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Jacob Riis

fotografia



Jacob Riis, a fine '800, emigrò in America, in cerca di fortu­na; per questo, le immagini che seguiranno sono state scattate negli Stati Uniti.

Emigrò nel 1870, attraversando tutte quelle vicissitudini in cui s'imbattevano tutti coloro che decidevano di entrare in Ame­rica, in cerca di lavoro e di fortuna.

Iniziò a lavorare, come redattore, per alcuni giornali, poi decise di documentare quella situazione di emarginazione e di sofferenza, che aveva vissuto in maniera diretta, utilizzando la macchina fotografica.

E' interessante notare come Riis non arrivasse alla fotografia direttamente, come fotografo di professione; era un reporter , au­tore di articoli. Trasse, da articoli del giornale per cui lavo­rava, informazioni sul nuovo metodo europeo d'illuminazione al magnesio (avrete visto, in qualche film, la tipica immagine del fotografo della seconda metà dell''800 che utilizza il flash al magnesio, come in "E la nave va" di Fellini). Il flash era costi­tuito da un'asta che reggeva una base, sulla quale veniva deposi­tato il minerale; alla base dell'asta, vi era una rotella simile a quella degli accendini, che, producendo una scintilla, faceva bruciare istantaneamente la polvere, illuminando la scena. Trovò così la soluzione, per poter riprendere gli episodi della vita quotidiana nei bassifondi, fornendone un'importante documentazio­ne: siamo nel 1890.



Questa, in particolare, é molto famosa: ritrae [manca la paro­la]Street ed é intitolata "Covo di banditi". Si pensa che Riis riuscisse a scattare questa fotografia, perché probabilmente, in quel contesto, nessuno sapeva che cosa fosse una macchina foto­grafica; quindi poteva operare tranquillamente, senza essere di­sturbato. La cosa interessante é che Riis iniziò a utilizzare queste immagini non per farne una collezione privata, bensì come strumento per far conoscere agli Americani quale fosse la situa­zione in cui vivevano gli emigranti.

Questa immagine ritrae un uomo che aveva soggiornato per alcu­ni anni in sotterranei in cui vivevano in libertà anche maiali, che andavano a rovistare tra i rifiuti; in questi sobborghi, vi furono, negli anni '90, parecchi casi di peste e di altre malat­tie, che vi lascio immaginare.

con metodi sempre più perfezionati (all'inizio, non v'era modo di trasporre le fotografie su carta stampata; la trasposizione avveniva per incisione su legno, vale a dire, per xilografia), Riis fece conoscere per mezzo dei giornali questa situazione e realizzò un libro, intitolato "L'altra metà degli Americani". Chi viveva in quelle tremende circostanze provava vergogna, nel vede­re riconosciuta e mostrata la propria situazione. Altri sconfes­sarono l'operato di Riis, accusandolo di falso, perché non crede­vano che tutto ciò potesse accadere o perché non volevano che si sapesse. Riis, stimolato da queste reazioni, proseguì, determina­to nel suo intento di provare definitivamente l'esistenza di que­sta dura realtà, affinché l'intera nazione potesse prenderne coscienza. Riuscì a ottenere risposte dall'amministrazione pub­blica, al punto che talune zone, grazie a questa sensibilizzazio­ne, vennero risanate, con costruzione di scuole, abbattimento d' isolati e altre iniziative.

Questi sono bambini che si scaldano, d'inverno, sulla griglia esterna di una tipografia. La differenza fra queste immagini e quelle che circolavano in Europa é davvero notevole!

Le immagini di Riis (380-400 lastre) pian piano furono dimen­ticate, fra le tante scartoffie del municipio di New York e ven­nero riscoperte più tardi, casualmente. Se ne valutò allora tutta l'importanza, sia sotto il profilo storico, per quanto avevano documentato e per i risultati che avevano ottenuto, sia per ciò che rappresentavano sotto il profilo propriamente fotografico. Qui non c'era ovviamente interesse a ricostruire le scene secondo modelli o canoni pittorici, come avevamo visto per tante altre fotografie, in Europa.


Lewis Hinestudiò sociologia e arrivò solo in un secondo tempo a interessarsi alla fotografia, per documentare la situazione del lavoro, le condizioni in cui gli uomini si trovavano a lavorare. In particolare, s'adoperò per documentare lo sfruttamento dei mi­nori, nei luoghi di lavoro. Alcuni ritratti di bambini e bambine al lavoro sono diventati molto famosi. A quell'epoca, non esiste­vano leggi a tutela del lavoro minorile: questo significava che bambini ancora molto piccoli venivano messi al lavoro, senza li­miti di orario. L'incolumità era assicurata solo dalla resisten­za; si trattava infatti di 12-14 ore di lavoro al giorno. Anche in questo caso, le fotografie indussero l'apparato legislativo a operare interventi per migliorare una condizione.



Hine ammorbidirà nel tempo le immagini, per esempio, nelle ri­produzioni di situazioni più normali, in ambito urbano, come a New york, fino ad arrivare agli anni '17-'20, in cui, con alcuni scatti, giunse addirittura a evidenziare gli aspetti positivi del lavoro


Le immagini di questi fotografi sono state conosciute in Ita­lia soltanto molto poco e molto tardi, infatti, bisogna ammettere che, durante il ventennio fascista e negli anni successivi, la cultura fotografica italiana era assai chiusa e limitata.

Ricordiamo che taluni grandi fotografi di oggi hanno tratto ispirazione dai modi di Hine e Riis, trattando il caso quasi come una riscoperta, una novità da analizzare.


Torniamo ora agli ultimi scritti di Hine: abbiamo appena spie­gato come in essi il lavoro venisse tradotto in termini positivi.Questo forse accadde perché l'autore poteva ritenere le prime im­magini della propria produzione troppo pesanti e negative. Le fo­tografie che meglio rappresentano questo suo nuovo spirito sono quelle che Hine scattò per documentare la costruzione dell'Empire State Building, uno degli ultimi incarichi affidatigli, in cui l'uomo non é più visto come vittima del lavoro, ma come il crea­tore di un prodotto, come colui che grazie alla propria tecnica, alla propria capacità, alla propria forza, é in grado di creare.

Queste immagini testimoniano episodi del lavoro di cantiere in quota: lo stesso Hine si faceva imbragare (con le imbragature che venivano utilizzate solitamente per "fare roccia") e si faceva portare da una gru nelle diverse posizioni, da cui poteva scatta­re le immagini; doveva essere un'operazione piuttosto complessa.

Questa fotografia, molto famosa, é intitolata "Icaro".


Abbiamo dunque visto una realtà europea, dove un certo tipo di cultura, di storicismo, influenzava non poco la produzione foto­grafica. Abbiamo visto la situazione oltre oceano, dove la ripro­duzione della realtà dei fatti acquisisce un senso sociale, de­terminando poi addirittura una serie d'interventi pratici da par­te dello Stato, per la risoluzione dei problemi evidenziati dalle immagini stesse.







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