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La prima chitarra elettrica - Il Plettro, Le Scale, Gli Intervalli

musica



La prima chitarra elettrica


Come sceglierla, cosa guardare, come evitare di fare un cattivo affare.

Dopo aver fatto un po' di pratica sulla chitarra acustica o classica (abbiamo fatto un po' di pratica, vero?), se proprio il nostro strumento non amplificato ci ha stancati, possiamo cominciare a pensare a comprarci una chitarra elettrica.

Essendo la nostra prima chitarra elettrica, non è detto che vogliamo spendere un capitale: con questa premessa possiamo scegliere se comprarne una usata o una nuova ma poco 'prestigiosa'. Il mio consiglio è di comprarne una usata. Certo, acquistando una chitarra di seconda (o terza, o quarta...) mano dovremo stare bene attenti che non presenti problemi o difetti gravi, però ci basterà essere un po' svegli per portarci a casa a poco prezzo uno strumento di qualità eccellente, con cui sarà tutto più facile. Senza contare che una chitarra davvero di qualità può essere pressochè eterna. C 151j98b omprandone invece una nuova ma di marca ignota o quasi rischiamo, spendendo gli stessi soldi, di avere tra le mani uno strumento di qualità mediocre, che non ci darà una mano nell'apprendimento e che probabilmente dovremo cambiare quando saremo diventati bravi e sentiremo la necessità di 'qualcosa di più'.

Qualcuno si chiederà: "come può uno strumento aiutarci a suonare?". Può eccome: una buona tastiera, dei buoni tasti, dei buoni pickup, la qualità dei legni e dei materiali...sono tutti elementi che ci aiuteranno sia a migliorare la nostra tecnica, sia a ottenere buoni risultati. Spesso chitarre di cattiva qualità richiedono una maggiore pressione sulle corde, presentano una tastiera più lenta e offrono suoni meno apprezzabili.



A questo punto però bisogna chiarire che non tutte le chitarre sconosciute sono cattive chitarre e non tutte le chitarre di buona marca sono buone chitarre: l'unico modo per individuare una chitarra qualitativamente buona è provarla. Proprio per questo ci sarà d'aiuto aver suonato un po' sulla chitarra acustica: sapremo capire subito se la chitarra che stiamo provando ha un carattere diverso da quello che ci aspettiamo.

Ora ci resta da capire solo cosa deve avere la nostra chitarra. Tralasciando tutto ciò che riguarda l'estetica che naturalmente non dipende da un giudizio oggettivo, possiamo dare un'occhiata alle più diffuse soluzioni, agli 'optional' e alle dotazioni di ogni strumento tenendo sempre presente il genere di uso che abbiamo in mente.

Per quanto riguarda l'elettronica è sempre bene tenere presente le differenze sostanziali tra i vari tipi di pickup, attivi e passivi, single-coil e humbucker. In realtà con ogni buona chitarra elettrica si può suonare qualunque genere, però avere sotto mano il materiale giusto ci aiuterà.

Un altro elemento da tener presente è il ponte mobile. Molte chitarre montano questo dispositivo: è chiaro che diventa una complicazione inutile se ci interessa solo suonare basi punkrock, ma con l'esperienza possiamo sempre imparare a farne buon uso e si può rivelare molto utile. Insomma, comporta qualche problema in più nel cambio-corde e nell'accordatura, però probabilmente ci tornerà comodo. A nostra discrezione, decidiamo in base al genere che abbiamo in mente, come già detto il ponte mobile non serve a molto se vogliamo suonare solo accompagnamenti o come chitarra ritmica.

Diamo un'occhiata alla qualità delle meccaniche (meccaniche buone non richiedono alcuno sforzo nell'accordatura), alla presenza eventuale del blocco corde prima del capotasto (delle viti che fissano le corde affinchè non si scordino usando il ponte mobile), osserviamo il profilo del manico per capire se soffre di lieve torsione, controlliamo che i tasti metallici siano adeguati alle nostre esigenze e non richiedano troppo sforzo alle dita della mano sinistra.


Il Plettro


Come impugnare il plettro, come usarlo: basilari informazioni da tenere presente.

Il plettro è fondamentalmente un sottile triangolo di plastica usato per mettere in vibrazione le corde. Naturalmente ne esistono di diversi materiali e forme, ma la caratteristica che più ne influenza la prestazione è il suo spessore, indicato in millimetri: un plettro più spesso è anche più rigido e quindi non si fletterà a contatto con le corde. Ognuno si trova bene con un tipo di plettro diverso, quindi è bene provarne diversi per trovare quello adatto al nostro stile: per suonare bene è anche importante avere un buon feeling con il proprio plettro.

Di solito il plettro si stringe tra pollice e indice, ma si può anche impugnare tra pollice e medio. E' necessario che il plettro sia ben saldo tra le nostre dita, tuttavia l'impugnatura dev'essere sciolta e consentire un certo gioco al plettro, in modo da assecondare le sue reazioni a contatto con le corde.

Osserviamo il primo schema (è vero, le corde non hanno tutte lo stesso diametro..chiedo scusa!). Possiamo suonare inclinando il plettro in modo diverso rispetto alle corde: la prima posizione solitamente si usa nelle pennate verso il basso, per far sì che il plettro scorra più facilmente sulle corde. La seconda posizione piuttosto neutra può essere usata in pennate alternate o suonando poche corde contemporaneamente. Infine, la terza posizione, si usa solitamente per la pennata dal basso.

Ora guardiamo il secondo schema: si tratta ancora di tre diverse posizioni del plettro, ma questa volta vediamo 'l'affondamento' nelle corde: la posizione che causa una maggior vibrazione della corda è senz'altro la C, con l'intera punta del plettro tra le corde, ma in questa posizione è anche piuttosto difficile suonare velocemente, cosa che invece ci riuscirà semplicissima con la posizione A, ossia sfiorando appena le corde. Tornando per un istante al primo schema, possiamo infine notare che mantenendo il plettro inclinato come in 1° e 3° posizione potremo suonare velocemente pur affondando come in posizione C, perchè l'inclinazione del plettro ci aiuterà a scorrere tra le varie corde: si tratta di un comodo compromesso e abbiamo ora capito perchè la posizione n°2 sia meno istintiva.

     

Le Scale


Il primo argomento veramente esteso e complesso che incontriamo: facciamo chiarezza nel mondo delle scale, parlando in sintesi di maggiori, minori e pentatoniche.

Creare una scala vuol dire, l'abbiamo già detto parlando dei modi, creare una sequenza di note o, se preferiamo, una sequenza di toni e semitoni.  Ogni scala parte da una tonica, la nota iniziale che definisce e dà il nome alla scala (stiamo dicendo le stesse cose che avevamo già visto per quanto riguarda le triadi, ricordate?). La scala maggiore è anche detta scala diatonica maggiore: significa che al suo interno tutte le note sono diverse. Possono esistere tra esse intervalli cromatici (stesso nome ma suono diverso: C e C#) e intervalli diatonici (nome diverso: C e F). Se consideriamo la scala maggiore di C che avevamo già visto (CDEFGABC) possiamo notare che tra le diverse note esiste una sequenze di toni e semitoni particolare, comune a tutte le scale maggiori: vediamola.

C-t-D-t-E-st-F-t-G-t-A-t-B-st-C. 

Abbiamo così cercato di schematizzare la sequenza di toni (t) e semitoni (st) indicandone la posizione tra le varie note della scala. Per comodità riscriviamo la sequenza: t t st t t t st. Esattamente come avevamo visto parlando delle triadi, inoltre, ogni nota della scala occupa una posizione precisa, definita dal grado: la prima nota è I°grado, la seconda nota (D) II° grado e così via. Ricordiamo i nomi già visti: la nota in I° grado si dice tonica, in III° grado modale ed in V° grado dominante.

Abbiamo detto che la sequenza di toni e semitoni è caratteristica di tutte le scale maggiori: per costruire la scala maggiore di E (ad esempio) ci sarà dunque sufficiente, partendo dalla scala cromatica e scegliendo come nota iniziale E, selezionare le note definite da questa sequenza di toni e semitoni.

Discorso a parte va ovviamente fatto per quanto riguarda le scale minori. Dovremo infatti fare i conti con diversi tipi di scale minori: naturali, armoniche e melodiche.

Per prima cosa, vediamo subito le sequenze che interessano queste tre tipologie diverse:

naturale: t  st  t  t  st  t  t
armonica: t  st  t  t  st+t  st
melodica: t  st  t  t  t  t  st

Ora che abbiamo chiarito questo, possiamo fare un esempio, provando innanzitutto a costruire la scala minore naturale di C. Per fare ciò ci conviene partire dalla scala maggiore di C, che ormai ci ricordiamo bene: CDEFGABC. La sequenza era: t t st t t t st. Se confontiamo questa sequenza con quella della minore naturale possiamo individuare i gradi (le note della scala) che subiranno variazioni: proviamo a sovrapporre le due sequenze.

maj I  t  II  t  III  st  IV  t  V   t  VI  t  VII   st  VIII
min I  t  II st  III   t  IV  t  V  st  VI  t  VII    VIII



Abbiamo indicato in rosso i gradi delle due scale, in nero le sequenze di toni/semitoni ed in blu i gradi che cambiano: III, VI, VII. Nella scala minore naturale saranno tutti abbassati, poichè preceduti da un semitono che non trova corrispondenti nella sequenza della scala maggiore. Vediamo ora a quali note corrispondevano questi gradi nella scala maggiore di C: Mi (E), La (A), Si (B). Dunque li facciamo diventare rispettivamente Mib, Lab e Sib. Questi tre bemolli occuperanno quindi il III, VI e VII grado nella scala minore naturale di C, mentre tutte le altre note saranno identiche a quelle della scala maggiore. Vediamo ora la scala ottenuta: Do Re Mib Fa Sol Lab Sib Do (CDEbFGAbBbC).

Discorso identico per la creazione di ogni altra scala minore.

Infine vediamo un ultimo modello di scala, la pentatonica. Si tratta di un tipo di scala molto utilizzata perchè semplicissima: nasce infatti da una semplificazione delle scale tradizionali.

Per ottenere la scala pentatonica maggiore di qualsiasi tonalità ci basta considerare la scala maggiore e cancellare IV e VII grado. Otteniamo dunque una scala di sole 5 note (ricordiamoci che l'VIII° è la stessa nota della tonica).

Se vogliamo individuare la pentatonica minore non dovremo far altro che partire dalla scala minore ed eliminare questa volta II e VI grado.

Abbiamo così introdotto finalmente il concetto di scala. Dobbiamo tenere presente, però, che l'argomento è ben lungi dall' essere esaurito: esistono ancora molte informazioni che non conosciamo su questo argomento, senza contare che bisognerà cominciare a vedere le scale in funzione dello strumento su cui le suoneremo, ossia la chitarra.

Per ora accontentiamoci di ciò che abbiamo appena imparato e prendiamoci tempo per digerire queste nozioni che ci saranno indispensabili per arrivare ad una perfetta comprensione della natura degli accordi.

Gli Intervalli


Un concetto basilare ed indispensabile per addentrarsi nella teoria musicale: un discorso generale sull' intervallo.

Prima di entrare nel merito di discorsi più complessi è necessario avere le idee chiare sui fondamenti della teoria musicale: dando per scontata la sola conoscenza delle sette note, dobbiamo obbligatoriamente parlare degli intervalli.

Un intervallo viene definito come 'la distanza' tra due note, o se preferiamo tra le loro altezze. L'intervallo è dunque indicato come un numero, ossia il numero di note che separano gli estremi dell'intervallo stesso. Con un semplicissimo esempio è tutto più semplice: tra LA e MI esiste un intervallo di quinta. Per capirlo ci è sufficiente, partendo dal LA, contare quante note incontriamo per arrivare al MI: mentre diciamo MI solleviamo il quinto dito, giusto? Intervallo di quinta, allora.

L'intervallo tra una nota e sè stessa si dice unisono, ma ci sono altre cose che ci interessa sapere sugli intervalli. Sempre a livello di definizioni, vi è una distinzione tra l'intervallo che intercorre tra note suonate contemporaneamente e note suonate in sequenza: il primo si dice intervallo armonico, il secondo intervallo melodico.

Ora dobbiamo capire in cosa consista un intervallo giusto. Sono detti giusti gli intervalli di unisono, quarta, quinta e ottava, perchè appartengono sia alla scala maggiore sia a quella minore costruita dalla nota più bassa dell'intervallo. Gli intervalli di terza, sesta e settima possono invece essere maggiori o minori, a seconda della scala. Abbiamo trascurato volontariamente l'intervallo di seconda, di cui sarà necessario parlare in seguito. Adesso invece possiamo dare un'occhiata ad eccedenti e diminuiti: se abbassiamo o eleviamo di un semitono un intervallo giusto otteniamo rispettivamente un diminuito ed un eccedente. Se invece abbasso di un semitono un intervallo maggiore ottengo un minore, se elevo di un semitono un intervallo minore ottengo un maggiore. E' naturale che non sia esattamente semplice da comprendere, cerchiamo di schematizzare:

GIUSTO  + 1/2 = eccedente
GIUSTO  - 1/2 = diminuito
MAGG.RE + 1/2 = eccedente
MAGG.RE - 1/2 = minore
MINORE  + 1/2 = maggiore
MINORE  - 1/2 = diminuito

Non ci resta che vedere i rivolti, un concetto piuttosto semplice: ogni intervallo infatti può essere 'invertito' semplicemente portando la nota più grave all'ottava successiva. Se riprendiamo l'intervallo di quinta analizzato prima (LA-MI), possiamo vedere il suo rivolto nell'intervallo MI-LA, in cui il LA è stato inalzato all'ottava successiva (la stessa del MI in questo caso). L'intervallo che prima era di quinda è diventato di quarta: contare per credere. Generalmente si dice che la somma di un intervallo e del suo rivolto è sempre 9: saperlo ci sarà d'aiuto per individuare velocemente i rivolti. Un altra cosa da sapere è che il rivolto di un intervallo giusto è un intervallo giusto, mentre maggiori/minori, eccedenti/diminuiti vengono invertiti (da un maggiore si ottiene un minore e così via).

A tutto ciò c'è una sola eccezione: l'intervallo di seconda. Quest'ultimo appartiene sia alla scala maggiore sia alla scala minore, ma non è giusto poichè il suo rivolto non si mantiene giusto.

Modi


Prima di parlare delle scale dovremo introdurre il sistema modale: cerchiamo di definirlo brevemente.

Finora abbiamo parlato con grande disinvoltura di intervalli e triadi, semplificando però notevolmente la materia: è doveroso aprire una piccola parentesi di approfondimento per parlare delle scale, un concetto in cui ci siamo imbattuti spesso ma che non abbiamo mai veramente chiarito. Per parlare delle scale però, dovremo prima vedere cos'è il sistema modale.

Inoltre, parlando delle triadi abbiamo già in qualche modo capito che alla base degli accordi esiste un sistema di 'armonizzazione' che regola i rapporti tra le note: ora dobbiamo addentrarci in questo sistema e capirne il funzionamento.



Tutto parte da una scala: ancora non sappiamo esattamente in cosa consista nè come sia formata. Per ora accontentiamoci di definirla sommariamente attraverso le nozioni che già possediamo: la scala è una successione di note definite da un'alternanza di toni e semitoni. Alla fine di questo articolo potremo finalmente dare una migliore definizione.  Vediamo ora la scala di C maggiore come esempio:

C D E F G A B C

Fin qui è tutto facile: come vediamo, partendo dalla nota C abbiamo creato una successione di note. Come già detto, per ora evitiamo di addentrarci nel concetto di scala e ci concentriamo su altro: prendiamo una nota dalla scala (per esempio la seconda, D) e costruiamo una scala partendo da essa, mantenendo la successione di note di partenza. Non stiamo facendo niente di strano: ricostruiamo la stessa identica successione partendo questa volta da D. Dunque:

D E F G A B C D 

E' semplice comprendere che potremmo fare lo stesso partendo da ogni nota della prima scala considerata, quella di C, che chiameremo scala madre. Otterremo dunque 7 diverse sequenze, tutte costruite partendo però dalla scala madre di C: possiamo cominciare a tirare le prime conclusioni. Avevamo già parlato di tonica: anche per quanto riguarda le scale, è la nota di partenza. Ora noi abbiamo però estratto dalla scala madre un secondo grado (D) e l'abbiamo fatto diventare tonica, generando da essa una nuova scala. Si tratta dunque di una tonica secondaria: è tonica, poichè all'interno del suo modo occupa il I° grado, ma è secondaria perchè fa riferimento alla scala madre da cui l'avevo estratta, la scala maggiore di C. Complicato?

Riassumiamo: dalla scala madre (C maj: CDEFGABC) abbiamo estratto il II° grado (D). Da esso abbiamo creato una nuova scala (DEFGABCD), identica alla prima ma in cui la D non occupa più il II° grado, bensì il I° (tonica). Possiamo fare lo stesso con ogni nota della scala madre, generando dunque 7 diverse sottoscale, o modi. Ogni nota della scala madre è dunque semitonica, poichè può essere il I° grado di una sottoscala costruita partendo da essa.

Ora dobbiamo solo dare dei nomi alle diverse sottoscale, ai diversi modi:

CDEFGABC = ionico
DEFGABCD = dorico
EFGABCDE = frigio
FGABCDEF = lidio
GABCDEFG = misolidio
ABCDEFGA = eolio
BCDEFGAB = locrio

Adesso sappiamo cos'è il sistema modale: possiamo iniziare a parlare delle scale.

Accordare la chitarra


Oltre ad essere un'abilità che dobbiamo forzatamente possedere, è anche un pratico esercizio per affinare l'orecchio: vediamo come accordare la nostra chitarra.

Quando si è agli inizi accordare la chitarra può essere davvero difficile, molto più difficile che suonare qualche accordo. Ci servirà un bel po' di esercizio per riuscire ad accordare con disinvoltura le sei corde, ma soprattutto ci servirà molta pazienza: dobbiamo assolutamente resistere alla tentazione di utilizzare un'accordatore elettronico.

Prima di iniziare però dobbiamo sapere quali sono le note che dobbiamo ottenere da ciascuna corda: l'accordatura standard è detta EADGBe. Questa strana sigla ha in realtà un significato molto semplice da comprenderle, ma per poterne parlare dobbiamo fare un salto indietro e vedere la siglatura internazionale delle sette note:

DO = C

Un modo migliore per memorizzare e ricorrdarli la terminologia internazionale è quella di partire dal LA con la scala e cioè (LA,SI,DO,RE,MI,FA,SOL) e andare in ordine alfabetico partendo dalla lettera A e cioè (A,B,C,D,E,F,G). In questo modo basta ricordarsi che la lettera A corrisponde alla nota LA il resto viene seguedo la scala normale delle note.

RE = D

MI = E

FA = F

SOL = G

LA = A

SI = B

Se siamo abituati ai nomi tradizionali delle note ci troveremo un po' in difficoltà a memorizzare queste sigle, ma sono veramente fondamentali per suonare la chitarra, pertanto meglio impararle bene fin da subito. Avevamo detto che l'accordatura si dice EADGBe: ora questa sigla assume un senso. Indica infatti le sei note generate dalla vibrazione a vuoto (senza premere nessun tasto) delle sei corde, partendo dalla corda più grave (la più spessa). Quest'ultima pertanto, suonata a vuoto, dovrà generare un E, ossia un MI. La seconda corda un A, ossia un LA, e così via. L'ultima corda, la più sottile, viene indicata da e: la lettera minuscola ci ricorda che si tratta di un MI inferiore di un'ottava a quello della prima corda. Un piccolo schema per chiarire ulteriormente:

e (mi)  -------- ----- ------ ----- ----- ------
B (si)  -------- ----- ------ ----- ----- ------
G (sol) -------- ----- ------ ----- ----- ------
D (re)  -------- ----- ------ ----- ----- ------
A (la)  -------- ----- ------ ----- ----- ------
E (mi)  -------- ----- ------ ----- ----- ------

Ecco le sei corde con le rispettive note. Finalmente possiamo passare all'accordatura vera e propria.

Per accordare lo strumento ci serve forzatamente un parametro esterno, ossia un suono da usare come confronto: tale suono dev'essere sicuramente noto, quindi dobbiamo conoscerne la nota con certezza. La nota universalmente utilizzata è il LA a 440Hz, con frequenza naturale definita da un numero intero e corrispondente alla quinta corda (D'ora in poi le corde vengono lette in senso opposto e cioè la prima corda corrisponde al Mi sottile, la seconda al Si e cosi via).

Dunque ci serve uno strumento in grado di restituirci con certezza un LA  a 440Hz: abbiamo diverse possibilità. A tale impiego si prestano infatti ottimamente diversi strumenti, primo tra tutti il diapason: costituito da 2 barre metalliche, messo in vibrazione genera un LA perfetto. Il problema è che questo LA risulta essere un'ottava più alto di quello che ci serve per la seconda corda della chitarra (un LA appunto): dovremo avere buon orecchio. Si possono acquistare anche accordatori a fiato, ossia particolari 'fischietti' che generano proprio il LA che interessa a noi. Oppure possiamo affidarci a strumenti dall'accordatura più salda, come ad esempio un pianoforte.



Una volta che sappiamo dove reperire questo famoso LA, possiamo iniziare ad accordare la "quinta" corda della nostra chitarra: la suoniamo senza premere nessun tasto e confrontiamo il suono ottenuto con il LA di riferimento. Se la nostra corda emette un suono più grave dovremo tenderla ulteriormente attraverso la chiavetta (meccanica) corrispondente, se il suono è troppo acuto dovremo invece renderla meno tesa intervenendo sempre sull'apposita meccanica. Quando i due suoni ci appariranno identici (sempre tenendo conto del diverso timbro dei due strumenti...) potremo procedere ad accordare le altre corde.

La quarta corda (D), la possiamo accordare prendendo come riferimento proprio la corda che abbiamo appena accordato: premendo quest'ultima al 5° tasto otterremo il Re della quarta corda. Lavoriamo confrontando i due suoni come fatto prima.

Il suono della terza corda (G) si ottiene in modo analogo, al 5° tasto della quarta corda. Invece la seconda corda (B) corrisponde al 4° tasto della terza corda, mentre la prima corda (e) la otteniamo dal 5° tasto della seconda.

Ci manca solo il MI della sesta corda: anche la prima corda è un MI, quindi possiamo lavorare confrontando le due, ricordandoci sempre però che la prima corda è di un'ottava superiore. Oppure possiamo accordare la sesta corda sapendo che il suo 5° tasto corrisponde alla quarta corda, al LA.

Decisamente complicato, vero? In realtà con un piccolo schema è molto più intuitivo: vediamo ora le varie corde affiancate al loro suono di riferimento.

VI

E

= al 5° tasto è uguale alla V

V

A

= LA 440 (diapason, accordatore, pianoforte...)

IV

D

= V corda al 5° tasto

III

G

= IV corda al 5° tasto

II

B

= III corda al 4° tasto

I

e

= II corda al 5° tasto

Dunque si tratta fondamentalmente di confrontare un suono di riferimento con la corda che dobbiamo accordare suonata a vuoto.

E' facile capire come ci voglia un orecchio ben allenato per svolgere con la dovuta precisione il lavoro di confronto tra suoni: proprio per questo è un esercizio utilissimo e direi fondamentale. Il mio consiglio è di cominciare a usare gli accordatori elettronici solo dopo aver affinato l'udito ed aver imparato ad accordare con velocità da soli: l'accordatore può essere utile per velocizzare la accordature ma non va considerato come una scorciatoia per imparare ad accordare.

Infine bisogna sottolineare che alcuni chitarristi utilizzano accordature diverse dalla standard EADGBe: tali variazioni possono essere utili per semplificare le diteggiature volendo ottenere particolari suoni, o semplicemente per sperimentare nuove sonorità. Si parla in particolare spesso di "dropped C" o "dropped D": in questi casi la prima corda viene ribassata a C o D. Dunque le accordature corrispondenti saranno DADGBe e CADGBe, ma le variazioni possibili sono infinite. Di solito all'inizio di ogni tablatura o spartitura troviamo indicata l'accordatura in uso.










Le Distorsioni


La distorsione è l'effetto più semplice da comprendere e forse è anche quello nato prima.

Un distorsore a pedale con tre manopole: gain, tono e volume


Il celebre distorsore Big Muff, molto usato dai chitarristi negli anni '60


I primi effetti a nascere, in modo casuale e non voluto, furono gli OverDrive. Quando giunge un segnale particolarmente potente, l'amplificatore viene sovraccaricato ed il suono emesso risulterà diverso dal suono originale prodotto dallo strumento. Tutti gli amplificatori sono oggi costruiti per reggere senza problemi questo stato di sovraccarico, lasciando che il suono modificato (distorto, appunto) giunga tale fino al cono di uscita. Così nascono le diverse distorsioni: l'overdrive è una distorsione lieve, simile alle prime distorsioni generate casualmente, mentre una distorsione lead è potente e brillante, molto usata negli assoli.

Solitamente ogni distorsore consente di regolare il gain: si tratta di un comando fondamentale per le distorsioni, che come abbiamo visto nascono da un sovraccarico dell'amplificatore. Il gain (guadagno) modifica il segnale di uscita della chitarra, aumentandone la potenza in modo da provocare un sovraccarico maggiore ed una distorsione più accentuata. Diversi tipi di distorsione si possono ottenere anche intervenendo su altre regolazioni del suono, ad esempio enfatizzando gli acuti, mentre si possono ottenere tantissimi suoni "ibridi" combinando un effetto di distorsione ad altri effetti.







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