata rappresentazione della vita umana davanti alla luna. Si evidenzia l'idea del Leopardi che l'unica realtà sulla terra sia la morte.

Nella terza stanza il poeta espone, attraverso ulteriori prove, la miseria della vita umana attraverso alcune domande: "Ma perché far nascere, perché mantenere poi in vita chi bisogna consolare? Se la vita è sventura, perché la facciamo durare?" mettendo ancor più in evidenza che l'uomo è nato nella sofferenza e non ha speranza.

Nella quarta stanza il pastore continua il suo dialogo con la luna, attribuendo ad essa la conoscenza della finalità dell'esistenza umana.

Anche in questa stanza sono presenti numerose domande, alle quali però il semplice pastore non riesce a rispondere.

Nella penultima stanza il poeta cambia l'interlocutore del pastore: non è più la Luna, ma il suo gregge. Non cambia però nulla perché anche in questo caso l'interlocutore al quale si rivolge è un essere irrazionale.

Nella sesta e conclusiva stanza, al poeta sembra di intravedere un'altra possibile felicità per l'uomo, ma si tratta solamente di un attimo, perché subito ricade nella realtà conosciuta, e precisamente nella concezione del pessimismo cosmico: è infelice, secondo lui, non solamente l'uomo, ma tutti gli esseri viventi nell'universo.

Nel canto la luna ha un ruolo centrale. E' la confidente del pastore, raccoglie i suoi dubbi e le sue preoccupazioni, sembra essere una presenza consolatrice anche se è un essere immateriale che non può dare risposte. Di questo limite il pastore si accorge infatti sorge il dubbio che la luna, non essendo mortale, partecipi alla generale indifferenza della natura. Il pastore nonostante questo silenzio crede comunque che forse quell' essere immateriale comprenda il senso dei suoi desideri, più in generale dei desideri umani.

Questo canto mette in risalto la concezione antinomia di Leopardi di contrapposizione ragione natura formulando così la teoria del pessimismo cosmico.

Secondo Leopardi la natura è una matrigna. L'uomo nasce al solo scopo di morire perché l' esistenza è un ciclo continuo di distruzione della materia. L'infelicità umana è una realtà concreta che domina l' universo. Anche questo aspetto è messo in evidenza nel canto perché il pastore nel silenzio non riesce ad essere tranquillo ma è dominato dalla paura e dall' insicurezza.

Si contrappone alla natura la ragione come efficiente strumento conoscitivo capace di svelare le contraddizioni del reale. La ragione non conduce alla felicità, rende l' uomo consapevole della propria condizione e lo libera da false credenze.

Questa concezione pessimistica di Leopardi fonda anche la teoria del materialismo: l' uomo può avere una sola felicità temporale e materiale.












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