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Storia del pensiero scientifico

geografia



Storia del pensiero scientifico

Lo studio sul moto dei corpi celesti, sui legami che esistono tra i pianeti e le stelle o tra due "enti" qualunque nello spazio ha sempre interessato gli uomini sin dalla loro "comparsa" (anche se non si può propriamente definire "comparsa") sulla Terra.

Sappiamo che già i Babilonesi avevano una buona conoscenza dei cicli planetari, ma i loro studi erano comunque legati alla religione. Poi seguirono gli Egiziani, anch'essi sottomessi ad una forma di venerazione. Per riuscire a trovare concezioni cosmologiche che non dipendono da alcun tipo di idolatria dobbiamo rifarci ai presocratici, tra i quali ricordiamo Talete, Anassimandro, Anassimene, Democrito ecc., che diedero una loro risposta di carattere fisico (anche se si tratta ancora di una fisica agli albori) nei vari trattati Peri jusewV(Perì Phiseos) «Sulla natura»; i loro discorsi, anche se contengono ancora caratteri metafisici, sono il primo stadio dell'evoluzione del pensiero scientifico nei secoli avvenire.

Il periodo successivo fu dominato dal modo di pensare di Socrate e Platone, che però non toccarono mai l'argomento nei loro dialoghi..

Dall'eredità di questi grandi della filosofia greca nasce Aristotele la cui "fisica" influenzerà tutti gli studi da lì a più di mille anni dopo.



Talvolta, quando si parla di Aristotele, ci si riferisce a lui come padre della fisica. In termini moderni la fisica è la scienza delle regole di base, dei principi e degli "elementi" della natura. La concezione di natura che Aristotele proponeva nel suo Peri jusewV è molto differente da quella che intendiamo oggi. I suoi libri «Sulla natura» possono essere concepiti più come manuale di filosofia che come guide allo studio delle scienze naturali.

Combattuto tra l'idealismo e il materialismo Aristotele rifiutò completamente la concezione platonica di idea (eidoV) e propose quattro tipi di cause dell'esistenza: causa materiale, causa formale, causa efficiente e causa finale. La materia per Aristotele è la "prima parte" di un oggetto. L'oggetto è sinolo (unione) tra materia e forma, che è l'essenza stessa dell'esistenza. La materia è l'oggetto in potenza ed è realizzata dopo l'intervento della forma.

L'evoluzione nella natura è data dalla continua trasformazione della materia in cui il suo potenziale diventa realtà.

La dinamica di Aristotele si reggeva su un unico asserto: "I corpi che si trovano in un luogo che non è il loro naturale tendono a muoversi ". Così la pietra lasciata cadere torna sulla terra, nella sua posizione naturale.

Aristotele rifiutava anche il concetto di vuoto assoluto, cioè completa assenza di materia. L'universo aristotelico era di tipo geocentrico: la Terra, appunto, al centro dell'universo circondata da 9 sfere celesti perfette che erano le orbite dei pianeti e il tutto si muoveva di moto armonico. La causa di questo moto era l'atto puro o NohsiV (Noesis) (spirito universale), ma qui entriamo nel campo metafisico che non ci riguarda.

Tutto il pensiero scientifico, dalle origini ad oggi, può essere diviso in quattro grandi momenti (ricordo che comunque è una pura costruzione storiografica): una prima fase di tipo prevalentemente metafisico, che va dai primi passi nel pensiero scientifico umano a Platone, una seconda epoca dominata dalla figura di Aristotele, un terzo periodo che comincia timidamente grazie agli umanisti (tra cui non si possono non nominare Leonardo e Galileo) e tocca il suo apice con Newton, Leibniz, Cartesio ecc., e perciò con l'evoluzione della fisica e della matematica classica, il quarto periodo che parte dalla metà del XIX secolo circa sino ai giorni nostri, in cui geometria, fisica e matematica non sono più così separate come in precedenza (anzi v 616d39g edremo come le prime due siano strettamente legate tra loro). Anni in cui vivono personaggi quali Einstein, Maxwell, Clerk, Faraday per la fisica, e per la geometria, forse un po' meno conosciuti ma ugualmente importanti, Riemann, Lobachevski, Mach, Poincarè, Christoffel, e l'italiano Levi - Cività.

Per quanto riguarda la fisica queste quattro età potrebbero essere definite in ordine: metafisica, aristotelica, meccanicistica e relativistica. Delle prime due ho già parlato, ora passo a trattare gli argomenti inerenti le ultime, ma non sicuramente per importanza, due concezioni del mondo.

Aristotele, come già detto, dominò il suo periodo e le altre figure che possiamo ricordare sono Aristarco da Samo (che per primo propose un sistema eliocentrico), Tommaso d'Aquino, che con la Scolastica ripropose il pensiero di Aristotele in chiave religiosa e Tolomeo che modificò adattandolo ad alcune osservazioni che lo contraddicevano, il sistema cosmologico dello Stagirita.

Le prime figure della nuova epoca in campo scientifico sono quelle di Niccolò Cusano e Giordano Bruno che svilupparono filosoficamente le idee di Copernico criticando le teorie di Aristotele e Tolomeo, rifiutando l'idea di un universo finito e l'esistenza di un centro fisso nell'universo stesso.

Niccolò Copernico nel suo «De revolutionibus orbium coelestium» cambiò completamente il modo di concepire lo spazio e diede il via ai primi concetti di moto relativo.

Egli dimostrò che la teoria aristotelica non era esatta, tramite un'analogia: sembra ai marinai di una nave appena salpata che tutto attorno alla nave si muova e tutto vicino a loro, stia fermo. Ovviamente Copernico continuò dicendo che lo stesso succede sulla Terra e cioè che a noi sembra di stare fermi mentre l'universo ci ruota attorno.

Tutto ciò portò un altro scienziato, Galileo Galilei, a scrivere un trattato «Sopra i due massimi sistemi del mondo: tolemaico e copernicano» in cui scrisse come il sistema copernicano fosse il più adatto a descrivere l'universo.

Galileo formulò anche quello che viene chiamato principio galileiano della relatività: nessuna prova meccanica dimostrerà che un sistema è fermo o è in moto uniforme lungo una linea retta. Ogni movimento all'interno di questi due sistemi di riferimento è identico.

I concetti di Isaac Newton risentirono notevolmente dei concetti galileiani. L'affermazione che non esiste il vuoto in Natura di Aristotele venne dimostrata come falsa proprio in quegli anni. Lo spazio di Newton era tridimensionale, continuo, statico, infinito, uniforme e isotropo (cioè uguale in tutte le direzioni), e il tempo era assoluto e indipendente. La successione degli eventi non modificava lo scorrere del tempo. Perciò il tempo era unidimensionale, continuo, omogeneo ed infinito. Galileo non aveva avuto i mezzi matematici di cui invece si avvalse Newton. Insieme a Leibniz sviluppò il calcolo infinitesimale, strumento utilissimo per i suoi studi di carattere fisico che lo portarono a formulare le tre leggi della dinamica classica: la legge di inerzia, la legge del moto e la legge di azione e reazione. La forza F nella seconda legge è dovuta ad un'interazione fra due corpi, per esempio la forza gravitazionale è una forza di questo tipo.

Consideriamo ora un sistema di riferimento inerziale. Si parla di sistema di riferimento inerziale e galileiano quando il movimento libero dei corpi, cioè il moto dei corpi non sottomessi ad azioni di forze esterne, si effettua con velocità costante. Se due sistemi di riferimento sono animati di moto rettilineo uniforme uno rispetto all'altro e uno dei due è un sistema inerziale, è evidente che anche l'altro sarà dello stesso tipo. Tutti le leggi della natura in un sistema di riferimento inerziale sono identiche per qualunque altro sistema inerziale.

Vogliamo provare ora che la seconda legge della dinamica newtoniana segue questa affermazione.

La trasformazione galileiana da un sistema di coordinate S ad un altro S' è:

La legge di Newton nel sistema S si esprime con ( usando la notazione differenziale; m = massa, a = accelerazione ). Secondo la meccanica newtoniana la F = F' e la m = m' perché sono quantità assolute. L'espressione della forza nel sistema di riferimento S1 è uguale a () perciò la seconda legge di Newton è un invariante rispetto a trasformazioni di tipo galileiano.

Newton riuscì anche a dare una quantizzazione matematica alla forza gravitazionale osservando il moto della Luna rispetto alla Terra e grazie soprattutto alle 3 leggi sul moto dei pianeti nello spazio di Johannes Kepler. Le tre leggi di Keplero dicevano che:

I pianeti si muovono lungo orbite ellittiche di cui il sole è uno dei fuochi.

Le aree spazzate dai raggi vettori sono proporzionali ai tempi impiegati per percorrerle.

I quadrati dei tempi di rivoluzione dei pianeti sono proporzionali ai cubi dei semiassi maggiori delle loro orbite.

Furono le prime due leggi a indurre Newton alla formulazione della legge di gravitazione universale:

In cui F è la forza agente su due masse m1 e m2 separate da una distanza r; G è la costante di gravitazione universale o costante di Cavendish, dallo scienziato che grazie ad un brillante esperimento ne trovò il valore numerico (G = 6,67·10 -11 ).

La scoperta della forza gravitazionale portò ad una conseguenza fondamentale riguardo il concetto di massa.

La massa può essere determinata misurando la forza con cui un corpo è attratto da un altro corpo. Il valore ottenuto ci dà la capacità del 1° corpo di essere attratto dal 2°. Questa verrà chiamata massa gravitazionale (mgr). Un'altra via per determinare la massa di un corpo è applicare la 2a legge della dinamica newtoniana, osservando la resistenza di un corpo ad una forza esterna; questo tipo di massa la chiameremo massa inerziale (min). Galileo provò che l'accelerazione di un corpo in caduta libera (nel vuoto) è costante e non dipende dalla sua massa. Possiamo arrivare allo stesso risultato ponendo min = mgr e perciò min·a = mgr·g. La dimostrazione dell'equivalenza tra le due masse è una conseguenza degli esperimenti di Galileo e Newton (con i pendoli, le oscillazioni non dipendono dalla massa del pendolo). Comunque il significato fisico delle due masse è profondamente diverso: la prima (mgr) rappresenta la carica gravitazionale di un corpo, mentre la seconda la sua resistenza ad una forza esterna tendente a modificarne il suo stato di quiete o moto rettilineo uniforme. Alle stesse conclusioni ci si potrà arrivare applicando il principio di equivalenza di Einstein.

A questo punto prima di passare alla trattazione dell'evoluzione della fisica nel 1800 conviene prima parlare dell'evoluzione che la geometria (che come ho già detto avrà un legame sempre più solido con la disciplina della fisica) ha avuto nel corso di più di 2000 anni.


La geometria: da Euclide a Riemann

Un primo tentativo organico di creazione di una geometria del mondo fu proposto da Euclide nei suoi 13 monumentali volumi conosciuti con il nome di Elementi. Essenzialmente tutta la geometria euclidea si basa su 5 assiomi (postulati considerati senza prove e ovvi).

Gli assiomi di Euclide erano:

Dati due punti esiste un intervallo che li unisce.

Un intervallo può essere indefinitamente prolungato.

Un cerchio può essere costruito quando sono dati il suo centro e un punto su di esso.

Tutti gli angoli retti sono uguali.

e poi il quinto:

Se una linea retta che interseca due linee rette crea due angoli interni nello stesso fronte che misurano meno dei due angoli retti, le due linee rette, se prolungate indefinitamente, si incontrano dalla parte in cui gli angoli misurano meno di due angoli retti.

A una prima lettura appare ovvio di come il quinto assioma differisca in chiarezza dai primi quattro. Qualcuno crede che lo stesso Euclide abbia esitato nell'includerlo nella lista dei suoi assiomi. La geometria basata sui primi quattro assiomi viene definita geometria assoluta, mentre i postulati dimostrati con l'aiuto del quinto assioma entrano a far parte entrano a far parte della geometria euclidea propria.

Euclide può aver scelto di separare in questo modo la sua geometria proprio a causa dei tentativi senza successo di provare il quinto postulato.

Tentativi e prove sono stati suggeriti lungo 2000 anni, ma non è riusciti mai a darne di convincenti. La geometria si trovava perciò con un "punto nero" al suo interno di pura verità che come lo definì Farkas Bolyai in una lettera al figlio Janos Bolyai che aveva cominciato a lavorare su questo problema, era una missione da Ercole riuscire a risolvere.

La soluzione a questo problema giunse nella seconda metà del XIX secolo grazie alle menti di Nikolai Lobachevski (1792-1856), Janos Bolyai (1802-1860) e Karl Gauss (1777-1855).

Il problema fu risolto contemporaneamente dai tre matematici in un brevissimo arco di tempo senza che nessuno dei tre sapesse del lavoro degli altri.

Lobachevski presentò il suo lavoro "Sui fondamenti della Geometria" in una sessione del congresso scientifico nell'Università di Kazan il 23 febbraio del 1826.

Bolyai pubblicò i suoi studi nel suo Appendice nel 1832. Dai suoi appunti sappiamo che Gauss giunse alle sue conclusioni negli anni '20.

Ma vediamo ora di ritornare all'essenza della scoperta. I matematici, nonostante le differenze di metodo, volevano investigare su che cosa sarebbe accaduto se avessero abbandonato il quinto postulato e assunto come vero il contrario, cioè, preso un punto C esterno ad una linea retta AB possono essere tracciate non una ma due e conseguentemente infinite linee parallele ad AB. Questa nuova geometria ha importanti proprietà quali: la somma degli angoli interni di un triangolo è minore di 180°, non esistono figure simili e le caratteristiche geometriche del sistema dipendono dalla sua grandezza in rapporto ad un parametro (chiamato costante spaziale).

Questa geometria perciò per spazi piccoli era praticamente euclidea, ma per spazi più grandi erano due teorie molto differenti. Lobachevski chiamò la sua geometria "immaginaria" (o "pangeometria").

Tuttavia Lobachevski e Gauss non diedero mai prove logiche della consistenza delle loro teorie, ma comunque cercarono di applicarle alla fisica calcolando ad esempio la somma degli angoli interni del triangolo formato da tre montagne o della parallasse di una stella.

Le prove dell'effettiva possibilità di una geometria non-euclidea furono portate da Eugenio Beltrami e Felix Klein, due matematici, nel 1870. L'idea fondamentale era di generalizzare questa geometria, inizialmente costruita per un piano, in una geometria in una ipersuperficie tridimensionale con una curvatura negativa costante (un iperboloide tridimensionale), nell'ambito della geometria euclidea quadridimensionale la cui esistenza era già stata provata. Era solo il caso di cambiare la nozione di rette (le linee più corte nello spazio euclideo) in quella di geodetiche (curve estreme) su un ipersuperficie.


Poiché è impossibile rappresentare un mondo tridimensionale trasformato iperbolicamente mi riferirò a linee, chiamate iperboli, su un iperboloide bidimensionale.

In un punto C esterno all'iperbole AB passano infinite iperboli che non intersecano AB e abbiamo anche che la somma degli angoli a+b+g<180°. Per questa ragione ci si riferisce ad una geometria del genere come a geometria-iperbolica. In questa geometria, la costante-spaziale acquisisce il senso del raggio di curvatura dell'iperboloide tridimensionale. Ora è facile comprendere che le proprietà geometriche delle figure dipendono dalla loro dimensione.

Un altro passo nello sviluppo della geometria Bernhard Riemann (1826-1866) un matematico tedesco nel 1854. Il contributo di Riemann allo sviluppo delle nostre idee sulla relazione tra geometria e fisica è diviso in due parti. Prima di tutto, Riemann creò una geometria sferica (o ellittica) che era esattamente il contrario di quella di Lobachevski, ciò a dimostrare la possibilità di una geometria finita. In secondo luogo ebbe il coraggio di costruire geometrie molto più generali di quella euclidea o di quelle esili non-euclidee.

Il primo punto ha bisogno di una spiegazione. La letteratura scientifica si riferisce alla "geometria Riemanniana" quando parla di una seconda geometria non-euclidea che corrisponde ad uno spazio con curvatura positiva e costante e corrisponde alla geometria in una ipersfera tridimensionale.


La proprietà fondamentale è che il volume è finito e perciò un punto che si muove sempre nella stessa direzione può ritornare al punto di partenza. Le geodetiche qui sono archi di grandi cerchi. Dall'illustrazione bidimensionale dell'ipersfera è semplice comprendere come il quinto assioma di parallelismo non è assolutamente valido perché ogni arco di grande cerchio passante per C (che non giace sulla geodetica AB) necessariamente intersecherà AB e persino in due punti. La somma degli angoli interni è sempre più di 180°. Einstein fu entusiasta delle conclusioni di Riemann che ipotizzò che le relazioni geometriche tra due corpi potevano dipendere da cause fisiche, ad esempio da forze, cioè fisica e geometria potevano essere combinate. Il tutto sfociò nella teoria generale di relatività che combinava la geometria e la teoria gravitazionale.

William Clifford nel suo "Il senso comune delle Scienze Esatte" (The common sense of Exact Sciences) anticipò le basi della teoria della relatività, ipotizzando tre tipi di curvatura nello spazio di cui il primo è proprio quello in cui rientrano le leggi di gravitazione universale newtoniane. Tutte e tre le curvature furono poi riscontrate nella teoria della relatività generale. Ernst Mach, un fisico austriaco, giocò un ruolo importante nella creazione della teoria di Einstein. Lo stesso Einstein mentre lavorava alle basi della sua relatività generale era convinto di realizzare le idee di Mach. Le fondamenta matematiche per la teoria della relatività speciale di Einstein furono date dagli studi degli italiani Ricci-Cubastro e Levi-Cività e da Sophus Lie e Elwin Christoffel che introdussero l'algebra tensoriale adatta a descrivere spazi curvi. Mancavano solo due elementi per la costruzione della teoria della relatività generale. Primo, l'unificazione dello spazio e del tempo. Secondo, l'introduzione della gravitazione nella teoria della relatività speciale, già tentata da Henrì Poincarè.


La relatività speciale

Il passo dell'unificazione dello spazio e del tempo fu preceduto da una catena di idee che partirono dagli studi sul campo magnetico ed elettrico di James Clerk Maxwell. Fino a quel momento tutte le leggi della fisica erano invarianti rispetto ad una trasformazione galileiana (del tipo di quella esposta a pagina 3). Le equazioni sul campo elettromagnetico di Maxwell invece cambiavano la loro forma in questo tipo di trasformazioni. Alcuni esperimenti furono condotti per accertare il moto della terra rispetto all'etere (considerato come una sostanza capace di trasmettere le forze gravitazionali, elettromagnetiche ecc.). Albert Michelson riuscì a dimostrare che tutti gli asserti riguardanti il moto dell'etere erano falsi. Man mano la teoria della misteriosa sostanza andava sgretolandosi sotto il peso delle sue stesse forzate supposizioni.

Un grande passo verso le odierne ipotesi fu compiuto da Hendrik Antoon Lorentz. Nel 1904, Lorentz, sviluppò una serie di trasformazioni che rendevano le equazioni del campo di Maxwell invarianti. Invarianza suggerita da Poincarè negli anni successivi.

Einstein esaminò il concetto di «simultaneità» e giunse alla conclusione che la nozione «eventi simultanei in luoghi diversi» non aveva nessun senso in mancanza di ulteriori precisazioni. Insieme a ciò arrivò alla formulazione della teoria della relatività ristretta (o speciale) basandosi su altri due principi: 1) è impossibile rivelare il moto traslatorio uniforme di un sistema mediante esperienze di qualsiasi natura eseguita nell'interno del sistema; 2) la velocità C di un raggio di luce è una costante che non dipende dalla velocità relativa della sua sorgente e dell'osservatore.

La concezione di «simultaneità» di Einstein implica il concetto di intervallo tra due eventi. Per parlare di intervallo però, bisogna prima introdurre il concetto di distanza in uno spazio VN (dove N rappresenta il numero delle dimensioni). Se la distanza in uno spazio qualunque tra due punti vicini con coordinate x1 e x1+ dx1 è data dalla forma differenziale

  [ 1 ]

dove gij sono funzioni di xi soggette solo alla restrizione ; uno spazio del genere viene definito spazio di Riemann.

L'equazione [ 1 ] è chiamata metrica ed è il quadrato dell'elemento lineare ds e gij è detto tensore fondamentale dello spazio di Riemann ed è un tensore covariante simmetrico di secondo ordine. (Vedi Appendice «Calcolo tensoriale»). Nello spazio euclideo la materia vale:



La metrica dello spazio quadridimensionale della teoria della relatività ristretta fu definita da Hermann Minkowski.

Lo spazio-tempo di Minkowski (o spazio-tempo piatto) dove il quadrato della distanza tra due eventi (o metrica) è definito come segue:

La quantità ds è l'intervallo tra due eventi . Il tensore metrico dello spazio di Minkowski è dato dalla matrice quadrata:

L'intervallo è un invariante per ogni trasformazione di Lorentz. Ora possiamo avere varie possibilità cioè ds2 = 0, ds2<0, o ds2>0. Nel caso di ds2=0 significa che c2dt2 e dxi (abbreviando lo spostamento spaziale) sono uguali e perciò significa che un corpo si sta muovendo con la velocità della luce o che i due avvenimenti possono essere messi in relazione da un qualsiasi impulso elettromagnetico (ad es. la luce). Nel caso di ds2>0 abbiamo che: ds2 = c2t2 - (dxi)2 >0 e nel caso particolare di dxi=0, cioè gli avvenimenti avvengono nello stesso luogo, c2t2>0 e quindi l'intervallo è di tipo temporale ed è di genere reale.

Se l'intervallo vale ds2<0 e nel caso particolare t = 0 (c2t2 = 0, avvenimenti «simultanei») avremo ds2= - (dxi)2<0, quando cioè l'intervallo tra due avvenimenti è immaginario, è detto di genere spaziale (vedi Appendice «Futuro e passato assoluti»).

Ci proponiamo ora di trovare le formule di trasformazione da un sistema di riferimento ad un altro, il che significa esprimere le coordinate x', y', z', t' di un evento in un sistema K' in funzione delle coordinate x, y, z, t dello stesso avvenimento nel sistema K.

In Meccanica classica  il problema si risolve facilmente. Le trasformazioni sono quelle, già definite, di tipo galileiano:

per uno spostamento lungo l'asse x. Si può facilmente provare, però, che queste trasformazioni non lasciano invariante l'intervallo. Il tipo di trasformazione cercato è quello che lascia invariate le distanze nello spazio quadridimensionale, cioè una traslazione o una rotazione. Le traslazioni, non presentano caratteri interessanti, essendo solo un cambiamento dell'origine delle coordinate e del tempo iniziale. Quindi la trasformazione cercata è matematicamente una rotazione nello spazio quadridimensionale.

Le rotazioni nello spazio x, y, z, t avvengono nei sei piani xy, xz, yz, tx, ty, tz. Le prime tre sono semplici rotazioni nello spazio euclideo. Consideriamo la rotazione del piano tx (così y e z non cambiano), questa trasformazione può essere espressa in:

[2]

dove y è l'angolo di rotazione e sono espresse in funzioni iperboliche che traducono la differenza tra i due tipi di geometrie (Euclidea, non-euclidea).

Consideriamo il movimento dell'origine  delle coordinate K' rispetto a K per trovare l'angolo y che dipende da V perciò x=0:

dividendo membro a membro:

Ora, essendo la velocità relativa di K' in rapporto a K:




Dunque

  

sostituendo nella [2] otteniamo

che sono le formule della trasformazione di Lorentz. Si può passare direttamente alla meccanica classica facendo tendere . L'angolo y è un angolo immaginario e rappresenta la rotazione nello spazio quadridimensionale (vedi Appendice «Le contrazioni di Lorentz»).

Possiamo ora scrivere in forma relativistica le equazione di Newton sul moto. L'equazione meccanica del moto può essere presentata in forma tensoriale come:

  [3]

in cui è il vettore della quantità di moto e sono le componenti del quadrivettore velocità.

L'equazione può essere scritta in forma spaziale:

dove

  

e in una forma temporale:

[4]


dove

In forma vettoriale la parte spaziale può essere scritta

che è la generalizzazione delle leggi del moto di Newton. L'equazione temporale [4] rappresenta la variazione dell'energia cinetica del corpo. Riprendendo il vettore quantità di moto , la sua quarta componente è uguale alla massa m della particella mobile.

Essendo ricavato dalla metrica dello spazio di Minkowski, otteniamo:

Con m0 si indica la massa a v = 0 ed è chiamata massa di riposo o di quiete della particella. La massa m che aumenta chiaramente con la velocità è chiamata massa relativistica della particella.

Dimostrazioni pratiche di questa equazione se ne possono dare a migliaia ma mi limiterò a proporne un paio. Primo, si consideri una particella che acquista un'elevata velocità. Se questa particella viene iniettato in un campo magnetico si osserva che il raggio dell'orbita è maggiore di quello calcolato mediante la legge della dinamica newtoniana () ponendo la massa uguale a m0. Il secondo esempio riguarda l'urto di due particelle identiche, per esempio due protoni o due elettroni. Dopo l'urto queste due particelle, una in quiete e l'altra in moto a velocità relativamente piccola, si muoverebbero secondo due direzioni perpendicolari; ma ciò non succede se la particella in moto acquista velocità (e perciò energia, e perciò massa) vicina a quella della luce: l'angolo fra i vettori velocità delle due particelle è minore di 90° in accordo con le previsioni relativistiche.

Il campo gravitazionale e la teoria generale della relatività


Fin dall'antichità si pensava che le forze dovessero essere solo forze di contatto, cioè forze che agivano solo se si aveva il contatto tra due o più corpi in gioco. Quando Newton invece scoprì che tra Sole e Terra, tra Luna e Terra esisteva una «forza» gravitazionale le antiche teorie scricchiolarono.

Si ipotizzò, dunque, che la forza gravitazionale non fosse un'«azione a distanza» ma che agisse tramite l'etere. Newton non aveva mai trovato una spiegazione alla «contraddizione» insista della sua teoria. Nei suoi Principia, scrisse: «Hypotheses non fingo». L'ipotesi dell'etere spiegava, però, solo ciò per cui era stata inventata, e non serviva ad altro. Si pensava che fosse una sorta di gelatina che trasmetteva le forze a distanza: se veniva toccata in un punto propagava la deformazione che si trasmetteva agli altri corpi. Talvolta si indicava questo mezzo con il termine etere luminifero, ritenendo che vi si propagasse la luce. Ma dopo l'avvento di nuove concezioni all'inizio del ventesimo secolo e della teoria della relatività generale fu finalmente tolta di mezzo una simile ipotesi. Il tutto fu sostituito dalla teoria dei campi, nata per semplificare il ragionamento e poi evolutasi sino a spiegare innumerevoli fatti. I campo è essenzialmente una regione dello spazio in cui la grandezza che lo individua varia costantemente e rappresenta una forza in particolare.

Analizzando la formula che esprime la forza gravitazionale di Newton:

possiamo notare che m2 (considerandola come massa più piccola) si trova in una particolare condizione, questa condizione non è altro che il campo gravitazionale di m1. Se dividiamo entrambi i membri per m2 otteniamo:

[5]

in cui il secondo membro dipende solo dalla distanza da m1 di un qualsiasi corpo. Ponendo m2=1 cioè pensando alla forza agente per unità di massa e esprimendo la [5] in forma vettoriale:

in cui g non è altro che il vettore campo gravitazionale sempre perpendicolare al centro del corpo di massa m1.

Il campo gravitazionale non subisce interruzioni di sorta cioè un corpo non può «schermare» il campo di un altro corpo vicino ad esso.


Per rappresentare graficamente il campo gravitazionale, come un qualsiasi altro campo, si ricorre al concetto di linee di forza. Osservando la figura che descrive il campo gravitazionale di un corpo isolato nello spazio, le linee di forza rappresentano la direzione e il modulo della forza (modulo dato dalla densità delle linee in quel punto).

Ora consideriamo l'energia potenziale del campo gravitazionale:

Per ottenere la grandezza caratteristica della massa M dividiamo per m. Questa grandezza viene chiamata potenziale gravitazionale ed è denotata con il simbolo Fgrav

Ovviamente come anche per l'energia potenziale. Questo valore zero serve da base per calcolare le variazioni di queste due grandezze, la sola cosa che ha significato fisico. La grandezza Fgrav è uno scalare ed ha un valore definito per ogni punto del campo perciò viene definito campo scalare del potenziale gravitazionale, mentre g rappresenta il campo vettoriale della forza gravitazionale.

Il potenziale gravitazionale dovuto ad un oggetto sferico dipende unicamente dalla distanza radiale da quell'oggetto. Perciò esiste uno strato sferico in cui la distanza è uguale per tutti i punti; tale strato è una superficie equipotenziale. Siccome le linee di forza di una superficie sferica sono radiali saranno tutte perpendicolari alle superfici equipotenziale. Ciò è la base di un risultato più generale: le linee di forza le superfici equipotenziali pere qualsiasi massa-sorgente o gruppo di masse-sorgenti sono sempre mutuamente perpendicolari.

A dimostrazione di questa asserzione si può portare questa prova: il lavoro è nullo quando la direzione dello spostamento e la forza che agisce su di esso sono perpendicolari. Lavoro nullo implica anche variazione di energia potenziale nulla e così si dimostra che una superficie equipotenziale ha il medesimo Fgrav in ogni suo punto.


Per quanto riguarda due masse identiche il loro campo sarà rappresentato graficamente in figura e il loro potenziale gravitazionale sarà:

quindi tutti gli insiemi di r1 e r2 (distanze dell'oggetto rispettive alla prima e seconda massa) che danno lo stesso Fgrav definiscono la superficie equipotenziale.

Tutto ciò in meccanica classica. Ma dopo la formulazione della teoria della relatività si sentiva il bisogno di spiegare il fenomeno della gravitazione, non compreso in quella ristretta, tramite le conclusioni a cui era arrivata questa. Vari tentativi furono compiuti, ma lo stesso Einstein riuscì a risolvere la questione.

Un importante passo avanti fu compiuto nella formulazione del principio di equivalenza che dice: «in ogni punto dello spazio-tempo in un campo gravitazionale è possibile scegliere un "sistema inerziale di coordinate locale" così che, all'interno di una regione sufficientemente piccola del punto in questione, le leggi meccaniche della natura prendono la stessa forma come in un sistema Cartesiano di coordinate non accelerato e in assenza di gravitazione».

Per "sistema non accelerato Cartesiano di coordinate" si intende la forma in cui sono espresse le leggi della teoria della relatività speciale.

Einstein introdusse anche il principio di covarianza generale: dobbiamo prima scrivere le equazioni come si presentano nella relatività ristretta, rimpiazzare il tensore hij con il tensore metrico gij e esprimere tutte le derivate come derivate covarianti. Le equazioni risultanti saranno generalmente covarianti (vedi Appendice «Calcolo tensoriale») e vere in assenza di gravitazione, e perciò vere (secondo il principio di equivalenza) in un campo gravitazionale arbitrario, purché il sistema sia abbastanza piccolo in confronto alla scala del campo.

Questo tolse alle trasformazioni di Lorentz il ruolo privilegiato che avevano e lo spazio di Minkowski fu rimpiazzato dallo spazio Riemanniano:

Perciò possiamo riformulare il principio di equivalenza così: il tensore fondamentale gab può esser scelto in modo da rendere conto della presenza del campo gravitazionale.



In un sistema di riferimento inerziale i valori di gab sono dati dalla metrica dello spazio di Minkowski:

( se )

In un sistema di riferimento non-inerziale (che si può identificare con il campo gravitazionale) i valori del campo sono determinati dal variare di gab . In poche parole, il campo gravitazionale non è altra cosa che in cambiamento della metrica dello spazio-tempo, ciò significa che le proprietà geometriche dello spazio-tempo che sono determinate dai fenomeni fisici non sono caratteristiche invariabili dello spazio e del tempo. L'affermazione precedente che il campo può essere eguagliato ad un sistema di riferimento non-inerziale va analizzata a fondo. A questo tipo di campo fa contro il campo gravitazionale «reale» che a distanza infinita tende sempre a zero. I «campi» invece, che sono equivalenti ai riferimenti non-inerziali sono uguali in tutto lo spazio-tempo, ivi compreso, l'infinito. Quest'ultimo tipo di campo svanisce quando usiamo sistemi di riferimento galileiani mentre il campo «reale» non potrà mai essere eliminato per nessuna scelta di sistema di coordinate.

Uno spazio-tempo in presenza del campo gravitazionale (che d'ora in poi sarà solo quello «reale») non potrà perciò in altri termini essere ricondotto alla forma galileiana (spazio piatto, euclideo) in tutto lo spazio. Uno spazio-tempo del genere si dice curvo, contrariamente a quello piano in cui è possibile ridurre le gab a delle costanti.

Spazi di questo genere potrebbero essere quelli descritti nelle geometrie non-euclidee di Riemann o di Lobachevski, presentate al capitolo 2. Le soluzioni per quanto riguarda la metrica, alle equazioni del campo gravitazionale di Einstein ne sono state date numerose, ma le più interessanti sono quelle di una metrica a simmetria sferica, quella, derivata, di Schwarzschild e quella proposta dallo stesso Einstein. Per riuscire ad analizzare a fondo tutte e tre le metriche occorrerebbero strumenti matematici molto più avanzati di quelli che si hanno intenzione di utilizzare qui e perciò mi limiterò a indicarne brevemente le loro caratteristiche.

La prima è l'evoluzione della metrica di Minkowski con la differenza fondamentale che gab non è costante e dipende dalla distanza dalla sorgente e che si usano coordinate polari sferiche.

La soluzione trovata da Karl Schwarzschild nel 1917 fu importante circa 50 anni più tardi negli studi condotti da Werner Israel e Roy Kerr sui buchi neri (black holes). In particolare gli studi di Israel sui buchi neri non rotanti perfettamente sferici erano descritti dalla metrica di Schwarzschild . In quegli anni Kerr trovò una sua soluzione alle equazioni di Einstein che descriveva i buchi neri rotanti. I buchi neri «di Kerr» ruotavano a velocità costante, e le loro dimensioni e forma dipendevano solo dalla loro massa e velocità di rotazione. Se la rotazione è zero, il buco nero diventa perfettamente sferico e la soluzione è identica a quella di Schwarzschild. L'universo di Einstein è una semplice derivazione della metrica a simmetria sferica con la variazione di alcuni parametri.

Per definire il moto di una particella nel campo gravitazionale bisogna ricorrere di nuovo al concetto di geodetica. La distanza tra due punti P0 e P1 in uno spazio con metrica è data dall'integrale minimo:

cioè

   [6]

in cui e è un fattore che rende la metrica positiva. La geodetica si ricava dalla [6] ed è data dalle equazioni:

[7]

in cui è il simbolo di Christoffel di 2° tipo ed è composto dalle derivate prime del tensore metrico gab

l'equazione [7] si assomiglia all'equazione del moto dei particelle nel campo elettromagnetico relativista. La curvatura dello spazio è data dal tensore di Riemann-Christoffel formato anch'esso da derivate del tensore fondamentale gab

E' importante ricordare che Einstein dedusse matematicamente tutta la sua teoria della relatività che solo più avanti otterrà prove con esperimenti fisici.

Einstein suggerì tre prove della relatività generale:

lo spostamento verso il rosso (red-shift) delle linee spettrali

la deflessione della luce da parte del sole

la precessione del perielio delle orbite dei pianeti interni.

Tutte e tre sono spiegate a partire dai principi relativistici.

Lo spostamento verso il rosso delle linee spettrali, noto anche come effetto Mössbauer, è stabilito dalla legge:

  [8]

che stabilisce appunto uno spostamento verso frequenze più basse della radiazione elettromagnetica in base alla differenza di potenziale tra la sorgente (j ) e l'osservatore (j ). Nella [8] n rappresenta la frequenza di emissione dello stesso elemento sulla Terra.

La seconda prova riguarda il fatto che la luce viene deviata se passa in un campo gravitazionale. Fatto osservato sperimentalmente grazie ad un'eclisse di Sole il 29 maggio del 1919 che fu seguita da due punti diversi del globo terrestre (a Sobral in Brasile e nel Golfo di Guinea, a Principe) e che diede risultati in sostanziale accordo con la predizione di Einstein di una deviazione di q

In base a questo principio se una stella si trovasse immediatamente dietro ad un'altra, la luce di quella lontana si incurverebbe in prossimità di quella più vicina risultando ingrandita. Così la stella vicina fungerebbe da lente gravitazionale. Dimostrazione di questo fatto fu data di recente dalla scoperta dei quasar doppi.

L'ultima dimostrazione della teoria della relatività generale fu quella che soppiantò definitivamente la teoria gravitazionale di Newton che aveva avuto il suo trionfo nel 1846 con la scoperta di Nettuno.

In quegli anni però un fisico, Leverrier, aveva scoperto uno strano avanzamento nel perielio di Mercurio, di circa 43" di arco per secolo. Un moto relativamente lento, ma che non era spiegabile con le leggi newtoniane. Si ipotizzò che allora ci fosse un altro pianeta con un'orbita vicinissima al Sole di nome Vulcano, ma ogni tentativo di ricerca fallì. La teoria gravitazionale di Einstein fornì la soluzione e quando i nuovi calcoli furono applicati a Mercurio si trovarono pienamente in accordo con le osservazioni.

Un altro aspetto del campo gravitazionale di cui è interessante almeno accennare è la sua propagazione. Secondo le teorie quantistiche, come esiste una «particella di scambio» per le interazioni elettromagnetiche, esiste una particella anche per la gravitazione: il gravitone, che si assocerebbe al fotone (interazione elettromagnetica). Ambedue a massa zero.

A questi due tipi di interazione si affiancano interazione forte e interazione debole (la scoperta della particella di scambio di quest'ultima ha valso il premio Nobel per Carlo Rubbia). Ci sono stati vari tentativi di unificazione (chiamate grandi teorie unificatrici, GTU, - GUT in inglese-) ricorrendo a ulteriori dimensioni dello spazio ma senza grandi successi. Con le odierne conoscenze possiamo descrivere l'universo con 12 particelle e quattro interazioni fondamentali.

Il campo magnetico

Già in antichità si conosceva il fatto che alcune pietre si attiravano tra loro o attraevano pezzetti di ferro. Queste pietre furono denominate magneti, da Magnesia, nell'Asia minore dove furono trovate per la prima volta. La proprietà fondamentale di questi magneti è il fatto che il polo nord viene attratto dal polo sud e i poli di nome uguale si respingono.


In prossimità della Terra un ago magnetico (una sbarra magnetica) libero di ruotare si orienterà in una direzione precisa. Cioè, vi è un campo magnetico dovuto alla massa della Terra (il campo magnetico della Terra varia nel tempo. Ci sono state varie inversioni di polarità circa ogni 5000 anni, lo sappiamo grazie ai dati archeologici di alcune rocce).

Le linee di forza del campo magnetico di una sbarra sono date dalla figura. L'ago magnetico ci indicherà solo la direzione del campo e non ci darà informazioni sull'intensità del campo.

Importante è notare che se spezziamo in due una sbarra magnetica non avremo due monopoli (poli magnetici separati) ma otterremo due magneti completi e separati. Se continuiamo a dividere sino al livello atomico, ogni singolo atomo si comporterà come un magnete completo. Continuando a scomporre, le proprietà magnetiche dell'elemento si perderebbero. Gli elementi in natura che si comportano come magneti sono il ferro, il nichel e il cobalto. Questi tre elementi si definiscono ferromagnetici.

Dagli inizi del XIX secolo grazie a Hans Christian Oersted, che notò che un filo magnetico percorso da corrente creava un campo magnetico, si stabilì il definitivo collegamento tra elettricità e magnetismo.

I successivi esperimenti di Andre-Marie Ampère, fisico e matematico francese, furono molto importanti per lo sviluppo delle teorie sull'elettromagnetismo.

Le linee del campo magnetico del filo erano cerchi coassiali al filo percorso da corrente e situati sul piano perpendicolare ad esso. Il vettore campo magnetico che lo caratterizzava venne indicato con il simbolo B.

Campi magnetici uniformi (importanti in alcuni esperimenti fisici) possono essere ottenuti piegando una sbarra magnetica in modo che le espansioni polari N e S siano vicine e parallele (magnete a «C»).

Per variare un campo magnetico uniforme del genere basta avvolgere un filo percorso da corrente attorno al magnete a «C». Ogni spira produce un campo magnetico che è maggiore al suo interno e che viene convogliato dal giogo magnetico nell'intervallo tra le due espansioni polari (traferro); variando la corrente nel filo si ottiene un elettromagnete che genera un campo magnetico uniforme variabile.

Ora potrebbe sorgere un dubbio: le linee magnetiche hanno un inizio e una fine? Abbiamo visto in precedenza come le linee di forza del campo magnetico attorno ad un filo precorso da corrente siano cerchi, e perciò senza inizio ne fine, e anche quelle di una sbarra o di un magnete a «C» non hanno inizio ne fine perché continuano all'interno delle sorgenti. Ciò equivale all'asserzione che non esistono monopoli magnetici.

Vediamo a questo punto di esprimere quantitativamente la forza che esercita un campo magnetico (B) su una carica di prova. Se la carica è stazionaria nel campo non è soggetta ad alcuna forza. Solo nel caso in cui la carica di prova sia in moto, su di essa si esercita una forza magnetica.

La forza magnetica (Fmagn) che agisce sulla carica è data da:

   (per v z B [9]

In un dato campo magnetico di intensità B, perciò, la forza magnetica agente su una particella dipende dalla sua carica e dalla sua velocità in rapporto a quella della luce (solo se il vettore velocità è perpendicolare al campo). L'unità di campo magnetico è denominata gauss, in onore di Karl Friedrich Gauss, matematico tedesco, già nominato per quanto riguarda le geometrie non-euclidee:

[B] = gauss

La forza magnetica è perpendicolare al piano su cui agiscono il vettore v e B con verso uscente in caso di carica positiva (il verso opposto in caso di carica negativa). La forza massima si ottiene quando v B come nella [9] in casi generali si modulo della forza è dato da:

Ora analizziamo il moto di particelle cariche in un campo magnetico.

Il caso più semplice e quello un cui v B

La direzione della forza magnetica è perpendicolare al vettore spostamento istantaneo cioè la forza non esegue alcun lavoro sulla particella. Sebbene la direzione del moto cambi costantemente la velocità scalare della particella (v) rimane invariata.

La forza magnetica produce un'accelerazione centripeta di modulo costante:

La particella si muove di orbita circolare. Il raggio dell'orbita è dato da:

uguagliando le due espressioni di ac e risolvendo rispetto a R otteniamo

Perciò il raggio dell'orbita descritta dalla particella è direttamente proporzionale alla quantità di moto (mv) della particella stesa e inversamente proporzionale all'intensità del campo magnetico.

Se la particella ha v non perpendicolare a B si muoverà secondo un'orbita elicoidale.

Se ad un certo punto aumentiamo l'intensità del campo magnetico la particella dovrà descrivere orbite più piccole e ad un certo punto (detto punto specchio) si rifletterà verso la zona in cui il campo è meno intenso. Senza entrare nei dettagli, vorrei far notare l'importanza di un tale fenomeno. Con tali dispositivi si possono intrappolare in una sorta di "bottiglie magnetiche" particelle ad alta energia che potrebbero servire a innescare reazioni di fusione nucleare importantissime del campo della ricerca energetica.

Anche la Terra ha un suo campo magnetico simile a quello di una sbarra. Nel 1958 furono scoperte quelle che vengono definite fasce di Van Allen (dallo scopritore) in cui particelle cariche vengono intrappolate in particolari zone dello spazio circostante la Terra dal suo campo magnetico.

Un altro fenomeno interessante è quello delle aurore boreali, anch'esse causate dal campo magnetico terrestre. La luce aurorale è generata da protoni solari che urtano contro ossigeno e azoto a circa 100 km di altitudine producendo una luce tanto forte da essere visibile. Le aurore sono perciò legate all'attività sulla superficie solare e quando avvengono notevoli perturbazioni solari, quali macchie o tempeste magnetiche solari si possono osservare aurore spettacolari.

Un'ultima notazione riguardo il campo magnetico, o più che altro quello elettromagnetico, è che un campo magnetico che varia nel tempo produce un campo elettrico, mentre un campo elettrico, anch'esso variante, ne produce uno magnetico. Il campo elettromagnetico fu descritto completamente da James Clerk Maxwell (dopo gli esperimenti condotti da Faraday) nelle già citate quattro equazioni che possono essere riassunte a parole nel modo seguente:

Legge di Coulomb; il campo elettrico di una carica puntiforme.

Le linee del campo magnetico sono continue e non hanno inizio o fine; non esistono monopoli magnetici

Un campo magnetico può essere prodotto sia da un flusso di corrente sia da un campo elettrico variabile.

Un campo magnetico variabile nel tempo produce un campo elettrico (induzione elettromagnetica)

Le leggi di Maxwell possono essere scritte in due modi differenti utilizzando i vari teoremi del calcolo integrale e del calcolo differenziale. Lo scopo di queste equazioni è notevole, comprendendo in pratica, in sole quattro formule, i principi fondamentali operativi di tutti i dispositivi elettromagnetici su vasta scala tra i quali i motori, i sincrotroni, la televisione e il radar a microonde.

Proprietà fondamentale delle leggi di Maxwell è che esse sono degli invarianti per una trasformazione di Lorentz, mentre non lo sono le leggi del moto di Newton.


Equazioni fondamentali dell'elettromagnetismo in forma integrale

(equazioni di Maxwell)


Equazione



Nome

Descrive

Teorema di Gauss per l'elettricità

Carica e campo elettrico

Teorema di Gauss per il magnetismo

Il campo magnetico

Teorema di Ampère (generalizzato da Maxwell)

Gli effetti magnetici di un campo elettrico variabile o di una corrente

Legge dell'induzione di Faraday

Gli effetti elettrici di un campo magnetico variabile


Equazioni di Maxwell in forma differenziale


Equazioni per il campo elettromagnetico costante

Divergenza per il campo elettrico

Divergenza per il campo magnetico

Rotore per il campo magnetico (sotto la condizione: )

Rotore per il campo elettrostatico (=0 essendo rotore di un gradiente: )


Equazioni generali di Maxwell nel vuoto

Divergenza per il campo elettrico (q = densità di carica)

Divergenza per il campo magnetico

Rotore per il campo magnetico (J = vettore densità di carica)

Rotore per il campo elettrico


Note: con U campo vettoriale

Appendice «Calcolo tensoriale»


Il concetto di tensore ha avuto la sua origine negli sviluppi della geometria differenziale da parte di Gauss, Riemann e Christoffel. La nascita del calcolo tensoriale, altrimenti noto col nome di calcolo differenziale assoluto, come un ramo sistematico della matematica è dovuta a Ricci-Cubastro e al suo allievo Levi-Cività. In collaborazione essi hanno pubblicato la prima memoria su questo soggetto: Methodes de calcul differential absolu e leurs applications.

Il calcolo tensoriale di dimostrò un ottimo strumento per la formulazione delle leggi fisiche da un qualunque tipo di sistema di riferimento.

Concetti base del calcolo differenziale assoluto sono tra: covarianza, controvarianza, invarianza.

Si parla di vettori covarianti se le N funzioni Ai sue componenti si trasformano da un sistema xi ad uno secondo l'equazione

Poiché segue immediatamente che sono le componenti di un vettore covariante. Tale vettore si chiama gradiente di f.

I vettori controvarianti sono quelli che si trasformano secondo la legge

In genere gli indici soprascritti indicano controvarianza mentre quelli sottoscritti covarianza.

Invarianti sono quelle funzioni che dopo una generica trasformazione di coordinate non cambiano (gli scalari). Un tipico invariante è la somma AiBi. Se moltiplichiamo due vettori controvarianti Bi e Cj otteniamo quantità Aij=BiCj che si trasformano in

Le funzioni Aij sono le componenti di un tensore controvariante di secondo ordine. Le N2 funzioni Aij sono le componenti di un tensore covariante di secondo ordine e la legge di trasformazione è

Inoltre le N2 funzioni la cui legge di trasformazione è

sono le componenti di un tensore misto del secondo ordine. Ns+p funzioni formano le componenti di un tensore misto (controvariante di s-esimo ordine e covariante di p-esimo ordine) di ordine s+p. Un tensore Aij non è necessariamente lo stesso di Aji. Nel caso in cui Aij=Aji il tensore Aij si definisce simmetrico. Se tutti gli indici possono essere scambiati il tensore è sicuramente simmetrico. Lo stesso accade con i tensori covarianti.

Appendice «Futuro e passato assoluti»


Se analizziamo il segno del quadrato dell'intervallo (ds2) tra due punti infinitesimalmente vicini possiamo avere tre possibilità:

ds2 > 0 - intervallo temporale (time-like)

ds2 = 0 - intervallo luminale (light-like or null)

ds2 < 0 - intervallo spaziale (space-like)

In ognuno dei tre intervalli possiamo distinguere le relazioni tra i due eventi in

ds2 > 0 - possibile relazione causa-effetto tra gli eventi

ds2 = 0 - eventi collegati da un raggio di luce

ds2 < 0 - eventi non collegati

Prendiamo un avvenimento O come origine delle coordinate spazio-temporali. La luce che si diffonde dall'evento verso l'esterno forma un cono tridimensionale nello spazio-tempo quadridimensionale. Questo cono viene definito «cono di luce» futuro dell'evento. Allo stesso modo disegniamo un altro cono dalla parte opposta chiamato cono di luce passato dell'evento.

Tutti gli eventi che si trovano nel futuro assoluto sono avvenuti a velocità minore di quella della luce a partire da O, mentre tutti gli avvenimenti che si vengono a trovare sulla superficie del cono futuro sono collegati da un raggio di luce. Gli eventi che avvengono al di fuori del cono di luce sono quelli del terzo tipo e perciò avvengono «altrove» (si potrebbero collegare a O solo attraverso segnali che viaggiano più velocemente della luce - superluminal signals -).

Appendice «Le contrazioni di Lorentz»


Consideriamo un regolo a riposo nel sistema di riferimento K posto parallelamente all'asse x. Sia la lunghezza del regolo in K. Ora, esprimiamo la lunghezza del regolo in un sistema K' in movimento rispetto a K.

Per le equazioni di trasformazione di Lorentz:

 

Per questo essendo possiamo scrivere

che chiameremo lunghezza propria del regolo. Designando con e essendo l la lunghezza nel sistema K' osserviamo che

e significa che il regolo è più lungo in un sistema a riposo e si contrae in un sistema che si muove a velocità v. La quantità si chiama in relatività contrazione di Lorentz. Così come le lunghezze, si contraggono i volumi e i tempi sempre secondo la velocità del corpo

e

Ciò spiega il famosissimo paradosso dei gemelli.



Bibliografia


L. Landau et E. Lifchitz, «Thèorie des champs», Editions Mir, 1970


AA. VV. ,  «Space, time, gravitation», Mir Publishers, 1987


S. Weinberg, «Gravitation and Cosmology: principles and application of the general theory of relativity», John Wiley & Sons


B. Spain, «Calcolo tensoriale», 1971


B. Marion, «La fisica e l'universo fisico», Zanichelli, 1975


I. Asimov, «Libro di fisica», Arnoldo Mondadori, 1986


S. Hawking, «Dal big bang ai buchi neri», Rizzoli, 1988






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