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Cervantes

generale



Cervantes


Cervantes nacque ad Alcalá de Henares nel 1547 era il quarto dei sette figli di un povero "chirurgo", cosi veniva definito un medicastro senza laurea e senza prestigio sociale, forse d'origine ebraica, sempre pieno di debiti, non poté quindi compiere studi regolari, se non per brevi periodi.

Studio presso i gesuiti, a Cordova e a Siviglia, e presso la Scuola Municipale di Madrid, diretta da López de Hoyos il quale presentò, nel 1568, i primi versi di Cervantes in una raccolta dedicata alla memoria della regina Isabella di Valois, terza moglie di Filippo II, chiamandolo «il mio caro e amato discepolo».

In sostanza Cervantes fu un autodidatta, ma la sua cultura umanistica e rinascimentale fu ugualmente vasta e profonda, perché sempre sorretta da un inestinguibile desiderio di leggere e di sapere.

Nel 1569, ricercato dalla polizia madrilena per aver ferito in una rissa un certo Antonio Sigura e condannato in contumacia, Cervantes fuggì in Italia dove trascorse sei anni molto decisivi per la sua formazione d'uomo e di scrittore.



Visse dapprima a Roma, al servizio del cardinale Giulio Acquaviva, e poi fu soldato dell'esercito spagnolo, a Napoli, in Sicilia e probabilmente anche in Sardegna e in varie città del continente.

Il 7 ottobre 1571, a bordo della galera veneziana La Marchesa, prese parte alla battaglia navale di Lepanto, riportando gravi ferite al petto e alla mano sinistra, che i chirurghi militari gli resero poi definitivamente storpia.

Dopo vari mesi trascorsi all'ospedale di Messina pa 949g67j rtecipò ad altre spedizioni nel Mediterraneo, soggiornò a Napoli, città che gli doveva essere carissima, per molto tempo e qui forse lasciò un figlio illegittimo, natogli da una donna misteriosa e crudele, da lui ricordata nella Galatea e in altre pagine sotto il nome di «Silena».

Il 20 settembre 1575 s'imbarcò a Napoli sulla galera El Sol, diretto in Spagna, dove probabilmente intendeva continuare la carriera militare, ma sei giorni dopo, nei pressi di Marsiglia, venne catturato dai pirati moreschi, assieme al fratello Rodrigo, e trasportato ad Algeri e per il suo riscatto venne fissato un prezzo esorbitante, che solo cinque anni dopo poté essere pagato, indebitando ancor più la misera famiglia dello scrittore.

Quei cinque anni di schiavitù ad Algeri furono terribili, per le continue sofferenze fisiche e morali ma Cervantes ne uscì spiritualmente più forte.

Nell'ottobre del 1580, rimetteva piede in Spagna dopo undici anni d'assenza; ma, se aveva sperato di vedere riconosciuti in patria i meriti acquisiti, dovette disilludersi ben presto: infatti, nella Spagna di Filippo II i reduci disoccupati pullulavano, come del resto i letterati e i teatranti quindi per Cervantes, sconosciuto e povero, aprirsi una strada in quest'universo di miserie doveva essere pressoché impossibile.

Dopo aver tentato senza successo le vie burocratiche pensò di dedicarsi al teatro, la grande scoperta popolare del momento: i comici italiani dell'Arte mietevano grandi successi di pubblico nei primi teatri stabili di Madrid e compagnie spagnole li emulavano, percorrendo tutto il Paese

Compose  molte opere teatrali e le vide rappresentate trent'anni dopo, nel prologo delle Ocho comedias (1615), di questi drammi due soli ci sono pervenuti in testi difettosi pubblicati per la prima volta nel 1784 da Antonio Sancha: El cerco de Numancia (L'assedio di Numanzia) ed El trato de Argel (Il mercato d'Algeri), gli altri andarono perduti; e specialmente La batalla naval, che con ogni probabilità si riferiva alla battaglia di Lepanto.

Contemporaneamente al teatro Cervantes tentò un'altra via: il romanzo.

Nel 1585 un modesto editore d'Alcalá de Henares, Juan Gracián, pubblicava la prima parte della Galatea, un romanzo pastorale in prosa e versi, iniziato probabilmente in Italia sul modello dell'Arcadia di Sannazzaro, ma che non fu mai compiuto.

Poco apprezzata, in genere, la Galatea ha invece un'importanza considerevole, non solo perché contiene molti dati autobiografici e ricordi di molti cari amici degli anni d'Italia, ma anche perché vi si pongono per la prima volta temi tipicamente cervantini, ripresi poi nelle opere maggiori.

Lo stesso anno, 1585, registra però un vero colpo di scena nella vita dello scrittore egli infatti'abbandona ogni attività letteraria e la stessa città di Madrid, per dedicarsi, in Andalusia, ad un umile mestiere: la raccolta di viveri per la spedizione che Filippo II preparava contro l'eretica Inghilterra, la famosa Invincibile Armata (1588).



All'età di trentasette anni lo scrittore sposò la giovanissima: Catalina Salazar, nata e vissuta in un villaggio della Mancia, Esquivias (il paese di Don Chisciotte) i coniugi non ebbero figli e la sola discendente diretta di Cervantes, oltre al fantomatico figlio napoletano, resterà Isabel de Saavedra, nata nel novembre del 1584 da un'attrice, Ana Franca de Rojas.


Don Chisciotte della Mancia


Nel 1597 la bancarotta e la fuga di un banchiere-appaltatore procurarono a Cervantes un soggiorno d'alcuni mesi nella prigione di Siviglia; e qui probabilmente, cominciò a comporre il Don Chisciotte, sotto forma di novella corta.

Lasciando definitivamente l'Andalusia, ai primi del Seicento, per trasferirsi a Valladolid, sede della corte e del governo, a sistemare i suoi complicati conti con il fisco, Cervantes portava seco un notevole bagaglio letterario: diverse novelle, e quasi tutta la prima parte del Don Chisciotte, per la quale chiese e ottenne nel 1604 il prescritto «privilegio».

ll Don Chisciotte della Mancia fu pubblicato in due fasi distinte: una prima parte, scritta probabilmente tra il 1598 e il 1604, vide le stampe nel 1605 a Madrid, in una pessima edizione dell'editore Juan de la Cuesta, e il successo fu immediato quanto inatteso.

 Una seconda parte uscì nel 1615 dopo che, in seguito al successo e quindi alle numerose ristampe della prima edizione, un non meglio identificato Alonso Fernandez de Avellaneda aveva pubblicato l'anno prima il Secondo tomo della vita dell'ingegnoso hidalgo Don Chisciotte della Mancia: opera d'imitazione che spinse Cervantes, preoccupato di vedere il proprio personaggio sfruttato da altri autori, ad accelerare la scrittura della seconda e ultima parte delle sue avventure.

In entrambe le edizioni, la vicenda, ruota intorno ai viaggi nell'est della Spagna compiuti dal protagonista, Don Chisciotte.

Questi, avido lettore della letteratura cortese, lascia per tre volte il suo villaggio d'origine in cerca d'imprese cavalleresche da compiere per emulare gli eroi che gli hanno fatto perdere la nozione della realtà, facendogli immaginare d'essere egli stesso un cavaliere errante.

Il romanzo inizia con la presentazione del protagonista, Alonso Chisciana, un nobiluomo (hidalgo) di campagna ormai cinquantenne, che vive in un piccolo paese della Mancia e che dopo anni di letture di libri cavallereschi impazzisce e comincia a pensare che tutto ciò che ha letto corrisponda al vero e che egli debba ripetere le gesta dei cavalieri erranti alla ricerca di fama e di gloria.

Perciò si dota dell'armatura dei suoi avi (ma la sua visiera è di cartone), ribattezza il suo magro cavallo Ronzinante, sceglie per sé come nome di battaglia quello di Don Chisciotte della Mancia ed elegge come sua dama una contadina del luogo alla quale cambia il nome in Dulcinea del Toboso.

 Così dà inizio al suo vagabondaggio. Questa prima sortita solitaria è però destinata a breve durata, siccome, dopo qualche disavventura e una buona dose di legnate inflittegli da chi ha sfidato, è ritrovato alquanto malconcio da un suo compaesano che lo riconduce a casa.



Qui è assistito dalla nipote, dal curato e dal barbiere, i quali, ritenendo responsabili della follia del loro amico i libri cavallereschi della sua biblioteca, ne bruciano la quasi totalità.

Nel frattempo Don Chisciotte si rimette e si decide immediatamente ad una seconda uscita (capp. VII - LII); prima però si sceglie uno scudiero, un contadino del paese - Sancio Panza - attratto dalla possibilità di guadagni e dalla promessa di ottenere un'isola da governare: si forma così una delle coppie più celebri della storia della letteratura: il cavaliere alto, magro e allampanato in sella al suo Ronzinante, e lo scudiero basso e tondo in groppa al suo somaro.

Seguono alcune delle avventure più celebri del romanzo tra le quali la battaglia contro i mulini a vento, scambiati da Don Chisciotte per dei giganti e quindi sfidati a duello. Dopo una serie di comiche peripezie che li vedono, spesso, avere la peggio, i due si dividono perché Don Chisciotte chiede a Sancio di recapitare una lettera d'amore a Dulcinea ma durante il viaggio egli incontra il barbiere e il curato e rivela loro dove si trova Don Chisciotte e insieme, attraverso uno stratagemma, riescono a riportarlo a casa.

La terza uscita di Don Chisciotte è al centro della seconda parte del romanzo, edita nel 1615. Al ritorno nel suo villaggio, Don Chisciotte apprende che è stato pubblicato un libro che narra le sue avventure, ma le descrive in modo poco glorioso, perciò il nobiluomo si decide ad una terza sortita proprio per affermare i suoi ideali di giustizia, di cortesia, di difesa degli oppressi tanto derisi nel libro appena pubblicato. Numerose vicende si susseguono, ma il nostro protagonista ha sempre la peggio, anche perché, oramai divenuto famoso, è vittima delle beffe di coloro che incontra e lo riconoscono come il folle che si crede un cavaliere errante. Motivo distintivo, infatti, della seconda parte del romanzo è che non è più tanto Don Chisciotte a trasformare la realtà secondo la sua immaginazione, quanto piuttosto i personaggi intorno a lui, incluso Sancio, a volerlo convincere a compiere stramberie per poterne poi ridere. Anche questa sortita si conclude, in ogni modo,  con un ritorno al villaggio. Qui Don Chisciotte è preso da una forte febbre che lo tiene a letto. La malattia lo rinsavisce, ma proprio allora muore.

Il Don Chisciotte è un'opera di una complessità straordinaria, sia a livello tematico sia stilistico, e di conseguenza molte sono state le interpretazioni datene, anche di segno opposto tra loro.

L'universalità  dei personaggi creati dal Cervantes, inoltre, ha  spesso indotto i critici  a leggere il romanzo quasi come opera loro contemporanea. Le varie analisi critiche, in ogni caso, sono riconducibili, fondamentalmente, a due tipi di letture: da un lato quella "giocosa", secondo la quale la follia del Don Chisciotte altro non sia che gioco, parodia, comicità; dall'altro l'interpretazione affermatasi durante il Romanticismo, che vede invece nell'hidalgo un campione dell'idealismo costretto a scontrarsi con una prosaica realtà priva d'ogni eroismo.

Dell'opera è importante rilevare la modernità stilistica. Essa, infatti, unisce tutte le esperienze delle letterature precedenti per creare qualcosa di assolutamente originale ed unico, definito da molti come il primo romanzo moderno.


In esso il Cervantes testimonierebbe la crisi di fiducia del suo tempo nelle acquisizioni rinascimentali, quali l'armonioso equilibrio tra la natura e l'uomo, la fiducia nell'agire umano guidato dalla razionalità. Nel suo romanzo regnano, infatti, la confusione, l'incertezza, il disinganno, l'esatto contrario del pensiero umanistico.






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