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origine ed evoluzione della terra

geologia



origine ed evoluzione

della terra



La storia del nostro pianeta

La Terra e i pianeti vicino al Sole (Mercurio, Venere, Marte) nacquero dalla condensazione di materiali rocciosi; sulle loro superfici per milioni di anni piovvero meteoriti che ne modificarono l'aspetto aprendo profondi crateri e ne accrebbero la massa con un continuo apporto di materia.




Un globo di rocce fuse. Quattro miliardi e mezzo di anni fa la Terra si presenta come un enorme globo freddo. Questa apparente inattività dura pochissimo; le radiazioni emesse da uranio, torio e forse plutonio generano calore, che, sommato all'energia prodotta dall'impatto dei meteoriti e alla contrazione del pianeta dovuta alla forza di gravità, è sufficiente a innescare il processo di fusione delle rocce interne.

Così quattro miliardi e trecento milioni di anni fa la Terra diventa una palla di rocce fuse: fiumi di lava fuoriescono da enormi crateri, una coltre impenetrabile di gas avvolge il pianeta e la pioggia meteoritica continua senza sosta.

Gli scienziati fanno risalire a quel periodo l'inizio della disposizione dei materiali che formano il pianeta in strati concentrici.


Il pianeta si raffredda. Con il passare del tempo l'attività radioattiva rallenta e diminuisce il calore da essa fornito al pianeta, che inizia così a raffreddarsi lentamente. La temperatura del suol 131d39b o si aggira attorno agli 800 gradi centigradi, mentre la pressione atmosferica, a causa dell'abbondante presenza di gas pesanti (anidride carbonica, vapore acqueo, metano), è molto elevata.


Nasce l'oceano. A causa dell'abbassamento della temperatura, il vapore si condensa e diventa acqua.

L'acqua forma un oceano primordiale la cui temperatura, per l'elevate pressione a cui è sottoposto, è tuttavia superiore ai 100 gradi centigradi. Per alcuni milioni di anni una pioggia ininterrotta di acqua calda lava le rocce, sciogliendo le sostanze minerali e formando grandi strati di sedimenti. Quando alla fine le nubi atmosferiche si diradano, il Sole splende su di un oceano immenso da cui emergono qua e là alcune isole rocciose.

Tre miliardi e ottocento milioni di anni fa, la Terra si appresta ad accogliere la vita.



La Terra è formata da tre strati concentrici

Gli scienziati, per mezzo dei campioni di roccia provenienti dal sottosuolo (anche se da scarse profondità), hanno ipotizzato un modello della suddivisione interna della Terra.

Secondo questo modello la Terra è formata da tre strati concentrici di varia natura e spessore formatisi quattro miliardi e trecento milioni di anni fa: un nucleo centrale, molto denso, composto di nichel e ferro; uno strato intermedio, il mantello, costituito soprattutto da silicati di magnesio; uno strato più esterno, la crosta terrestre, costituito soprattutto da silicati di alluminio.


La crosta terrestre. È la parte più esterna del globo, ha uno spessore variabile fra i 35 chilometri della crosta continentale (con punte di 70 chilometri in corrispondenza delle catene montuose) e i 6-10 chilometri della crosta oceanica.


Il mantello. Si estende sotto la crosta terrestre ed è separato da essa da una zona chiamata discontinuità di Mohorovicic (o semplicemente Moho) dal nome del geofisico jugoslavo che la scoprì. Ha caratteristiche intermedie tra lo stato solido e quello liquido e può essere diviso in tre zone: una superiore fatta di materiale rigido ed elastico; una intermedia, detta astenosfera, le cui rocce sono parzialmente fuse e hanno una consistenza plastica; una inferiore, dove le rocce tornano a essere rigide.


Il nucleo. È la parte più interna della Terra. Si trova a circa 2900 chilometri di profondità ed è separato dal mantello da una zona chiamata discontinuità di Gutenberg (dal nome del geologo statunitense che fece importanti studi sulla struttura del pianeta). È diviso in nucleo esterno, allo stato liquido, dove si raggiungono temperature di 2000 gradi centigradi e nucleo interno, allo stato solido. In questa zona più interna la temperatura raggiunge i 4000-5000 gradi, ma la materia incandescente rimane solida a causa dell'enorme pressione.



La crosta terrestre muta nel tempo

La deriva dei continenti. Nel 1912, lo scienziato tedesco Wegener pubblicò il libro Origine dei continenti e degli oceani, e presentò la sua teoria, per quei tempi rivoluzionaria, sulla deriva dei continenti.

Osservando attentamente un planisfero, puoi facilmente notare come i profili delle coste atlantiche dell'America meridionale e dell'Africa abbiano una forma tale da poter essere considerati come pezzi combacianti di un puzzle.

Questa osservazione spinse Wegener a formulare l'ipotesi che in origine le terre emerse fossero unite in un solo blocco, un supercontinente, che lo scienziato chiamò Pangea, circondato da un unico oceano, la Panthalassa. La Pangea, secondo lo scienziato, si spezzò poi in enormi blocchi, gli attuali continenti, che si distanziarono gli uni dagli altri fino a portarsi, come enormi zattere alla deriva, nelle posizioni che occupano oggi. Wegener ricostruì la Pangea accostando fra loro le sagome dei continenti. Ma questa corrispondenza di forme non poteva essere l'unica prova della sua teoria e perciò, a sostegno della sua ipotesi, si servì anche della distribuzione dei resti fossili di animali e vegetali.

I reperti rivelavano infatti la presenza di animali e vegetali della stessa specie in regioni lontanissime tra loro.

Nonostante le prove raccolte, la teoria della deriva dei continenti non ebbe successo, soprattutto perché lo scienziato tedesco non riuscì a spiegare come i continenti potessero "navigare" sul fondo degli oceani, né a individuare le forze che li spingevano.

La sua teoria fu accantonata, fino agli anni Cinquanta, quando i geologi e gli oceanografi iniziarono ad esplorare il fondo del mare per disegnare mappe che facilitassero la navigazione dei sottomarini e trovarono le risposte che Wegener non aveva saputo dare.


L'espansione dei fondali oceanici. Sul fondo dell'oceano Atlantico gli oceanografi scoprirono un'imponente catena montuosa, chiamata Dorsale Medio Atlantica. Essa consiste in una formazione montuosa che attraversa in direzione nord-sud l'oceano Atlantico con andamento simile a quello delle coste dei continenti americano ed africano.

La dorsale è in realtà formata da due catene parallele di rilievi, separate da una valle (larga dai 10 ai 45 chilometri), che è una vera e propria frattura del fondale oceanico. Da questa frattura fuoriesce del magma (materiale roccioso fuso), che spinge lateralmente, separandolo, il materiale già esistente. I rilievi preesistenti si allontanano dunque simmetricamente dalla valle centrale e il fondale oceanico si espande. L'espansione del fondo oceanico lungo la Dorsale Medio Atlantica causa l'allontanamento del continente americano da quello africano. A muoversi non sono quindi i continenti, ma zone più ampie della crosta terrestre.


I movimenti del mantello. Se potessimo raggiungere il mantello ci troveremmo immersi in una sostanza simile a un liquido denso e viscoso, in pratica un fluido che si deforma molto lentamente, attraversato da correnti.

Infatti, a causa della differenza di temperatura fra lo strato superficiale e quello profondo, gli scienziati pensano che nel mantello esistano moti convettivi, cioè dal basso verso l'alto e viceversa.

Si crea così una circolazione di materia che, anche se lentissima (pochi centimetri all'anno), nell'arco di milioni di anni produce spostamenti molto grandi.

In superficie il mantello trascina nel suo moto la crosta terrestre, che essendo meno elastica si frantuma e si divide in zone chiamate zolle o placche crostali.

In corrispondenza delle fratture il materiale magmatico risale in superficie, spinto dalle correnti convettive e dalla pressione interna della Terra. Questo materiale si deposita ai lati e raffreddandosi forma proprio le dorsali, che sono più frequenti in corrispondenza dei fondali oceanici perché qui la crosta è più sottile. Dorsali sono state individuate infatti anche sul fondo degli altri oceani. Tutte insieme costituiscono un unico sistema montuoso che si sviluppa per oltre 60000 chilometri.

Le zolle sono quindi delle enormi zattere che galleggiano sullo strato esterno del mantello. In corrispondenza delle dorsali atlantiche le zolle si allontanano; la Terra però non si espande, cioè non aumenta di volume nonostante la continua formazione di nuova crosta: ciò significa che devono esistere dei punti dove la crosta terrestre viene distrutta.


Le fosse oceaniche. Gli studiosi hanno individuato nelle fosse oceaniche i luoghi di riassorbimento della crosta terrestre.

In pratica, a causa dell'espansione, i fondali finiscono con lo scontrarsi con un continente o con un altro fondale. Nel primo caso la crosta oceanica, più sottile e più densa, si piega e scivola sotto alla crosta continentale; nel secondo il margine di uno dei due fondali sprofonda sotto all'altro. Il risultato è, in entrambi, la formazione di una fossa oceanica. Le zone con la presenza di fosse sono dette di subduzione ; la parte di crosta che scivola sotto finisce nel mantello e quando arriva nell'astenosfera si fonde e sparisce. Se i punti di fuoriuscita del magma sono quelli che corrispondono alla corrente di risalita del moto convettivo, i punti di subduzione corrispondono alla corrente discendente e quindi alla ridiscesa del magma raffreddato, che trascina una contro l'altra due placche. In pratica, le zolle si comportano come più nastri trasportatori adiacenti che ruotano in versi opposti, e gli oggetti che essi trasportano (i continenti) sono destinati ad allontanarsi o ad avvicinarsi fino ad urtarsi. La teoria dell'espansione dei fondali dà quindi una risposta ai quesiti che la teoria di Wegener aveva lasciato insoluti.



I movimenti delle placche modificano la superficie   terrestre


Lungo le dorsali oceaniche e le linee di subduzione identificate dalle fosse, è stata rilevata la presenza di numerosi vulcani e il verificarsi di frequenti terremoti. Studiando la distribuzione globale dei vulcani terrestri e dei terremoti, gli scienziati hanno potuto ricostruire la mappa delle placche crostali.

Queste placche si spostano le une rispetto alle altre con differenti velocità: possono allontanarsi, scontrarsi, o scivolare l'una accanto all'altra.

I moti delle placche sono molto importanti per capire come funziona la Terra. Grazie al loro studio gli scienziati sono riusciti infatti a costruire un modello della crosta terrestre in grado di spiegare le trasformazioni a cui essa è sottoposta.

Questa teoria viene detta tettonica a placche ; "tettonica" deriva dal greco tekton, "costruttore", e dal latino tego, "rivestire": la Terra sarebbe cioè "rivestita" da placche.


L'urto tra una placca continentale e una oceanica. Abbiamo già visto che le placche oceaniche scivolano al di sotto delle placche continentali generando una fossa oceanica, ovvero abissi marini che possono raggiungere anche i 10000 metri di profondità. Il margine che si inabissa innalza quello sotto al quale va a scomparire; qui, lungo la fossa, il magma in risalita genera una catena di vulcani, che con il passare dei millenni si spengono diventando montagne. La cordigliera delle Ande, nata dall'urto fra la zolla del Pacifico e quella del Sudamerica ha infatti origine vulcanica.


L'urto tra due placche oceaniche. Se a urtarsi sono due placche oceaniche si forma sempre una zona di subduzione e quindi una fossa accompagnata questa volta da un arco di isole vulcaniche. Le isole Eolie e il Giappone sono esempi di archi vulcanici.


L'urto tra due placche continentali. Se a scontrarsi sono due placche continentali, non si ha invece subduzione perché entrambe le placche sono troppo spesse e troppo leggere per sprofondare nel mantello. La collisione genera una catena di montagne. È il caso della catena dell'Himalaya, originatasi circa 45 milioni di anni fa dalla collisione fra l'India e il continente eurasiatico. In pratica, non potendo scivolare nel mantello, il fondale oceanico, stretto nella morsa dei due continenti, si è corrugato e sollevato, come accade a un tappeto spinto da un piede, generando le montagne. Anche la catena alpina è nata dalla collisione di due placche continentali: quella europea e quella africana.


La nascita di una faglia. In alcuni casi le placche crostali non si scontrano, ma scivolano l'una di fianco all'altra generando fratture lunghe e visibili anche sulla terraferma. Queste fratture, i cui margini si muovono in versi opposti, si chiamano faglie. Famosa è la faglia di Sant'Andrea in California, i cui movimenti sono la causa dei frequenti terremoti che colpiscono quella regione.

Concludendo, il calore prodotto all'interno del pianeta provoca il movimento delle placche crostali e, di conseguenza, una trasformazione lenta e continua della superficie terrestre.




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