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CONTATTI ESTERNI - L'ALTERITÀ

geologia



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l'alterità

Nonostante l'apparente isolamento dell'Egitto, la fertilissima Valle del Nilo attrasse coloni da ogni parte e produsse un fecondo scambio di conoscenze. Occorre operare un'interpretazione attenta dell'immagine di civiltà creata dagli artefici della cultura faraonica, che non è capace di riconoscere l'apporto di culture esterne. Non venne mai meno il dialogo con gli altri Paesi: ciò che mutò fu la capacità di acquisire e di accettare l'esistenza di mondi esterni.

Le presenze straniere si manifestano nel territorio stesso della Valle del Nilo. Si tratta di genti provenienti da sud (Nubia), ovest (Libia) e nord-est (Palestina). Attraverso la costa siro-palestinese (la Fenicia) avvengono i primi contatti transmarini con il mondo egeo, che divennero più diretti nel corso del II millennio a.C.



Gli interessi dell'Egitto verso l'esterno si traducono in una serie di avamposti, o basi commerciali e culturali, dalle quali gli emissari del faraone intrattengono rapporti con altri Paesi. Si può menzionare il porto di Byblos sulla costa fenicia, la città scoperta nell'odierno sito di Balat nell'oasi di Dakhla, sulla pista transsahariana, e la città di Buhen lungo il Nilo, all'altezza della II cateratta. Un emporio del principio del II millennio è riscontrabile nella città più meridionale di Kerma, che fu forse capitale del primo fiorente regno africano, quello di Kush.

Anche siti della Valle del Nilo nel III millennio mostrano caratteri di frontiera, con mescolanza di elementi non pertinenti al quadro della cultura faraonica. Ciò è indizio della non ancora compiuta unificazione culturale del Paese: nel III millennio vi è uno Stato faraonico, ma non ancora una nazione egiziana.

Lo straniero non amalgamato costituisce nel Medio Regno un definito gruppo sociale, detto "asiatico" o "cananeo". È incerto quanto collegati siano i più antichi dominatori dell'Egitto venuti dall'esterno di cui parli la tradizione, gli Hyksos ("re stranieri").

Le popolazioni libiche infiltrate in Egitto durante l'età ramesside sono quelle che metteranno sul trono i faraoni della XXI-XXIII dinastia.

Successivamente i faraoni egizi saranno spesso monarchi che governano da un altro Paese, come i Nubi della XXV dinastia, i Persiani della XXVII, ed i Lagidi, che dalla nuova capitale di Alessandria governano l'Egitto dopo la conquista di Alessandro il Macedone (332 a.C.), imponendovi la lingua greca.

La differenza tra Hyksos e Libi nel II millennio da un lato, e nel I millennio Persiani e Romani dall'altro, è che i primi governano dall'interno il Paese di cui si sono impossessati, mentre gli altri lo dominano dai lontani centri dei loro imperi, attraverso intermediari. Diverso è il caso di Nubi e Macedoni, che governano da territori esterni ma adiacenti, con cui ci fu un forte interscambio di elementi culturali. Una differenza tra Nubi e Macedoni è che mentre i primi cercano di vestire le forme espressive dell'Egitto, gli altri mirano a trasporle nelle abitudini greche, integrandole nel mondo universale dell'Ellenismo.

L'uscita della potenza egizia dai suoi confini naturali è legata a fattori minerari e commerciali durante il III millennio. Essa si traduce in occupazione stabile della Nubia al principio del II millennio (XII dinastia) ed in avanzata in profondità ta 454f54e nto a sud in Africa (fino alla V cateratta) quanto a nord in Siria (fino all'Eufrate). Nella XVIII dinastia sono attestate spedizioni egizie nel mar Egeo.

La penetrazione della cultura egizia nel mondo esterno ha una notevole rilevanza dapprima in Siria durante il III millennio, e durante il II millennio nel mondo cretese-miceneo. Corrispondentemente, manufatti di provenienza rispettiva sono riconoscibili nel territorio egizio.

Un'irradiazione più ampia attraverso il Mediterraneo è un fenomeno che si stabilisce a partire dall'egemonia ramesside, con cui l'Egitto impone il suo prestigio ed autorità sullo scenario orientale. A questo fatto non è estranea la controffensiva dei "popoli del mare", che rivela l'irruzione di nuove realtà etniche e culturali.

Una caratteristica dell'impero ramesside è di dominare i popoli soggiogati dall'interno. Stranieri si diffondono nelle città dell'Egitto, e l'Egitto fonda città egiziane nei luoghi sottomessi. Sul versante africano si moltiplicano i templi che riprendono le architetture egizie in armonia con l'adattamento a tradizioni locali; verso la zona palestinese pare imporsi un tipo più modesto di santuario, riflettente cappelle private e culti personali.


l'egitto e l'egeo

Lo studio delle relazioni che la civiltà egiziana allacciò con Creta e Micene è ancora agli inizi ed è basato su dati di difficile interpretazione.

Nella metà degli anni '50, l'egittologo Jean Vercoutter analizzava i contatti tra i popoli Egei ed Egiziani. In più luoghi dell'Egitto si erano ritrovati prodotti artigianali legati al mondo minoico: la cospicua quantità di vasellame di stile Kamares in siti del Medio Regno come Lisht e Kahun faceva supporre la presenza di ceramisti cretesi in Egitto; il ritrovamento, all'interno del tempio di Tod nell'Alto Egitto, di coppe d'argento di "stile egeo", custodite in scrigni con il cartiglio di Amenemhat II, era ritenuto prova delle relazioni commerciali intercorse in quel periodo tra l'Egitto e l'Egeo; alcune tombe tebane di alti dignitari vissuti nella XVIII dinastia, che raffiguravano minoici nell'atto di offrire i loro prodotti alla corte del faraone, sembravano dimostrare il perdurare di tali rapporti nel Nuovo Regno.

A Creta, gli studiosi sottolineavano l'influenza dell'arte egiziana sulla glittica e sulle decorazioni parietali; i contatti con l'Egitto erano documentati dalla presenza di una larga quantità di vasi in pietra, ma anche di scarabei ed altri piccoli oggetti. Tuttavia, non era facile stabilire se tali contatti tra Egitto e mondo egeo fossero mai stati diretti.

In Egitto, due scoperte importantissime dovevano ampliare i termini della questione. La prima scoperta avvenne nel 1964 a Kom el-Heitan, sulla riva ovest di Tebe. Si tratta del sito in cui sorgono i "colossi di Memnone", che sono in realtà le ultime grandi vestigia di quello che fu il fastoso tempio funerario del re Amenhotep III (1387-1348 a.C. circa). Una missione svizzera ritrovò la base di una statua colossale del re Amenhotep III sulla quale era scolpita una lista di toponimi cretesi e micenei. In questa iscrizione, le località egee erano personificate da prigionieri legati, secondo la classica rappresentazione dei popoli sottomessi all'Egitto. Ciò non implicava un'effettiva dipendenza dal re egiziano, quanto il fatto che le popolazioni di quei luoghi avevano avuto relazioni diplomatiche con l'Egitto e ne avevano riconosciuto formalmente lo Stato.

Il documento attestava che tra il XV ed il XIV secolo a.C. gli Egiziani frequentavano le popolazioni egee e conoscevano l'organizzazione politica di quelle regioni. La lista permetteva inoltre di ancorare ad un contesto storico la presenza di oggetti egei in Egitto e di reperti egiziani a Creta e Micene.

Nel 1989, una seconda e più clamorosa scoperta doveva confermare la profondità dei rapporti intercorsi tra Minoici ed Egiziani: il ritrovamento, in pieno Delta, di un palazzo decorato con pitture il puro stile minoico. Ad Avaris (Tell el-Dab'a), capitale dei re Hyksos, una missione austriaca ritrovò numerosi frammenti di intonaco dipinto ornati di scene del più tipico repertorio cretese.

Sul fatto che queste pitture parietali siano state realizzate da artisti minoici, il consenso della comunità scientifica sembra generale: il salto sul toro è un tema originale cretese, mentre il motivo del "labirinto" ed un particolare fregio "a semirosette" hanno un legame specifico con il palazzo di Cnosso: da qui provenivano gli artisti che decorarono il "Palazzo minoico" di Avaris.

Tra il 1560 ed il 1550 a.C. circa, il primo re della XVIII dinastia, Ahmosi, cinse d'assedio Avaris costringendo i sovrani Hyksos ad abbandonare la città ed a ritornare in Oriente. Questo grande avvenimento segna la fine del II Periodo Intermedio e l'inizio del Nuovo Regno.

Le prime pitture murali in stile minoico furono trovate in discariche secondarie che non offrivano appigli per una datazione sicura; tuttavia, la loro prossimità alla cittadella hyksos distrutta da Ahmosi, in un primo momento fece credere agli archeologi che il "Palazzo minoico" fosse di poco anteriore all'arrivo del condottiero tebano. Questa congettura spinse gli studiosi a supporre che tra il 1600 ed il 1550 a.C. circa i re Hyksos di Avaris avessero stabilito un'alleanza politica con Creta.

La maggior parte degli studiosi dell'Egeo non accettava una datazione così antica di quelle pitture, che faceva dal "salto sul toro" di Avaris un esempio più antico del suo parallelo a Creta. Fino a questo momento, la fase della maggior espansione della cultura minoica nel Mediterraneo risultava contemporanea ai regni di Hatshepsut e di Thutmosi III (1450 a.C.), mentre la scoperta delle decorazioni minoiche a Tell el-Dab'a sembrava retrodatare il fenomeno ad almeno un secolo prima.

Dopo il ritrovamento di altri frammenti di pitture parietali in "stile cretese", in situ nell'ala di un palazzo posteriore all'arrivo di Ahmosi, la prima datazione è stata abbassata, ed attualmente si pensa che il "Palazzo minoico" di Avaris sia contemporaneo agli inizi della XVIII dinastia. La cittadella ricostruita dai dinasti tebani rimase in funzione almeno fino al regno di Amenhotep II (1424-1398 a.C. circa), ma niente esclude che abbia continuato ad esistere anche dopo.



La presenza di questo palazzo minoico nel cuore del Delta potrebbe essere la prova di un'alleanza politica, forse anche di un legame dinastico stabilitosi tra i primi faraoni tebani della XVIII dinastia e la casa regnante di Cnosso. Il "Palazzo minoico" di Avaris non prova soltanto che durante il Nuovo Regno i cretesi venivano in Egitto, ma che alcuni di essi vi abitavano.

Sui tempi e sui modi del tramonto della cultura minoica, la comunità degli archeologi non è concorde. Sembra che una serie di distruzioni avvenute più per cause naturali che belliche mise in crisi la civiltà minoica, alla quale subentrò quella guerriera dei Micenei. L'antica lingua minoica, scritta con la lineare A ed affine al gruppo indoeuropeo anatolico, venne sostituita da quella dei nuovi padroni: il greco della lineare B.

La costituzione di un regno miceneo a Creta verso la metà del XV secolo sembra trovare eco nelle fonti egiziane. Nelle pitture parietali della tomba di Rekhmira, il visir vissuto ai tempi di Thutmosi III e di Amenhotep II, le figure dei personaggi egei sono state ritoccate ed i costumi minoici dei Cretesi sono stati sostituiti con costumi micenei. Dall'età amarniana, la ceramica micenea comincia ad affiancare quella minoica sui siti egiziani, fino a sostituirla progressivamente.

Il greco soppiantò la lingua minoica nell'amministrazione, e viene supposto che nella prima metà del XIV secolo a.C. la cultura micenea avesse già obliterato quella cretese. Tuttavia, la lista di Kom el-Heitan, che risale a questo periodo, cita le città cretesi nella loro forma originaria pre-greca.

l'egitto e l'italia

L'Italia rimase fuori dell'orizzonte del potere faraonico per tutta la durata della sua azione. Fu l'Egitto ad entrare nell'orbita della civiltà romana: era l'Egitto ellenizzato, che da secoli sottostava al dominio dei Lagidi. La capacità d'interferenza, di espansione e di assimilazione non è dovuta alla cultura egizia, ma alla cultura romana: l'interesse si mostra sia attraverso l'imitazione dello stile egizio, sia attraverso l'importazione di opere originali.

I primi oggetti egizi a raggiungere l'Italia sono piccoli amuleti in forma di scarabei, che rappresentano una nuova caratteristica della cultura umile e quotidiana che si propaga durante l'età ramesside.

La grande civiltà egizia è per la prima volta a confronto con una cultura esterna dominante al tempo dell'ascesa dell'ellenismo, che però stabilisce ad Alessandria e nell'Egitto stesso alcuni dei suoi capisaldi. Non mancano dotti egizi, depositari della tradizione originale, che lasciano il loro Paese per portare nella capitale dell'Impero il segno della loro cultura, che mantiene vivo il richiamo delle opere ai valori originari.

Nei primi secoli dell'Impero, Roma si arricchisce di personaggi, monumenti, santuari, sepolcreti, scritti e documenti, che trasfondono nella scena locale una molteplicità di aspetti propri della civiltà egizia. Questo fatto ha reso il suolo di Roma un terreno archeologico fertile di ritrovamenti di antichità egizie.

Grande interesse rivestono i resti dei santuari per celebrare i culti egizi. Testimonianze di culti e presenze egiziane restano specialmente nei porti, tra cui Ostia e Pozzuoli. Templi in onore di Iside sono costruiti in varie città d'Italia, ed il culto si accompagna ad un'importazione di oggetti egizi.

Dopo il Medioevo, un interesse per l'Egitto e le sue antichità riprende attraverso i viaggiatori, che recandosi in Terrasanta passano attraverso il Cairo.

L'800 è il secolo in cui matura l'interesse per la costituzione di raccolte di antichità egizie, promosse dai consoli che operano in Egitto per conto di varie potenze europee.

Le ricerche archeologiche in Egitto sono condotte nel '900: scopo di queste missioni è il contributo agli studi ed alla conservazione dei monumenti sul posto. Verifica ed approfondimento delle ricerche sono costituiti dalle pubblicazioni.


l'egitto e roma

La civiltà egiziana è l'unica che possa essere documentata in due aree archeologiche distinte: in Egitto ed in Italia, a Roma in particolare.

L'interesse per l'Egitto nacque a Roma in epoca sillana, nel I secolo a.C. e si accentuò grazie alle campagne militari in Oriente prima di Cesare e poi di Ottaviano. Questo interesse crebbe nei primi secoli dell'Impero, tanto che alcuni aspetti della civiltà egiziana entrarono a far arte della cultura romana stessa.

Il culto isiaco

L'elemento che favorì l'irradiarsi della civiltà egiziana fu il culto isiaco. Da Alessandria si espanse per tutto il Mediterraneo a partire dalla seconda metà del III secolo a.C. Il culto di Iside trasse prestigio dall'antichità e dalla fama di questa divinità, e ad esso si aggiunsero elementi misterici ed iniziatici. Esso fu associato al culto di Serapide, divinità introdotta dai Tolomei, che si presentava con caratteri ed aspetto greci, ma che riprendeva le funzioni proprie del dio Osiride.

Modelli architettonici degli Isei e Serapei

A Roma sorsero luoghi di culto dedicati a queste due divinità, detti Isei e Serapei. I due templi erano uniti in un solo contesto monumentale ed erano caratterizzati da un'architettura di tipo ellenistico. I modelli furono quelli proposti da Alessandria ed in particolare dall'Iseo di Ras es-Soda (III secolo d.C.).

Gli Isei e Serapei romani

A Roma è attestata l'esistenza di numerosi luoghi dedicati al culto di Iside e Serapide; manca una precisa distinzione tra costruzioni di carattere pubblico e sacelli privati.

Il più antico ed importante dei sacelli privati era l'Isium Metellinum, fondato da Publio Cecilio Metello nella prima metà del I secolo a.C.; divenne pubblico un secolo dopo, sotto Caligola (37-41 d.C.). Il santuario si sviluppava su due terrazze, con un fronte meridionale di circa 260 m.

Il più importante dei santuari pubblici ed il più grande dei monumenti isiaci fuori dell'Egitto era l'Iseo-Serapeo del Campo Marzio, eretto nel 43 a.C. La pianta, conservatasi nella Forma Urbis Romae, consente di rilevare che il complesso occupava in età severiana un'area di circa 14.000 m2, e comprendeva un'esedra absidata a sud, un cortile centrale servito da due ingressi monumentali posti sui lati est ed ovest, ed un tempio a nord.

La struttura presentava una tipologia ellenistico-romana ed una decorazione egiziana. Possiamo distinguere una zona absidata (larga 70 m e profonda 50 m), una sorta di ninfeo a peristilio, il luogo dedicato a Serapide. La presenza dell'acqua è riconducibile all'aspetto osiriaco di Serapide, connesso con l'inondazione e la rinascita del dio. L'ampio spazio a nord era dedicato al culto isiaco. Si trattava di un tempio di concezione e di stile greco-romano, ma la decorazione era di chiara matrice egiziana e si serviva di materiali egiziani ed egittizzanti. Parte del clero campense era formato da sacerdoti egiziani, e l'Iseo Campense continuò ed esistere finché il culto isiaco fu attivo in Egitto. Cadde in disuso nel corso del V secolo d.C. dopo le prime spoliazioni ad opera di Massenzio e dopo Teodosio.

Modelli egizi nell'urbanistica romana

L'aspetto isiaco è quello che più colpisce e nel cui ambito s'inserisce la maggior parte dei ritrovamenti archeologici nella capitale. Accanto a questo, vi sono altri due motivi molto importanti, cioè l'aspetto urbanistico e l'ideologia imperiale. Queste due tematiche sono strettamente legate.

L'aspetto urbanistico denota la volontà da parte del princeps di adeguarsi ad un modello estraneo alla cultura romana, ma di straordinaria tradizione, cioè all'impianto ellenistico della città di Alessandria, con particolare riferimento al quartiere dei palazzi reali. L'origine del fenomeno è riscontrabile nell'area del Campo Marzio, e risale a Cesare, il quale attribuiva all'Egitto un ruolo importante nei suoi progetti. Il progetto cesariano di sistemazione dell'area centrale del Campo Marzio, avviato nel 54 a.C., fu ripreso dai triumviri, a cui si deve anche la costruzione, nel 43 a.C., di un tempio dedicato alle divinità egizie, l'Iseo, e l'ideazione del Delta, edificio posto a sud dell'Iseo e di forma triangolare, costituito da una fontana con cisterna, contornata da un portico esterno, che sorgeva nel punto di confluenza di due corsi d'acqua e costituiva la conclusione dell'Aqua Sallustiana. Il Delta, il cui nome ci è stato tramandato da un frammento della Forma Urbis, si riferisce al Delta del Nilo, e sappiamo che la presenza dell'acqua, elemento fondamentale del culto isiaco, era attestata nei principali Isei del Mediterraneo.



In età tardo-repubblicana, il sito era occupato in parte dagli Horti di Antonio, e in parte da qualche monumento di carattere pubblico, come i Saepta Iulia, luogo destinato alle elezioni. All'inizio dell'età augustea, la zona subì un processo di urbanizzazione ad opera di Agrippa. Subentrato ad Antonio nella proprietà degli Horti, egli fece erigere una serie di costruzioni monumentali, a cominciare dalle Terme, con le vicine sistemazioni idrauliche comprendenti lo Stagnum e l'Euripus, i cui prototipi si ritrovano ad Alessandria. L'edificio termale era alimentato dall'acquedotto dell'Aqua Virgo, costruito da Agrippa, con un condotto su archi nel Campo Marzio. La zona accoglieva la dimora stessa di Agrippa, la Basilica di Nettuno ed il Pantheon, destinato al culto imperiale. Alla morte di Agrippa, nel 12 a.C., l'area passò ad Augusto, che la rese pubblica.

Augusto stesso era intervenuto nel Campo Marzio con la costruzione di due opere: il Mausoleo e l'orologio solare. Entrambi rivelano suggestioni egiziane. L'orologio utilizzava come gnomone il grande obelisco eliopolitano di Psammetico II, il primo degli obelischi egiziani ad arrivare a Roma per ordine di Augusto, insieme a quello destinato al Circo Massimo. L'orologio occupava un'area molto vasta, ed era stato realizzato rispettando modelli ellenistici. L'obelisco-gnomone diventò il simbolo dell'intera area, come si può osservare su uno dei rilievi della base della Colonna Antonina, in cui, di fronte alla figura personificata di Roma, appare il genio del Campo Marzio che regge un obelisco.

Il Mausoleo di Augusto presentava cornici con decorazioni egittizzanti e due obelischi gemelli anepigrafi ai lati dell'ingresso.

Al limite settentrionale del Campo Marzio, all'epoca di Augusto, era stata costruita una tomba a piramide, presso Porta S. Paolo.

I criteri urbanistici individuabili nella dislocazione delle strutture e nella loro interrelazione sembrano rifarsi a modelli ellenistici, ed in particolare alle grandi realizzazioni alessandrine del quartiere regale. Augusto non si limitò ad esaltare la conquista dell'Egitto, ma nel progetto di riconversione della Repubblica in Impero sembra si sia ispirato alla concezione dinastica ellenistico-alessandrina. Tramite un complesso ed articolato piano edilizio, ebbe modo di sottolineare le potenzialità divine dell'imperatore sia da vivo, sia da morto, come avevano fatto i Tolomei ad Alessandria.

I materiali egizi a Roma

Numerosi materiali egiziani che ornavano l'Iseo campense sono stati occasionalmente scoperti in situ o in aree adiacenti. La maggior parte delle opere asportate dall'Egitto a partire dall'età tardo-repubblicana, furono così ben assimilate dall'ambiente romano da entrare a far parte del suo patrimonio culturale. L'importazione si fece più massiccia verso la fine del I secolo d.C.

In ambito imperiale, la conoscenza dei significati e delle finalità delle opere egiziane era piuttosto precisa. Spesso gli imperatori romani avevano avuto precettori d'origine egiziana; molti di loro avevano visitato l'Egitto e vi avevano soggiornato, e si erano impegnati in programmi edilizi e decorativi nella Valle del Nilo. Famoso è il chiosco di Traiano (98-117 d.C.) a File, ma gli interventi architettonici e decorativi in Egitto sono numerosissimi, concentrati nella Tebaide e nelle oasi.

La committenza imperiale era interessata soprattutto ai simboli faraonici di carattere teologico-dinastico ed in particolare all'aspetto divino della regalità. Esemplare appare l'importazione di obelischi, destinati ad essere innalzati in luoghi pubblici, con un intento celebrativo non scevro di riferimenti religiosi.

In ambito privato, la conoscenza dell'Egitto era più approssimativa. È probabile che il criterio di scelta e di dislocazione delle opere seguisse un'esigenza estetica.

La statuaria egiziana ritraeva divinità, sovrani e privati, ed era concepita per essere posta nei templi o nelle tombe. Le statue di dei e faraoni erano destinate esclusivamente al tempio. La statuaria privata, invece, poteva essere collocata, oltre che nel tempio, anche nella tomba; era di dimensioni ridotte e presente in grande quantità.

Le immagini regali, di grandi dimensioni, erano poste sotto la protezione della divinità a cui erano state dedicate, e non potevano essere asportate. In età romana i templi egiziani erano ancora funzionanti e rispettati anche dagli stessi imperatori. Lo spostamento di questo tipo di materiali richiedeva un'organizzazione complessa e costosa, di pertinenza imperiale.

Più facile era l'asportazione di statuaria ed oggettistica privata, sia templare, perché sovrabbondante, sia funeraria, poiché le tombe erano prive di controllo e riutilizzate in epoche tarde.

L'ambientazione romana delle opere d'arte egiziane ci è testimoniata da notazioni testuali, poiché la documentazione archeologica è carente.


Gli obelischi

Gli obelischi monumentali eretti nelle spine dei circhi implicano un riferimento alla potenza dell'imperatore che ne ha ordinato lo sradicamento in territorio egiziano, la costruzione di speciali navi per il trasporto fino a Roma e l'erezione a Roma in un punto frequentatissimo come il circo, dove poteva sfruttare tutti i risvolti della propaganda politica, al di là dei significati religiosi.

Caratteristiche e significati

Gli obelischi formano una categoria legata più di ogni altra all'immagine ufficiale del potere. Due motivi hanno condizionato e limitato l'impiego di questo tipo di monumenti: il significato a cui è collegata la loro forma singolare e le dimensioni colossali. Le misure di questi monoliti costituivano un problema sia per il loro espianto, sia per il loro trasporto fuori dall'Egitto. L'intera operazione esigeva un'organizzazione ed un costo che solo una committenza imperiale poteva sostenere.

Un obelisco in muratura, non monolitico, appare nei templi solari della V dinastia (2400 a.C.) ad Abusir, innalzato su di un grosso basamento a forma di piramide tronca. Alla fine della V dinastia (2350 a.C.), è attestato il termine thn con cui gli Egiziani indicavano gli obelischi, vocabolo che ha come determinativo l'immagine dell'obelisco. La forma dell'obelisco deriverebbe da una pietra primordiale, detta bnbn, determinata da una sorta di tozzo obelisco.

La documentazione epigrafica conferma l'esistenza di un rito specifico per l'erezione dell'obelisco, di fronte a divinità di carattere solare. Questa cerimonia era legata anche al rito dell'unione al disco, che veniva celebrato esclusivamente dal sovrano, grazie al quale il re poteva animale e vivificare la statua della divinità presente nel tempio. L'obelisco aveva un ruolo attivo in quest'operazione di "ricarica" dell'effigie divina, servendo da intermediario: non solo era il mezzo attraverso cui venivano trasmessi i raggi solari, ma era anche il tramite necessario per la riaffermazione del potere regale, e non a caso l'erezione di obelischi coincideva con il giubileo regale.

Materiale e lavorazione

Per gli obelischi fu utilizzato il granito estratto dalle cave di Assuan. La messa in opera di un obelisco comportava un lavoro enorme che prevedeva l'impiego di numerosa manodopera. L'innalzamento di un obelisco avveniva per ordine del faraone e rappresentazioni di tali avvenimenti sono documentate, oltre che da testimonianze epigrafiche, anche da numerosi rilievi parietali.

Gli obelischi erano eretti in coppia perché dovevano fiancheggiare un ingresso: la loro collocazione era prevista davanti al pilone di un tempio, ai lati dell'accesso principale.

La decorazione degli obelischi era regolata da schemi precisi. Sulle facce del monolito venivano incise delle iscrizioni geroglifiche: i segni del lato frontale e quelli del lato posteriore guardavano verso l'asse d'accesso al tempio, quelli laterali seguivano l'andamento della facciata del pilone. Vi era anche un orientamento secondo i punti cardinali.



Le cuspidi degli obelischi presentavano un rivestimento metallico in rame, che brillava alla luce del sole.

Luoghi di provenienza

Concentrazioni di obelischi si trovano nei complessi templari più importanti, come Eliopoli, Pi-Ramesse e Tebe.

Karnak. Durante il Nuovo Regno, numerosi obelischi sono stati innalzati a Karnak. È ancora in situ l'obelisco di Thutmosi I, in granito rosa, che riposta due colonne d'iscrizione di Ramesse IV ed il nome di Ramesse VI, i quali lo riutilizzarono appropriandosene.

Dei quattro obelischi fatti erigere da Hatshepsut, ne sopravvive solo uno, in granito rosa. Sulla base sono incise 32 linee d'iscrizione. Il testo descrive gli eventi che accompagnarono l'innalzamento dei monoliti.

Thutmosi III innalzò numerosi obelischi in occasione dei suoi cinque giubilei, e precisamente tre coppie più uno singolo in granito rosa, il più imponente degli obelischi superstiti, completato da Thutmosi IV ed eretto nel santuario orientale di Karnak. Nel 330 d.C., Costantino lo fece abbattere per portarlo a Costantinopoli; il progetto fu ripreso da Costanzo, desideroso di erigere l'obelisco a Roma. Oggi si trova a Roma, in Piazza S. Giovanni in Laterano. Si presentarono enormi difficoltà per il trasporto dei monoliti: per l'obelisco lateranense fu allestita una nave speciale che ne consentì il trasferimento da Alessandria fino alla foce del Tevere. L'inaugurazione dell'avvenuta erezione dell'obelisco al centro del circo avvenne nel 375 d.C.

L'obelisco occidentale del VII pilone, rimasto abbandonato ad Alessandria, fu successivamente trasportato a Costantinopoli e fu eretto nell'ippodromo, nel 390 d.C., sotto il regno di Teodosio.

In entrambi i casi, gli obelischi erano stati destinati a luoghi in cui si svolgevano corse di carri. Si trattava di monumenti la cui erezione costituiva una straordinaria affermazione di potere temporale: solo un imperatore poteva disporre di organizzazioni così costose e complesse in grado di muovere questi monoliti colossali.

Luxor. A Luxor, Ramesse II aveva fatto erigere una coppia di obelischi: uno è restato sul posto, l'altro è finito a Parigi, in Place de la Concorde.

Tanis. Una grossa concentrazione di obelischi di trova a Tanis, nel Delta. Gli obelischi sono 23, di dimensioni più modeste rispetto ai precedenti, e tutti, tranne uno, sono di Ramesse II. È probabile che fossero stati portati nel complesso templare di Tanis dedicato ad Amon dalla vicina capitale Pi-Ramesse. Da quest'area proviene anche l'obelisco del Cairo, l'unico nella capitale egiziana.

Eliopoli. Eliopoli fu uno dei centri più ricchi di obelischi, perché in questa località era incentrata la tradizione religiosa solare. In situ rimane solo l'obelisco di Sesostri I, realizzato in un solo blocco di granito, il più antico sopravvissuto fino ai nostri giorni. Faceva parte di una coppia, ed è ancora eretto nel luogo prescelto da Sesostri I. La sommità era coperta da un rivestimento metallico lucente, oggi scomparso.

Molti altri obelischi provenivano dall'area eliopolitana, ad esempio quello di Sethi I e Ramesse II: esso fu portato per primo in Italia per ordine di Augusto, dopo la battaglia di Azio, e fu innalzato nel 10 a.C. nel Circo Massimo. Nel 1589, fu fatto erigere da Sisto V in Piazza del Popolo.

L'obelisco di Piazza Montecitorio di Psammetico II proveniva da Eliopoli. Era stato portato a Roma da Augusto e sistemato in Campo Marzio come gnomone dell'orologio solare.

Settecentesca è la collocazione dell'obelisco eliopolitano di Ramesse II in Piazza della Rotonda, eretto davanti al Pantheon per volere di Clemente XI. Sia questo obelisco sia il suo gemello erano stati trasferiti a Roma in età imperiale per ornare l'Iseo-Serapeo campense.

Di origine eliopolitana era anche l'obelisco anepigrafe di Piazza S. Pietro, fatto erigere qui da Sisto V nel 1586.

Sempre eliopolitana era la coppia di obelischi di Ramesse II sistemata nell'Iseo-Serapeo del Campo Marzio.

Nel XVIII anno di regno di Augusto (10 a.C.), furono trasferiti ad Alessandria una coppia di obelischi eliopolitani di Thutmosi III, di fronte al Cesareo.

Sais. Dalla vicina area dell'Iseo-Serapeo campense proviene anche l'obelisco di Piazza della Minerva, appartenente al faraone Aprie, che in origine si trovava davanti un tempio della città di Sais.

La stessa provenienza è documentata per l'obelisco frammentario di Monaco, inizialmente portato a Parigi da Napoleone.

Diversa era la collocazione dei due obelischi anepigrafi di Piazza dell'Esquilino e di Piazza del Quirinale, che in origine ornavano l'ingresso del Mausoleo di Augusto.

L'obelisco di Trinità dei Monti proveniva degli Horti di Sallustio. Sul fusto furono incise delle iscrizioni geroglifiche copiate da quelle visibili sull'obelisco di Piazza del Popolo.

L'obelisco di Piazza Navona fu realizzato con granito di Assuan su ordine di Domiziano, per commemorare la sua scesa al trono nell'81 d.C., ed era destinato al cortile dell'Iseo-Serapeo campense. Massenzio lo trasferì poi nel suo circo. La sua erezione in Piazza Navona ad opera del Bernini, sopra la Fontana dei Quattro Fiumi, si deve all'iniziativa di papa Innocenzo X.

L'obelisco del Pincio fu fatto erigere da Adriano, in memoria del favorito Antinoo.






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