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LA CONCEZIONE DEL TEMPO NEL PRIMO NOVECENTO - HENRI BERGSON

interdisciplinare






LA CONCEZIONE DEL TEMPO NEL PRIMO NOVECENTO



CONCEZIONE DEL TEMPO NEL PRIMO NOVECENTO


Henry Bergson:    -Il Tempo come incessante fluire




Luigi Pirandello:  -Concezione del tempo

Le Novelle

Il "Fu Mattia Pascal"

Quaderni di Serafino Gubbio operatore"


Italo Svevo:  -"La coscienza di Zeno


James Joyce:    -"Ulysses

-Stream of consciousness


Umberto Boccioni:  -"La città che sale

-"Visioni simultanee

-"Forme uniche di continuità nello spazio


Lucio Anneo Seneca:  -"De brevitate vitae


Bibliografia


HENRI BERGSON: LA VITA


Nacque a Parigi il 18 ottobre 1859.

Acquistò fama e successo grazie a "Materia e memoria", alle sue critiche sul positivismo e alla sua teoria sulla durata.

Il bergsonismo diventa un orizzonte di pensiero cui la filosofia e la letteratura, francese e non, non potranno cessare di riferirsi.

Nel 1889 prende il dottorato in filosofia presentando una tesi in latino sul concetto di luogo in Aristotele, ed una tesi in francese intitolata "Saggio sui dati immediati della coscienza". Quest'ultima contiene l'elaborazione del tempo come durata, sarà l'opera più originale della sua produzione.

Il suo valore venne riconosciuto alla pubblicazione di "Materia e memoria" nel 1896.

Nel 1907 pubblicò "L'evoluzione creatrice"

Nel 1914 divenne Accademico di Francia e nel 1928 ottenne il premio Nobel per la letteratura.

Negli ultimi anni della sua vita si orientò sempre più verso il cattolicesimo (egli era di origine ebraica), ma, presentendo la minaccia delle persecuzioni antisemite, preferì rimanere "tra quelli che saranno domani perseguitati".

Morì nel 1941 a Parigi mentre la città era sotto l'occupazione delle truppe naziste.



IL TEMPO COME INCESSANTE FLUIRE


Da Bergson la cultura italiana assorbì la tesi sul perenne fluire e mutare dell'esistenza, sullo "slancio vitale", ma furono proprio le sue riflessioni sulla rappresentazione del tempo nella vita e della conoscenza a influire sulle poetiche dei maggiori narratori italiani, quali Svevo e Pirandello e sulla struttura narrativa delle loro opere.

Secondo Bergson, il tempo "spazializzato" della scienza tradizionale (e cioè rappresentato come una serie di istanti che si susseguono ordinatamente come dei punti su di una linea, dal passato, al presente, al futuro) è una schematizzazione astratta.

La scienza cercando di essere fedele ai fatti finisce per formare un'immagine astratta della realtà.

I perfezionamenti tecnici che la scienza introduce, attraverso la sperimentazione, rispondono all'esigenza di una sempre maggiore precisione, favorita dalla scomposizione indefinita del tempo: per gli antichi il tempo manteneva una scansione qualitativa analoga a quella che caratterizza le fasi della vita, mentre per Keplero e Galileo il tempo non è scandito diversamente a seconda della materia che lo riempie. Per i moderni, invece, ogni istante si equivale.

Per tale motivo gli antichi privilegiano dei concetti (come la circolarità per il moto degli astri) per descrivere la realtà, mentre i moderni descrivono tutto mediante delle leggi, ovvero attraverso relazioni costanti tra grandezze e variabili.

L'uomo moderno ritiene di poter prevedere il futuro grazie alla conoscenza del presente: infatti nella sua impostazione il tempo non ha consistenza

Bergson non vuole screditare le scienze, ma denunciare un pericoloso influsso tra scienza e filosofia.

Nonostante le critiche al Positivismo, ribadisce di distinguere le scienze dalla filosofia, ma non nega che debbano collaborare. Nella sua opera "Evoluzione creatrice" traccia quello che a suo avviso deve essere il compito della filosofia


"...il filosofo deve andare più lontano dello scienziato. Facendo tabula rasa di ciò che è un sinbolo immaginativo, egli vedrà risolversi il mondo materiale in un semplice flusso, in un divenire... la filosofia non è solamente il ritorno dello spirito in se stesso... una presa di contatto con lo sforzo creatore. Essa è l'approfondimento del divenire in generale... il vero prolungamento della scienza"


Egli vuole essere spettatore della realtà, partecipe e contemporaneo.

La realtà è tempo, ma non il tempo astratto di cui parla la fisica, ma durata, fluire continuo dell'esistenza, divenire senza sosta, pura irreversibilità.


"Il tempo per i positivisti è la variabile t in una formula di fisica."


Bisogna sostituire questa t ai concetti di memoria e durata. Il tempo è irreversibile, è continuo. E' il tempo della vita, dell'attesa, del desiderio e del ricordo.

Caratteristica fondamentale è il fluire, il flusso è il tempo della coscienza. E' quindi un flusso continuo di istanti che si compenetrano a vicenda e non sono separabili: nella nostra coscienza ogni istante presente è prosecuzione del passato, conservato dalla memoria, ed anticipazione del futuro progettato dall'immaginazione.

Nella vita interiore gli stati di coscienza (rappresentazioni, sensazioni, sentimenti, atti di volontà...) sono tutti contemporaneamente presenti, si fondono in un'unità, anche i momenti del passato sono sempre vivi nella coscienza e continuano ad esercitare la 343i87d loro azione sul presente, influenzando il nostro pensiero e il nostro comportamento e arricchendosi e modificandosi di continuo attraverso il contatto con gli altri fatti accumulatisi nella memoria.

Un fatto, dunque, non è mai concluso, ma continua ad esercitare la sua influenza in modi sempre nuovi.

Per i positivisti la realtà non era un unico divenire, per i filosofi della scienza e della tecnica, era un qualcosa che poteva essere preso, ripetuto, rielaborato (in laboratorio) e dal quale poteva essere estratta una legge; per il positivista era qualcosa di matematicizzabile, scomponibile e ricomponibile.

Secondo Bergson il positivismo ha sbagliato nel pensare che le scienze fossero essenziali per apprendere la verità. I positivisti analizzavano tutto (partire da determinati dati per ricavarne altri), egli dice che all'analisi bisogna sostituire l'intuizione.

Per la scienza gli istanti possono essere differenti solo quantitativamente, invece noi ci accorgiamo che tra istante e istante vi è una notevole differenza qualitativa.

Per la scienza ogni momento è estraneo all'altro, mentre noi ci accorgiamo che tra istante e istante vi è una notevole differenza qualitativa.

Per la scienza ogni momento è estraneo all'altro, mentre noi sperimentiamo, ad esempio nel pentimento, che c'è compenetrazione tra i diversi momenti.

Infine per la scienza ogni momento è reversibile, si può sempre tornare indietro, ma la vita ci insegna che ogni giorno porta con se delle proprie novità.

Il tempo della fisica è astratto, il vero tempo è durata. Questo tempo è quindi l'inverso del tempo descrittoci dalla fisica: ha una diversità qualitativa, prevede una compenetrazione tra diversi momenti, è il tempo della coscienza. Bergson paragona il fluire dell'esistenza all'arrotolarsi di un filo su un gomitolo: il nostro passato ci segue, ci costruisce e la memoria del passato costituisce noi stessi. Attendiamo il futuro e ricordiamo il passato: il presente non esiste.    

IL TEMPO NELLA LETTERATURA ITALIANA DEL PRIMO NOVECENTO


Nel novecento comincia a vacillare la categoria del tempo come asse su cui si dispongono in modo ordinato i fatti anche nella letteratura italiana. La narrativa aveva sempre conosciuto la possibilità di movimentare l'intreccio mediante anticipazioni e flash-back ; ma nel romanzo del novecento si ha un continuo spostarsi alla rinfusa nel tempo, che così diviene una dimensione puramente legata al soggetto, proprio come nella filosofia del francese Bergson. Così si alterano anche i rapporti tra la durata effettiva degli eventi e la durata della narrazione: un evento piccolissimo, filtrato attraverso tutto ciò che passa nella coscienza degli individui in ogni istante, è in grado di dar vita a ricordi e assembramenti di idee che possono protrarsi per pagine e pagine.

Due sono in Italia gli autori che si rispecchiano maggiormente in questa nuova concezione: Luigi Pirandello e Italo Svevo.



LUIGI PIRANDELLO


Pirandello riprende il tema caro alla filosofia di Bergson che ritiene che l'universo sia in continuo divenire, oggetto ad una evoluzione creatrice, per cui contemporaneamente resta se stesso e cambia. Ovviamente anche l'uomo è partecipe a questo moto continuo o flusso vitale, ma nello stesso tempo vorrebbe capirlo, schematizzarlo e riportarlo ad una legge. Così l'uomo cerca di analizzare tale flusso, ma è troppo limitato nel tempo e nello spazio per raggiungere risultati utili, la ricerca risulta superficiale o addirittura vana.

Da qui nasce il dramma: l'uomo tenta inutilmente di catturare il flusso in forme fisse e quindi inadeguate. Più si sforza producendo forme diverse e più si aliena, in quanto più si circonda di forme fittizie e più si allontana dalla realtà.

Le forme costituiscono la cultura, la civiltà: più sono evolute, più isolano dalla natura e rischiano di soffocare al loro interno l'uomo..

Non ci sono forme false o forme vere: sono tutte egualmente false e vere e quindi alienano l'uomo.

Il tempo allora è una delle tante forme create dall'uomo, per le sue esigenze, e quindi è falsa ed inconsistente. Vera è invece la nozione di durata o tempo soggettivo, scandito cioè dalla coscienza di ogni singolo individuo. Ma la durata non conosce la distinzione presente-passato-futuro e non procede neppure linearmente a senso unico: emette salti, accelerazioni e decelerazioni.

Ogni individuo è quindi un mondo a se stante che può sfiorare gli altri, ma non comunicarci in quanto manca qualsiasi termine comune e di riferimento.


LE NOVELLE


La novella, o raccolta breve, fu il vero amore di Pirandello: scrisse la prima a soli 17 anni. La macroraccolta delle sue novelle prende il nome di "Novelle per un anno".

Ogni novella è una sorta di microcosmo nel quale l'invenzione si sposta di continuo dall'evento particolare alla vita e ai suoi meccanismi.

La novella assume la funzione di verifica, presenta una certa ripetitività, dato che ognuna tende a riproporre l'immagine della vita spezzata in infiniti frammenti, che tendono a sostituire ad esse un modo necessario e drammatico per la condizione umana. Dell'uomo e non dell'umanità in quanto ognuno di noi si batte con una realtà infinitamente grande, privo di strumenti adeguati.

Conoscere quindi significa scoprire l'inadeguatezza dei propri mezzi e dei propri limiti.

L'uomo è vinto, è schiacciato, non solo quando porta i panni dell'eroe e del titano ma anche quando apprende il mestiere del vivere.


IL "FU MATTIA PASCAL"

Pubblicato per la prima volta nel 1904, fu ripubblicato sei anni più tardi dall'editore Treves.

Quest'opera segna il definitivo distacco di Pirandello dai residui veristi. Infatti in apertura Mattia ha oramai concluso la sua storia, di cui si accinge a narrare l'incredibile esperienza di "doppia morte" e di "doppia resurrezione" (prima è stato creduto suicida, quindi ha assunto il nome di Adriano Meis, poi si è fatto volutamente credere morto ed è tornato al paese natale come "fu Mattia Pascal).

Per due volte si libera dal passato ma ogni volta alla fine non fa altro che perdere la propria identità.

Stanco di fingere tenta di ripartire dal suo passato, ma invano.

Come già detto il "Fu Mattia Pascal" comincia en arriére, a vicenda conclusa. Con questo artificio lo scrittore vuole sottolineare la distanza che separa il tempo dell'annunciazione dal tempo della storia.

L'inversione temporale porta importanti conseguenze sul piano della struttura narrativa. Dato che l'io narrante è a conoscenza di come va a finire, o meglio a fallire, la vicenda, può occupare una posizione estraniata e perfettamente lucida, in grado di giustificare e commentare gli eventi.

Il personaggio che racconta fa un bilancio a posteriori delle sue azioni, si ha quasi un soliloquio angoscioso e sistematico.

Nell'opera sono frequenti le interruzioni della trama mediante delle considerazioni generali. Questi interessi si inseriscono perfettamente nel tempo del racconto e hanno la funzione di bloccarne il flusso.




TRAMA: è la storia, raccontata in prima persona, di Mattia Pascal, un bibliotecario di un piccolo paese. Stufo della vita impostagli dalla moglie e dalla suocera, scappa di casa e si reca a Montecarlo, dove vince una forte somma alla roulette. Ritornando a casa legge su di un quotidiano che al suo paese lo si crede morto e che siano state attribuite le sue generalità al cadavere di un suicida. Decide così di sfruttare la situazione e di rifarsi una vita nuova: si fa chiamare Adriano Meis e si stabilisce a Roma. Qui si innamora e decide di sposarsi, ma privo di una vera identità, burocraticamente parlando, non può portare nessun progetto a compimento. Inscena allora un secondo suicidio e ritorna alla sua vecchia casa: ma la moglie si è oramai risposata e tutti si sono dimenticati di lui. Decide così di trascorrere la sua esistenza nella biblioteca del paese, dove trascorre il tempo scrivendo la sua incredibile storia. Di tanto in tanto si reca alla sua tomba, e, se qualche curioso gli domanda il suo nome egli risponde "Eh, caro mio... Io sono il fu Mattia Pascal".



I QUADERNI DI SERAFINO DI GUBBIO OPERATORE

L'opera si presenta come un resoconto di svariate vicende di Serafino Gubbio che lavora come addetto alla camera da presa.

Nell'opera agiscono due distinti piani temporali corrispondenti a due ben distinti nuclei narrativi, svolti dalla voce monologante senza seguire un ordine lineare, bensì seguendo le sue riflessioni personali.

Nel primo nucleo troviamo il presente, nel secondo si colloca la sfera del ricordo e della memoria sconvolta dagli eventi del presente.


TRAMA: Serafino di Gubbio è un operatore presso una casa cinematografica, è stato in passato testimone delle drammatiche vicende sentimentali di un suo amico, un artista suicidatosi per amore, dopo essere rimasto coinvolto in un triangolo amoroso insieme alla diva del cinema Varia Nestoroff, e il barone Aldo Nuti. Diviso tra i ricordi e le esigenze "meccaniche" del suo lavoro, il protagonista sarà nuovamente testimone di un fatto analogo: in una scena di un film in lavorazione si trova davanti, come attori, la Nestoroff e il Nuti, ma il barone, che nella finzione cinematografica dovrebbe uccidere una tigre, punta il fucile sulla sua compagna di scena, e la tigre, senza controllo, lo sbrana: Serafino, oramai tutt'uno con la sua cinepresa, riprende il tutto impassibile.








































ITALO SVEVO


Un altro capolavoro della narrativa dei primi anni del novecento è "La coscienza di Zeno", di Italo Svevo, nel quale la realtà appare come un fenomeno puramente mentale e soggettivo del protagonista delle vicende, questa ha tutte le sbavature e le incertezze tipiche del processo di rimemorazione, in una perenne oscillazione tra quello che è stato vissuto in passato e ciò che viene vissuto mediante il ricordo.


LA COSCIENZA DI ZENO


Il romanzo è in sostanza senza trama. E' suddiviso in vari capitoli, corrispondenti al resoconto di diversi episodi e situazioni della vita del protagonista: Zeno Cosini. Anziano ed agiato borghese, che vive coi proventi di un'azienda commerciale, avuta in eredità dal padre, ma vincolata da questi, per la scarsa stima che aveva del figlio, alla tutela dell'amministratore Olivi. I resoconti riguardano il vizio del fumo, la morte del padre, la storia del suo matrimonio, la moglie e l'amante e la storia di un'associazione commerciale. Vi è poi un capitolo finale intitolato Psico-analisi, che si ricollega strutturalmente alla Prefazione ed al Preambolo. Dal che si deduce che il romanzo non è altro che una serie di sondaggi fatti da Zeno sul proprio passato e scritti per il suo psicanalista, vagamente indicato con la sigla Dottor S. e pubblicati da costui per dispetto, allorché Zeno decide di liberarsi di lui, interrompendo la cura, con in più una specie di ricatto sui diritti d'autore.

Nel romanzo la divisione tra autobiografia e racconto è risolta proprio distruggendo la concezione strutturale del romanzo classico, e mettendo in atto una soluzione in parte già sfruttata per i due romanzi precedenti, ma che qui si evolve e si completa facendo di questo libro l'anti-romanzo per eccellenza. Svevo si trova tra le mani un semilavoro che non può diventare un "prodotto finito" se non restando un'opera aperta, involontaria, un testo insofferente verso qualsiasi ideologia, in modo tale che le stesse teorie freudiane, sebbene molto importanti per la genesi del romanzo, vengono utilizzate solo a livello culturale, come puri strumenti tecnici. Lo stesso Dottor S., che nel libro funge da portavoce di esse, è un personaggio piò ridicolo che rispettabile. Svevo mediante la scrittura rifiuta la gabbia della scienza assunta come dogma e depositaria della verità vista in modo assoluto.

Nel romanzo dominano l'imprevedibilità, l'ambiguità e perfino la falsità, dal momento che la memoria stesa da Zeno è sicuramente parziale e sviluppa solo i fatti utili alla sua causa essendo egli un nevrotico in cura analitica.

Il "Proust italien", come Svevo è stato definito, persegue una strategia assolutamente originale: Proust si dissipa e si realizza in un inseguimento di nomi di paesi e di persone, di amori e di amicizie irrimediabilmente consumati, in cui celebra il suo rito idolatrico, il suo culto dell'effimero e non dell'eterno. Se idolatria è il Tempo perduto, la verità è il Tempo ritrovato, mediante un recupero in cui la memoria involontaria gioca un ruolo centrale. Svevo si serve di altri mezzi: la sua non si pone come una memoria mitica, come passaporto per sfuggire al silenzio ed alla morte. Egli realizza un'operazione in cui la volontarietà della memoria è ancora molto forte, e vale come strumento per chiarire il senso della propria e dell'altrui esistenza, in sostanza senza sperarne privilegi o risarcimenti.

Svevo gioca il romanzo su molti piani, mediante rimandi continui e continue rispondenze.


TRAMA: Zeno Cosini è un anziano commerciante di Trieste. Egli ha scritto i ricordi della sua vita su consiglio del dottor S. dal quale è in cura di psicoanalisi, ma ad un certo punto, scettico sull'utilità della terapia, decide di interromperla. Quindi il dottor S. per vendetta decide di pubblicare i ricordi del suo paziente. Tutto ciò funge da prefazione al romanzo. Il resto dell'opera tratta i ricordi di Zeno Cosini, scritti senza seguire un ben preciso ordine cronologico.

Troviamo: Il fumo, La morte di mio padre, La moglie e l'amante, Storia di un'associazione commerciale, Psico-analisi.

L'opera si chiude con una tragica profezia riguardo il futuro del mondo e dell'umanità.



JAMES JOYCE


Joyce 's life

Joyce was an Irishman, he was born in Dublin in 1882, of a middle-class Irish Catholic family. In 1888 James was sent to a Catholic institution run by the Jesuit order : the Jesuit were responsable for all of Joyce 's education, even university. In 1904 Joyce took the two steps that were to determine the direction of his life and save him from a complete self - destruction in Dublin : he met Nora Barnacle, the woman who was to be his lifelong companion ; in the same year the couple left Ireland, still unmarried. They settled to Trieste, at the time still part of the Austo-Hungarian Empire. Here his pupils now included Ettore Schmitz (Italo Svevo), at the time an unknow author whose two early novels (Una vita and Senilità) had been ignored by the critics. In 1914 Joyce 's book of short stories, Dubliners , was published after many difficulties. Joyce was using the tehnique of stream of consciousness to great effect.In 1920 he settled in Paris. His masterpiece Ulysses appeared in 1922. It tells about the story of one day in the lives of various Dublin citizens. Joyce left Paris in 1940 when the events of the Second World War forced him to escape. He settled in Switzerland, where he died in 1941.


La vita di Joyce

Joyce era un irlandese, nacque a Dublino nel 1882 da una famiglia irlandese cattolica di ceto medio. Nel 1888 James venne mandato in una scuola cattolica gestita dall'ordine dei Gesuiti: i Gesuiti furono responsabili di tutta l'educazione di Joyce, anche universitaria. Nel 1904 Joyce intraprese i due passi che determinarono la direzione della sua vita e lo salvarono dalla completa autodistruzione a Dublino: incontrò Nora Barnacle, la donna che sarà la sua lunga compagna di vita; nello stesso anno la coppia lascio l'irlanda, non ancora stretta in matrimonio. Si trasferirono a Trieste, che all'epoca era ancora parte dell'impero Austro-Ungarico. Qui tra i suoi allievi era incluso Ettore Schmitz (Italo Svevo), al tempo uno sconosciuto autore le cui due novelle ("Una vita" e "Senilità") vennero ignorate dalla critica. Nel 1914 venne pubblicato dopo molte difficoltà un libro di Joyce di novelle: Dubliners ("Gente di Dublino"). Joyce usò la tecnica del flusso di coscienza con grande effetto.

Nel 1920 andò a Parigi.

La sua opera Ulysses venne pubblicata nel 1922. Questa parla della storia di un giorno nella vita di vari cittadini di Dublino.

Joyce lasciò Parigi nel 1940 quando gli eventi della seconda guerra mondiale lo costrinsero a scappare.

Egli andò in Svizzera dove morì nel 1941.



ULYSSES -1922-

The novel is set in Dublin on a single day, 16 june 1904.

The protagonists are three: Stephen Dedalus, a young teacher with literary ambitions, Leopold Bloom, a middle age Jew of Hungarian origin who lives in Dublin and his wife Molly Bloom, a singer and a sensual woman whose infidelty is chronic.

The day start when Stephen leaves the Martello Tower, where he lives, and begins his wanderings through the town. As for Bloom, he has breakfast with his wife then goes to a funeral. His wanderings lead him to several places in Dublin.

During the day Stephen and Leopold end by meeting and for a time they estabilish a sort of positive friendship. Stephen is unconsciously looking for a father figure in Leopold, while Leopold, who is still regretting the death of his son, is willing to recognize a son in Stephan.

The adventures costituting the novel follow the framework of Homer's Odyssey and can be compared to the episodes of the Homeric poem. The novel is also based on a complicated series of relationships which refer to the parts of the human body.

The eighteen episodes are divided into three parts: Telemachia, the main protagonist of which is Stephen Dedalus/Telemachus; Odyssey including all the episodes connected with Leopold Bloom/Ulysses and Stephen; Nostos wich is a long interior momologue wich records Molly Bloom1s flow of thoughts while she is going to sleep, by means of the stream of consciousness technique.



-Every episode or detail is equally significant and can be the object of description or investigation in a novel;

-Any moment is equally entitled to represent the life of an individual;

-Each single moment contains in itself not only traces of our present but also of our past and our future: into a consiousness in a narrow arc of time is equally significant as investigating it for an extended period of time;

-Sometimes happens that one occasional event, or impression, may suddenly be charged with the significance of    a revelation: epiphany









L'ULISSE -1922-

Il romanzo è ambientato a Dublino in una singola giornata, il 16 giugno 1904.

I protagonisti sono tre: Stephan Dedalus, un giovane maestro con ambizioni letterarie, Leopold Bloom, un ebreo di mezza età di origini ungheresi che vive a Dublino e sua moglie Molly Bloom, una cantante e una donna sensuale la cui infedeltà è cronica.

La giornata inizia quando Stephen lascia la Martello Tower, dove vive, e comincia a vagabondare senza una meta per la città. Come per Bloom, egli fa colazione con sua moglie e quindi va ad un funerale. Il suo vagabondare lo porta in molti luoghi di Dublino.

Durante il giorno Stephen e Leopold finiscono per incontrarsi e per stabilire una buona amicizia. Stephen inconsciamente sta' cercando la figura del padre in Leopold, mentre Leopold, che sta' ancora soffrendo per la morte del suo unico figlio vuole riconoscere un figlio in Stephen.

Le avventure che costituiscono il romanzo seguono la traccia del lavoro dell'Odissea di Omero e possono essere comparate ai capitoli del poema omerico. Il romanzo è anche basato su una complicata serie di relazioni, che fa riferimento alle parti del corpo umano.

I diciotto capitoli sono divisi in tre parti: Telemachia, dove il più importante protagonista è Stephen Dedalus/Telemaco; Odissea che include tutti i capitoli connessi a Leopold Bloom/Ulisse e Stephen; Nostos che è un lungo monologo interiore che descrive il flusso dei pensieri Molly Bloom prima di addormentarsi, attraverso l'uso del flusso di coscienza.


-Ogni momento ha egualmente la funzione di rappresentare la vita di un individuo;

-Ogni singolo momento contiene in se stesso non solo tracce del nostro presente ma anche del nostro passato e del nostro futuro; nella coscienza è egualmente significante un piccolo periodo di tempo, come lo è un lungo periodo di tempo;

-Ogni tanto avviene che un evento occasionale, o un impressione, possa assumere il significato di una rivelazione: epifania.



STREAM OF CONSCIOUSNESS

The main element of style, in Ulysses, is the use of the stream of consciousness in its basic form of interior monologue.

The stream of consciousness is, infact, to be intended as a psycological category, and it indicates the casual association of thoughts, impressions and emotions of a person who is not thinking intentionally but is letting his her mind flow freely. In this form it had sometimes appeared in writing of Victorian novelists, but it was only the English writer Dorothy Richardson and the French writer Dujardin who made regular use of it, although in novels of minor revelance.

The use of stream of consciousness secured two results:


- it allowed the reader to have an insight into the mind of a character, showing its rational and irrational sides;

- it liberated the novel from the cumbersome presence of the narrator.


The interior monologue opened a new ground for exploration of the human mind, not only organised conscious moments, but also in the moments in which it abandons itself to the casual associations causes by external stimuli or by words and impressions it has come into contact with, and has no control over.


FLUSSO DI COSCIENZA

Il più importante elemento dello stile, nell'Ulisse, è il flusso di coscienza nella sua forma base di monologo interiore.

Il flusso di coscienza è, infatti, da intendere come una categoria psicologica, ed esso indica le associazioni casuali di pensieri, impressioni ed emozioni di una persona che non sta volontariamente pensando ma stà lasciando che la sua mente compia libere associazioni. E' apparso qualche volta in questa forma negli scritti dei romanzieri Vittoriani, ma furono solo la scrittrice inglese Dorothy Richardson e il francese Dujardin che ne fecero uso regolare, anche se in romanzi di minor spessore.

L'uso del flusso di coscienza assicurò due risultati:

- permise al lettore di avere uno sguardo all'interno della mente del personaggio, mostrando i suoi lati razionali ed irrazionali;

- liberò il romanzo dall'opprimente presenza del narratore.


Il monologo interiore aprì un nuovo terreno per l'esplorazione della mente umana, non solo organizzando i momenti consci, ma anche nei momenti in cui si abbandona all'associazione casuale causata da stimoli di provenienza esterna o da parole e impressioni con cui è venuta a contatto, e sui quali non ha controllo.










IL TEMPO NELLA PITTURA CONTEMPORANEA


Fino all'Ottocento la pittura ha cercato di tradurre sulle due dimensioni della tela una realtà a tre dimensioni: ha utilizzato la prospettiva e il chiaroscuro per dare l'illusione della profondità e della distanza degli oggetti nello spazio. Non pretendeva di rappresentare lo scorrere del tempo, il movimento se non fissando l'attimo di un gesto o di un'azione.

Tra fine Ottocento e inizio Novecento la rappresentazione esatta della realtà viene sentita come una limitazione alla creatività artistica. Nascono nuovi modi di rappresentare la realtà esterna ed interiore, cambiano i criteri di rappresentazione dello spazio e delle cose nello spazio, si cerca di rendere sulla tela il mutare e lo scorrere del tempo, il movimento il ritmo della vita moderna.


BOCCIONI


Anche i pittori futuristi italiani, che individuano nella velocità una caratteristica del modo moderno, scompongono e ricostruiscono le immagini della realtà per renderne il dinamismo, il movimento.

Osserviamo alcune opere di Umberto Boccioni (1882-1916).





La città che sale


Il motivo di quest'opera, di cui esistono molti studi preparatori, è sentito profondamente da Boccioni: per il senso dinamico del cavallo, che diventa marea in ascesa, e lo sfondo della città con le case in costruzione, simbolo tipicamente moderno.

Nel manifesto del 1910 il manifesto dei pittori futuristi dichiara guerra al passato e indica i nuovi temi dell'arte futurista nella "frenetica attività delle grandi capitali", nelle "rete di velocità che avvolge la Terra". "Tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido (...), le cose in movimento si moltiplicano, si deformano susseguendosi, come vibrazioni, nello spazio che percorrono".

Con questo dipinto Boccioni presenta appunto l'immagine della città moderna di cui vuole cogliere l'intero dinamismo. Abbandona ogni verosimiglianza naturalistica, presente ancora nelle prime prove, per privilegiare la sensazione di crescita e di sviluppo ed esprimere in immagini intensamente vitalistiche l'energia che pervade la metropoli industriale. Sono riconoscibili solo poche rapide sagome, come gli uomini disfatti dalla fatica e soprattutto il grande cavallo in diagonale che traina il carro, reso attraverso macchie violente di colori (la criniera fulva e il blu della sella). Il motivo del cavallo, simbolo di vitalità e di forza, è ripreso in altre due immagini, mentre sullo sfondo emergono impalcature, ciminiere, altri uomini al lavoro. La nota dominante è il movimento, inteso come sintesi simultanea che travolge, in un unico turbine ascensionale, uomini, cavalli e cose, tutti pervasi da uno stesso slancio creativo.





Visioni simultanee

In Visioni simultanee (1911) una donna si affaccia al balcone, ricevendo l'impatto della vorticosa attività umana della piazza sottostante: il movimento delle persone e dello sguardo deforma lo spazio, le verticali diventano oblique, gli oggetti si compenetrano, i piani si intersecano, realizzando una composizione il cui obiettivo non sono le cose , ma la loro dinamica.




Forme uniche di continuità nello spazio

L'opera, una delle più famose dell'itinerario creativo dell'artista, si caratterizza per la compenetrazione dei piani e per la dinamicità delle forme che fendono lo spazio. Raffigura un corpo umano in movimento con vedute simultanee. La figura si sta spostando velocemente ed in maniera continuativa. La simultaneità delle vedute conduce alla compenetrazione dei piani
È singolare per un artista sinceramente "futurista", come fu Boccioni, che sia giunto a uno dei massimi risultati della sua scultura, cantando la velocità non attraverso l'immagine di una automobile o di un aeroplano, ma di un uomo che cammina.

Più tardi anche Giacomo Balla dedicherà all'amico un'immagine che lo ricorda durante le epiche risse sostenute nelle storiche serate futuriste. In entrambe la sculture vi è, dunque, un personaggio che accenna un passo in avanti anche se la trattazione plastica è alquanto diversa. Boccioni stravolge e sdoppia - in certi punti - un'anatomia umana, fino a deformarla per meglio esprimere lo sforzo e la tensione, e a trasformarla in una struttura aerodinamica - si veda il busto "carenato", privo di braccia e l'alternanza di pieni e di vuoti che testimoniano il contemporaneo "essere e non essere" di un corpo che si muove in un determinato punto dello spazio.
Balla sostituisce, invece, alle parti anatomiche del corpo del suo Boccioni le loro pure traiettorie nello spazio, quasi delle eleganti volute che "stanno al posto" delle membra e sono di fatto solo il grafico del loro movimento: l'intero corpo è, del resto, sollevato - e come proiettato - da una specie di onda che ne rappresenta lo slancio in avanti. I moti curvilinei che partono dalla "onda" ( le "virgole" al posto dei piedi, la voluta doppia che parte dalla gamba flessa per giungere al capo del personaggio) sono come trafitte dalla linea nervosa che attraversa la gamba tesa e il busto e dal triangolo rovesciato che mima, nella sua base protesa, l'impatto del terribile pugno dell'amico







LA VISIONE DEL TEMPO IN LUCIO ANNEO SENECA


LA VITA


Il luogo d'origine della sua famiglia, gli Annei, era Cordova, in Spagna. Appartenevano alla ricca aristocrazia provinciale. A Roma si era spostato già il padre, Seneca il Vecchio.

Lucio, nato nel 4 a.C. ebbe buona educazione retorica e filosofica in vista della carriera politica.

Attorno al 26 si recò in Egitto.

Tornato a Roma, iniziò la carriera di oratore.

Accusato di coinvolgimento in uno scandalo di corte, nel 41 venne condannato alla relegazione dall'imperatore Claudio: la destinazione del suo esilio fu la Corsica, che Seneca descrive come un posto inospitale e selvaggio. Qui compone due Consolazioni (opere di argomentazione varia nelle quali si cercava ci consolare una persona colpita da un dolore).

Venne poi richiamato a Roma grazie ad Agrippina, madre di Nerone, che lo scelse come tutore del figlio. Seneca accompagnerà l'ascesa al trono del giovane principe e nel 54, di fatto, regge la guida dello Stato per alcuni anni. Di questo periodo sono i tre libri del De Clementia, una sorta di guida per il buon regnante.

Ma il buon governo di Nerone si deteriora rapidamente, Agrippina viene assassinata dal figlio e Seneca decide di ritirarsi.

Scrive i sette libri del De beneficiis, dedicato alla tematica dell'assistenza e del patronato che i poveri si aspettavano di ricevere dai potenti, e sette libri delle Naturales questiones e i venti delle Epistulae morales ad Lucilium.

Nel 65 Seneca viene coinvolto nella "congiura di Pisone", della quale forse era solo al corrente, ma accusato da Nerone, è costretto al suicidio.



DE BREVITATE VITAE


Forse dedicato a Paolino (padre della sua seconda moglie), composto tra il 49 e il 50, dopo il ritorno dall'esilio, oppure verso il 62 dopo il ritiro a vita privata.

Seneca nega che la vita sia breve, sostiene che essa appare tale a colui che no ne fa un buon uso, e che invece è abbastanza lunga, satis longa, e che, anzi, è anche troppo abbondante per coloro che sanno spenderla bene.

Inoltre ricorda che siamo noi stessi che rendiamo breve la vita, impiegando il tempo che dovremmo dedicare alla cura di noi stessi, in attività pubbliche o private.

E' quindi il tema dell'otium, della vita spesa a meditare, che risulta essere l'unica ed esclusiva via per vivere una vita lunga e spesa bene.

Questo dialogo appare come un elogio ad una vita egoistica "...tutti quelli che ti chiamano in loro aiuto ti allontanano da te..." e ci presenta il prossimo come una massa di ladri, ladri pronti a rubare il nostro tempo.

La vita dev'essere spesa bene e Seneca fa il conto di tutti i "pezzi" di tempo sprecati , che doniamo agli altri e quindi sottraiamo a noi, concludendo che anche morendo centenari in realtà noi non viviamo che pochi anni e che riserviamo a noi stessi i rimasugli della vita.

In sostanza non fa altro che ripetere che la vita non è breve e che dobbiamo spenderla a nostro esclusivo uso e consumo.

Ricorda che chiedendo ad un centenario quanto tempo abbia speso per l'amante, il capo, i dipendenti ecc. ... e quanto tempo abbia dedicato a se stesso, gli anni che questo avrà vissuto per se saranno pochi e che quindi la sua morte sarà comunque precoce.


"La natura fa scorrere rapidamente il tempo della nostra esistenza, ma la ragione può prolungarla: è inevitabile che la vita scivoli via veloce a chi non cerca di acchiapparla, di trattenerla, o perlomeno di farla procedere più lentamente, ma la lascia passare così, lei, la più rapida di tutte le cose, come un bene superfluo e recuperabile".


Inoltre ricorda che noi tutti sprechiamo la nostra esistenza accelerandone la fine e che disgustati dal presente, ci preoccupiamo per il futuro: ma coloro che dedicano ogni istante ad arricchire se stessi non hanno bisogno di sperare nel domani, ne tantomeno lo temono. La lunghezza della vita non viene misurata "dai capelli bianchi e dalle rughe": quello non è vivere a lungo, è esistere a lungo.

Tre sono i periodi della vita: passato, presente e futuro. Il presente è breve, il futuro incerto, il passato sicuro.

Il passato è la parte sacra e inviolabile della nostra vita, imperturbabile, nulla può sottrarcelo.

Il presente è fatto dai singoli giorni, divisi in tanti momenti, ma i giorni del passato possono essere richiamati e trattenuti a piacimento.

Il presente, infine, è così breve che alcuni ne negano l'esistenza: a coloro che sono perennemente indaffarati appartiene solo questo.

Solo coloro che si dedicano al conseguimento della saggezza fanno buon uso del loro tempo e sono gli unici che vivono veramente. E coloro che vorranno come compagni Zenone, Pitagora e tutti i maestri di virtù, saranno quelli veramente impegnati. Di questi compagni infatti nessuno porterà alla morte, ma insegneranno a morire, non ruberanno del tempo ma ne aggiungeranno.

La vita del saggio, quindi, è priva del tempo, non è limitata: sfugge alle leggi del genere umano e domina, similmente a Dio, tutte le epoche, il passato perché lo ricorda, il presente perché lo vive e il futuro perché lo prevede.


"Brevissima è invece la vita di coloro che dimenticano il passato, trascurano il presente e temono il futuro..."


Non si può ritenere che vivono a lungo solo perché il tempo non gli passava mai e le giornate gli sembravano interminabili: ciò che per loro è lungo è il dover aspettare.

"Perdono il giorno nell'attesa della notte e la notte nell'ansia e nel timore del giorno"

La condizione degli eterni affaccendati è triste, ma peggiore è quella dei non impegnati che dipendono dagli altri.




CRITICA

di a A. Traina


Seneca recupera passato e futuro come dimensioni psichiche:

- il PASSATO, ben vissuto e libero dal rimorso, è recuperato dalla memoria e può estendersi anche oltre i confini della vita;

- il FUTURO, libero dall'ansia e dalla speranza che il saggio ha bandito dall'animo, è recuperato dalla previsione.

Il presente può così inglobare in se stesso anche passato e futuro.


La filosofia stoica si può riassumere in un principio: "Ama il tuo destino". E' questo il più difficile dei comandamenti, come si vede anche dal fatto che il saggio stoico è rimasto un'utopia, mentre il santo cristiano si è affermato nella realtà.























LA VISIONE DEL TEMPO IN LUCIO ANNEO SENECA


LA VITA


Il luogo d'origine della sua famiglia, gli Annei, era Cordova, in Spagna. Appartenevano alla ricca aristocrazia provinciale. A Roma si era spostato già il padre, Seneca il Vecchio.

Lucio, nato nel 4 a.C. ebbe buona educazione retorica e filosofica in vista della carriera politica.

Attorno al 26 si recò in Egitto.

Tornato a Roma, iniziò la carriera di oratore.

Accusato di coinvolgimento in uno scandalo di corte, nel 41 venne condannato alla relegazione dall'imperatore Claudio: la destinazione del suo esilio fu la Corsica, che Seneca descrive come un posto inospitale e selvaggio. Qui compone due Consolazioni (opere di argomentazione varia nelle quali si cercava ci consolare una persona colpita da un dolore).

Venne poi richiamato a Roma grazie ad Agrippina, madre di Nerone, che lo scelse come tutore del figlio. Seneca accompagnerà l'ascesa al trono del giovane principe e nel 54, di fatto, regge la guida dello Stato per alcuni anni. Di questo periodo sono i tre libri del De Clementia, una sorta di guida per il buon regnante.

Ma il buon governo di Nerone si deteriora rapidamente, Agrippina viene assassinata dal figlio e Seneca decide di ritirarsi.

Scrive i sette libri del De beneficiis, dedicato alla tematica dell'assistenza e del patronato che i poveri si aspettavano di ricevere dai potenti, e sette libri delle Naturales questiones e i venti delle Epistulae morales ad Lucilium.

Nel 65 Seneca viene coinvolto nella "congiura di Pisone", della quale forse era solo al corrente, ma accusato da Nerone, è costretto al suicidio.



DE BREVITATE VITAE


Forse dedicato a Paolino (padre della sua seconda moglie), composto tra il 49 e il 50, dopo il ritorno dall'esilio, oppure verso il 62 dopo il ritiro a vita privata.

Seneca nega che la vita sia breve, sostiene che essa appare tale a colui che no ne fa un buon uso, e che invece è abbastanza lunga, satis longa, e che, anzi, è anche troppo abbondante per coloro che sanno spenderla bene.

Inoltre ricorda che siamo noi stessi che rendiamo breve la vita, impiegando il tempo che dovremmo dedicare alla cura di noi stessi, in attività pubbliche o private.

E' quindi il tema dell'otium, della vita spesa a meditare, che risulta essere l'unica ed esclusiva via per vivere una vita lunga e spesa bene.

Questo dialogo appare come un elogio ad una vita egoistica "...tutti quelli che ti chiamano in loro aiuto ti allontanano da te..." e ci presenta il prossimo come una massa di ladri, ladri pronti a rubare il nostro tempo.

La vita dev'essere spesa bene e Seneca fa il conto di tutti i "pezzi" di tempo sprecati , che doniamo agli altri e quindi sottraiamo a noi, concludendo che anche morendo centenari in realtà noi non viviamo che pochi anni e che riserviamo a noi stessi i rimasugli della vita.

In sostanza non fa altro che ripetere che la vita non è breve e che dobbiamo spenderla a nostro esclusivo uso e consumo.

Ricorda che chiedendo ad un centenario quanto tempo abbia speso per l'amante, il capo, i dipendenti ecc. ... e quanto tempo abbia dedicato a se stesso, gli anni che questo avrà vissuto per se saranno pochi e che quindi la sua morte sarà comunque precoce.


"La natura fa scorrere rapidamente il tempo della nostra esistenza, ma la ragione può prolungarla: è inevitabile che la vita scivoli via veloce a chi non cerca di acchiapparla, di trattenerla, o perlomeno di farla procedere più lentamente, ma la lascia passare così, lei, la più rapida di tutte le cose, come un bene superfluo e recuperabile".


Inoltre ricorda che noi tutti sprechiamo la nostra esistenza accelerandone la fine e che disgustati dal presente, ci preoccupiamo per il futuro: ma coloro che dedicano ogni istante ad arricchire se stessi non hanno bisogno di sperare nel domani, ne tantomeno lo temono. La lunghezza della vita non viene misurata "dai capelli bianchi e dalle rughe": quello non è vivere a lungo, è esistere a lungo.

Tre sono i periodi della vita: passato, presente e futuro. Il presente è breve, il futuro incerto, il passato sicuro.

Il passato è la parte sacra e inviolabile della nostra vita, imperturbabile, nulla può sottrarcelo.

Il presente è fatto dai singoli giorni, divisi in tanti momenti, ma i giorni del passato possono essere richiamati e trattenuti a piacimento.

Il presente, infine, è così breve che alcuni ne negano l'esistenza: a coloro che sono perennemente indaffarati appartiene solo questo.

Solo coloro che si dedicano al conseguimento della saggezza fanno buon uso del loro tempo e sono gli unici che vivono veramente. E coloro che vorranno come compagni Zenone, Pitagora e tutti i maestri di virtù, saranno quelli veramente impegnati. Di questi compagni infatti nessuno porterà alla morte, ma insegneranno a morire, non ruberanno del tempo ma ne aggiungeranno.

La vita del saggio, quindi, è priva del tempo, non è limitata: sfugge alle leggi del genere umano e domina, similmente a Dio, tutte le epoche, il passato perché lo ricorda, il presente perché lo vive e il futuro perché lo prevede.


"Brevissima è invece la vita di coloro che dimenticano il passato, trascurano il presente e temono il futuro..."


Non si può ritenere che vivono a lungo solo perché il tempo non gli passava mai e le giornate gli sembravano interminabili: ciò che per loro è lungo è il dover aspettare.

"Perdono il giorno nell'attesa della notte e la notte nell'ansia e nel timore del giorno"

La condizione degli eterni affaccendati è triste, ma peggiore è quella dei non impegnati che dipendono dagli altri.




CRITICA

di a A. Traina


Seneca recupera passato e futuro come dimensioni psichiche:

- il PASSATO, ben vissuto e libero dal rimorso, è recuperato dalla memoria e può estendersi anche oltre i confini della vita;

- il FUTURO, libero dall'ansia e dalla speranza che il saggio ha bandito dall'animo, è recuperato dalla previsione.

Il presente può così inglobare in se stesso anche passato e futuro.


La filosofia stoica si può riassumere in un principio: "Ama il tuo destino". E' questo il più difficile dei comandamenti, come si vede anche dal fatto che il saggio stoico è rimasto un'utopia, mentre il santo cristiano si è affermato nella realtà.






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