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Con Franz Liszt (1811-1886), Domenico Scarlatti - STORIA DEL CONCERTO E DELLA FIGURA DEL PIANISTA

musica



2° MODULO

Con Franz Liszt (1811-1886) il virtuosismo della tastiera (in tedesco Klavier, che comprende: organo, clavicembalo, spinetta e pianoforte) diventa un fenomeno significativo, anche se in ritardo rispetto agli altri strumenti.

Fino a Romanticismo inoltrato, i compositori erano anche esecutori: il Landino, nel '300, era considerato un vero punto di riferimento nel suonare l'organo; Girolamo Frescobaldi è stato un grande clavicembalista del '600.

J.S. Bach, invece, nonostante fama come suonatore d'organo, che gli valse anche un duello con Louis Marchand (1669-1732), non può essere considerato uno dei padri del virtuosismo tastieristico: dovendo infatti suonare nei momenti di silenzio delle funzioni liturgiche con le sue improvvisazioni, non poteva concedersi grosse libertà; la Chiesa non permetteva la libertà esecutiva, e ciò bloccò purtroppo lo sviluppo del virtuosismo organistico, favorendo quello al clavicembalo.


Domenico Scarlatti (1685 - 1756), figlio del grande operista Alessandro (1660-1725), fu un grande compositore e virtuoso al clavicembalo; chimato dalla città natale Napoli a Firenze e quindi a Venezia, dove incontra Vivaldi e Haendel, viene poi assunto come maestro di cappella dalla regina del Portogallo. Si stabilì quindi nella penisola iberica, musicalmente distante dalla cultura europea, e dove Scarlatti può quindi maturare un proprio stile originale in opere liriche e, soprattutto, negli "Esercizi per gravicembalo" (un altro nome del clavicembalo), che alla fine dell'impiego diverranno da 30 550 e chiamati "Sonate".



Per "sonata", qui si intende una forma musicale in due parti complessivamente omogenee, che nulla ha a che vedere con la "sonata" dei secoli successivi o la "forma-sonata" '700sca. È un insieme di esercizi tecnici per clavicembalo, che diverranno punto di riferimento, però, del pianismo '800sco: questo perché Scarlatti impone un nuovo modo di suonare lo strumento basato sull'uso di

molti arpeggi (prima poco utilizzati),

note ribattute molto veloci,

mani incrociate: la mano sinistra deve passare sopra la destra, che continua a suonare, per raggiungere le note più acute: sono i cosiddetti salti, la difficoltà tecnica più ardua per qualsiasi pianista, poiché è facile non centrare col dito i tasto giusto e stonare la nota. L'utilizzo delle mani incrociate oggi è considerato scontato, ma all'epoca era una novità dal caratterese quasi circense;

ottave spezzate, invenzione di Scarlatti stesso: anziché suonare le note a distanza di altre 8 contemporaneamente, le si suona alternativamente.


Ne consegue uno stile esecutivo molto aggressivo su uno strumento delicato come il clavicembalo, e una musica che non solo rilassa, ma è in grado anche di stupire per la velocità e la ricerca di strutture musicali e sonorità inconsuete. Scarlatti amplia enormemente, infatti, la tecnica e le potenzialità timbriche dello strumento.

Suonare le sonate di Scarlatti al pianoforte è filologicamente scorretto (Scarlatti non suonò mai il pianoforte, inventato da Bartolomeo Cristofori nel 1798), anche se non c'è l'intento di emulare il suono del clavicembalo.

La Sonata in si minore è costruita in modo tale che l'elemento tematico viene imitato più volte, l'elementarietà della struttura non impedisce la ricerca tecnica. Artuto Benedetti Michelangeli ne trae tutto il virtuosismo.


Carl Philipp Emanuel Bach (1747-1788), secondogenito del grande Johann Sebastian (1685-1750) (e con Telemann come padrino), è considerato il più importante tra i suoi figli; la sua è infatti una figura di transizione e raccordo tra il Barocco, ormai terminato nel suo carattere "brillante" per uno più pensato, e il Classicismo di Haydn, Mozart e Beethoven.

Nonostante le sue capacità, resta sempre all'ombra del padre, e per questo non riesce a trovare un impiego fisso: vivono assieme a Lipsia e a Köten (dove Bach padre compone gran parte dei suoi capolavori); Carl assiste alla consegna dell'Offerta musicale del padre come dono al Re di Prussia, Federico 2° il Grande, musicista dilettante al fauto e compositore. Ed è proprio Federico il Grande, noto per la sua apertura culturale e musicale, a chiamare Carl Philipp Emanuel come clavicembalista a corte: il suo compito era quello di accompagnare i solisti, sovrano compreso. Si specializza nel clavicembalo, acuisendo così fama europea, e compone Sonate per questo strumento, tra cui le "Sonate prussiane", in cui ricerca una tecnica nuova e particolare di suonarlo e affronta difficoltà tecniche (Sonata in sol minore, Andantino . dedica queste sonate agli intenditori, cioè ai professionisti e ai dilettanti che si avvicinano alla musica per passione pur non avendo grandi capacità.

Il suo stile è più severo di quello di Scarlatti, razionale ma non freddo.

Il brano per cui forse è celebre al grande pubblico è il "Solfeggetto", un brano semplice e piacevole la cui facilità tecnica permette ai pianisti in erba di raggiungere una certa velocità di mani.

Viene soprannominato il "Bach di Amburgo", nella quale appunto termina la propria carriera musicale, e trova tutta la tranquillità per comporre e scrivere il trattato "Saggio sulla vera arte di suonare strumenti a tastiera": esso contiene indicazioni tecniche su come studiare ed eseguire brani del repertorio a lui contemporaneo. In questo trattato, C.P.E. Bach si dimostra contro il virtuosismo fine a sé stesso, da considerarsi pericoloso, in favore di uno più razionale, che dovesse seguire delle precise regole musicali e tecniche: dev'esserci perfetta compresenza di abilità tecnica e valore musicale. Purtroppo C.P.E. Bach non viene capito e apprezzato all'epoca tanto quanto lo sarà successivamente: Mozart, che ne conoscerà le opere attraverso il di lui fratello Johann Christian, e Beethoven ammetteranno che tutti gli devono qualcosa.


Muzio Clementi (1752-1832), oltre che il "padre del pianoforte", come viene denominato nelle enciclopedieper la sua cospicua produzione dedicata allo strumento, può esserne considerato anche il primo virtuoso (ed infatti è più importante per la storia del virtuosismo che non della musica). Contrariamente al grande compositore Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791), che non riuscì a vivere delle proprie opere senza il sostegno dei mecenati, e il cui stile virtuosistico era troppo antiquato, legato agli antichi, per il gusto dell'epoca, Clementi ottenne successo e divenne quasi un libero professionista, poiché scriveva e suonava per soddisfare il pubblico, di cui capiva le esigenze: la sua velocità e i cambi melodici elettrizzano le platee, mentre Mozart non concede loro nulla, con Adagi struggenti ma non apprezzati. Infatti, nel duello pianistico che li oppose, Clementi (soprannominato dal Salisburghese sprezzatamente "mechanicus", mentre lui stimava il rivale) ottenne il favore del pubblico, mentre Mozart, non avendo dato retta ai consigli del padre (che aveva sfruttato il suo incredibile talento musicale infantile come fosse un fenomeno da baraccone), non affinò mai la sua tecnica di virtuoso in accordo con il gusto contemporaneo. Mozart, a causa anche della sua sprovvedutezza economica e i debiti, verrà sepolto nella fossa comune; Clementi, invece, vivrà agiatamente grazie anche all'apertura di una fabbrica di pianoforti a Londra.

Le sonate di Clementi sono costruite in modo ineccepibile, e i suoi Studi per il pianoforte "Grauds ad Parnassum" costituiscono il primo tentativo di unire musica e tecnica in questa forma musicale a scopo prevalentemente didattico.

Il n.12, infatti, è da notarsi più per il discorso musicale che per la difficoltà tecnica che vi si affronta.

Il virtuosismo nelle composizioni di Clementi, non è secondo a quello di Paganini e poi Liszt: nel 1° movimento della Sonata op.33 n.3, infatti, il pianoforte imita l'orchestra, per cui tutto il lavoro si intitola "Sonata quasi un concerto".


Fu però Ludwig van Beethoven il primo virtuoso e compositore ad emanciparsi completamente dal giogo e favore dei potenti. Anch'egli, al contrario di Mozart, ha successo come virtuoso al pianoforte, poiché sfrutta i cambiamenti apportati allo strumento attorno al 1821:

- i martelletti vengono ricoperti non più da cuoio o pelle, ma da feltro, il che garantisce un suono più caldo e piacevole;

- i pedali possono produrre suoni più ampi;

- viene ideato il sistema del doppio scappamento, che permette di ribattere un tasto più volte a brevissima distanza, senza dover alzare il dito completamente e rilasciare il tasto come prima, permettendo così delle migliori note ribattute e una velocità maggiore in taluni passaggi delle composizioni (praticamente il martelletto che batte le corde non torna alla posizione di partenza fintantoché non si rilascia il tasto; una volta che si ripreme il tasto, il martelletto si trova quindi più vicino alla corda e la batte molto più velocemente che non se fosse tornato alla posizione originale). Questi miglioramenti soddisfano pienamente le nuove esigenze musicali: una forma musicale più semplice, e non rigidamente regolamentata, musica vivace, mezze tinte anziché bruschi passaggi dal forte al piano, una tavolozza timbrica più ricca.

Beethoven, giunto a Vienna da Bonn, si fa apprezzare come virtuoso battendo nei duelli musicali il compositore Josef Gelinek (1758-1825) e il virtuoso Daniel Steibelt (1765-1823); la sua figura particolare e il suo carattere difficile e scontroso lo ammantano di un alone divino, che lo fa sembrare superiore agli altri uomini: nasce il mito del musicista come personaggio. Del suo modo di suonare, dicono fosse un aggredire la tastiera, e che il suono fosse intenso e pastoso.

Terminata la carriera di virtuoso, la totale sordità rafforza la sua immagine di uomo perseguitato dal destino ma che riesce a tenergli testa col suo genio.


In quel periodo nascono molti virtuosi per pianoforte: Karl Czerny (1791-1857), Carl Maria von Weber (1786-1826), considerato anche l'iniziatore del romanticismo operistico tedesco, John Phil, l'inventore del notturno, Friedrich Kalkbrenner (1785-1849), di cui Chopin si rifiutò di essere allievo, Johann Nepomuk Hummel (1778-1837). Emerge non chi è più bravo, ma chi soddisfa meglio il gusto del pubblico.


Liszt è considerato il più grande pianista di tutti i tempi, poiché con lui nasce la figura del virtuoso del pianoforte, si sviluppa un nuovo concetto del concerto, e le difficoltà tecniche delle sue composizioni spazzano via quelle precedenti, tanto che l'unico che è riuscito a superarne alcune è proprio il loro creatore.

Egli è pari a Paganini nella maestria, anche se nel carattere, nell'aspetto e anche nel rapporto con il pubblico non potrebbero essere più diversi: Paganini lascia esterefatta la folla anche per il suo aspetto malaticcio, il suo presunto rapporto col Demonio, attrae per il suo talento; Liszt, bello, aitante, tenta fallimentariamente la carriera eclesiastica, manda in delirio il pubblico, soprattutto femminile, dando inizio a una vera e propria lisztomania (stesso nome di un film sul compositore di Ken Russell piuttosto delirante).

Liszt attira l'attenzione della stampa, diventa un fenomeno da andare assolutamente ad ascoltare e a vedere (si dice che spesso rompesse qualche corda nelle sue esibizioni), un personaggio in cui identificarsi, quasi come una moderna rockstar. E Liszt sa come sfruttare la situazione: nei suoi concerti, esprime le emozioni che sente suonando con tutto il corpo, ha un corpo "performante"; prima di lui invece, i pianisti dovevano mantenere un certo aplomb, senza lasciarsi andare alle emozioni.


STORIA DEL CONCERTO E DELLA FIGURA DEL PIANISTA


Il termine "concerto" sta ad indicare sia una forma musicale per strumento solista e l'orchestra, sia l'esibizione di uno o più esecutori.

Quest'utima accezione era espressa, fino ai primi dell'800, dal termine "accademia": in queste manifestazioni, contrariamente ai moderni concerti, vi era un alternarsi di più musicisti con diverse capacità, accompagnati dall'orchestra; non era concepibile, infatti, che ci fosse un unico virtuoso, poiché il pubblico si sarebbe annoiato. Queste accademie, nate nei salotti aristocratici, con il passare del tempo e l'aumento del pubblico, si tennero in spazi più ampli; erano a pagamento o, come si diceva allora, per sottoscrizione: il pubblico pagava per assistere alle performance di un artista. Mozart tentò di guadagnare qualcosa, una volta spezzati i legami con qualsivoglia mecenate, esibendosi in accademie per sottoscrizione, ma non ci venne mai nessuno perché la sua musica era considerata troppo difficile e noiosa. Le accademie erano frequentate da un pubblico ristretto, più interessato a guardare le eventuali trovate sceniche che ad ascoltare la musica. Duravano come minimo 4 ore, e i concertisti erano spesso costretti a veri e propri tour de force musicali (il virtuoso Sigismund Thalberg, nato nel 1812 e morto nel 1871 dovette suonare in concerti 134 giorni su 150!): questo dimostrava che non si dava importanza tanto alla perfezione tecnica, ma che si voleva soddisfare il pubblico a tutti i costi.


Nel 1767 Charles Dibiny, oggi dimenticato al punto da non poterlo trovare in nessuna enciclopedia o su Internet, è il primo a presentarsi in un concerto pubblico, al Covent Garden per suonare il pianoforte, accompagnando una cantante nell'eseguire un autore in voga all'epoca in Inghilterra, Arlen.

Johann Christian Bach, fratello di Carl Philipp Emanuel e amico di Mozart, nel 1768 esegue per la prima volta una sonata per pianoforte, presentata come un a solo sui manifesti, in un'accademia.

Undici anni più tardi, Mozart stesso scriverà agli amici di aver abbanonato il clavicembalo per il pianoforte.

Nelle accademie '700sche, il pianista si presentava vestito da damerino, con cappello e guanti che poi si sarebbe tolti, riceveva dei tiepidi applausi dal pubblico, e dopo l'esecuzione, il pubblico maschile applaudiva e quello femminile sventolava dei fazzoletti, poiché era considerato disdicevole che una donna applaudisse e si accalorasse troppo ascoltando musica.

Con il passare del tempo, i compositori-esecutori tendono sempre più ad accontentare il pubblico, presentando lavori semplici e orecchiabili che si rifanno all'opera lirica. Questa generazione di trapasso di compositori-esecutori, rimasti celebri nella storia dell'interpretazione musicale più che della musica in sé e che cambiano il modo di rapportarsi con il pubblico, è composta da:

Jan Ladislav Dussek (1760-1812), autore boemo di musica dal carattere descrittivo (ad esempio un brano riproduceva la decapitazione di Maria Antonietta), fu il primo pianista a guardare in faccia il pubblico (soprattutto femminile, visto che era un belloccio!); prima, il pianista volgeva le spalle;

Johann Baptist Cramer

Johann Nepomuk Hummel (1778-1837), fino a 10 anni è allievo e coabita con Mozart; a 11 si presenta come esecutore di movimenti da concerti del maestro. Assieme al chitarrista Mauro Giuliani (1781-1829) e all'allievo di Beethoven Josef Meydeberg, organizza un concerto che comprende composizioni loro e altrui;

Daniel Gottlieb Steibelt (1765 - 1823) creò quasi una forma di spettacolo a metà strada tra il concerto e l'opera lirica, componendo Le baccanti: nel momento in cui eseguiva questo lavoro sul palcoscenico, la sua bellissima moglie appariva travestita appunto da baccante; espediente che serviva anche ad attirare il pubblico;

Carl Czerny (1791 - 1857) suonò in pubblico Concerti del maestro Beethoven nel 1810, quando questi era ancora vivo.


Anche i bambini prodigio, dopo il successo di Mozart, erano molto richiesti: i maschietti potevano continuare la carriera fin'anche a diventare compositori; alle femminucce era concesso fino all'età di 14 anni (una delle poche eccezioni nel '700 fu Maria Teresa Paradini, pianista a cui Mozart dedicò un concerto).

Il concerto per pianoforte, dunque, diventò il momento principale delle accademie, mentre le altre esecuzioni facevano da contorno: fu così quindi, che il termine "accademia" venne sostituito da "concerto". L'evento che provocò questo fenomeno fu il concerto nel quale Ignaz Moscheles (1794 - 1870) eseguì sia composizioni proprie che di altri autori. Il privilegio di presentare, seppur con molte cautele, i propri lavori nei concerti pubblici gli deriva dall'avere eseguito al Congresso di Vienna delle "Variazioni sulla marcia di Alessandro", che gli valsero la simpatia dello zar e degli altri potenti. Mosceles fu anche il primo ad eseguire Scarlatti non sul pianoforte come si era fatto fino ad allora, ma sullo strumento sul quale Scarlatti effettivamente suonava e per il quale aveva composto le sue sonate, il clavicembalo. Fu il primo tentativo di rispetto filologico nell'esecuzione musicale, mirato non al soddisfacimento del pubblico, ma ad un più ampio interesse culturale.

Tuttavia, Moscheles evitava di eseguire in concerto lavori che risultassero troppo difficili, come le ultime sonate di Beethoven, che studiava e faceva ascoltare solo a un'elite appassionata; lo stesso Beethoven non le eseguì mai pubblicamente, perché il pubblico preferiva alla musica da camera i concerti e il melodramma.

Il pianista, così, diviene il musicista più richiesto e quindi, il più pagato.

Anche Chopin esegue lavori propri ed altrui, ma i suoi concerti si svolgono nei salotti alto-borghesi francesi.


Franz Liszt avrà ben ragione di esclamare superbamente "Il concerto sono io", poiché cambierà completamente il rapporto tra solista e pubblico:

- improvvisa su motivi anche dati lì per lì (pratica in cui Hummel non eccelse e che Mendelssohn aborriva);

- contrariamente a Paganini, che suonava solo brani suoi, Liszt esegue anche opere altrui, e inventa persino il "concerto monografico", dedicato a un solo autore;

- introduce la musica da camera, generalmente aborrita dal pubblico, nei concerti , eseguendola al pianoforte;

- quando esegue, spostandosi anche con tutto lo sgabello da una parte all'altra della tastiera, non restando al centro (contrapponendosi all'aplomb di altri pianisti come Thalberg, con il quale avrà anche un duello musicale);

- mentre Paganini si faceva passare per un'incarnazione del demonio per dimostrare la propria superiorità/diversità dagli altri uomini, Liszt incarna l'ideale borghese '800, l'homo novus che emerge grazie alle sue capacità, il modello in cui identificarsi e da venerare; Liszt è il musicista che gratifica l'ascoltatore di qualsiasi classe sociale.


Accanto a pezzi più impegnati o virtuosistici, Liszt importa nel concerto anche i cosiddetti "pezzi caratteristici", composizione a carattere descrittivo destinate ai salotti, improntate a un alto sentimentalismo e spesso sdolcinati. Il Sogno d'amore di Liszt può essere ascritto a questa categoria. Liszt si dimostra uno straordinario operatore culturale durante la sua attività di concertista: infatti è il primo a presentare davanti al pubblico composizioni all'epoca all'avanguardia, difficili. poco gradevoli al pubblico, sia sue che di altri compositori.

Liszt, però, aveva anche la brutta abitudine, appresa, purtroppo, anche dai suoi allievi, di aggiungere nei brani che eseguiva dei passaggi molto difficili, anche quando l'autore da intepretare non era molto difficile (Mozart, Gluck, Arcanel.). Questa pratica, di cui Liszt si pentirà soltanto nell'ultimo periodo della sua vita, è del tutto contrapposta alla ricerca della verità interpretativa che si compie adesso, che consiste nell'eseguire esattamente quello che c'è scritto sulla partitura e nel tentare di riprodurre l'opera come voleva l'autore.


Terminata la carriera concertistica, Liszt si stabilì a Weimar, dove ebbe come allievi Carl Tausig (1841-1871), grande virtuoso che purtroppo morì giovane e non poté mai confrontarsi col maestro, Moritz Rosenthal ed Emil von Sauer, entrambi nati nel 1862.

Rosenthal nell'interpretare il Sogno d'amore, rispetta in pieno l'indicazione di Liszt "dolce cantando".

L'interpretazione di von Sauer (1862-1942) è invece più retorica e razionale.

Vladimir de Pachmann (1848-1933, ma forse il "de" se l'è aggiunto lui), vanesio al punto da interrompere l'esecuzione dopo un passaggio difficile per ricevere i complimenti dal pubblico, esegue il pezzo molto velcemente, come altrettanto velocemente si consuma l'amore.

Artur Rubinstein (1887-1982), il cui modo di interpretare si avvicina già di più al gusto odierno, anziché eseguire la scaletta velocissimamente come i precedenti, la rende lenta come fosse un recitativo d'opera. Si avvicina comunque più a Sauer, e potremo definire la sua interpretazione con l'indicazione di andamento di Liszt stesso "poco allegro con affetto".

Lang Lang, pianista contemporaneo molto di moda, lo interpreta in pianissimo, facendolo sembrare quasi un pezzo di Debussy.


La nazionalità di Liszt pare divisa tra quella tedesca e quella ungherese: nasce infatti a Raiding o Doboyan, al confine tra Austria e Ungheria, il suo nome è sia nella dicitura tedesca Franz o ungherese Ferenc (sulla sua casa, furono poste 2 lapidi, una in ungherese sotto gli occhi di Liszt, l'altra postuma in tedesco dal popolo tedesco come omaggio), ma con i genitori parla tedesco, e non imparerà mai la lingua unhgerese. La grafia del cognome può essere sia Liszt che List (omonima di una famiglia di musicisti tedeschi residenti in Ungheria), ma il compositore preferirà essere chiamato Franz (in onore di San Francesco di Palo) Liszt. Liszt, però, scriverà e si sentirà francese, vivrà molto in Italia, seppur le sue composizioni richiamino molte volte il folklore ungherese (le Rapsodie ungheresi). Il padre di Liszt, Adam, si accorge presto del talento musicale del figlio, e pensa bene di sfruttarlo per un tornaconto economico, al punto che il piccolo Franz si ammala e cade in coma (un po' com'era successo a Paganini, caduto in catalessi dopo il morbillo e "resuscitato" in seguito alle preghiere dei genitori): Liszt disprezzerà il padre per questo, e nella vita avrà molti altri crolli fisici. Il padre, comunque, ha il pregio di essersi messo in contatto con gli Esterhazy, la famiglia protettrice di Haydn che risiedeva a Eisenstadt, non lontano da Doboyan: dopo un concerto a Bratislava del giovane Liszt, questa e altre nobili famiglie decidono di finanziare i suoi studi musicali. Il padre abbandona il suo impiego per diventare manager del figlio. Liszt insomma ebbe più fortuna di Chopin che finchè rimase nella nativa Polonia non ebbe finanziatori.

I Liszt si trasferiscono a Vienna, dove il padre spera che Hummel, considerato un grande pianista e richiesto per concerti ovunque, nonché allievo di Mozart, sarebbe diventato maestro del figlio. Hummel purtroppo è troppo impegnato nei concerti per l'Europa e le lezioni private, perciò affida il bambino a due maestri di grande reputazione a Vienna: Czerny per il pianoforte e Salieri per la composizione.


Nonostante Hummel non abbia potuto insegnare niente a Liszt questi ne rimane influenzato dal punto di vista compositivo più che virtuosistico, e come omaggio al maestro mancato trascriverà per pianoforte un suo settetto Questa composizione di Hummel è improntata a una certa serietà e ad un patetismo tipicamente beethoveniano. In altri lavori, invece, Hummel è un continuatore del clima spensierato e leggero di certe opere di Mozart: un esempio è l'ultimo movimento del concerto per tromba e orchestra. Hummel si dimostra un compositore poliedrico capace di mostrare aspetti diversi che sono diretta influenza del Beethoven "eroico" e del Mozart più superficiale.


Czerny (1791 - 1857) fu un grande didatta e bravo pianista, intento a valorizzare le opere di Beethoven, per qualche tempo suo maestro. Avendo fallito come virtuoso, Czerny si dedicò all'insegnamento del pianoforte, scrivendo raccolte di studi per ogni tipo di tecnica pianistica, da quelle più semplici a quelle più complesse (La Scuola della velocità op. 299, Scuola della mano sinistra op. 399). Questi studi, pur non raggiungendo la bellezza musicale degli studi da concerto di Chopin, contengono dei temi musicali piuttosto piacevoli, nei quali si respira la Vienna di Hummel, leggera e spensierata.

In uno studio della raccolta "L'arte di rendere agili le dita" op.740, eseguibile da chi ha già una certa esperienza e vuole perfezionare la tecnica, ci sono due difficoltà da superare: le ottave della mano sinistra, la cui esecuzione richiede una grande resistenza, e nella parte centrale del brano l'alternanza di tasti bianchi e neri da suonare a gran velocità con la destra. La melodia è apprezzabile e piacevole come il concerto di tromba di Hummel.

Le "Variazioni sopra un favorito Walzer triste" op.12 riflettono il gusto per l'improvvisazione tipico dell'epoca. Il "Walzer triste" era molto conosciuto a Vienna, fu attribuito a Beethoven, ma in realtà è di Franz Schubert (1797-1828). La composizione di Czerny è costituita dal tema e da cinque variazioni; una introduzione "a capriccio" prepara il lento arrivo del tema. Czerny, non essendo un virtuoso come lo sarà l'allievo Liszt, vuole accontentare il pubblico facendo ascoltare la danza-simbolo di Vienna, senza perdersi in astrusità virtuosistiche. Queste variazioni non presentano grandi difficoltà e sono un esempio di tecnica al servizio della musica, ossia l'apetto tecnico non prevale sulla bellezza e lo sviluppo musicali.


Antonio Salieri (1750-1825), passato grottescamente alla storia come rivale di Mozart e, secondo una leggenda riprodotta in piece teatrali e in un famoso film, assassino di Mozart, era una e vera e propria autorità nel campo operistico a Vienna. Allievo di Tartini (1692-1770), giunse nella capitale della musica al seguito di un altro suo futuro maestro, Florian Gassman (1729-1774), dove è stimolato a comporre fino a 39 opere liriche, che sono lo specchio di quel periodo, e contraddistinte da uno stile serio. Raggiunge una tale fama ed importanza, che gli viene commissionata un'opera (L'Europa riconosciuta) per l'inaugurazione del nuovo Teatro Regio e Ducale di Milano (la futura Scala). Autore anche di musica da camera, Salieri non è un genio, non inventa nulla di nuovo e i suoi temi musicali non hanno niente di memorabile; tuttavia possedeva una straordinaria tecnica compositiva ed orchestrazione (si veda anche solo l'inizio della Sinfonia "veneziana" c fino a 1:00, che a un ascolto superificiale pare il Mozart giovanile). Salieri fu un grande didatta, e tra i suoi allievi spiccano nomi celebri: Beethoven, Schubert, Hummel, Czerny e un figlio di Mozart. Anche Liszt dovrà la sua abilità di orchestratore al Maestro italiano.


Salieri crede così tanto nelle capacità compositive di Liszt, appena 10enne, da affidarlo ad Anton Diabelli (1781-1858), compositore austriaco di origini italiane. Anche editore, nel 1819 Diabelli ebbe l'idea di creare e pubblicare un'opera a cui tutti i compositori presenti a Vienna allora, almeno una 50ina, avrebbero dato un contributo: scrisse perciò un tema in forma di walzer, e invitò i suoi 50 colleghi a scrivere una variazione su di esso. Beethoven rifiutò sdegnosamente di partecipare all'iniziativa, ma nei 4 anni successivi scrisse ben 33 variazioni su questo tema (op.120).

Il tema di Diabelli è accattivante, richiama l'attenzione, e pare un monumento al walzer e a Vienna; il tema è scarno, la parte melodica saltella da una parte all'altra del pianoforte, ed è continuamente interrotta da degli sforzati: questi sono delle note accentate nella parte grave della tastiera. Ciò conferisce una certa ironia al brano. Gli sforzati continuano anche nella seconda parte del tema. La gradevolezza è sostenuta dalla ritmica meccanicità dell'accompagnamento.

Nella prima variazione fino a 2:46), Beethoven trasforma il walzer in una marcia, allontanandosi già di molto dal tema. Figurarsi che nella 22° variazione, riesce a incastrare dal punto di vista armonico nel tema di Diabelli un tema che è completamente diverso, tratto dal Don Giovanni di Mozart ); ciò denota un'incredibile genialità.


Schubert, che scriveva variazioni con gran facilità ma non era un virtuoso, compone una variazione al tema di Diabelli che ne snatura completamente il carattere di walzer: rimane la sensazione ritmica del walzer, ma il carattere è più uniforme. Forse è, fra tutte, la variazione che più si allontana dal carattere di danza.


Anche il piccolo Liszt scrive per intercessione di Salieri, una brevissima variazione sul walzer di Diabelli, di appena di 16 battute, nelle quali stravolge gli accordi di accompagnamento. Essa infatti, si contraddistingue per un rimandare continuo del rapporto tonica-dominante (gli accordi di dominante si trovano sul 5° grado o nota della scala, sul sol, e suggeriscono l'idea di movimento, che deve necessariamente concludersi in uno stato di riposo, dato dall'accordo sul 1° grado, detto tonica): i brano manca quindi di una tensione al riposo, per cui la musica sembra librarsi senza peso o punti di riferimento. Nel frattempo, Liszt costruisce suoni che non fanno riferimento ad accordi particolari; all'ascolto, questa variazione si allontana parecchio dal tema di Diabelli, e solo analizzando attentamente accordi, note e soprattutto accenti, si può ritrovarlo. Liszt punta tutto sulla velocità di note.


L'incontro tra Beethoven e Liszt probabilmente non è mai avvenuto, anche se il Gigante di Bonn avrà occasione di parlare del piccolo prodigio ungherese, e la memorialistica dell'epoca considerava il giovane Liszt come l'erede di Beethoven.

L'atmosfera musicale viennese è ancora impregnata dell'opera lirica italiana, specie di Gioachino Rossini (1791-1868) e Gaspare Spontini (1774-1851), e Adam intuisce subito che al figlio manca la conoscenza del repertorio: per questo si trasferiscono (non in Italia, come si potrebbe pensare, ma) a Parigi, dove risede la maggior parte dei grandi operisti italiani. Grazie a una lettera di raccomandazione nientepopodimeno che del principe Metternich, Liszt spera di poter accedere al Conservatorio della città, ma l'allora direttore Luigi Cherubini (1760-1842), compositore e operista, lo respinge perché l'istituzione non accetta studenti stranieri.

Franz allora, studia privatamente con Anton Reicha (1770-1836) e Ferdinando Paër (1771-1839), quest'ultimo anche maestro di Paganini; Paër stimolerà Liszt a comporre, a soli 14 anni, la sua unica opera lirica, Don Sanche, che verrà diretta da Rodolphe Kreutzer. Come il virtoso genovese, Liszt stringe amicizia con Rossini, che lo introduce nel salotto della duchessa Berry, frequentato anche dal futuro Re di Francia Filippo; ha dei contatti con la famosa cantante Giuditta Pasta (1797-1865). Compone rondò, variazioni e allegri di bravura su temi di vari compositori, soprattutto dell'amico Rossini e di Spontini, brani pianistici composti per esclusivo interesse personale. A 16 anni scrive già una raccolta di 48 "Studi o esercizi in tutti i toni, maggiori e minori", per il perfezionamento della tecnica per allievi di pianoforte.

Il padre lo porta in tournée per la Francia e in Inghilterra, dove Liszt ha un altro grave crollo nervoso (sviene accanto al pianoforte), che lo spinge a voler abbandonare per sempre la carriera virtuosistica per farsi prete; i medici, però, gli prescrivono di prendersi una bella vacanza. È da notare come già così giovane, Liszt senta il bisogno di fuggire dal mondo del concertismo con l'abbracciare i voti, bisogno che sentirà per tutta la vita (anche se compirà azioni che sono in contraddizione con questo). Padre e figlio soggiornano in una località di vacanza, ma lì Adam muore: in punto di morte, predice a Liszt un luminoso futuro da concertista, ma problemi a non finire con le donne.

Infatti, Liszt avrà sempre un rapporto molto controverso con il gentil sesso, specie dopo il primo vero innamoramento, ostacolato dai genitori di lei, che lo porta ad una crisi nervosa tale da parere morto e far stampare il necrologio! Caroline Saint Crick fu la prima e unica donna che Liszt volle sposare, ma il padre di lei si oppose facendola sposare con un altro.

La relazione forse più importante di tutte, fu quella con la Contessa Marie d'Agoult, donna già sposata e molto colta, anche se tremendamente puntigliosa; Liszt, avvertendo un senso di inferiorità culturale rispetto a questa donna, si dedicherà allo studio e alla lettura. Da Marie, Liszt avrà ben 3 figli, tra cui Cosima, la futura moglie dell'allievo Hans von Bülow (1830-94) e, poi, di Richard Wagner.

Nel 1847, Liszt incontra la donna con cui avrà il rapporto più profondo e duraturo, per tutta la vita, Caroline Saint-Wittgenstein, sposata anche lei; tuttavia abbandona il marito, e chiede il consenso al Vaticano per annullare il matrimonio. Il giorno prima delle nozze, però, arriva l'avviso che la sua pratica dev'essere riesaminata. Morto il marito, proprio quando potrebbero sposarsi, Liszt prende i voti: Caroline ha una reazione esagerata alla notizia (si rinchiude nella sua casa a Roma, in via del Babbuino !, si distende circondandosi di 14 candele e 14 busti di Liszt, tanti quanti gli anni passati assieme.).



Liszt era credente, cattolico fervente ne consegue che scrisse delle composizioni di carattere religioso. Ebbe un rapporto singolare , molto personale, quasi protestante verso Dio e la Chiesa cattolica anche se per ben trent'anni non si è accostò ai sacramenti.

All'apparenza sembra abbia successo in ogni campo, ma in realtà la sua vita fu funestata da molte tragedie tra queste la morte di due figli (ad uno di essi rifiutò l'estrema unzione ma era convinto che fosse comunque andato in Paradiso e perciò ritenne che i sacramenti fossero superflui).

Iniziò la sua carriera artistica come musicista da salotto mentre alla fine divenne abate senza però prendere i voti sacerdotali.

Le sue opere musicali sono spesso contraddittorie ma comunque ritenute eccezionali.

Il 1823 è l'anno in cui Liszt divenne cittadino francese e iniziò la sua carriera come musicista da salotto.

Lo scoppio di alcuni moti rivoluzionari del 1830, scosse Liszt dalla sua depressione per il suo mancato matrimonio con la Saint Crick, lui però non partecipa ma scrive una sinfonia intitolata "Un ebreo". A stare sulle barricate è l'amico e futuro genero Richard Wagner, che combatte al fianco di nientepopodimenoche Bakunin (1814-1876). Questi moti rappresentano la continuazione della Rivoluzione francese e dell'ascesa della borghesia.

Dal 1843 al 1861 circa, Liszt è a Weimar.

Dal 1861 al 1869 è a Roma.

Negli ultimi anni di vita, Liszt si sposta in maniera nomade, senza fissa dimora (Roma, Weimar, muore a Bayreuth dove era stato edificato il teatro di Richard Wagner).


A Parigi Liszt diviene amico di intellettuali socialisti come Proudhon (1809-1865) e il conte di Saint-Simon (1760-1825), si avvicina ai loro ideali con convinzione. Ad influenzarlo maggiormente però è Lamennais (1782-1854) che appariva come un sorta di rivoluzionario dedito al liberalismo cattolico, e le sue idee ebbero grande importanza per la musica sacra di Liszt.


Liszt è legato da amicizia sincera con Chopin, anche se la vicinanza tra i due è di natura culturale anziché musicale: Chopin anziché interessarsi agli aspetti virtuosistici del pianoforte, effettua una ricerca del timbro in funzione melodica, o come si diceva allora, la poesia in musica; Liszt sarà influenzato da Chopin dal punto di vista della creazione melodica, e come lui sarà interessato al repertorio musicale slavo. Chopin dedicherà tuttavia l'opera 10 a Liszt e la 25 alla sua consorte Marie D'Agoult, mentre Liszt ricambierà diffondendo le musiche di Chopin nei propri concerti.


Il rapporto con Paganini è, invece puramente musicale, ed avviene quando il successo del virtuoso genovese è ormai entrato nella fase di declino: così come Paganini creò sonorità assolutamente nuove sul violino, ed arrivò all'apice del virtuosismo su questo strumento, (tanto che si penserà a un suo rapporto col Demonio, cosa che comunque Paganini stesso vorrà far credere per farsi pubblicità), anche Liszt scriverà lavori, oltre che dal carattere spesso contraddittorio tra loro, quasi ineseguibili in certi passaggi (un galop, la prima versione della trascrizione de La campanella di Paganini, alcune parti degli Studi trascendentali). Le sue opere destano interesse ancora oggi perché sconvolgono molto spesso le regole, pur essendo parte del repertorio della musica salottiera tutta esteriore.


Un altro collega con cui Liszt ebbe un rapporto di stima a Parigi fu Hector Berlioz (1803-69), un musicista d'avanguardia, e per questo in perenne difficoltà ad inserire le sue opere nei programmi dei concerti; tuttavia, Liszt crede nella sua musica, e fa di tutto per divulgarne i lavori e l'estetica musicale. Berlioz però, così come in seguito Wagner, non ricambierà affatto i favori di Liszt. Egli è infatti un personaggio dal carattere difficile, per certi versi quasi da romanzo: frequenta con difficoltà il Conservatorio di Parigi, anche se ha la fortuna di vincere il prestigioso Prix de Rome, che gli permette di dedicarsi alla composizione. Oltre che compositore, Berlioz fu anche critico musicale, e autore prolifico di saggi: la sua estetica è fondata sull'idea che la musica sia come un linguaggio, con il quale poter raccontare delle vicende, descrivere delle immagini concrete. E la sua opera più famosa, da lui stesso intitolata "Episodi di vita di un artista. Sinfonia fantastica", rispetta appieno questa estetica: essa è suddivisa in 5 parti, tante quanti gli atti del Grand Opéra (ma anche come la Sinfonia n.6 "Pastorale" di Beethoven, che richiama nel 3° movimento) e, nelle intenzioni di Berlioz, l'esecuzione dev'essere preceduta dalla lettura di un programma. La vicenda descritta dalla sinfonia, ha uno spunto autobiografico: Berlioz, innamoratosi perdutamente di un'attrice inglese, Harriet Smithson, solamente per il fatto di averla vista recitare in Romeo e Giulietta e nell'Amleto di Shakespeare, fa uso di oppio, e così ha delle visioni di lui e la sua amata.

Il primo movimento, intitolato "Fantasticherie", narra dell'incontro-scontro e della passione del protagonista per la donna, descritta con un tema musicale che Berlioz chiama idea fissa: ogni volta che la donna comparirà nella storia, si sentirà quindi questo tema. L'idea fissa è in qualche modo l'antenata del leit-motiv wagneriano, ma mentre in Berlioz essa rappresenta solo un personaggio, in Wagner può raffigurare anche un oggetto, un sentimento, una situazione.

Il secondo movimento, "Un ballo", è costruito sul ritmo di valzer, considerato nella Parigi del 1830 come una danza poco morigerata, al limite della sconcezza.

Il terzo movimento è quello che più richiama la Pastorale di Beethoven, anche dal titolo, "Scena campestre". In questi due movimenti, l'idea fissa interrompe improvvisamente lo sviluppo musicale, così come la donna, causa del malessere di Berlioz-artista protagonista, giunge proprio nei momenti in cui egli ha trovato finalmente la pace: danzando o in mezzo alla natura.

E così, Berlioz, in preda all'oppio, sogna di uccidere l'amata; nel quarto movimento, "Marcia al supplizio", l'artista assassino è condotto al patibolo, mentre nel quinto movimento, "Sogno di una notte di Sabba", precipita agli inferi e balla assieme a delle creature mostruose, tra le quali la donna amata, trasfigurata grottescamente anche musicalmente, attraverso la storpiatura dell'idea fissa.

La Sinfonia Fantastica è un capolavoro di orchestrazione, ossia nella distribuzione delle parti tra gli strumenti e nella fusione delle varie sezioni orchestrali in modo tale da raggiungere il virtuosismo strumentale. In questo senso, Berlioz influenzerà parecchio Liszt.


Il quarto movimento della "Sinfonia fantastica", la "Marcia al supplizio, è un brano breve, costituito da 2 temi simili, uno figlio dell'altro, che si rincorrono seguendo un preciso ordine. L'idea fissa, poco prima del finale, appare brevemente interrompendo lo sviluppo, come se il condannato pensasse un'ultima volta all'amata. Il rullo di tamburi accompagna l'artista al patibolo.

All'inizio vi è una breve introduzione sottovoce, con una parte significativa affidata al timbro cupo del fagotto. Prorompe quindi un tema che possiamo definire eroico, sotenuto dal suono ricco di armonici ed estremamente coinvolgente degli ottoni, mentre i timpani segnano il ritmo binario tipico della marcia.

Si ripetono l'introduzione e il tema eroico, stavolta rinforzato nella sezione degli ottoni, sotenuti dagli archi (che solitamente, invece, hanno funzione melodica), mentre il pedale, la nota lunga del basso tuba, conferisce ulteriore potenza al tema.

L'introduzione viene ripetuta stavolta molto forte, con grandi scoppi di ottoni e piatti, e si avverte una grande sensazione di dinamismo, che pare condurre alla conclusione. Ma ecco un momento di silenzio, nel quale il clarinetto espone l'idea fissa. Il rullo di tamburo segna l'andata al patibolo e la fine di questa allucinata visione.


Liszt scrive una trascrizione della Sinfonia Fantastica per pianoforte, intitolandola significativamente "Partitura per pianoforte"; Liszt avrebbe dovuto scrivere "Spartito", che è l'indicazione musicale del singolo strumento, all'interno dell'orchestra o solista, mentre invece la partitura, è la notazione di tutte le parti strumentali, l'insieme di tutti gli spartiti. Dicendo partitura invece di spartito, Liszt vuol dimostrare che il pianoforte può dar voce a tutti gli strumenti dell'orchestra, anzi, essere un'orchestra del tutto; in questo modo, Liszt emula e addirittura supera Paganini.

La trascrizione riprende pari pari le note e la dinamica della partitura originale, senza cambiare nulla.

Nel quarto movimento, la "Marica al supplizio", Liszt riproduce in modo abbastanza fedele l'introduzione, anche dal punto di vista timbrico (anche se il passaggio del fagotto risulta inevitabilmente più acuto al pianoforte). Utilizza, inaspettatamente per l'epoca, un tremolo (= far vibrare le corde a una tale velocità da non far avvertire un momento di stasi) molto cupo.

Anche per tema eroico Liszt riesce a ricreare le sonorità, utilizzando tutta la tastiera con tutte le dita: allo stesso modo dell'orchestra, riesce a suonare contemporaneamente più note e ad utilizzare più registri, cosa che all'epoca, ma anche oggi, è di una difficoltà sconvolgente.

Per la ripresa rinforzata del tema eroico, Liszt, però, inventa un espediente ancora più difficile: entrambe le mani sono già impagnate a produrre degli accordi ribattuti fortissimi, ma con poche dita il pianista deve suonare la melodia e tentare di farla sentire sopra gli accordi, il che non è facile. Per questo pezzo sarebbe necessaria una terza mano per suonare la melodia! Il rullo di tamburo viene ottenuto con il tremolo.



Composizioni lisztiane che si avvicinano all'idea della musica a programma di Berlioz, sono:

le Apparizioni, composizioni dove Liszt rinuncia al virtuosismo e all'esasperazione tecnica, in favore della rappresentazione di una poesia di La Martin, o alla trasposizione di un valzer di Franz Schubert, nato nel 1797 e morto nel 1828 (Liszt sarà così ossessionato da queste danze schubertiane da inserirle nelle proprie Serate di Vienna);

i 2 Quaderni di pellegrinaggio, raccolte di brani dedicati uno all'Italia e uno alla Svizzera, trasposizioni in musica delle visioni avute durante i viaggi in quelle terre. Marie D'agoult aveva infatti chiesto a Liszt di abbandonare per un po' la caotica Parigi, trasferendosi con lei a Ginevra. Lì, anziché insegnare al Conservatorio come avrebbe potuto benissimo fare, Liszt diede lezioni private, che però non gli permisero di risollevarsi dal tracollo economico causato dalla sua mania di sperperare. In quel periodo scrisse una raccolta di brani intitolata Album del viaggiatore, che è appunto la prima versione dei Quaderni di pellegrinaggio: esso non è altro che la descrizione musicale dei momenti più intensi a livello artistico e culturale vissuti viaggiando in Italia, Svizzera e Ungheria. Mentre, appunto, le prime due nazioni saranno le dedicatarie dei Quaderni di pellegrinaggio, l'Ungheria verrà celebrata in composizioni sparse, non una raccolta organica, le Rapsodie ungheresi. La musica, come in Berlioz, è utilizzata allo stesso modo del linguaggio nella letteratura, descrive e racconta esperienze concrete.


Sia Berlioz che Liszt sono stati bistrattati spesso dalla critica musicale: il primo per le armonie troppo elementari, mentre il secondo per un'invenzione melodica troppo facile, al limite del kitsch. In realtà queste accuse fanno riferimento solo a certi brani, non certo all'intero corpus dei 2 compositori.


Liszt, compositore-esecutore, oltre che a scrivere per sé stesso, dovette anche comporre musica d'occasione e scrivere più versioni delle proprie composizioni a seconda del pubblico che frequentava un determinato concerto; per soddisfare la voglia di prodezze pianistiche del pubblico, Liszt non esitò ad aggiungere passaggi difficili in lavori di altri compositori, cosa che comunqe compiva regolarmente anche se li suoneva per esclusivo interesse personale. Si può dire quindi che Liszt faceva di tutto per accontentare il gusto corrente del pubblico.


A Parigi, oltre che i già citati Proudhon, Saint-Simon e Lamennais, Chopin e Berlioz, Liszt conosce anche il fior fiore dell'aristocrazia locale ed altri artisti: Heinrich Heine (1797-1856), poeta emigrato tedesco, il pittore Eugene Delacroix (1798-1863), gli scrittori Victor Hugo (1802-85), Alfred De Musset (1810-57), Honoré de Balzac (1799-1850), Pierre Gautier (1811-72), George Sand (1804-76), pseudonimo di Aurore Dupin, compagna di Chopin.


Il soggiorno a Ginevra, secondo le biografie più romanzate, venne interrotto nel 1836 dalla notizia del successo strepitoso riscosso a Parigi dal pianista e virtuoso Sigismund Thalberg (1812-71), che pareva offuscare quello di Liszt; in realtà il Nostro aveva intenzione di tornare comunque a Parigi al più presto per sistemare i propri affari, tant'è che Thalber non è neppure a Parigi quando Liszt vi fa ritorno.

Solo nel 1847 si tiene il duello musicale tra Liszt e Thalberg, organizzato dalla principessa Cristina di Belgioioso: si sarebbe aggiudicato la vittoria chi avesse ottenuto più applausi. Liszt eseguì un Divertimento su una cavatina dalla Niobe di Giovanni Pacini (1796-1867), mentre Thalberg la Fantasia (= il prendere a prestito un tema particolarmente bello e conosciuto e variarlo; può dre origine a un capolavoro, o a un'opera mediocre, se non orribile) da "Dal tuo stellato soglio" dal Mosé di Rossini, op.33. Thalberg era figlio illegittimo del principe Moritz Dietrichstein e della baronessa Wetzlar, che si rifugiarono in Svizzera per farvi nascere il bambino lontano dalle rispettive famiglie; durante la sua carriera di virtuoso, propose delle composizioni a volte tecnicamente ancora più difficili di quelle di Liszt, influenzando quest'ultimo esclusivamente per quanto riguarda la tecnica pianistica. Infatti, nonostante le grandi capacità ed inventiva tecniche, Thalberg non fu un grande compositore, e i suoi lavori, sia nella forma che nel contenuto, riflettono troppo spesso il cattivo gusto dei salotti: Thalberg compose infatti fantasie, parafrasi, reminescenze e divertimenti da arie d'opera, molto richiesti dal pubblico sempliciotto, e i cosiddetti pezzi caratteristici, brani orecchiabili e semplici anche da suonare. Tra questi una piacevole e breve tarantella. Thalberg, insomma, riflette appieno il passaggio dal mondo dall'opera a quello del concertismo nei gusti del pubblico, e per la sua pochezza musicale è oggi dimenticato.


La cabaletta "Dal tuo stellato soglio", dal Mosé di Rossini, quest'edizione è l'inaugurazione della ricostruzione della Scala, con al podio nientepopodimenoche Arturo Toscanini, ritornato dal suo esilio negli Stati Uniti poiché anti-fascista), nella prima parte, è costruito seguendo un preciso ordine: la stessa frase musicale esposta dal solista, viene sempre poi ripetuta dal coro, con il medesimo accomagnamento, il tappeto sonoro dell'arpa; solo il timbro e la tonalità del tema cambiano. Ad un certo punto, una trasformazione totale: il passaggio dal modo minore al modo maggiore crea una tensione musicale e un clima liberatorio che rispecchiano appieno il riaccendersi della speranza nella preghiera degli Ebrei per fuggire dall'Egitto. Adesso a cantare sono solisti e coro assieme, e anche l'accompagnamento è cambiato: dall'arpa alla sezione degli archi, che danno maggior sostegno e conferiscono maggior sonorità al tutto grazie al modo maggiore. In musica bisogna fare attenzione con le frasi che si ripetono sempre uguali, perché a lungo andare annoiano.


La Fantasia di Thalberg op.33 su "Dal tuo stellato soglio", dal Mosé di Rossini, è un piccolo disastro per quanto riguarda la qualità musicale, ma contiene uno dei passaggi più difficili di tutta la letteratura pianistica:

già l'introduzione, in sé piuttosto lunga e bruttina, pari all'originale, richiede degli arpeggi molto larghi, difficoltosi specie per chi ha delle mani molto piccole;

il tema viene proposto spezzato, suddiviso tra alcune dita della mano sinistra ed altre della mano destra, quasi tutte, ma le dita restanti devono suonare il resto, e ciò richiede una grande resistenza fisica (problabilmente è proprio Thalberg ad inventare una tecnica del genere). Infatti sia l'accompagnamento alla mano sinistra (in originale dato dall'arpa), sia il tema vero e proprio, suonato dalla mano destra, sono nel registro basso, per cui la destra deve stare attenta nel suonare a non intralciare la sinistra e viceversa. Questa è una delle difficoltà tecniche più ardue da superare nella storia del pianismo;

Un passaggio con 2 note che rieccheggiano il tema alla mano destra e poi fuggono via con dei piccoli arpeggi, passaggio anche questo di grande difficoltà, fanno sentire il tema staccato dall'accompagnamento;

Nel finale della Fantasia, per simulare il cambio da modo minore a maggiore, Thalberg utilizza degli accordi con entrambe la mani, con i quali il pianista deve fare emergere il tema; a tutto questo però aggiunge degli arpeggi che devono essere suonati dalle altre dita ancora libere, tutto in fortissimo e per 7 pagine dello spartito! Alla faccia della resistenza pianistica!


Cristina di Belgioioso, amica di Liszt e conoscitrice del belmondo parigino, invita il virtuoso e la compagna Marie D'Agoult sul Lago di Como, dove nascerà la loro figlia Cosima; essendo stata amica di Vincenzo Bellini (1801-35), operista pre-verdiano morto giovanissimo, la principessa desidera che Liszt, Thalberg, Chopin, Carl Czerny e due compositori-pianisti oggi dimenticati, Johann Pixis e Enrique Herz, gli rendano omaggio variando per pianoforte uno dei suoi temi più famosi, "Suoni la tromba, intrepido", dall'opera I puritani. Nasce così l' "Hexameron. 6 grandi variazioni di bravura sulla marcia de I puritani di Bellini". 6 variazioni, tante quanti i compositori coinvolti e quanti giorni impiegò Dio per costruire il mondo.

La compattezza estetica di questo lavoro è dovuta tutta a Liszt, che infatti è l'autore dell'introduzione, della trascrizione del tema per pianoforte, del finale e degli interludi = brevi brani che collegano una variazione all'altra, senza però modificare nessuna di esse; Liszt non aggiunge niente di proprio in questo caso al lavoro degli altri (come è solito fare ampliamente in altri casi), ma completa una variazione per portare l'ascoltatore nella maniera più conseguente possibile alla successiva.

L'Exameron è utile per confrontare grandi compositori come Liszt e Chopin con compositori-esecutori, anche virtuosi, che componevano cosucce oggi dimenticate.

Ma partiamo dal motivo da variare: l'aria "Suoni la tromba intrepido", è costituita da un tema eroico, che tenore e baritono si passano tra loro, accompagnato da degli accordi spezzati degli archi che danno il senso di ansia ed eccitazione al tema stesso. È un'aria che dà un senso di carica.

L'introduzione dell'Exameron, scritta da Liszt, presenta un clima cupo, del tutto diverso dal tema belliniano, molto fermo perché prepara, appunto, l'arrivo del tema. Liszt fa sentire subito, ma non troppe volte, l'inciso del tema originale, legando così la propria introduzione al tema di Bellini.

Quasi tutte le 10 dita delle 2 mani suonano a tutta forza le reminescenze del tema per stuzzicare l'attenzione, senza però che Liszt lo faccia ascoltare del tutto. Immette quindi il tema, ma lo cambia completamente dal punto di vista armonico: il carattere è più simile a quello belliniano rispetto all'introduzione, ma l'armonia è totalmente diversa; questo ci fa sorgere ancora di più il desiderio di ascoltare il tema originale. A questo punto un tremolo, in cui parti del tema vengono proposti nella parte grave della tastiera ("con duolo", scrive Liszt), che sarà ripreso nella seconda variazione, pure di Liszt; ci viene ancora più voglia di ascoltare il tema, che finalmente prorompe tra fuochi d'artificio. Alla riproposizione del tema, Liszt aggiunge una cadenza tutta sua.

La 1° variazione è di Thalberg: molto leggera e dal clima brillante, in cui il tema si sente chiaramente, presenta un aumento della difficoltà di esecuzione.

La 2°, è cupa come il "con duolo" dell'introduzione; Liszt cambia melodia e armonia: non ci fa scordare proprio il tema, ma l'armonia è stravolta. Quando è costretto a riprendere il tema, pare quasi che se ne vergogni, per cui stravolge ancora l'armonia. La variazione non ha conclusione, e la parola passa subito alla 3° variazione, di Pixis: anche questa, di bravura, esteriore e spensierata. Il passaggio dal forte al piano costituisce l'unica nota di merito di questa variazione.

Il primo interludio di Liszt richiama ancora il clima cupo dell'introduzione.

La 4° variazione, di Herz, è sempre brillante, ma almeno il tema è messo in secondo piano , in sottofondo per tutto il tempo, il che dà coerenza alla variazione, che è di tipo armonico.

La 5° variazione, di Czerny, è una summa del suo lavoro di didatta: presenta, infatti, tutte le possibili difficoltà tecniche pianistiche, anche se non è all'altezza musicale delle altre.

Il secondo interludio lisztiano richiama sempre il cupore dell'introduzione; procede per un po', ma poi si arresta, preparando il terrreno alla 6° variazione, scritta da Chopin: è di tipo armonico, e l'atmosfera è quella di un notturno. Si odono lontanissimi gli accordi eroici di Bellini, ma l'armonia e l'atmosfera eroica sono del tutto stravolte.


L'interludio che collega la variazione di Chopin al finale lisztiano, è un omaggio di Liszt stesso al grande compositore-pianista polacco, tant'è che è pure scritto "alla maniera di Chopin , come se fosse suo.

Nel finale si deve, come di norma, riascoltare il tema originale; ma Liszt lo fa precedere da un'introduzione, che è la summa di tutte le forme di variazioni possibili sopra un tema d'opera: è un insieme di variazioni in miniatura all'interno dell'insieme di variazioni più ampio dell'Hexameron. Quest'introduzione inizia con delle note ribattute nervose, che non portano in una direzione precisa né, come dovrebbero, a un crescendo o a un momento di riposo; Liszt scrive sulla partitura che devono avere un andamento "spiritoso", ma spiritoso nel senso di spiritico, diabolico, mefistofelico. Una grammatica musicale così "diabolica" Liszt la adotterà in pochi altri brani, legati in qualche modo al mondo demoniaco e magico: il Mefisto-valzer n.1 e la Danza degli gnomi. In breve, l'indicazione "spiritoso" in Liszt si trova molto raramente.

Tuttavia, il virtuosismo che List qui utilizza non è fine a sé stesso come quello di un Pixis, o di un Thalberg.

Alcuni passaggi improvvisi interrompono il discorso musicale, nel quale si percepisce qualche nota del tema di Bellini: queto ci fa capire che siamo arrivati al finale e che presto riascolteremo il motivo originale. Liszt si trova quindi costretto (povero picio!) a farlo riascoltare. Ma sulla partitura, egli scrive "Tutti", come se ci dovesse essere un'intera orchestra che debba eseguirlo: infatti, nella mente di Liszt, il brano andrebbe eseguito per strumento solista e orchestra (il solito megalomane!); perciò il finale è come se fosse idealmente eseguito da un'intera orchestra! Con qualche modulazione per cambiare intonazione al tema e, tanto perché Liszt non si smentisse davanti al pubblico, una conclusione scoppiettante.


Durante il soggiorno in Italia, Marie legge ogni sera a Liszt dei passi dalla Divina Commedia, con un atteggiamento quasi materno (non bastavano le solite fiabe x bambini!). Queste letture daranno lo spunto per la composizione della "Sinfonia-Dante": Liszt, però comporrà soltanto l'Inferno e il Purgatorio; riteneva infatti che la musica (non il "modesto" Liszt, eh!, la musica!) non potesse descrivere il Paradiso, così vicino a Dio.


In questo periodo, l'attività concertistica di Liszt non è più così frenetica, sembra quasi interrotta, anche se ogni tanto accetta di suonare a degli inviti: a Milano, secondo la moda del tempo, gli chiedono di improvvisare su dei temi musicali scritti dal pubblico su dei foglietti e messi in un cesto; gli chiesero pure di scrivere una variazione sul Duomo di Milano, ma non su un tema intitolato così, proprio sull'edificio! Gli chiesero un parere in musica anche sulla questione se sia meglio ammogliarsi o rimanere scapoli!

Tuttavia, dopo aver pubblicato in Svizzera una dura requisitoria contro il mondo musicale italiano, Liszt si attirerà le ire della critica e del pubblico del Bel Paese.

Suona a dei concerti di beneficenza, uno per la raccolta di fondi destinati agli sfollati di un'alluvione a Budapest, l'altro per la costruzione di una statua di Beethoven, voluta dallo stesso Liszt dopo un primo concerto da cui non si era ottenuto il ricavato sperato.

Dal 1839 al 1848 circa, l'attività concertistica di Liszt è di nuovo intensissima: tocca, infatti, tutti i centri culturali d'Europa (arriva fino alla corte del sultano di Costantinopoli!).


Si è già detto che Liszt è il creatore del concerto solistico, dove è il solo pianoforte a suonare, senza l'orchestra. In questi concerti, il Nostro presenta lavori propri e di altri compositori: tra questi, gli operisti italiani Donizetti, Bellini e Verdi; l'amico Richard Wagner, Giacomo Meyerbeer (1791-1864), autore tedesco ebreo naturalizzato francese di Grand-Opéra, ma anche composizioni poco conosciute di Grandi del passato (Mozart, Gluck, Beethoven).


Liszt e molti dei suoi colleghi virtuosi citati poc'anzi, furono autori, come imponeva anche la moda del tempo, di brani che riprendessero e variassero in vario modo arie, cabalette e passi celebri di opere:

trascrizioni per pianoforte, ma anche per altri strumenti;

fantasie;

reminiscenze, forma vicina alla fantasia, che ricordava in qualche modo il tema originale, e che come la fantasia, richiedeva l'intervento creativo del compositore sul motivo da variare.

Illustrazioni, una forma ibrida tra la variazione e la fantasia;

Partiture, trascrizioni di un tema ripreso pari pari per pianoforte.


Molti di questi lavori sono usciti ormai dal nostro repertorio, ma alcuni sono interessanti, come le Variazioni sul Don Giovanni di Mozart composte da Liszt stesso.


Si è già parlato delle Rapsodie ungheresi, abbozzate in Svizzera dal 1835, scritte materialmente negli anni 30 dell'800 e rimaneggiate fino alla morte; esse sono perlopiù un campionario di musica facile, esteriore, e sono forse l'opera più nota di Liszt presso il grande pubblico, lo identificano (soprattutto la n.2). Avrebbero dovuto essere un tributo di Liszt alla madrepatria. Scrisse anche un libro sulla musica che lui identificava come "ungherese", Gli zingari e la musica popolare ungherese: questo testo, però, non è corretto da un punto di vista etnomusicologico, perché musica tzigana e musica popolare ungherese non sono affatto la stessa cosa, Liszt le confonde (anche se riconosce che la prima ha inflluenzato per molti aspetti la seconda). Le stesse melodie che Liszt utilizza nelle Rapsodie non sono unghgeresi DOC, ma tzigane, quelle tralaltro più elementari, che si suonavano per strada o nei caffè-concerto; anche qui, quindi, correttezza filologica zero. Anche le Danze ungheresi di Brahms, in realtà, di ungherese vero e proprio hanno poco o niente: contengono infatti, musica "leggera", fatta per divertire e composta sullo stampo di quella popolare, e certi temi unghereseggianti se li inventa Brahms di sana pianta.


Sarà il compositore ungherese novecentesco Bela Bartok (1881-1945) a registrare sui supporti dell'epoca i veri canti popolari dell'Ungheria, slavi in genere e, in parte, anche dei Balcani. E, ma guarda un po', ringrazierà proprio il testo ciofeca di Liszt!

Le rapsodie ungheresi affascinano per i ritmi e i timbri inusitati. La più interessante da un punto di vista analitico, è la n.15 , sul tema della Marcia di Rákóczy, eroe della resistenza ungherese contro gli Austriaci. Neppure questa marcia, dal tema piuttosto piacevole, appartiene al vero repertorio popolare: fu scritta da un certo Franz Erkel, autore di musica leggera.

L'introduzione a questa rapsodia ha un'atmosfera cupa e d'imprecisione, che ci renderà apprezzabile quella del tema. Liszt ci fa ascoltare il tema di Erkel sostenuto da un'armonia che va contro le regole del Classicismo viennese: Haydn, infatti, prescriveva che ogni meloDia dovesse contenere in sé una precisa armonia, doveva esserci coerenza tra le 2. Liszt, invece, introduce nell'esposizione del tema degli accordi alla manon sinistra dissonanti, che creano una tensione continua, mai interrotta da un momento di riposo. Questo tema, quindi, si presenta con una ruvidezza molto inusuale e poco apprezzabile all'epoca; il fatto che il pubblico non apprezzasse musica simile è anche dovuto agli accenti, che anziché cadere sulla prima nota come in tutta la tradizione della musica colta europea, cadono sulla seconda o terza nota, alla maniera delle danze slave, il che dava un tocco di esotismo.

Finalmente la cupa ruvidezza si interrompe quando Liszt fa ascoltare il tema quasi fosse una canzoncina.

Il trio centrale è sereno e pacifico, calmo riflessivo e sostenuto; si contrappone del tutto all'introduzione e al tema precedenti.

A questo punto, Liszt imita uno strumento tipico ungherese, il zimbalon, le cui corde venivano battute a gran velocità con delle bacchette dalle estremità in peltro.

Quindi una serie di arabeschi, una cadenza, un passaggio che rieccheggia il cupore dell'introduzione, e di nuovo l'esposizione del tema.


Berlioz scrisse una versione per orchestra della "Marcia di Rákóczy", all'interno de "La dannazione di Faust": tuttavia, il risultato è solo una piacevole marcetta quasi per soldatini, nonostante il compositore avesse a disposizione l'immensa tavolozza timbrica orchestrale. Il bello è che fa deviare Faust in Ungheria solo per far ascoltatre questa benedetta marcetta!


Il 1847 è un anno cruciale per Liszt: incontra, infatti, la sua futura compagna di vita e poi grande amica Caroline Saint-Wittgenstein, il che segna la rottura con la D'Agoult (hallelujah!), e la fine della carriera concertistica. Quest'ultima si verifica non per il volere di Caroline, ma di Liszt stesso, che crede di aver trovato nella sua nuova compagna l'oasi di pace che stava cercando da tutta una vita. Caroline, donna forte e colta, sarà per Liszt quasi una madre.


Ma il motivo dell'abbandono del concertismo (o perlomeno del concertismo frenetico), non è solo di natura sentimentale: nel 1841, infatti, gli era stato proposto di diventare direttore d'orchestra della Corte di Weimar, fervente centro culturale ai tempi di Bach e poi di Goethe e Schiller. Con la scusa anche di stare accanto alla Saint-Wittgenstein, Liszt può così stabilirvisi e ricoprire la prestigiosa carica, che permette di organizzare tutte le attività musicali della città.

Scriverà così: "Ho smesso di comporre musica per il pianoforte nel 1847"; ma questo non è del tutto vero.


Come direttore dell'orchestra di Weimar, Liszt sente la responsabilità, quasi apostolica, di dover diffondere la cosiddetta "musica nuova", dei nuovi geni bistrattati dal mondo musicale: tra questi, l'amico Richard Wagner, futuro grande riformatore del teatro musicale. Liszt lo finanzierà e gli presterà denaro nelle occasioni più difficili, e ne dirigerà le opere: la prima del Lohengrin a Weimar; leggerà e dirigerà il Tannhäuser; assiterà anche al Rienzi. Mentre le influenze wagneriane in Liszt scarseggiano, Wagner dovrà essere debitore all'amico non solo dal punto di vista economico, ma anche musicale.

Liszt tributerà all'uomo Wagner molte delle proprie composizioni per pianoforte o organico da camera, soprattutto dopo la sua dipartita (tié!):

"La lugubre gondola", scritta pre-avvertendo la morte dell'amico a Venezia, dove si era trasferito nel palazzo Vendramin-Calergi;

"La seconda lugubre gondola"

"Sulla tomba di Wagner"

"R.W. Venezia"


Negli ultimi anni, Liszt è effettivamente fissato con la morte e la sofferenza, e la sua produzione sarà piena di "Musiche del lutto".

Quando, però, Cosima abbandona il marito Hans von Bülow, valente direttore d'orchestra e allievo prediletto di Liszt, per Wagner, i rapporti tra i due amici s'interrompono per un certo periodo.


Grazie a Liszt, quindi, Weimar diventa la città delle novità in musica, dove l'atteggiamento di chi l'ascolta non è semplicemente edonisitco, ma intellettuale e razionale; Weimar è insomma il centro della "musica dell'avvenire", che è anche il titolo di un saggio di Richard Wagner, il quale, assieme a Liszt e ad altri autori minori forma la cosiddetta "Scuola neo-tedesca".

Nel 1860, su un giornale a Vienne viene pubblicato un manifesto che si oppone (in modo alquanto rozzo, a dire il vero) alla scuola di Weimar, ed è firmato da: Clara Wieck, la moglie di Schumann, apprezzatrice del Liszt degli esordi; Johannes Brahms, allontanatosi dal compositore ungherese dopo le sue ultime sperimentazioni dissonanti; Josef Joachim, amico di Brahms e 1° violino proprio alla corte di Weimar, e quindi si ribella al suo direttore d'orchestra. Il manifesto pare incrinare il successo e la fama di Liszt: la critica si scaglia soprattutto contro i suoi Poemi Sinfonici per orchestra (data l'inesperienza, Liszt si fa aiutare nell'orchestrazione da Raff e Konradi, che aggiungono molti spunti interessanti), i quali si avvicinano molto all'idea di "musica a programma" di Berlioz e, a parte forse quello intitolato "I preludi", sono tutti piuttosto ostici, rudi, con delle sonorità lontane dal gusto del pubblico. Liszt dimostra così di non volere più assecondare i gusti di quest'ultimo.


Nel periodo di Weimar, Liszt pare aver rinunciato alla carriera di virtuoso e alle composizioni per pianoforte, ma come già detto, non è del tutto vero: in realtà dà ancora qualche concerto, e proprio a Weimar scrive un capolavoro pianistico dietro l'altro. Tra questi:

la Totentanz

la Sonata in si minore, nel 1853

i Mefisto-valzer n.1-2-3: il primo di questi è in realtà tratto da una sua precedente composizione per orchestra, intitolata "2 episodi dal Faust di Lenau", un altro scrittore interessatosi alla leggenda dell'uomo tentato dal Demonio;

la Bagatella senza tonalità, che in origine sarebbe dovuta diventare il 4° Mefisto-valzer, e che, come si può ben intendere dal titolo, sconvolge tutte le leggi della composizione, anticipando sperimentazioni ben successive. Per questo Liszt non la pubblicò mai;

la "Faust-Sinfonia", composta da 3 ritratti musicali di Faust, Margherita e Mefistofele (e ridagliéla!)


Come ben si sarà capito, Liszt è ossessionato anche dall'idea di Mefistofele, del Demonio, ma non perché volesse identificarsi con lui durante le esecuzioni come faceva Paganini, ma per degli interessi culturali, sorti probabilmente proprio nella città goethiana di Weimar. Liszt, in breve, considera il Demonio come parte dell'universo.


In seguito all'insuccesso incontrato dall'opera Il barbiere di Bagdad dell'allievo Cornelius, Liszt, definitivamente consapevole che la propria missione di apostolo e difensore della Musica nuova non sia stata compresa, abbandona Weimar per girare l'Italia.



Liszt e Caroline soggiornano quindi, seppur non continuamente, a Roma per un periodo di 8 anni: scelgono proprio la capitale per richedere l'annullamento del matrimonio di Caroline, con l'intercessione presso la Santa Sede del cardinale Gustav von Hohenlohe, parente (del marito della nipote) di Liszt; ma Roma è anche un forte richiamo per il religiossisimo (seppur a suo modo) Liszt, e luogo ideale dove egli possa comporre opere sacre. Liszt, nella sua solita angiolesca superbia, intendeva diventare il continuatore di nientepopodimenoche Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525-94), grande compositore rinascimentale di messe liturgiche che operò nella Capitale.


Gustav von Hohenlohe, oltre ad occuparsi della pratica di divorzio di Carolina, permette a Liszt di soggiornare nella Villa d'Este, tra il 1867 e il 1882:

"Giochi d'acqua a Villa d'Este" e

"I cipressi di Villa d'Este"

Questi 2 lavori influenzeranno la musica francese della prima metà del'900, comunemente (e barbaramente) etichettata "Impressionismo", e due tra suoi massimi esponenti:

Claude Debussy (1862-1918) e

Maurice Ravel (1875-1937)


Liszt, negli ultimi anni, si sposta tra Roma, Weimar e Budapest. Il suo desiderio di vedere eseguite le proprie composizioni sacre a Roma, si scontra con il diniego della Santa Sede che, probabilmente dopo aver prestato orecchio alle critiche contro Liszt, considera i suoi lavori troppo difficili, popolareggianti, non consoni allo spirito della cristianità. Questo, oltre a una serie di fatalità (il fallimento del matrimonio con la Wittgenstein, la morte di 2 figli, la non riuscita della carriera eclesiastica, gli attacchi alla sua musica da parte di coloro che considerava come vecchi amici, Brahms e Clara Wieck-Schumann) provoca un'intensa disperazione in Liszt, che soprattutto negli anni '60 dell'800 soffrirà di momenti di sconforto sempre più lunghi, al limite della depressione.

Ciononostante, sente di dover continuare questa vita di apostolo della musica nuova, anche se gli ha negato la carriera concertistica e non gli dà gli stessi successi di questa. Dà quindi ancora qualche concerto e, pochi giorni prima di morire, esegue ancora lavori della schiera della Musica nuova.


Nel 1886 muore sintomaticamente a Bayreuth, sede del teatro di Wagner, per la cui musica si è battuto anche a costo di perdere la stima e l'amicizia dei primi sostenitori; Wagner aveva ammesso solo negli ultimi anni il suo debito nei confronti dell'amico, riferendosi forse però più a quello economico, che non a quello musicale, ancora più ingente.

Inoltre, le esistenze dei due compositori sono, in un certo senso simili ma contrapposte: prima del 1864, la vita di Wagner, fu un'avventura (come musicista esiliato, sempre in fuga e indebitato fino al collo), e in questo senso può definirsi "rivoluzionaria" rispetto allo stile di vita di un musicista del secolo precedente, è un artista che tenta di vivere solo del proprio lavoro; divenne alla fine musicista alle dipendenze (e sanguisuga) del re di Baviera Ludwig 2° (che nutriva interessi non solo musicali nei suoi confronti. >_<'). Liszt, dopo aver iniziato con una brillante carriera di virtuoso come tanti altri musicisti, divenne un libero artista senza alcun bisogno di mecenati. Insomma: Wagner nell'ultima parte della sua vita pare un musicista-servitore del potente di turno, come fosse tornato indietro nel tempo; la vita di Liszt, invece, cominciò in modo tradizionale, con una carriera di virtuoso, come tanti altri musicisti, ma terminò in modo innovativo, da libero professionista osannato da tutti.


Nonostante il rispetto e la fama, tuttavia, le ultime composizioni di Liszt non furono capite e giudicate addirittura stranezze da un vecchio pazzo che ormai non aveva più nulla da dire; in realtà costituiscono forse la parte più vera e importante della produzione lisztiana. Esse in gran parte tendono a non avere più un centro tonale, cioè che non cominciano e finiscono con la stessa nota e (spesso) gli stessi accordi che questa nota richiede, e rinnegano il concetto stesso di melodia e di musica inteso fino ad allora: la melodia sarà spesso assente o spezzata. Per questo infrangono molte delle leggi che regolano la struttura musicale, aprendo così le porte ai compositori padri dell'avanguardia '900sca:

- Debussy, già citato come autore impressionista [vabbè.];

- Arnold Schömberg, o Schoemberg, come si farà chiamare per eliminare qualsiasi elemento tedesco dal suo nome, dopo che Hitler avrà preso il controllo della Germania e vietato qualsiasi espressione artistica agli ebrei (1874-1951), padre della tecnica dodecafonica;

- il suo allievo Anton Webern (1883-1945), pure autore dodecafonico;

- Igor Stravinsky (1882-1971), compositore eclettico e autore di famosi balletti, influenzato da Liszt soprattutto per quanto riguarda il percussionismo;

e poi ancora

- Ravel

- Bartok.


Tra le composizioni che non hanno più un centro tonale ci sono:

il "Preludio funebre", che inizia in modo insolito, con note poco gradevoli nella parte grave della tastiera, anziché in quella acuta per attirare subito l'attenzione, e danno l'idea di essere più una macchia sonora che l'inizio di una composizione; non costituiscono un crescendo, come parrebbe a prima vista, ma l'iterazione di un piccolo inciso (= piccola parte di melodia) alla mano destra, poi ripetuto dalla sinistra, che alla fine rimane, conlcludendo il tutto con un accentato forte. Liszt utilizza note che non fanno riferimento a nessuna tonalità (do diesis, si, mi bemolle, do diesis); l'assenza di tonalità implica un'assenza del tipico susseguirsi di tensione e riposo, e perciò una sensazione di instabilità, rarefazione.

"Nuages gris = nuvole grigie, contraddistinta da un materiale musicale poco coinvolgente per l'ascoltatore e, quindi, l'esecutore stesso si trova in difficoltà nel suonarla, perché non sa su cosa attirare l'attenzione (forse il timbro); l'inciso viene qui ripetuto, anziché variato come Liszt avrebbe fatto in passato; anche qui, la mancanza di un punto fi riferimento tonale provoca una continua tensione; le note si fanno via via sempre più difficili e sgradevoli;. 3 note in salita e 3 note in discesa costituiscono l'introduzione, dove la terza nota non ha nessun legame tonale con le altre; un insieme di 8 battute parerebbe il tema, e viene ripetuto; inaspettatamente, però, Liszt inserisce il tremolo, che trasmette per antonomasia un senso di indistinto e la mancanza di un riferimento forte (una volta l'avrebbe usato per imitare e gareggiare con l'orchestra); la conclusione lascia sgomenti, in quanto non sembra una vera conclusione.

"Bagatelle sans tonalité" = bagatella senza tonalità.


Il recupero del virtuosismo da parte di Liszt, avviene con gli "Studi". Abbiamo visto come gli studi composti dalla maggior parte dei compositori-virtuosi contemporanei di Liszt (Czerny, Hummel, Steibelt, Thalberg) fossero freddi e noiosi per il modo in cui fossero scritti e il fatto che prevedano la ripetizione continua dell'esercizio. Solo Chopin si era distinto con i suoi studi da concerto, nei quali viene affrontata sì una difficoltà tecnica, ma la composizione è nell'insieme piacevole da ascoltare e può essere considerata un'opera d'arte vera e propria per l'invenzione.


Gli studi di Charles Valentine Enrique Morhange, più noto con lo psedonimo di Alkan (dal nome del padre, Alkan Morhange, pronunciato alla francese, 1813-88) potevano competere e addirittura superare in difficoltà quelli di Liszt (a proposito vi è, come al solito, l'improbabile storiella che Liszt avesse paura di duellarci) ed essere ricchi a livello contenutistico ed estetico quanto quelli di Chopin, anche se pochissimi musicologi sono disposti ad ammetterlo. È infatti considerato un epigono, e le sue bizzarre vicende biografiche ed abitudini compositive hanno contribuito a studiarne superficialmente l'opera, se non a porvi un velo di silenzio. Ebreo francese, Alkan vince a 7 anni un concorso come violinista, e al Conservatorio studia pianoforte e vince un altro concorso per questo strumento; gli si apre una brillante carriera di concertista e compositore. Appartenente a una famiglia benestante e colta, Alkan viene introdotto nei salotti che contano e diventa amico degli stessi Liszt e Chopin e della compagna di questi, George Sand; la sua prima composizione riscuote successo. A un certo punto, però, Alkan scompare dalla vita pubblica, e le sue notizie biografiche, da questo punto in poi, si fanno rade e lacunose, e la leggenda prende il posto della verità. Sembra che se ne stia sempre chiuso in casa, circondato da 3 scimmie e un centinaio di pappagallini, a tradurre in francese dal talmud l'Antico Testamento, uscendo solo, pare, per concepire un figlio illegittimo, Eliah Miriam [?] Delabort, che poi diventerà suo allievo; è merito anche di questi che i lavori di Alkan non siano andati completamente dimenticati. Anche la sua morte è circondata dal mistero e dal grottesco: un incidente domenstico, non si sa se gli sia caduto addosso uno dei suoi amati libroni in talmud, o l'intera libreria; non è valso a nulla neppure il trasporto in ambulanza.

Le composizioni di Alkan sono piene di "gaffe" musicali, di errori (accenti sgradevoli, cambiamenti anticonvenzionali nella melodia), e pare che lo stesso Alkan si rifiutava di suonarle, (ma forse non perché non le sapesse, ma per un suo capriccio) e per questo furono considerate strane ed ineseguibili: dal modo in cui sono scritte, spesso non si capisce davvero se siano scritte apposta così per fare dello spirito e prendere in giro sé stesso e gli altri, o se fossero vere e propri orrori e inesattezze. Forse la seconda ipotesi è quella più corretta, dato che Alkan aveva uno straordinario e raffinato senso dell'umorismo, che riversava pure nelle sue composizioni, sia livello di titoli, che di forma:

- uno degli schizzi per pianoforte si intitola "Morituri te salutant";

- lo studio n.12 dall'op.39, intitolato "La festa di Esopo", è un insieme di variazioni per ogni animale, descritto attraverso suoni caratteristici riprodotti al pianoforte;

- scrisse uno studio "per la sola mano sinistra",

"per la sola mano destra",

"per 3 mani": vale a dire due suonavano, uno con 2 mani e uno con 1 sola;

- 12 studi "per i piedi": ossia per uno strumento simile al pianoforte, dove si suonava con i pedali anziché con i tasti, il pedalier;

- dedicò una "Marcia funebre per un pappagallo morto", tralatro scritta per un organico alquanto inconsueto (voci, 3 oboi, 1 fagotto e 1 organo), a Rossini, che era pure amante di questi colorati pennuti. Solo altri 2 autori sono stati, se così si può dire, spiritosi nelle loro opere: il Rossini dei pezzi per pianoforte, composti dopo il ritiro dall'opera lirica; Erik Satie (1866 - 1925), che dava ai propri lavori titoli molto enigmatici (un esempio per tutti, "Embrioni essiccati". °_°').

Molte composizioni di Alkan, purtroppo, sono andate perse.

Ricordiamo 2 raccolte di studi:

- 12 studi per tutte le tonalità maggiori, op.35

- """""""" minori, op.39. Quest'ultima è caratterizzata da un'altra bizzarria: Alkan raggruppa infatti

o   gli studi n.4-5-6-7 in una "Sinfonia per pianoforte solo", e

o   i n.8-9-10- in un "Concerto per pianoforte solo", quando tutti sanno che il concerto è per strumento solista e orchestra, e la sinfonia per orchestra, non per uno strumento solo!


La produzione di Alkan, è piena di contrasti; ogni sua composizione è una sorpresa, e non prosegue mai come ci si aspetta. Ad esempio, per descrivere in musica una cosa così banale come l'omnibus (una carrozza lunga, quasi un piccolo tram trainato da cavalli), Alkan avrebbe potuto scrivere una pagina di grande difficoltà virtuosistica: invece, ne è uscita una composizione semplicissima, da salotto per dilettanti, una chiara presa in giro delle convenzioni compositive dell'epoca.


Lo studio op.27 "Le Chemin de Fer" = la strada ferrata, è quello più eseguito e per il quale Alkan venne avvicinato da altri musicisti, nonostante esso sia pieno di scelte quasi anti-musicali. Le prime 52 battute sono praticamente costituite da una stessa nota ribattuta alla mano sinistra: ma questo passaggio, sicuramente brutto e ripetitivo, non è solo una mera descrizione musicale del treno in corsa, il quale è lo spunto che dà il titolo alla composizione, seppur preannuncia brani descrittivi che omaggeranno la 2° rivoluzione industriale nella 2° metà dell'800; è un omaggio ai tempi che cambiano. L'accompagnamento alla mano destra è "vivacissimo", di una velocità sconvolgente; a un certo punto, Alkan lo toglie per far emergere una strana melodia, una cellula che si ripeterà sempre uguale.

La struttura formale di questo studio non ha nulla di speciale, e le sue parole d'ordine sono: velocità, essenzialità e minimalismo. Il primo tema è molto veloce, d'attacco, ma scarno dal punto di vista armonico; così è pure il secondo tema, seppur la velocità sia meno snervante grazie al fatto che la melodia sia spezzata tra le due mani. La coda di questa prima parte è caratterizzata da delle notine ritmiche (= sullo spartito sono scritte più piccole, perciò vanno suonate più veloci) alla mano sinistra che introducono le note accentate alla mano destra.

- Colpi sempre più accentati fanno tornare al primo tema, riprodotto senza modificazioni; a questo punto si presenta il terzo tema, squillante, pare un richiamo (forse del treno?), acuto, semplice ed essenziale: è la prima volta che un tema viene eseguito nella parte acuta della tastiera, che la tastiera si "allarga". Questo tema via via più scompare, fino a ridursi a una cellula minimale, che si ripete come accompagnamento al centro della tastiera, e verrà riproposto nella parte grave verso la fine.

- 2T→1T<ff

Si ripete il secondo tema un po' più ricco di note, che si ricollega subito al primo tema. Pare tornare al magma sonoro iniziale, ma è più nervoso: visto che si è raggiunta la velocità massima, Alkan ingrossa il tema in un crescendo che termina in fortissimo (ff), come per preparare a un gran finale. La mano sinistra deve fare salti sempre uguali, cosa che è tra le più difficili nel suonare il pianoforte: ciò aumenta la percussività, la ritmicità e l'attesa del gran finale.

Ma, inaspettatamente e come è di norma in Alkan, avviene l'imprevisto: una seconda coda, sempre costituita da notine ritmiche, frena il tutto o prepara a qualcosa di diverso. sembra che ci si fermi. Viene ripetuto il terzo tema, quello acuto. Quindi un finale che più convenzionale non ce n'è, rassicurante come un pezzo da salotto.

Alkan è imprevedibile nella struttura delle sue composizioni


ESORDIO stessa nota ribattuta, palloso, paiono ma non sono descrittive

1 TEMA

2 Tema,    entrambi veloci e scarni armonicamente

CODA notine ritmiche = piccole sullo spartito, vanno suonate veloci

1T→ 3 Tema, acuto come il richiamo, forse del treno

2T→1T<ff,  crescendo e fortissimo pare preparare al gran finale

CODA 2 notine ritmiche inaspettatamente

(3T)

FINALE    da pezzo da salotto, inaspettato


Lo Studio op.17 "'Le Preux" = Il prode, non ha alcun intento descrittivo, e presenta una tecnica pianistica molto strana. L'esordio è freddo, come vuole la tradizione degli studi che mettono in primo piano la didattica e in secondo la qualità e ricerca musicale: ma Alkan voleva ottenere apposta questo effetto di freddezza, per cui lo scrisse scarno e giocando sull'interruzione del piano da accenti forti, spiacevoli, con l'accento sull'accordo; poi fa il contrario, il forte interrotto dal piano, perché l'accento non è più sull'accordo: dal tutto pare emergere un tema anti-musicale.

Un passaggio in ottava pare fermare tutto o voler dire qualcosa di nuovo, mentre la percussività è sempre presente. Comincia a questo punto, una parte completamente diversa, difficile da giustificare e capire: una pagina intera dedicata all'alternarsi, molto veloce tralaltro, di accordi tra le due mani, (passaggio presente sì nella letteratura pianistica, ma non per un'intera pagina!) che però risulta piacevole, perché sembra che ne emerga una melodia dal suono crescente e decrescente e dall'atmosfera romantica.

Riprende il tema anti-musicale dell'esordio, quindi di nuovo la parte degli accordi alternati, e unisce le due parti assieme.

A questo punto, e difficoltà tecniche più difficili di questo studio: l'esecuzione alle ottave di queste due parti nella parte sinistra e destra, una cosa molto difficile, in fortissimo, che richiede grande forza e resistenza del polso.

Alkan stupisce come al solito con un finale ironico: quando infatti tutto sembra terminato in pompa magna, ecco che ci aggiunge un accordo sgangherato.


Lo Studio op. 39 n.10, che costituisce il 3° mov del "Concerto per pianoforte solo"è allo stesso tempo un omaggio e una presa in giro di Chopin, in particolare dello Chopin delle polacche (tipo la Grande polacca op.22, dal ritmo chiaro e caratteristico, e dalla melodia dolce, sulla quale Chopin preferisce concentrarsi, anziché darsi al virtuosismo come il ritmo spingerebbe a fare (per questo è stato soprannominato "il poeta del pianoforte"). Alkan riprende quindi questo ritmo e questa dolcezza a modo suo, scrivendo questo studio "alla maniera di Chopin".

Lo studio porta l'indicazione di "Allegretto alla barbaresca", inventata da Alkan.

L'esordio è esibizionistico e freddo, anche se l'indicazione reca "cantabile": Alkan l'ha scritta apposta per prendere in giro gli esecutori (oltre che sé stesso). Un po' come fa Liszt con i dilettanti con un valzer, quando dice di eseguirlo "forte come lo suono io": cosa impossibile, dato che nessun dilettante avrebbe saputo eseguire un forte come Liszt.

Alkan ripete il tema alla polacca per 3 volte, non solo per annoiare, ma anche perché è l'ultimo movimento del "Concerto".

Quindi il "Tutti", il pianoforte imita l'intervento di un'orchestra, cosa che non centra niente con Chopin (semmai col Liszt del finale per l' "Examéron"), se non per il fatto di prenderne in giro le lacune in orchestrazione; poi, vi introduce una scale musicale che richiama l'Est europeo, ma anche l'Estremo Oriente.

A tratti imita Chopin così bene che pare lui, anche se il tratto scanzonato ci fa capire che si tratta del nostro Alkan.


Nello Studio op.35 n.3, quindi dalla raccolta dei "12 Studi per tutte le tonalità maggiori", Alkan pare imitare quasi alla perfezione lo Schubert dei Momenti musicali, tanta è la dolcezza melodica e il pathos romantico che sprigiona, tanto è introverso il tema, dal fatto che la musica trovi i momenti più intensi nei cambi di tonalità, dalla frequente modulazione: questo studio dimostra che Alkan era capace anche di scrivere con dolcezza e piacevolezza, da compositore poliedrico qual'era.



I 12 Studi di esecuzione trascendentale S.139 per pianoforte di Liszt rappresentano per il pianoforte quello che i Capiricci di Paganini sono per il violino. Di essi ne esistono 3 versioni.

Cominciò a comporli a 15 anni, con l'intenzione di scriverne 48 e di racchiudervi tutta la tecnica pianistica esistente, ma fallisce: la tecnica pianistica è quella facile assimilata da Czerny. La prima versione pubblicata nel 1826 e intitolata Studi in 12 esercizi S.136 presenta freddezza e un approfondimento musicale che deve ancora maturare.

Nel 1837 fa pubblicare la seconda versione, i 12 Grandi Studi S.137: dopo 15 anni di esperienza ha avuto modo di maturare; la difficoltà di questa raccolta è sconvolgente, secondo Rosen.

Ed ecco finalmente nel 1851 gli Studi trascendentali definitivi, compendio di tutta la tecnica per poter affrontare Liszt e tutta la letteratura pianistica precedente.

Questa genesi così travagliata dimostra quanto Liszt tornasse a rivedere e a perfezionare le proprie composizioni.

In realtà, Liszt non pensa immediatamente alla difficoltà tecnica da affrontare quando li scrive, al contrario di Chopin, i cui Studi da concerto, invece, fanno ognuno riferimento a un esercizio; altra differenza tra questi 2 grandi del pianoforte, è che mentre gli Studi del polacco sono raccolti in modo disordinato dal punto di vista della tonalità, quelli di Liszt sono rigorosamente incasellati a gruppi di 3 studi omogenei tra loro nella tonalità (nel primo la tonalità è la "dominante", nel secondo la "relativa minore", il terzo la "sottodominante", se te lo ricordi bene, altrimenti non fa nulla ha detto lui).

Dal 1852 10 Studi su 12 portano un titolo tratto da titoli di poesie francesi dall'atmosfera romantica, caratteristica che accomuna ancora una volta composizioni di Liszt alla musica a programma di Berlioz, all'utilizzo della musica come linguaggio (la musica può dire qualcosa, ma non narrare o semplicemente descrivere come in letteratura) ma, al contrario che in Berlioz, senza intenti descrittivi, se si eccettua lo Studio n.4 "Mazeppa".

Grazie a questi Studi, tutte le potenzialità espressive del pianoforte emergono: vengono sfruttati TUTTI gli 88 tasti, la parte acuta e quella grave della tastiera, entrambe le mani: la melodia può emergere in qualsiasi modo e da qualsiasi parte della tastiera.


Piccola parentesi: le 2 marche di riferimento di pianoforti all'epoca sono le francesi Erard e Pleyel, che testimoniano anche il passaggio dello scettro di capitale della musica nell'800 da Vienna a Parigi; Liszt adopererà per gran parte della sua vita un'Erard, dotato di sonorità migliore nella parte centrale, ricca di accordi, dalla quale appunto Liszt fa emergere i temi; Chopin, invece, prediligerà Pleyel.



Per rendere lo studio trascendentale più vario e interessante c'è sempre l'intervento di Liszt, con l'immissione di tutto ciò che la tecnica pianistica poteva conservare.

Liszt riesce a far emergere delle linee melodiche in ogni registro della tastiera.

Altre difficoltà sono i lunghi passaggi di forza, nei quali il pianista deve sopportare uno sforzo fisico di intensità molto forte, che stanca: per questi Studi, c'è quindi bisogno di un esecutore-atleta. Molto spesso L. usa la tecnica delle note doppie a distanza terza ,quarta ,ottava (ovvero il numero di tasti che distano tra loro) suonate contemporaneamente da 2 dita sin o 2 dita dx. L. propone queste doppie note per arricchire la melodia e rendere più significativa e ricca l'armonia.

Le note che sostengono la melodia, spesso daranno un'armonia all'interno della tradizione, però con delle scelte certamente non gratificanti per l'ascolto.

L. con questa versione definitiva del 1851, rovescia il rapporto col pubblico, imponendo la propria legge, cioè fare scelte che ritiene corrette ma che sono anti-convenzionali e poco gratificanti.

Molte volte all'inizio L. non piace egli interpreta al meglio L'homo novus della metà dell'800, l'uomo borgese che tutto può, ma anche il romantico che si mostra superiore.

Stravolge completamente e rinnega le regole della musica.

Il 1851 è un anno in cui L.può verificare le sue competenze tecnico-meccaniche.

Si può compoetere con tutti ma per gli studi trascendentali L. non compete più con nessuno.


Lo Studio n.1, "Preludio", è un anticipo di tutto il resto, e già questo ci fa capire che L. concepisca gli Studi trascendentali come una composizione unica; la prassi cmq è quella di presentare solo alcune parti.

Esordio:esteriore, per muovere le dita, scaletta di mano dx e fa sentire la sovranità di questa tastiera

Melodia spezzata:di una semplicità incredibile.

Gli accordi sono in Do maggoiore e La minore.essi vengono ripresi sempre uguali ma anche sempre cambiati col loro "Rivolto": in pratica, se io ho un accordo in do maggiore (cioè le note do mi sol suonate insieme, sul pentagramma stanno una sopra l'altra) il primo rivolto consiste nello spostare il do che nel pentagramma sta in basso, ad un 'altra altezza, e nel pentagramma arriva tra la terza e la quarta riga.

Il secondo rivolto, partendo sempre dall'accordo do-mi-sol, consiste nel spostare il mi dal posto in basso al suo posto in alto, quindi tra la quarta e la quinta.

Nel terzo rivolto, sposto il sol più in su.


La presentazione si conclude e porta allo Studio trascendentale n.2, che non porta titolo.

C'è percussività dovuta all'alternarsi dell note tra mano sinistra interrotta con una sorta di regolarità da degli interventi forti.


Il n.3 è "Paysage": brano che ci fa sorgere una strana considerazione perchè è più lento, meno mosso e meno esteriore, ma nello stesso tempo è più dolce, più ricco di pathos, una sorta di ricerca del tocco, del suono, del piacere. E' la coincidenza di queste tre raccolte.

Paysage ha una sorta di ricerca ritmica di ordine/disordine rispetto a ciò che noi ci aspettiamo dal punto di vista ritmico: infatti il forte si ripete dando un tempo più ritmato, e stravolgendo l'ordine ritmico. Rimane stravolto il rapporo tra accento e suddivione ritmica.

Non ci sono intrerventi di ruotine, variazioni: c'è un unico tema che tende a essere riprodotto in varie tonalità.Tuttavia, lo sballamento dell'ordine ritmico rende il brano stimolante e piacevole.


Il quarto studio si intitola "Mazeppa", dal nome di un comandante dell'Ucraina divenuto eroe nazionale. E' l'unico studio che faccia riferimento ad una produzione letteraria, per l'esattezza da una ballata di Victor Hugo, tratta da"Gli orientali", dove descrive il supplizio che i nemici di Mazeppa gli infliggono: lo legano a un cavallo pazzo che lo trascina per un deserto, e lui con la testa rivolta in alto vede i rapaci che aspettano che lui muoia per divorarlo; dopo 3 gg di agonia muore e risorge e diventa re.

Il tema di mazeppa viene riportato non uguale.

facilità di ascolto

virtuosismo in funzione di una musica molto gratificante

bisogno di riposo perchè abb bisogno di una serie di motivi di riferimento che ci porta direttamente al tema di mazeppa

tema che si basa su accordi eseguitida mano dx.

sono accordi presenti,forti ,costruiti con dell note che creano una sorta di dissonanza

Liszt fa sì che tra un accordo e l'altro ci sia all'interno del registro centrale ci siano una serie di doppie note che in qualche modo riempiono,recando ritmicità e ricchezza.

Il tema si conlcude; c'è un ponte che ci riporterà allo stesso tema. Grandi ottave pesanti,il più forte possibie per far sì che quel primo tema venga collegato alla seconda esposixione del tema.

doppie note poste tra gli accordi vengono riproposte in un altro ritmo.questa sec esposixione contiene piccoli cambiamenti,mutazioni che preannunciano un cambiamento

Un passaggio di grande sonorità, tanto più amplificata con un pedale unico, dovrebbe creare un'alone di musica e sonorità amplissima, ma termina questa seconda esposizione con tutt'altro passaggio: CAMBIAno infatti LA SITUAZIONE e L'ATMOSFERA, il TEMA diventa ESTREMAMENTE DOLCE e RILASSATO, patetica, ESPRESSIVa. Sarà PIù VOLTE RIPRESO, fino all'INTERVENTO DI una NOTINA.

Le notine non sono parte del canto, della melodia ma riempiono ciò che viene lasciato libero. melodia patetica ma estremamente dolcee cantabile

Il brano, da questo momento, non conterrà più di questi momenti cantabili.

Liszt inserisce quelle doppie note per spezzare la continuità;il tema acquista una velocità diversa di scrittura.questi accordi che fissano il tema durano di meno

accordo unico nel quale si sprigionano una serie di arpeggi chevanno dalla zona c.lefino alla zona acuta

Una sonorità ampia, di vivace trionfalismo porta alla conclusione ,allo stravolgimento delle note, LISZT STESSO SCRIVE, in riferimento a Mazeppa ma anche alla musica, "MUORE E INFINE SI RISVEGLIA".



Liszt fece anche una RIELABORAIONE RAFFINATISSIMA PER ORCHESTRA DI MAZEPPA: essa è UN DEBITO DI LISZT NEI CONFRONTI DI 2 COMPOSITORI Berlioz (non so come si scrive)e il Wagner del Lohengrin, perchè c'è il medesimo uso degli strumenti a fiato: le parti più importanti a livello strumentale sono, appunto, i fiati e i legni usati in maniera originale.



Lo studio trascendentale n.5 s'intitola "Feux follets=Fuochi fatui": questo titolo, tuttavia, non descrive un qualche fenomeno, ma indica un qualcosa di instabile, in movimento ed indefinito. Insomma, una forma difficile da ordinare, che Liszt rende con una musica volutamente disordinata e poco chiara dal punto di vista della tonalità: con un impiego, quindi, di accordi instabili e l'assenza di una melodia chiara; lo Studio è, di conseguenza, una brano difficile da ascoltare, per la mancanza di riferimenti, di passaggi melodici che si imprimano nella memoria e che si possano riascoltare in seguito. Per questo, questo Studio è il più intereressante e stimolante tra tutti e si apprezza dopo più ascolti.

L'introduzione è imponente e assomma in sé già caratteristiche di tutto lo Studio (la voluta indeterminatezza, la mancanza di accordi ben definiti e di melodia), come capita in tutti gli Studi trascendentali più importanti. Vi è un'esasperazione del cromatismo, che è l'alterazione delle note di una scala attraverso diesis e bemolli. La tonalità dello studio è di si bemolle, e la scala di si bemolle è composta da si bemolle - do - re - mi (che qui è bemolle, eprché è scritto in chiave) - fa, etc. Liszt altera il re, che dovrebbe essere naturale in questa scala, in re bemolle, e così per molte altre, e questo provoca una sensazione di disagio tra note vicine e molto vicine e rende la tonalità di impianto, si bemolle, molto labile.

Fuochi fatui parte come uno studio tecnico, con un trillo, e la melodia, se così si può definirla, tende a coincidere con esso: è una trovata geniale! Il trillo si basa su due note vicine (es: mi e fa); alla seconda esposizione, però, Liszt suona in contemporanea al mi il sol, che sta alla distanza dal mi tre note, mentre in contemporanea al fa il la, secondo lo stesso principio della distanza di 3 note, o di terza. Visto che però sono 4 le note da suonare, il doppio, la distanza si dice di doppia terza. Quindi Liszt, aumenta progressivamente questa distanza, che diventa di doppia quarta, doppia quinta e doppia sesta. L'aumento della distanza tra le note rende la melodia sempre più vaga. Gli accenti della mano sinistra, comunque, scandiscono e ordinano il sussegiursi di trilli di seconda, terza.

Liszt crea una sorta di continuità attraverso la riproposizione in modi diversi di questo trillo; lo utilizza quasi fosse un tema musicale, dato che Fuochi fatui non ne presenta a causa della propria indefinitezza. L'utilizzare un piccolo inciso di qualcosa che abbiamo già ascoltato riproponendolo in vari modi è uno schema tipico in Liszt.

La leggerezza e l'assenza di riferimenti viene data anche dall'utilizzo di un solo suono acuto e dall'assenza di un supporto nella parte grave. Le mani scivolano su e giù per la tastiera dalla parte acuta a quella grave senza un fisso supporto armonico.

Vi è quindi la ripresa del trillo-tema.

Lo studio termina in maniera sfumata e indeterminata, anche se nella tonalità di impianto come prevede la norma, in si bemolle.


Lo studio n.6, "Vision=Visione" è piuttosto esteriore e ricco di virtuosismo.


Il n.7, "Eroica", fa riferimento a un tema musicale già usato in un brano giovanile, l' "Improvviso su temi di Rossini e Spontini" e, il quale non era il solito rifacimento di temi d'opera, una Fantasia. Il tema che Liszt vi costruisce un tema costuito da 8 note, non dalle solite 7 di una tonalità! Una scala così verrà impiegata da Stravinsky nel balletto La sagra della primavera (1913) e dal compositore Olivier Messiaen (1908-92).

Liszt scrive questo studio su 4 pentagrammi, anziché 2 (che nel pianoforte indicano le parti per mano sinistra e destra), come se fosse per 4 mani: in realtà, lo fa per questioni di chiarezza nella scrittura.


Il n.8 è l'unico a portare un titolo in tedesco: "Wild Jagd=caccia selvaggia". La caccia, in questo caso, è quella alle anime da parte dei demoni.


Il n.9, "Ricordanza", continene parecchie leggerezze, ed è espressione del Liszt più retorico. Il famoso pianista Ferruccio Busoni vi vide un riferimento a Chopin, senza però l'ispirazione chopiniana.


Il n.10 non porta titolo, anche se spesso gliene appioppano qualcuno. È un omaggio-riferimento voluto allo Studio op.10 n.9 di Chopin, uno dei pochi che il compositore polacco dedicò alla mano sinistra (oltre al n.12), dove il tema inizia con un'alternanza di pausa-musica pausa-musica, e si dice perciò spezzato.

Anche Liszt utilizza un tema spezzato, che esordisce sempre con una pausa e due note, e pure il suo studio serve a mettere in moto e ad esercitare la mano sinistra.

L'introduzione ci immerge subito di note a gran velocità, con degli accordi alternati che, tendenzialmente si muovono in maniera leggermente discendente. Per un po' non ne emerge una melodia, ma poi emergono già i due temi dello studio, non diversi tra di loro nell'accompagnamento, che è sempre per mano sinistra.

Il primo tema fa chiaramente riferimento a Chopin, e si basa sulla formula pausa-nota nota-pausa-nota-nota, il che lo rende molto confuso. Gli accordi alternati e il fatto che la pausa non permetta nessun suono di appoggio, creano una sensazione di angoscia e nervosismo, e non capiamo quello che stiamo ascoltando.

Il secondo tema è appassionato, molto coinvolgente, forse un po' retorico, e si contrappone alla sezione precedente.

Viene riproposto più volte l'esordio dell'introduzione, il che vivacizza e allo stesso tempo rinnega il secondo tema, più lisztiano e cantabile.

Di nuovo il primo tema, sommerso dagli accordi alteranti.

Il secondo tema viene riproposto nella parte grave, e si ricollega subito al primo tema.

Le pause divengono sempre meno prevedibili e il ritmo sempre più forsennato.

Di nuovo l'inizio, il secondo tema, l'introduzione un po' variata, il secondo tema.

Gli accordi arpeggiati, che solitamente rimandano alla risoluzione del conflitto musicale, preparano necessariamente al riposo e alla coda, la quale, però è ancora più agitata. Ed è basata su una variazione del primo tema.


Il n.11, "Harmonie du soir=Armonie della sera", è il più conosciuto ed eseguito degli Studi Trascendentali. Esso esordisce in maniera imitativa, richiamando rintocchi di campane, e quindi alla poesia dell'amico La Martine sulle stesse; qualche anno dopo, però, Baudelaire metterà lo stesso titolo a una propria poesia. Forse, il riferimento di Liszt a una qualche armonia di sera è più ideale che concreto, si richiama piuttosto ad un'atmosfera.

Questo Studio è interessante da un punto di vista strutturale, tant'è che le analisi degli studiosi sono spesso estremamente dissimili tra loro: solitamente, si fa riferimento a una struttura a b c d a.

L'introduzione è piena di indeterminatezza e preannuncia già il clima dello studio.

La prima parte prevede un uso costante degli accordi tra sinistra e destra, che si passano la melodia, ed ha una concezione sonora quasi orchestrale, tanta è la densità di note.

La seconda parte è sempre densa di note, il tema è esguito da accordi della destra, mentre la sinistra accpompagna con un tappeto sonoro di singole note che si susseguono velocemente. Questa parte viene ribadita più volte.

Ecco quindi la terza parte, per il cui accompagnamento Liszt scrive "quasi arpa", di modo che sia essenziale, di sonorità leggere e rarefatte, cosa molto difficile su un pianoforte. Il tema di questa parte è più calmo, un momento di pace in questo continuo movimento; avremmo voglia di ascoltarlo di nuovo, ma Liszt riprende la seconda parte in maniera trionfale, esteriore al massimo, fortissimo.

Un nuovo tema emerge basandosi su alcune note della prima parte, quelle più evidenti della melodia, che vengono riempite di accordi: un ulteriore densità di note.

Riproposizione della seconda parte ancora più intensa e una coda in cui Liszt ribadisce in modo un po' troppo ridondante ed esteriore cose già dette.


L'ultimo studio, "Chasse-neige=caccia di neve, (più volte tradotto però tormenta di neve)", contraddice tutto il lavoro precedente: è infatti costituito da onomatopee che imitano la tormenta, e presenta le caratteristiche tipiche di uno studio tecnico, con la riproposizione della difficoltà del tremolo dall'inizio alla fine.


Ricordiamo infine i 3 Studi da concerto S.144 del 1848, che presentano titoli molto probabilmente attribuiti da altri: Il lamento, La leggerezza e Un sospiro. Sono stati definiti dei "capricci poetici", in quanto non sono dei veri e propri studi, e sono improntati ad una piacevolezza melodica chopiniana e nell'atmosfera richiamano il Sogno d'amore.


Ancora i 2 Studi da concerto S.145 del 1861, intitolati "Mormorio della foresta" [come quello nel Siegfried wagneriano!?] e "Danza degli gnomi" ; quest'ultimo richiama la tecnica pianisitica di Fuochi fatui e il carattere "spiritoso", nel senso di 'diabolico', delle note ribattute nel finale dell'Exameron.


Ancora un'ultima cosa: lo Studio "Ab irato=spinto dall'ira" S.143, scritto per il Metodo dei metodi di pianoforte di Moscheles (1794 - 1870), colui al quale si deve la sostituzione del termine 'accademia' con quello di 'concerto'; il Metodo dei metodi presentava grandi difficoltà tecniche da superare e raccoglieva gli studi di più compositori tra i quali, oltre a Moscheles e Liszt naturalmente, Chopin, Thalberg e altri illustri sconosciuti.







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