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Definizione di sociologia della conoscenza

sociologia



Definizione di sociologia della conoscenza.



Sia dalla tradizione tedesca della Wiessensoziologie che dall'inglese Sociology of knowladge la scienza in esame è fortemente ambigua. E' problematico infatti definire l'oggetto di studio: sia il termine sociologia che quello di conoscenza assumono significati differenti e quindi una definizione universale non può essere raggiunta. In Germania il primo assume il significato di "filosofia sociale". In Inghilterra, invece, la sociologia è legata alla tradizione positivistica ed empirista. Anche il termine Wissen, conoscenza, ha destato particolari problemi. Conoscere, nell'ambito tedesco significa conoscere a livello teologico, metafisico, filosofico (gnesologia). In Inghilterra la conoscenza è associata al sapere scientifico (epistemologia). Inoltre, al di là di queste problematiche, esiste un dibattito anche relativo l'oggetto di studio. La conoscenza cosa include? Molti approcci da parte dei primi studiosi della scienza si sono soffermati sulla conoscenza intellettuale, o meglio, l'esame della vita intellettuale da un punto di vista sociologico. Secondo Berger e Luckmann, autori de "La costruzione sociale della realtà", il problema fondamentale della conoscenza sta nel condizionamento sociale in relazione a tutti coloro che vivono in qualche contesto sociale e devono affrontare le problematiche relative alla vita quotidiana. "Tutti coloro che vivono in una società devono conoscerla, in qualche modo, per potervisi orientare in essa". Quindi non solo conoscenza sociologica intellettuale ma anche conoscenza sociologica della realtà che ci circonda e dei problemi ad essa legati.



Mannheim, in "Ideologia e Utopia" definisce la sociologia della conoscenza come teoria quale la scienza che tende ad analizzare la relazione tra la conoscenza e l'esistenza, come ricerca, invece, un'analisi delle forme di queste relazioni nello sviluppo intellettuale dell'umanità.

Altri autori hanno ripreso questa definizione di Mannheim, il cui contributo è indubbiamente il più rilevante sul piano della scienza in esame.

Merton critica il lavoro di Mannheim ma riprende la sua stessa definizione di sociologia della conoscenza quando afferma che essa studia le relazioni della conoscenza e gli altri fattori essenziali della società e della cultura.


Avendo fin'ora definito la sociologia della conoscenza come quella scienza che studia le relazioni tra conoscenza ed esistenza sociale, dobbiamo ora definire in che senso e in quale modo l'esistenza sociale possa condizionare la nostra conoscenza. La natura di questa relazione si basa sul pensiero e sul suo condizionamento sociale che avviene in modo extra razionale. Se infatti il pensiero fosse razionalmente "dato" esso non potrebbe essere condizionato dall'esistenza sociale e quindi, in questo senso si deve riconoscere, un fattore extra-razionale, un carattere non puramente cognitivo ma emotivo del pensiero umano. E diventa compito della sociologia della conoscenza quello di indagare non solo sul condizionamento cognitivo ma anche emotivo dell'esistenza, riconosciuto lo stesso pensiero costituito da entrambi questi due aspetti. Wolff a tal proposito definisce la disciplina come: sociologia del comportamento intellettuale ed emotivo.


La definizione ora di società impone nuove problematiche. Possiamo ricondurre la società alla conoscenza da un lato o solo alla natura dall'altro? La risposta migliore è quella che la definisce come una struttura, una cristallizzazione di modi di agire e di pensare, sempre di necessità influenzati dalla realtà naturale, ma mai totalmente riducibili a essa.

Ma per ora si apre un altro problema: quanto del sociale condiziona il nostro pensiero e quanto invece appartiene a noi in quanto dato e immodificabile?


I rapporti tra la sociologia della conoscenza e altre discipline come ad es., l'antropologia culturale (questo lo vedremo più in là) e la sociologia della cultura possono essere rilevati. Fondamentalmente è l'oggetto di studio che differenzia la prima dall'ultima. Cultura non è altro che l'ambito vasto in cui la conoscenza si colloca solo come una sua parte. Sociologia della cultura è anche sociologia della conoscenza. Interessante è citare la differenziazione di cultura e civiltà data da A. Weber: cultura è una visione del mondo particolare, civiltà è tecnologia e cognizioni scientifiche. Egli precisa quanto la cultura, costituita da valori, religione, filosofia, possa influenzare la conoscenza. Anzi, è forse proprio mediante la cultura che riusciamo a relazionarci con la realtà sociale e quindi "conoscere" (in senso sociale).


I precedenti.

La sociologia della conoscenza vede al suo interno un dibattito dovuto dall'affiancarsi di due diverse approcci della disciplina stessa: da un lato c'è quello che riconosce l'ineluttabile storicità e socialità del pensiero umano, creatosi e formatosi in un contesto storico-sociale (e capostipite di questa scuola è senz'altro Dilthey, storicismo contemporaneo -> teoria critica della società ) e l'altro approccio, quello definito della "distorsione del pensiero", la c.d. teoria dell'ideologia.


Agli albori di questa teoria ritroviamo Machiavelli che secondo Mannheim rilevò alcuni aspetti interessanti validi ai fini della sociologia della conoscenza e in concreto le opinioni diverse degli uomini rispetto ai loro interessi, (riferendosi alla "piazza" e al "palazzo") e anticipa anche uno dei temi più importanti della teoria sociologica dell'ideologia, quello della religione come strumento di cui si serve il potere costituito per perpetuare se stesso.

Un altro precursore è Bacon, con la sua teoria degli "idola". L'uomo secondo l'autore ha il compito specifico di dominare la natura ma a questo compito si oppongono degli ostacoli detti appunto "idola". Ne rileva 4. Due più propriamente di natura individuale ed innata, e 2 di natura sociale. Gli "idoli del foro" e del "teatro", rilevando con quest'ultima definizione la parvenza drammatica di tutte le filosofie proposteci che disegnano dinanzi a noi mondi immaginari e fantastici.

Pur riconoscendo Bacon la presenza di due "idola" di natura sociale, egli si limita a denunciare l'effetto fuorviante di alcune forme devianti del pensiero, quali ad es. i pregiudizi che scaturiscono dall'uso errato o non appropriato del linguaggio per quanto concerne gli idoli del foro. Ma non riesce a rilevare la connessione tra situazione sociale e pensiero. Ha il merito in ogni caso di aver percepito e rilevato una tendenza filosofica che sarà pienamente accettata solo circa 100 anni più tardi e cioè quella della natura ideologica forviante dei pregiudizi fondati sul più o meno conscio desiderio rivolto ad un particolare interesse. Tuttavia pur riconoscendo la possibilità di superare queste distorsioni, egli afferma come la natura degli idoli sia innata o per lo meno intrinseca nell'uomo stesso. E anche se poi preciserà che innati non sono gli idoli ma la predisposizione umana ad essi non ci risulta chiaro come superarli e in definitiva come superare la contraddizione.

Bacon quindi anticipa la tendenza illuminista rivolta a cercare di superare i limiti dei pregiudizi liberando l'animo umano da questi ultimi.

Holbach ritiene che il pregiudizio è "l'errore" che è solo un fatto accidentale, un ostacolo, che non permette all'uomo di vedere la verità, a causa di ignoranza, interessi personali che oscurano i nostri giudizi obiettivi. Ognuno è capace di scoprire la verità se essa ci viene presentata nella giusta luce. Quest'autore, in modo particolare, insiste sulla manipolazione del pensiero da parte del potere politico costituito e della religione che ne è lo strumento.

Il termine ideologia nella letteratura sociologica contemporanea significa pensiero distorto da interessi di parte. Etimologicamente il suo significato è diverso: lo studio delle idee con metodo naturalistico, superamento degli elementi irrazionali che le viziano. Le idee, quindi, ridotte a sensazioni e analizzate in senso naturale. La differenza sostanziale è che questo secondo approccio pone anche la soluzione problematica anzichè la sola definizione. L'intuizione della ideologia come scienza non ha un intento puramente filosofico, ma la sua ragion d'essere si ricollega alle tendenze illuministiche che volevano una trasformazione che si liberasse dalla tradizione religiosa e dai pregiudizi di ogni genere. Questa fu la ragione per cui il termine venne ad assumere un'accezione negativa.

Il problema oggetto d'analisi diventa quindi la capacità individuale (razionalità) di superare i limiti del pensiero viziato. L'errore del pensiero illuminista risiede nel dare per scontata questa razionalità e d'individuare il progresso sociale e la conoscenza come due elementi che non sono hanno tra loro una relazione ma che possono essere quasi identificati. Questa convinzione non cadrà nemmeno nel momento in cui il razionalismo illuministico viene ad essere superato. Saint-Simon e Comte parlano di convergenza tra società e conoscenza. Non pongono problematicamente la natura e lo svilupparsi di questa relazione. La sociologia della conoscenza invece rileva quest'elemento come punto nodale, come il problema principale.

Un discorso a parte è quello concernente il pensiero di Hegel. La ragione è infatti un'attività dinamica di critica nei confronti della realtà circostante e quest'ultima va intesa in senso storico. Questo è il principio della dialettica, un processo che Hegel definisce dinamico. La ragione, o l'espressione razionale del pensiero dell'uomo si pone in una posizione di critica nei confronti della realtà, negandola diventa "antitesi". Una nuova negazione di questa costituirà una nuova antitesi (principio dialettico su cui si basa l'idealismo di Hegel). L'idealismo di Hegel costituisce un tentativo di dare una base storica al pensiero razionale contro il razionalismo astratto dell'Illuminismo. Questo è il contributo maggiore alla sociologia della conoscenza anche se possiamo rilevare dei limiti al suo pensiero. Dal punto di vista di questa scienza, infatti, risulta difficile distinguere atti razionali da quelli non razionali perchè Hegel riconosce "razionalità" a tutto l'agire umano, affermando subito dopo la loro inadeguatezza, nel momento in cui diventano "antitesi". Così c'è il rischio che la concezione di Hegel non porti alcun contributo al problema di un'analisi sociologica che di volta in volta possa dire quali espressioni sono viziate dalla presenza di fattori ideologici e quali meno (apparentemente sembra che l'idealismo hegeliano non si distacchi molto dal razionalismo astratto dell'Illuminismo, anche se riconosce la storicità della ragione ne limita i suoi effetti per così dire "storici" affermando che ogni antitesi, nel processo dialettico perde la sua validità e verrà confutata perchè divenuta "inadeguata"). Un altro contributo di Hegel risiede nell'aver individuato che tutte le conoscenze sono mediate, anche se possono sembrarci immediate. (scrive: conosco l'America ma questa conoscenza è mediata. Se sono in America e vedo il suo suolo ho dovuto viaggiare alla volta di essa, Colombo dovette scoprirla, dovettero costruirsi navi, etc...)

Un altro precursore della sociologia della conoscenza è Nietzsche, con la sua concezione del "superuomo", l'aristocratico, totalmente libero da ogni condizionamento, contrapposto alla figura dello schiavo sottomesso. L'aristocrazia è giustificazione, i sottomessi costituiscono la necessità. Essi sono ridotti a uomini incompleti in funzione della società e del suo funzionamento.

Ora partiamo dalla concezione materialistica della storia che costituisce il precedente più influente nello studio della sociologia della conoscenza.


La teoria dell'ideologia nel pensiero di Marx e Engels.


Non tutti i critici e gli studiosi della sociologia della conoscenza ritengono di considerare la teoria materialistica della storia come il precedente più diretto della scienza in esame. Ma è innegabile rilevare una critica dell'ideologia e pertanto il riferimento ci pare pertinente. Marx e Engels hanno fatto riferimento in termini espliciti a questa teoria in "l'Ideologia tedes 111f59b ca" ma negli scritti di Marx antecedenti possiamo ritrovare altri elementi interessanti. Ad es. Nella critica a Feuerbach o a Hegel, o alla economia politica. Partiamo da Hegel. Marx accetta la concezione dialettica della realtà che vede l'uomo come prodotto del suo lavoro, mediante un riconoscimento e un'oggettivazione delle sue opere. Qui si insinua, secondo Marx, il limite di Hegel. Eli ha percepito questo processo in termini eminentemente filosofici. Egli non parla di "riappropiazione" di quelle stesse opere e pertanto parla di un uomo ideale e astratto. L'astrattezza è legata al problema dell'ideologia. Questo è il limite di Hegel secondo Marx. Il problema dell'Ideologia viene messo in evidenza anche nella critica all'economia politica come scienza che accetta come realtà naturali astoriche non trasformabili tutte le leggi economiche che giustificano e sono giustificate dalla proprietà privata e dalla società borghese. Così l'operaio è merce e questo è un dato "naturale", immodificabile. L'uomo interessa all'economia politica come lavoratore, produttore, in una società fondata sulla divisione del lavoro e sulla proprietà privata. L'economia politica si stanzia su un errore ideologico, considerando la realtà economica della società borghese come immodificabile, statica e naturale. La scienze naturali per definizione dovrebbero essere "umanizzate", apparendo la natura stessa come l'uomo storico sociale la percepisce, cioè come "natura umanizzata". Ne deriva la definizione di "scienza umana", storica perchè naturale. Il problema dell'alienazione viene percepito come problema "ideologico". L'uomo non si riconosce nel suo lavoro, si disumanizza, si rende oggetto del suo lavoro. E' solo mediante l'abolizione della proprietà privata che l'uomo giungere ad una completezza di sè. Marx intende l'uomo non come soggetto isolato ma come essere sociale.

Per quanto concerne la critica di Marx in "Tesi su Feuerbach", essa prende le sue mosse dal tipo di approccio che quest'ultimo ha nei confronti del mondo. Un tipo di interpretazione che tenta di descriverlo, con il pericolo di formulare "teorie" ricadendo nel "naturale". Marx dice che il limite maggiore dei filosofi è stato quello di non saper trasformare il mondo, ma essere capaci solo d'interpretarlo in modi differenti.

In "Ideologia tedesca" Marx e Engels criticano duramente la sinistra e la destra hegeliana affermando che entrambe, pur essendo una antitetica all'altra, non riescono a rilevare il nesso esistente tra la filosofia tedesca e la realtà tedesca, il nesso tra la loro critica e il loro ambiente "materiale".

L'ambiente "materiale", (il mondo materiale), consiste in tutti i modi in cui gli uomini producono le condizioni della loro sopravvivenza strettamente materiale. Per la produzione è necessaria la divisione del lavoro, che a sua volta determina anche i rapporti tra gli individui in relazione al materiale. I due autori spiegano quest'affermazione in concomitanza con il concetto di ideologia. Dalla differenziazione sociale dovuta alla divisione del lavoro, e in modo specifico tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, la coscienza si distacca dal mondo, dalla realtà storico sociale per diventare "pura" teoria, "filosofia, teologia, etc...(giustificazione della borghesia) Così la stessa divisione del lavoro è "naturale" e non può essere percepita nel suo contesto storico, pertanto, Ideologia. Secondo il materialismo storico, invece, bisogna vedere tutte le evoluzioni del pensiero in relazione al reale processo di produzione. (differenza: interpretazione del pensiero, teorie naturali contro il materialismo storico legato all'evoluzione storica del contesto di produzione). Il discorso fila fino a quando i due autori affermano che la classe dominante è la potenza materiale e spirituale dominante. Le idee della borghesia, in parole povere sono dettate dagli interessi di classe. Pertanto l'ideologia è per definizione conservatrice. Questa affermazione sembra trascendere la situazione economico sociale data. Come è possibile creare un pensiero non ideologico? Come è possibile porsi teoricamente dalla parte della classe dominata? I due autori rispondono proponendo una pratica, con la quale sembra si risolva anche il problema teorico. Bisogna abolire lo stato di cose sociali. (rivoluzione proletaria).



Dalla teoria dell'ideologia alla sociologia della conoscenza.


Il materialismo storico di Marx e Engels viene ad un certo punto quasi rovesciato da M. Weber .Egli parte dal sostenere che ogni ricerca nelle scienze sociali muove da alcuni presupposti valutativi e la scelta di questi ultimi da parte di chi compie la ricerca è condizionata da fattori di ordine sociale e individuale. Egli riesce a dimostrare l'inevitabilità della relazione con i valori di ogni ricerca sociale e in una ricerca storico-sociologica "l'etica protestante e lo spirito del capitalismo" egli riesce a dimostrare come i mutamenti di ordine religioso possano essere influenzati da quelli di ordine economico. L'opposto di quello che aveva detto Marx. La polemica tra i due sociologi si apre duramente perchè entrambi gli approcci possono essere attaccati reciprocamente. Il marxismo è accusato di ideologismo, il discorso weberiano di relativismo e di ideologismo anch'esso perchè costituisce un tentativo di contestare il marxismo compiuto dal punto di vista borghese e quindi condizionato dai suoi interessi particolari. La sociologia della conoscenza cercherà di dare delle risposte per uscire fuori da quest'empasse.

Lukàcs in forte polemica contro Weber riafferma il carattere statico e quindi astorico dell'ideologia rispetto al punto di vista del proletariato. Attraverso una ripresa dei concetti marxiani di mercificazione dei rapporti tra gli uomini, estraniazione e alienazione egli spiega che la condizione del proletariato può essere superata in quanto essi possono prenderne coscienza (di classe) della realtà e trascenderla (rivoluzione).Anche la borghesia si trova in una condizione di estraniazione ma a proprio agio, per questo motivo non ha alcuna possibilità di trascenderla. Egli afferma quindi il carattere statico della borghesia e quello dinamico del proletariato.

Le critiche che gli sono state mosse provengono da parte marxista e non. Fondamentalmente è stato accusato di far riferimento ad una concezione metafisica della storia indicando in una classe in ascesa la possibilità di riuscire a comprendere la verità, mentre è evidente che una tale condizione di classe può turbare questa comprensione, le sue connessioni e rapporti. Inoltre questo autore è stato accusato di idealismo in quanto attribuisce alla coscienza di classe una realtà in qualche modo metafisica, diventando un principio trascendente rispetto alle conoscenze individuali, un'entità soggettiva superindividuale.

Il pensiero di Lukàcs condiziona un altro ungherese, Karl Mannheim, il quale si riallaccia al marxismo ma polemicamente lo attacca e lo contesta esplicitamente. Avverte inoltre la necessità di non rinunciare a tentare di guidare scientificamente e razionalmente la politica (punto di vista vicino al marxismo, se vogliamo). In "Ideologia e Utopia" Mannheim tenta di superare la teoria dell'ideologia (la sua prima versione uscita in lingua tedesca -1929). Egli accetta di Marx innanzitutto il carattere pratico del pensiero relativamente al proletariato ma non solo. Mannheim infatti estende il concetto di carattere pratico del pensiero a tutti i gruppi, allargando la portata dell'ideologia marxista, non più solo prerogativa della classe dominante ma di tutte le classi. Ma posto in questi termini il carattere critico del marxismo viene a sbiadirsi, per lasciare spazio a quello che Lukàcs chiamava semplicemente un problema di carattere sociologico generale, relativo alla corrispondenza tra posizioni sociali ed economiche e forme e contenuti di pensiero. Le difficoltà di Mannheim appaiono forse chiare sin dalle prime pagine del suo libro più famoso. Come contributo alla sociologia della conoscenza Mannheim distingue tra concezione parziale e totale dell'ideologia. La prima va spiegata in termini psicologici come distorsione di una corretta analisi della società dovuta a ragioni di tipo emozionale, irrazionale, inconscio. La seconda, invece, può essere interpretata e spiegata solo in termini sociologici perchè scaturisce dalle stesse strutture sociali. Per comprendere l'ideologia totale bisogna risalire alla struttura classista della società ed attribuire l'ideologia a questa struttura. Per passare dalla teoria dell'ideologia alla sociologia della conoscenza bisogna cercare di sottomettere all'analisi ideologica tutti i punti di vista, non soltanto quello della classe dominante o dell'avversario, in generale, ma anche la propria. Naturalmente tutti i punti di vista devono avere, almeno ipoteticamente, all'inizio della ricerca, pari valore, e che non vi sia un metro di riferimento per misurare se una prospettiva, piuttosto che un'altra, abbia un potere conoscitivo maggiore rispetto che un altro. Mannheim avverte l'esigenza di distinguere tra ideologia e utopia, due aspetti di pensiero condizionato riferito alla classe dominante e a quella subalterna. Sia ideologia che utopia sono visioni del mondo distorte da quella che è la realtà vera, ma nessuna delle due è più vicina alla verità e per questo superiore all'altra. Questa è una precisa differenza di Mannheim rispetto a Lukàcs: la prospettiva del proletariato non è superiore a quella della borghesia, anche se si può riconoscere, all'interno della prima, maggiori possibilità di mutamento strutturale. Se da un lato Mannheim contesta l'impostazione marxista secondo la quale è la classe di appartenenza che condiziona il pensiero, introducendo altre categorie sociali secondo cui il pensiero possa essere condizionato (ceti, sette, gruppi di lavoro) egli poi fa un'affermazione che si accorda senza problemi con il marxismo, affermando che tra tutti i raggruppamenti sociali la classe è la più importante e che tutti gli altri gruppi nascono in rapporto alle stesse differenze di classe, detenzione del potere e condizioni di produzione. Mannheim è notevolmente influenzato dal marxismo, pur cercando di distaccandosene perchè insoddisfatto dalle soluzioni da esso proposte. Mannheim corre il rischio di cadere nel relativismo che emerge dalla sua tesi del condizionamento del pensiero sia utopico che ideologico perchè, in quanto parimenti condizionati, vanno posti sullo stesso piano. Per evitare ciò egli fa riferimento ad una particolare categoria sociale, quella degli intellettuali, che non coinvolti direttamente nel processo della produzione e con un grado di istruzione maggiore rispetto alle altre categorie sociali, possono porsi in una posizione critica rispetto al problema del condizionamento del pensiero da parte di fattori consci o sub-consci, o comunque non razionali e offrire una prospettiva diversa, una sintesi dinamica delle varie posizioni legate più direttamente alla produzione, creando una vera e propria nuova concezione del mondo.


Le conseguenze epistemologiche e politiche della sociologia della conoscenza di Mannheim.


Mannheim tratta a lungo delle conseguenze epistemologiche della sociologia della conoscenza. Egli afferma che il pensare che esista una sola verità assoluta che prescinde dalla condizione storico-sociale dipende da una concezione della conoscenza legata a fasi storiche determinate. E questa teoria tradizionale contrasta con i più moderni approcci del pensiero sociologico che mostra che non esiste una sola verità e reagisce a quest'approccio affermando che l'unica alternativa possibile è un totale relativismo. Ciò, tuttavia, è un'analisi che tenta di conciliare l'approccio tradizionale alla luce dei nuovi sviluppi sociologici. Per uscire fuori dal relativismo Mannheim espone un'altra idea, quella del relazionismo, che si contrappone al primo. Il relazionismo, tuttavia, non sembra distaccarsi molto dalla definizione del relativismo. L'idea secondo cui "non si possono più accettare e concepire verità assolute ed indipendenti dal soggetto e dal contesto sociale" sembra riferirsi al relativismo ed è invece quello che Mannheim definisce relazionismo. Più che a due diverse scoperte sembra di trovarci di fronte a due modi differenti di percepire emotivamente la stessa scoperta. E la proposta di combattere il relativismo con il relazionismo sembra ridursi ad un problema meramente terminologico. E poi, ammesso che ciò sia possibile, non è detto che analizzando una realtà da un punto di vista relazionale staccandosi da alcune verità che venivano percepite "dogmatiche" venga superata automaticamente la situazione di incertezza e di dubbio che ne scaturisce. A tal proposito Mannheim pone l'esempio del contadino che va a vivere in città. Da un lato egli relaziona la nuova realtà con la vecchia, percependo la seconda non più come "l'unica possibile e assoluta", ma questa esperienza non lo esime da una situazione di dubbio (Il problema del relativismo/relazionismo è un modo, per Mannheim di trovare una soluzione ad un problema teorico).

Il problema degli intellettuali è ad un tempo, problema teorico e politico, entrambi in stretta connessione. Del problema politico abbiamo accennato facendo riferimento alla distinzione tra "ideologia e utopia", anch'essa, se vogliamo, una distinzione puramente terminologica, dalla quale non riusciamo comunque a mettere bene a fuoco le differenze (come nel caso del relativismo/relazionismo).Così, limitato nel fornire un'alternativa valida per l'azione Mannheim cerca di trovare una soluzione al problema riponendo fiducia nella figura degli intellettuali. Innanzitutto egli afferma che è possibile poter scegliere razionalmente di fronte a situazioni nuove riguardanti la politica? In altre parole egli definisce questa possibilità, consacrata nella sua attività, come Scienza della politica. Essendo le diverse concezioni e teorie politiche di numero finito, anche se una in conflitto con l'altra, ed essendo esse legate a specifiche condizioni storico-sociali e non il risultato di una volontaria ed arbitrale soggettività, la scienza della politica è per la prima volta auspicabile. Bisogna formulare una "sintesi dinamica" tra le diverse posizioni e non procedere a una giustapposizione. Chi è in grado di fare tutto ciò se, da un lato la conoscenza politica è necessariamente e per definizione conoscenza di parte legata a degli interessi? D'altro canto egli è consapevole che questa scienza non può fornire verità assolute valide per sempre e che la caratteristica della dinamicità si riferisce per l'appunto a questo suo carattere non definitivo. La risposta viene rintracciata nella figura degli intellettuali indipendenti. Essi sono i portavoce delle classi sociali in lotta tra loro. Quando Mannheim parla di intellettuali questi sono intesi non in senso astratto, ma in una condizione storicamente specifica. Mannheim, inoltre, non è ingenuamente convinto che tutti gli intellettuali facciano quello da lui prescritto. L'espressione "intellettuali migliori" è del resto sintomatica di questo. Un altro punto che non sembra sufficientemente chiarito sembra essere quello relativo alla possibilità, una volta formulata una sintesi dinamica, in quanto sintesi, di concretizzarsi in una scelta politica concreta e particolare. Anche qui l'autore mostra particolari incertezze. Inoltre egli definendo la scienza della politica è tenuto a precisare cosa sia la scienza. Egli condanna la scienza positiva, in quanto essa, per definizione lascerebbe tutto ciò che è umano e non misurabile al di là dei possibili oggetti di studio. Secondo Mannheim il limite maggiore della filosofia e della scienza positiva è escludere tutti i condizionamenti storico sociali dal proprio ambito d'indagine, quando è essa stessa il risultato di una particolare concezione del mondo. Così Mannheim fa appello ad una scienza che sia in grado di escludere le forze irrazionali mediante il controllo seppure parziale, della ragione su di esse.

Per quanto riguarda l'ideologia e l'utopia Mannheim nella prima parte del libro, o perlomeno fino al 1931, quando verrà aggiunto un saggio, non le riesce a distinguere con chiarezza. Successivamente ne tratterà affermando che l'ideologia è tipica della classe dominante e l'utopia del gruppo in ascesa. Il pensiero e ideologico e quello utopico sono entrambi contrapposti alla realtà sociale storicamente data. Ciò non significa che non fanno riferimento ad essa, ma da un lato la classe dominante astrae la realtà in senso conservatore e la classe subalterna contrasta con la situazione di fatto. La differenza che sembra emergere dal discorso di Mannheim è che l'utopia può sovvertire e modificare la realtà data. L'utopia no. Un aspetto interessante e curioso è quello che sembrerebbe che la classe dominante definisce quello che è utopia, in contrasto con i propri interessi, la situazione sociale apparentemente non facilmente modificabile, e la classe subalterna definisce ciò che ideologia condannando l'ottusità dei borghesi (in definitiva) verso il mutamento e la loro incapacità do cogliere l'aspetto dinamico della realtà storico-sociale. Per Mannheim la fine delle utopie è la fine della libertà umana che porta ad una condizione statica della realtà storico-sociale. Ecco ora il paradosso: quando l'uomo consapevolmente è riuscito a rendere razionale la realtà, dopo un lungo, difficile e tortuoso cammino, resta senza ideali e diviene una pura creatura impulsiva. L'uomo perderebbe così ogni volontà di dare senso alla storia. Quindi se l'utopia nasce dalla razionalità e la sua fine è vittima della stessa alla fine del suo volume, Mannheim, sembra temere quanto avesse auspicato in quanto questo potrebbe comportare l'impossibilità per l'uomo di comprendere la stessa realtà storico-sociale che aveva consapevolmente razionalizzato! Nell'edizione inglese, ('36) e in particolare nella sua introduzione Mannheim fa cadere la possibilità per l'utopia di poter modificare l'ordine sociale. Solo guardando all'edizione del '31, quindi sembrano emergere caratteri distintivi. Successivamente, dopo il '36, Mannheim tende nuovamente a fornire una sintesi sulla differenza tra Ideologia e Utopia, riuscendo però a proporre ancora una nuova definizione.

Ideologia riflette una scoperta che è venuta emergendo dalla lotta politica. Le idee e le convinzioni dei gruppi dominanti sono legati strettamente ai loro interessi da escludere totalmente tutti i fatti che possano minacciare il loro potere costituito. L'ideologia quindi ha una funzione conservatrice.

Utopia rilette i pensieri delle classi dominate che tendono a trascurare anch'essi la realtà in quanto fortemente occupati a negare quegli aspetti, della stessa, che non accettano e che vorrebbero mutare. Essi non si occupano di ciò che realmente esiste, ma di ciò che vorrebbero non esistesse.


Il dibattito su Ideologia e Utopia.


Il libro, appena uscito, ha scatenato varie critiche. Tutti hanno rilevato l'influenza marxista e relativamente al concetto di Ideologia, alcuni hanno considerato Mannheim come seguace di Marx, altri l'hanno considerato un "traditore". Una prima critica che si potrebbe fare a Mannheim è quella di aver imposto tutta la sua opera in termini troppo generali e non in relazione alla situazione della Germania nella repubblica di Weimer. Un'altra critica può essere quella di Curtius, che rileva che Mannheim ha "soggettivamente" attribuito valore al mutamento e attribuito aggettivi come "torpore e morte" alla stabilità. Si potrebbe legittimamente invertire il discorso e considerare positivo ciò che è stabile. Nella teoria mannehimiana c'è, secondo Curtius, una minaccia ai valori eterni e assoluti.

Mannheim replica alle accuse di Curtius affermando che le sue teorie sono state fraintese, che il suo scopo è stato quello di smascherare quelle posizioni "ideologiche" che si autoproclamano eterne e immutabili e nascondono, invece, interessi di parte. La sociologia della conoscenza intende "smascherare", appunto, queste ideologie. Curtius inveisce contro Mannheim per avere quest'ultimo considerato il pensiero dinamico superiore a quello statico. Altre critiche invece, ironicamente, condanneranno esattamente l'opposto. Marcuse, ad es., accuserà Mannheim di essere rimasto legato ad una concezione fondamentalmente statica. La teoria delle Utopie, tuttavia, contrasta con quanto affermato da Marcuse, anche se spesso non c'è coerenza tra le varie definizioni di utopia e sulla sua stessa possibilità di mutare o meno l'ordine sociale. Marcuse rifiuta, sostanzialmente la teoria secondo la quale esista una corrispondenza tra pensiero ed essere. Allora si potrebbe parlare di coscienza di classe solo in una società capitalistica con un ordine capitalistico in atto? Ciò significa, per Marcuse, un limite nel non saper cogliere il carattere dinamico della storia. Anche Horkheimer, altro marxista, critica Mannheim per aver tradito il marxismo. Non solo perchè, come Marcuse, rileva che la corrispondenza tra essere e pensiero non è un criterio garante della verità, ma la critica è rivolta ai temi d'analisi dell'opera di Mannheim che non sono "marxiani". Mannheim infatti, secondo Horkeimer, analizza il problema filosofico della verità, non concretamente quello politico ed economico. L'attacco è quindi rivolto anche alla sociologia della conoscenza che si pone come fine primario quello di conoscere la verità in senso filosofico, piuttosto che trasformare la filosofia in scienza positiva e in prassi. Non ci sembra però che Mannheim abbia ricercato questo tipo di verità assoluta. Secondo Marcuse non lo ha fatto direttamente, ma nel momento in cui parlava di ideologia la definiva sostanzialmente come lo spazio intercorrente tra la verità eterna e il pensiero ideologico. Da Horkeimer, quindi, giungono a Mannheim accuse di idealismo per aver ridotto il problema del condizionamento sociale del pensiero ad una questione puramente filosofica. Ironicamente e paradossalmente altri marxisti lo accusano di psicologismo, individuando il tentativo mannheimiano di dar peso all'influenza psicologica della propria posizione sociale relativamente ai diversi orientamenti intellettuali. Lewalter, in modo particolare, lo accusa in questo senso. Tuttavia è innegabile non rilevare l'intento e lo sforzo di Mannheim di rendere i tradizionali problemi filosofici racchiudibili sotto una matrice sociale. E tutte le sue critiche non sono altro che un tentativo di "psicologizzare" la sociologia della conoscenza oltre ogni limite consentito dal testo di Mannheim.

Altre critiche di provenienza non marxista sono state portate avanti da altri studiosi, tra cui: Tillich che rileva che Mannheim spesso si è riferito ad un tipo di utopia conservatrice negando così la definizione stessa che egli ha enunciato relativamente al carattere innovativo del pensiero utopico. Adorno poi criticherà Mannheim per aver rilevato il solo carattere culturale alla base d'un mutamento storico e non delle ragioni di carattere economico. La stessa scissioni della società in classi è ridotta ad un problema esclusivamente culturale.


Emile Durkheim: le origini sociali delle categorie conoscitive.


Emile Durkheim si è occupato della sociologia della conoscenza soprattutto nella fase matura dei suoi lavori, analizzando le categorie conoscitive anteponendo la sua tesi a quella di Kant secondo cui queste ultime erano a priori universali, affermando, appunto, che esse muovono dall'"essere sociale", sono da rintracciare nella società, appunto. L'"essere sociale" di Emile Durkheim non è una mera somma degli individui, ma viene a creare una realtà sui generis, completamente condizionata dalla prospettiva sociale piuttosto che psicologica. Anche Durkheim come Marx condanna l'economia politica ma per motivazioni differenti. Marx criticava questa scienza perchè mossa da interessi borghesi e pertanto "ideologia", in senso quindi politico; Durkheim, invece accusa l'economia politica di muovere le sue basi in senso individualistico non riuscendo a percepire il suo senso sociale .E in questo contesto parla di "essere sociale" e di come gli individui nel loro agire sono mossi da forze sociali spesso non consce. Poichè la sociologia della conoscenza studia esattamente i condizionamenti esercitati dalla società sulla vita intellettuale ed emotiva senza che il soggetto condizionato ne sia consapevole, Durkheim con questa affermazione sembra anticipare quello che sarà il compito specifico di tale disciplina.

Per comprendere la tesi secondo cui le categorie conoscitive hanno matrice sociale bisogna spiegare come Durkheim affermi che alla base della società ci sia la religione e non l'economia come l'opinione della maggioranza degli studiosi aveva ipotizzato.

La società sorge attraverso l'azione comune e gli individui, interagendo, creano la realtà sui generis che si impone mediante quei caratteri della trascendenza e dell'imperatività della religione. La società, in questo senso religioso, crea le stesse coscienze. Per affermare la sua tesi circa la natura sociale delle categorie conoscitive Durkheim confuta due approcci, quello degli empiristi e quello degli aprioristi. Il primo è totalmente agli antipodi rispetto all'ipotesi durheimiana; esso afferma che le categorie conoscitive derivano dall'esperienza. Viene attribuita ad esse, quindi, una ragione psicologica. Gli aprioristi, secondo Durkheim hanno individuato il carattere apriori delle categorie di pensiero, che in Durkheim dipendono esclusivamente dalla società mediante la religione, ma sbagliano nel considerarle universali perchè, secondo Durkheim esse sono sempre relative a specifiche civiltà.

Il contributo di Durkheim alla sociologia della conoscenza a questo punto appare evidente: egli individua non solo l'influenza della società sui contenuti specifici delle conoscenze proprie di ogni singola società o dei diversi gruppi all'interno della singola società, ma le stesse forme a priori della conoscenza, quei principi che rendono la conoscenza possibile. Ed è palese a questo punto anche la differenza con il pensiero di Marx. Quest'ultimo, nel materialismo storico aveva individuato alla base delle categorie del pensiero gli interessi derivanti dalle posizioni che all'interno della società i soggetti rivestivano. (società borghese, ovviamente). Non sono quindi i principi costitutivi della conoscenza ad essere presi in esame ma le diverse concezioni delle classi sociali. Durkheim invece fa un discorso differente ampliandolo il più possibile: "sociologizza" le stesse categorie conoscitive, gli stessi elementi che rendono possibile la conoscenza. Il tentativo durkheimiano, quindi, sembra prendere in esame il problema più a monte.


Vilfredo Pareto critico delle ideologie.


Vilfredo Pareto, apporta alla sociologia della conoscenza un notevole, anche se discutibile contributo alla critica delle ideologie. L'idea centrale della sua teoria è che l'uomo non è un essere tendenzialmente razionale, anzi, è mosso da azioni e impulsi non razionali. Pareto vede nella scienza la possibilità di migliorare la società. Riconosce alla sua scienza, però, la possibilità per l'uomo scienziato, in particolare, di riuscire ad attenersi scrupolosamente ai fatti senza lasciarsi influenzare, come tutti gli uomini, da impulsi irrazionali. Nelle teorie marxiste riconosce il carattere sovrastrutturale della morale e della religione senza tuttavia condividere il materialismo storico per quanto riguarda la lotta di classe e la vittoria finale del proletariato perchè, egli dice, non suffragata da prove empiriche me più che altro un desiderio che si fa passare per scienza, dello stesso Marx. Egli estende questo concetto, relativamente al pensiero non razionale della lotta di classe che viene giustificato e suffragato dal "fare scienza", senza peraltro mostrare prove empiriche, riferendosi a tutti gli uomini e al loro tipico agire non razionale e ai loro tentativi di giustificare lo stesso. Così si parla, relativamente a Pareto, di ottimismo epistemologico e pessimismo antropologico. L'uomo agisce in modo non razionale e questi sono per Pareto i residui, giustificando le stesse azioni mediante teorie chiamate "derivazioni".

Nello specifico, abbiamo 6 classi di residui e 4 di derivazioni.


RESIDUI:


istinto delle combinazioni (impulso intrinseco dell'uomo di fare accostamenti non razionali);

persistenza degli aggregati (necessità di dare stabilità alle combinazioni del primo residuo. Es. il vivere in una classe sociale presuppone certe credenze -istinto delle combinazioni- e il fatto di continuare a viverci imprime loro stabilità nel nostro essere.);

bisogno di manifestare con atti esterni i nostri sentimenti (esteriorità dei culti, ad es.);

i residui in relazione con la società (vivere la società: altruismo, generosità solidarietà);

integrità dell'individuo e delle sue dipendenze (da questo Pareto fa discendere la proprietà ed evidenzia i sentimenti che ad essa sono collegati che possono essere di altruismo o egoismo);

istinto sessuale (che non coincide con l'impulso ma con i sentimenti ad esso connessi, come ad es. l'ascetismo che tende a celare l'impulso.


DERIVAZIONI: (una precisazione, Pareto dice che tutto ciò che non deriva dal metodo logico sperimentale non è razionale).


affermazione -indipendente dall'esperienza- (non basandosi sul metodo logico sperimentale. Quella che deriva dall'esperienza non è considerata derivazione);

autorità (riconoscimento di un atto come razionale o effettuare una scelta in base solo all'autorità che un soggetto o un'istituzione esercita);

Accordo tra sentimenti e principi (riconoscere la verità solo in base a dei principi comuni: tutti credono in Dio, quindi Dio esiste);

Prove verbali (imprecisione del linguaggio e retorica: spesso alla base di termini come libertà, verità, solidarietà, ci sono discorsi pseudoscientifici).


L'apporto maggiore di Pareto è senza dubbio la critica delle ideologie anche se è stato rilevato come egli non faccia riferimento all'inevitabile storicità e socialità del pensiero: il suo è un approccio psicologico (gli stessi residui e derivazioni sono motivazioni e giustificazioni individuali) e non sociologico. Questa osservazione su Pareto è stata fatta da Bobbio. Un'altra critica che si può muovere a Pareto è di ricadere nell'ideologia, pur essendone critico perchè la classificazione dei residui e delle derivazioni, la storia come cimitero di aristocrazie, la natura fondamentalmente non razionale dell'uomo sono tutti elementi dati astoricamente da Pareto. Questa è ideologia. Pareto, dunque, è rilevante dal punto di vista della sociologia della conoscenza in quanto critico delle ideologie, anche se la sua impostazione è fondamentalmente astorica, e proprio in seguito a questa astoricità, la sua teoria può essere a sua volta considerata come ideologica.


La teoria di Max Sheler.


Cronologicamente Sheler si pone prima di Mannheim e la sua concezione di questa disciplina è molto ampia, tale da coinvolgere nel suo discorso non solo la società occidentale ma i fondamenti delle stesse società che diventano il tema centrale del suo discorso. Sheler afferma che non esiste una sola concezione del mondo, e per questo "naturale": esistono piuttosto più concezioni del mondo relativamente naturali. La sua affermazione non è però relativistica, anzi: le concezioni del mondo relativamente naturali traggono la loro origine da alcune essenze immutabili e le manifestano solo parzialmente e limitatamente. Sheler non ha dubbio circa l'inevitabilità del condizionamento sociale del pensiero: riconosce il carattere sociale di ogni sapere. Queste essenze immutabili alle quali ogni forma di conoscenza condizionata socialmente deriva da un "regno ontico delle idee". Ora Sheler deve spiegare i motivi e le modalità di tale condizionamento del pensiero. Parte dalla differenziazione di "fattori ideali" e "fattori reali". I primi sono i valori dello spirito che, senza quelli reali non possono manifestarsi. Solo dove un fattore ideale sia sorretto da uno reale è possibile che quelle idee originarie possano manifestarsi con efficienza causale (senza forza la libertà non potrebbe manifestarsi, l'amore senza l'istinto sessuale non potrebbe altresì manifestarsi...etc...)

Secondo Sheler è possibile una classificazione dei "tipi di conoscenza delle forme di visione del mondo colte o relativamente elaborate. A tal proposito egli distingue 7 tipi diversi di conoscenza:

mito e leggenda

sapere implicito del linguaggio naturale del popolo (non colto)

il sapere religioso in tutte le sue forme

sapere mistico

filosofico-metafisico

il sapere positivo delle scienze naturali e dello spirito

il sapere tecnologico.

Le forme più importanti di conoscenza sono 3 e vengono classificate secondo una gerarchia discendente:

sapere religioso che mira a raggiungere una salvezza totale mediante la partecipazione all'Essere supremo;

sapere metafisico che apre all'uomo la conoscenza del macrocosmo mediante la scienza nel suo aspetto teoretico;

sapere tecnologico che si propone di estendere sempre più il dominio dell'uomo sulla natura (tecnica) sull'uomo (psicologia) e su Dio (magia). In questo tipo di conoscenza vi rientra la scienza nella sua accezione pragmatica.


Questa ripartizione sheleriana riprende la legge dei 3 stadi di Comte ma con 2 differenze evidenti. La prima è che , come rileva lo stesso Sheler, Comte non aveva individuato i tre stadi come tre diverse forme di conoscenza che costituiscono risposte diverse a diversi problemi ma più che altro fasi della storia dello sviluppo del sapere. Secondo Sheler queste sono forme del sapere perenni, l'una non esclude l'altra, insite nello spirito dell'uomo. Esse si danno spontaneamente con l'essenza dello spirito umano. Un'altra differenza è che Sheler rileva una gerarchia del tutto opposta a quella di Comte, che come si saprà, vedeva nella società tecnologica e nella scienza pragmatica il momento più alto dello sviluppo della conoscenza umana. Per Sheler questo momento si individua nella ricerca della trascendenza.

Sheler distingue tra pensiero socialmente condizionato e ideologia. Il condizionamento sociale è un momento fondamentale della formazione del pensiero mentre l'ideologia non è altro che una distorsione del pensiero viziato da interessi di parte, da pre-giudizi e pre-concetti che inevitabilmente falsano le teorie.

Le prime due considerazioni critiche che possono essere mosse a Sheler sono l'affermazione di base dalla quale egli parte, e cioè la presenza di un regno ontico delle idee , costituito da essenze astoriche e da valori oggettivi che possono essere compresi solo nella loro estrinsecazione storico-sociale. La stessa presenza di queste idee immutabili è una realtà data, un'intuizione non dimostrabile. Da questa prima critica deriva la seconda: come poter distinguere delle categorie, anche se molto generiche, di un'infinità di possibilità che fanno capo al regno ontico delle idee? Non è concepibile classificare diversi tipi di conoscenza se queste possono essere infinite e se comunque non sono dimostrabili e sappiamo che derivano da un regno delle idee dove quest'ultime possono manifestarsi per definizione , un numero "infinito" di volte. Mannheim critica Sheler per non aver concepito i fattori ideali e reali in senso storico sociale. Ma afferma che Sheler è sicuramente un sociologo della conoscenza per aver proclamato l'inevitabile condizionamento sociale del pensiero.

Per quanto riguarda la sociologia della conoscenza Sheler sembra proporre un ampliamento e allo stesso tempo un restringimento del materialismo storico. Un ampliamento perchè il discorso del condizionamento di classe appare come un aspetto particolare di un condizionamento maggiore che riguarda tutta la società occidentale basata sull'economia e che trascura religione e metafisica. Si tratta di una società borghese basata su valori utilitaristici. In questo senso la condizione del proletariato secondo il materialismo storico è interpretato da Sheler come un miope etnocentrismo. Sheler infatti riduce ad ideologia il punto di vista del proletariato. Tuttavia, a questo punto, la questione suggerisce una difficoltà di Sheler. Abbiamo precedentemente visto come alla base delle concezioni del mondo relativamente naturali ci sia un'influenza degli interessi, e nella definizione di ideologia egli dice praticamente lo stesso. Allora la differenza non appare del tutto definita e sicura.

Sheler cerca un'alternativa alla società borghese ma non in un ritorno a valori pre-borghesi, piuttosto egli indica un'alternativa nei valori della cultura tedesca contro il materialismo e l'utilitarismo dei valori anglosassoni. Così egli sarà favorevole, insieme ad altri intellettuali del suo tempo, alla prima guerra mondiale.

L'autore in questione, dopo molti anni avrebbe indicato un'altra soluzione alla società borghese, individuando, come Mannheim il ruolo fondamentale degli intellettuali. Loro compito non è però, come nel caso di Mannheim una sintesi dialettica ma piuttosto una sintesi delle varie tipologie di concezioni del mondo relativamente naturali dalla quale dovrebbe emergere una epoca "metafisica" per l'Occidente. Sheler, infine, è particolarmente affascinato dalla cultura orientale e per questo auspicò ad una sintesi tra metafisica occidentale e metafisica orientale.


I rapporti con l'antropologia culturale.


La sociologia della conoscenza si occupa della conoscenza come condizionamento sociale dei fenomeni intellettuali ed emotivi. L'antropologia si occupa invece della cultura, intesa in senso molto più ampio che la conoscenza, come tutto ciò che viene creato dall'agire dell'uomo nella società. L'ambito dell'antropologia resta quindi più ampio che quello della sociologia della conoscenza, tuttavia alcune sovrapposizioni possono essere evidenziate.

Tra i pionieri dell'antropologia si ricercano le teorie del materialismo storico. Ruth Benedict in "modelli di cultura" fa riferimento a Dilthey (filosofo storicista tedesco). Lo stesso termine cultura nasce dallo storicismo tedesco. La sociologia della conoscenza s'è occupata principalmente del conflitto (Marx). Nell'antropologia il problema fondamentale è l'integrazione.

L'oggetto di studio dell'antropologia culturale fa riferimento anche a culture diverse da quella occidentale. La sociologia della conoscenza, come sappiamo, si occupa solo di quest'ultima. Un problema invece comune ad entrambe le discipline è il relativismo. Per la sociologia della conoscenza è un problema il relativismo. Per l'antropologia non lo è perchè questo ha validità politica di riconoscimento delle culture diverse che vengono considerate differenti, senza apporre giudizi di valore, superando così l'etnocentrismo.


Una concezione spiritualistica della sociologia della conoscenza: Pitirim Sorokin.


La sociologia della conoscenza di Sorokin parte da una definizione della cultura come realtà integrata della quale si possono distinguere due aspetti, uno interno e uno esterno. Il primo riguarda il "dominio dell'intelletto, del valore e del significato", il secondo invece le espressioni esteriori della cultura quali manifestazioni del suo aspetto interno. A tal proposito cita ad es. la Venere di Milo che sarebbe un freddo pezzo di ghiaccio se non fosse interpretato l'intento dell'artista e il valore intrinseco dell'opera d'arte in sè. Così pure per una sinfonia di Beethoven. Per cogliere l'aspetto interno di un prodotto culturale si possono seguire diverse vie. Sorokin ne individua 3: una psicologica (intento dell'artista, per es.), una socio-fenomenica, (il significato, in questo caso trascende quello che ha voluto imprimergli l'artista, individuando i nessi che legano quel prodotto con tutti gli altri della cultura), e quello logico (che mette in evidenza la coerenza interna tra i vari aspetti della cultura). Poichè esistono molte culture bisogna individuare le premesse cui le singole culture sono integrate. Questo è un principio fondamentale nella sociologia di Sorokin: dato che ci sono molte culture, ognuna delle quali con le proprie caratteristiche, il proprio sistema di verità, di giusto e ingiusto, una propria Weltanschauung mettendo a confronto i valori di ciascuna di queste culture si constata che essi hanno una natura irriducibilmente diversa ma all'interno di ogni singola cultura i valori sono connessi logicamente tra loro. Bisogna quindi uscire dal caos e mettere ordine individuando alcuni tipi fondamentali di culture. Essi sono 3: mentalità o tipo di cultura sensista, idealista e ideazionale. Non esistono nella loro forma pura ma possono essere distinte in base a 4 elementi fondamentali:

modo di concepire la realtà

natura dei bisogni e dei fini che debbano essere soddisfatti

la misura in cui è ammessa la soddisfazione di tali bisogni

i metodi per la soddisfazione di essi

Mentalità sensista:

la realtà è percepita direttamente in relazione ai sensi, tutto ciò che è percepibile

i bisogni che si vogliano soddisfare e a cui si dà una priorità sono strettamente legati al sesso, al cibo, etc...

si privilegeranno tutti i questi bisogni piuttosto che altri che riguardano lo spirito, ad es.

si utilizzeranno tutti i metodi possibili per il soddisfacimento di essi che consistono nel "cogliere l'attimo"

Mentalità ideazionale:

la realtà è sovrannaturale

bisogni dello spirito

Mentalità idealista o mista:

la realtà è sovrasensibile, non sovrannaturale, non si rifiuta l'esperienza empirica. La realtà è percepita sia come sensibile che spirituale.

i valori a cui fa riferimento questo tipo di cultura/mentalità rigurdano essenzialmente la superiorità scientifica, artistica, morale e sociale, sia per il loro valore intrinseco che per avere fama, gloria, etc...

Esistono poi delle differenze all'interno delle varie mentalità: quella sensista si distingue in sensista attiva o passiva, e anche così per quella ideazionale. La differenza fondamentale sta nel tentativo per chi è attivo di voler cambiare la realtà, sia in senso ideazionale che sensista.

Mettendo in relazione il tipo di mentalità al tipo di cultura Sorokin contribuisce alla sociologia della conoscenza. Chiunque abbia messo in evidenza questa relazione dà un contributo alla sociologia della conoscenza, ma deve essere messo in evidenza che l'apporto di Sorokin è di tipo spiritualistico perchè alla base di ogni configurazione storico sociale egli individua un supersistema culturale.

Tutta la storia dell'umanità è un continuo fluttuare tra i vari supersistemi che egli esamina a sostegno della sua tesi. E' convinto che noi stiamo attraversando un periodo critico. La nostra epoca è di trapasso tra un periodo fondamentalmente sensista in ideazionista. La tecnologia, la democrazia che assomiglia sempre più a una dittatura, sono elementi della crisi del nostro secolo.

Molte critiche possono essere fatte a Sorokin. nnanzitutto il suo discorso sembra non essere originale. Poi pecca di essere monocausale. Tutti i condizionamenti secondo Sorokin dipendono da elementi culturali. Altri fattori "più materiali" nel senso marxiano del termine, non vengono presi in considerazione. Ad es. se per Mannheim il liberalismo del XIX sec. è dovuto agli interessi economici borghesi, per Sorokin questo non è altro che la premessa di un'era sensista. Per cercare di semplificare quelle che dice le infinite culture tende a cedere alla tentazione di ridurre tutte le culture a 3 soli tipi (come anche Sheler). Un altro fallo di tutta questa teoria è il fatto che il trapasso da un'era sensista a una ideazionaria non c'è effettivamente stato, nonostante le sue previsioni.


Sociologia della conoscenza e mezzi di comunicazione di massa: Robert K. Merton.


Merton cerca di paragonare la sociologia della conoscenza americana con quella europea. Innanzitutto rileva che entrambe studiano le comunicazioni di massa. Viceversa è molto differente il tipo di impostazione della disciplina, infatti la sociologia della conoscenza americana dà molta importanza al metodo della scienza (logico-sperimetale, induttivo) per cui non è molto importante il problema epistemologico. Secondo questo approccio si sa che quello che si studia è vero ma non si sa quanto sia importante. (approccio empirista)

Quello europeo invece dà molto più peso all'epistemologia e meno al metodo, studiando quello che è importante, senza poi avere la certezza che sia vero. (approccio non empirista)

Merton si rende conto che il la rigorosità del metodo per quanto riguarda l'approccio più prettamente epistemologico della sociologia della conoscenza europea, restringe il campo di analisi. Questo però di confà alle "teorie di medio raggio" di Merton, secondo le quali si cerca di dare scientificità a una teoria rinunciando piuttosto al tentativo di voler formulare necessariamente teorie generali. uesto però comporta anche il rischio di non prendere in considerazione il contesto storico sociale.

Alla luce di tutto questo egli sembra essere spostato totalmente a favore della sociologia della conoscenza americana. E' chiaro a tal proposito quello che scrive di Mannheim, ossia che è troppo vago e generico risultando poco attendibile riguardo al "condizionamento sociale". (Izzo non è d'accordo: restringendo il campo d'indagine la critica sarebbe crollata perchè i gradi di condizionamento variano secondo i diversi tipi di società, gruppi, secondo il grado di consapevolezza che si ha del condizionamento sociale).Mills rileva tuttavia, in questa critica e più in generale in tutto l'approccio della sociologia della conoscenza americana (orientata come si è già detto allo studio di ristretti ambiti di indagine, in altre parole microsocietà) il tentativo di voler sostenere da parte degli scienziati sociali la struttura sociale data: un velo di ideologismo sugli occhi degli scienziati sociali americani.

Del resto, appare importante sottolineare come non si possa non tenere conto dell'importanza sociologica di macrosistemi sociali. Merton stesso dice che la presenza di due diverse sociologie della conoscenza sia esso stesso un problema di sociologia della conoscenza, anche se quest'affermazione non può non rendere più critico, in senso epistemologico e generale, quanto detto da Merton. (si contraddice perchè rileva un problema di "carattere generale" della sociologia della conoscenza)

L'ultima critica che può essere mossa a Merton è quella di Wolff. Egli distingue due verità: una scientifica e una esistenziale. Secondo Wolff, Merton negando la seconda verità (quella che esprime e coinvolge lo stato d'animo dello studioso) nega il coinvolgimento che invece è imprescindibile dal soggetto.


Sociologia della conoscenza e teoria critica.


La teoria critica della società, detta anche scuola di Francoforte parte dalla condanna della sociologia della conoscenza anche se da essa riprenderà certi temi come il condizionamento sociale del pensiero e l'ideologia. A fondamento di questa scuola c'è la condanna al positivismo e alle sue leggi naturali immutabili. Questo preclude, secondo la Scuola di Francoforte, la possibilità da parte dell'uomo di agire sulla realtà per trasformarla sulla base di un progetto razionale. Ponendosi contro il positivismo, la filosofia della Scuola di Francoforte non può non essere "negativa". La pretesa della filosofia positiva non è casuale in quanto nasce in relazione a specifiche esigenze socio-economiche e con la specifica funzione di mantenere l'ordine costituito. Tra la possibilità di auspicare a un'evoluzione che migliori le situazioni delle classi subalterne si preferisce, secondo il positivismo, ricercare le condizioni per un rapporto gerarchico ma pacifico e armonico tra imprenditori e lavoratori.

Si può affermare che la critica all'ideologia, nella forma particolare della critica alla filosofia positiva come interpretazione naturalistica dei fatti storico-sociali in funzione degli interessi costituiti, è fondamento stesso della teoria critica della società. Viene anche ripreso il marxismo, estrapolandolo, però dai tentativi più o meno palesi delle sue interpretazioni positivistiche.

Secondo la Scuola di Francoforte, nelle società capitalistiche precedenti a quella del "capitalismo avanzato" l'ideologia aveva un duplice aspetto allo stesso tempo di verità e di falsità. Falsa perchè si proclamava estranea a ogni tipo di condizionamento economico e sociale e vera in quanto "ideale" e quindi trascendente e autonoma dal mondo reale. Questa possibilità verrebbe totalmente a mancare nella società capitalistica avanzata perchè l'ideologia perderebbe quel suo carattere ideale, quindi la sua "verità" in quanto trascendente e coinciderebbe totalmente con gli interessi del potere economico. La cultura diventa cultura di massa ed è totalmente ridotta a industria culturale, protesa cioè a fabbricare consensi, integrando i soggetti entro la cultura dominante, espressione ideologica del potere. La manipolazione della coscienze si giustifica come "venire in contro alle esigenze del pubblico". Il discorso di Horkheimer e Adorno coincide con un'accusa di ideologicità della cultura di massa del capitalismo avanzato, nonostante le sue pretese di essere "apolitica", l'industria culturale risulta onnicomprensiva costruzione ideologica.

Questo stato di cose ostacola, in un certo senso, la possibilità di distaccarsi dall'ordine prevalente da parte delle masse.

Questo concetto è stato ripreso e rielaborato da Marcuse, che afferma, sostanzialmente che la situazione attuale nelle società capitalistiche avanzate la tecnologia è uno strumento di dominio al servizio del potere economico e politico costituito, perchè riesce a raggiungere un totale livellamento degli individui, fino a ridurli a zero integrandoli con la cultura dominante. La società e "l'uomo a una dimensione" (titolo dell'opera di Marcuse) indicano l'impossibilità per l'uomo di modificare la sua condizione opponendosi. La tecnologia, tuttavia, è anche vista come unica àncora di salvezza, perchè l'unico mezzo in grado di migliorare l'organizzazione della società, mediante la liberazione dell'uomo dal lavoro pesante. Se questo non avviene è perchè dettato dall'apparato politico. Il problema dell' "ideologia" della Scuola di Francoforte non è in senso politico marxista, ma è usata in senso specifico, riferendosi alla società capitalistica avanzata in generale.

La prima e forse la più importante critica che può essere mossa alla Scuola di Francoforte è insita nel suo stesso discorso. I teorici della Scuola di Francoforte negano la possibilità di un pensiero di opposizione, e a questo punto verrebbero a negare la loro stessa critica. Quindi dovrebbero individuare chi sia in grado di formulare teorie critiche in quanto depositario di una conoscenza non totalmente ideologica. Come per Mannheim, ma secondo accezioni totalmente differenti, questa categoria sociale è individuata nella figura degli intellettuali. La differenza di base sta nel considerare gli intellettuali non come fautori della sintesi dinamica, ma quella classe in grado d'individuare i fondamenti e le ragioni, sempre più nascoste, dell'opposizione nella società industriale avanzata ponendosi dalla parte degli oppressi. La differenza tra le due impostazioni ha natura concettuale. Per Mannheim il problema dell'ideologia e la "critica" era più culturale, legato alla realtà storico sociale. Per la Scuola di Francoforte la critica deve avere valenza di opposizione, bisogna far leva sulle strutture sociali. Da un lato, però, gli stessi autori negano questa possibilità perchè la condizione sembra immodificabile, dall'altro bisogna riconoscere che la critica di culturologia mossa nei confronti di Mannheim non è valida perchè il suo tentativo era solo quello di chiarire la natura delle ideologie e delle utopie al fine della lotta contro ogni dogmatismo. Non può essere accusato di culturologia anche se non ha parlato di intervento al livello delle strutture sociali.


Una nota su sociologia della conoscenza e linguaggio: Adam Shaff.


In breve questo autore mette in relazione la sociologia della conoscenza mannheimiana e l'analisi del linguaggio. L'importanza di quest'ultimo nasce dalle critiche nei confronti della sociologia della conoscenza di Mannheim. Innanzitutto Shaff individua il tentativo di Mannheim di ricerca della verità assoluta identificandola con verità oggettiva, quella che non si può raggiungere a causa dell'ideologia. Prima critica che si può muovere a questo autore è che Mannheim non è affatto fondata. In Ideologia e Utopia Mannheim cerca di giungere a una verità che non si possa dire non vera anche se è socialmente relata. Così, Shaff afferma che nell'interpretazione di Mannheim tutto ciò che non è assoluto non è vero. Questo problema è superato con la teoria della "relatività linguistica" , secondo cui il pensiero è sempre soggettivo, sia in senso sociale che più propriamente individuale. Il linguaggio media la conoscenza. Shaff aggiunge che ogni conoscenza può essere definita in senso lato "ideologica" perchè mediata dal linguaggio. Egli porta l'esempio dei metodi terapeutici della medicina che "sono condizionati" dalla conoscenza scientifica delle leggi alle quali è sottoposto l'organismo umano. Così vi sono "ideologie scientifiche" cioè "deducibili scientificamente dalla conoscenza scientifica delle leggi dello sviluppo sociale". Ma questo a mio parere sembra più un sapiente uso del linguaggio piuttosto che una affermazione critica originale. Tuttavia le critiche mosse a Mannheim sono del tutto infondate, soprattutto quella che individua la necessità per quest'ultimo di individuare la verità assoluta. Ciò che viene condannato in Mannheim da parte di Shaff è forse proprio il suo merito maggiore: quello di essere sfuggito da ogni dogmatismo in favore di una concezione fondamentalmente problematica dei condizionamenti sociali del pensiero.


Il ritorno della teoria dell'ideologia: un intermezzo storico.


Intorno agli anni 60-70 si assiste ad una serie di movimenti di protesta riguardanti il problema del condizionamento sociale delle attività culturali, intellettuali ed artistiche, protesi a condannarli, negarli, rovesciarli per assicurare una perpetuazione del sistema sociale. Sia dal punto di vista dell'istruzione elementare e superiore e per l'università le contestazioni riguardavano un tipo di educazione classista per cui i poveri erano spesso considerati "poco intelligenti" e i ricchi, all'opposto "molto intelligenti". Questo perchè il tipo di insegnamento era mirato nei confronti della classe borghese e pertanto tendeva a mantenere lo status quo negando la possibilità per i più poveri di potersi elevare culturalmente. In questi anni nasce la scuola di Barbiana, voluta da Don Lorenzo Milani, un prete cattolico che aveva raccolto attorno a sè ragazzi bocciati di classe sociale poco elevata, per garantire loro comunque un'istruzione nonostante il loro status sociale. A livello universitario le contestazioni muovevano dalle stesse basi. Il discorso può essere allargato anche per quanto riguarda il sistema delle istituzioni nel loro complesso: carceri e ospedali psichiatrici sono solo un esempio che mette in evidenza come la natura dei malati e dei carcerati potesse essere deumanizzata, considerandoli solo in base alla loro condizione e non più come uomini. Anche le ragioni di questo discorso si possono ritrovare in un intento delle stesse istituzioni a mantenere uno status quo. Anche l'arte, in quegli anni era considerata un attività finalizzata al mercato, rovesciando lo stesso presupposto di base, per un artista, chè è quello della libertà di espressione. Questa libertà doveva sottostare a regole precise di mercato e mai contrastare con l'autorità costituita. C'è da rilevare, tuttavia, che queste contestazioni abbiano scosso l'opinione pubblica. Le considerazioni sociologiche che possano essere fatte presenti a questo punto sono palesi: l'ideologia sottende a tutti questi tentativi di controllare e mantenere lo status quo. E per l'esattezza il concetto di ideologia della sociologia della conoscenza tradizionale che viene rivalutata dopo l'affermazione della teoria critica della società.


Gli sviluppi della sociologia della conoscenza nell'ambito della fenomenologia.


Per Shutz la conoscenza, innanzitutto, è "conoscenza in termini di senso comune nell'ambito della vita quotidiana". Tale autore afferma il carattere fin dall'inizio intersoggettivo di questa conoscenza. L'individuo, infatti, fin dalla nascita, si trova inserito in questo mondo intersoggettivo, già organizzato e costituito dall'uomo, dotato di significati prestabiliti che l'aiutano nello svolgimento della sua vita quotidiana. Questo mondo già costituito e dotato di significati era stato già individuato da Husserl, suo maestro, come il "mondo della vita". A suo parere sia le scienze naturali che sociali non possono prescindere da questo mondo. Quindi per Shutz non esiste una conoscenza che non sia sociale e questa affermazione di per sè è valida ai fini della scienza che stiamo trattando. C'è però una differenza tra le due scienze. Per quelle naturali, infatti, l'oggetto di studio non dà nessun significato a se stesse. Ciò che lo scienziato naturale studia è orientato in base ai suoi interessi scientifici e i risultati della sua ricerca non si riflettono, per così dire sugli oggetti di studio stessi. Così non avviene per le scienze sociali. I risultati di queste scienze sono per così dire "costrutti di secondo grado" perchè si basano già su costrutti scientifici e si riflettono nuovamente sulla società sotto forma di costrutti di secondo grado, per l'appunto. Shutz parla di "province finite di significato" non solo ad indicare il relativismo culturale e le differenze culturali tra le vare "province", ma pone l'accento sulle diverse e continue interpretazioni della realtà. Così Shutz passa ad classificare le province di significato più importanti che sono quelle "della vita quotidiana" e quelle "dell'attività lavorativa", che scaturisce dalla prima. Entrambe le province finite di significato e tutte le altre che Shutz individua servono all'uomo per orientarsi nell'azione. Per agire nel mondo dell'attività lavorativo, secondo l'autore in questione, è necessario sospendere i dubbi relativi alla realtà stessa del mondo.

Bisogna avere un atteggiamento naturale nei confronti del mondo di riferimento. "Naturale" significa accettare il mondo "dato per scontato". Tuttavia questo concetto non può prescindere da una fase propedeutica al raggiungimento di tale attività, che consiste, per Shutz, nel "tipizzare" le forme di conoscenza in cui ogni forma diventa per così dire "tipica" e "riconoscibile" perchè dotata di un significato attribuitale dall'uomo, dalla sua interazione e dal suo lavoro. Ovviamente ci sono dei modi diversi di percepire la realtà ma le prospettive individuali sono per così dire "reciproche" per cui i punti di vista personali diventano interscambiabili e compatibili. In sostanza non muta la visione del mondo e lo stesso resta uguale per tutti coloro che vivono in quel contesto culturale. La conoscenza, tuttavia, secondo Shutz, è distribuita nella società, in quanto ognuno possiede conoscenze più approfondite in relazione alla sua vita quotidiana. E questo è il compito della sociologia della conoscenza: la problematicità relativa alla distribuzione della conoscenza. Egli restringe il campo d'interesse di questa scienza ma del resto il mondo, nella sua visione delle cose, appare molto meno problematico di quanto altri suoi colleghi avevano precedentemente esposto. Shutz, inoltre aggiunge che nel mondo della vita quotidiana, nel momento in cui due soggetti interagiscono e danno vita a un "noi", vi è un momento di innovazione, creatività e di spontaneità.

Da questa considerazione si può partire per criticare l'autore in questione: da un lato egli sostiene la spontaneità dell'io dall'altra gli innegabili condizionamenti sociali. Egli è stato accusato di una "visione duplice", una unione artificiale di oggettività e soggettività. A questa critica si potrebbe obiettare che la libertà dell'individuo è in continua tensione con la situazione che egli vive in società e i condizionamenti della stessa. Questo, dopo tutto, non è altro che quello che viene definito in sociologia. Ma in Shutz questa compresenza di fattori è indicato più che altro come una "compresenza" accostata piuttosto che come una continua tensione reciproca. Schutz si rifà a Weber che secondo lui non è attento dal punto di vista metodologico. Weber, secondo Schutz non distingue tra motivi casuali e finali, tra il significato che l'oggetto agente dà all'azione prima, durante e dopo la stessa e la differenza di significati che possono dare all'azione il soggetto agente, l'interlocutore e l'osservatore esterno. Per Weber la metodologia serviva principalmente per le ricerche storico sociologiche. Egli era molto attento e preoccupato del dominio assoluto dell'organizzazione burocratica delle società industrializzate esercitato su ogni aspetto della vita dell'uomo. La tensione tra condizionamento e libertà è per Weber un tipo di problema storico-sociale. Per Schutz rischia di diventare un problema prettamente metodologico. Egli infatti afferma che si possono sempre ricercare le motivazioni scatenanti un'azione e che questo punto di vista essa appare sempre condizionata, mentre dal punto di vista dei motivi finali dell'azione essa appare sempre come un atto libero dell'io. Detta in questi termini, alquanto generalizzanti, questo tipo di approccio metodologico vorrebbe essere fatto valere in tutti i contesti storico-sociali, diventando una teoria astorica. Un discorso analogo può essere fatto relativamente al concetto di "razionalità". Weber aveva distinto la razionalità in base al fine e la razionalità in base al valore. Per Schutz la razionalità si ha nel momento in cui un attore ha una conoscenza sufficiente del fine di realizzare così come dei diversi mezzi idonei al fine di raggiungerlo. Non tutte le società danno uguali possibilità di agire razionalmente e questo non viene messo in evidenza dall'autore. Inoltre egli aggiunge che l'azione razionale non esiste nella realtà della vita quotidiana. Essa esiste solo a livello scientifico come osservazione e interpretazione del mondo sociale. Schutz sembra trascurare, in definitiva ogni analisi in termini di specificità teorica a favore della metodologia.

A Schutz si rifanno Berger e Luckmann il cui tentativo parte dall'interesse di estendere le teorizzazioni del primo in un contesto storico-sociale (mentre Schutz si era mosso in una prospettiva di totale astoricità). Innanzitutto i due autori de "la realtà come costruzione sociale" muovono dal presupposto che il compito della sociologia della conoscenza sia quello della "determinazione esistenziale del pensiero". A loro parere, tuttavia, la sociologia si è occupata del solo pensiero degli intellettuali, mentre il loro intento è rivolto ad allargare la prospettiva verso tutti coloro che nella società vivono e devono in qualche modo conoscerla. Berger e Luckmann sostengono che in qualsiasi società fra le molte realtà quella + importante è quella della vita quotidiana. Essa si attua per mezzo del linguaggio che condividiamo con il prossimo. Il linguaggio è inteso in senso durkheimiano come coercitivo, dato. ("I fatti sociali come cose"). Un altro punto che riprendono da Schutz è quello della distribuzione della conoscenza come problema della sociologia della conoscenza: ciò che appare ovvio ad alcuni non lo è per altri. Da queste premesse gli autori si muovono procedendo alla distinzione tra realtà sociale "soggettiva" ed "oggettiva". Le teorie di Durkheim circa la realtà sociale come una fatto esterno agli individui e quella Weberiana secondo cui il problema della sociologia è dato da insieme di significati soggettivi dell'azione non si escludono l'un l'altro, anzi, sono complementari. Questo è quello che i due autori vogliono dimostrare.

Iniziamo dall'analisi della realtà oggettiva. Ciò che la rende tale, secondo Berger e Luckmann è l'istituzionalizzazione. Essa tende a cristallizzare l'agire umano in forme fisse e prestabilite che impongono un controllo sulla vita dei singoli. Non bisogna dimenticare, e gli autori lo sottolineano, che l'istituzionalizzazione pur essendo coercitiva non è altro che il prodotto dell'agire dell'uomo. Se questo viene dimenticato si corre il rischio della reificazione sociale, ossia disumanizzazione, distorsione della realtà sociale che oscura il carattere umano, appunto, dell'agire sociale.

L'istituzionalizzazione necessità di legittimazione: essa tende a creare integrazione sul piano della vita psichica dei membri di una società.

La legittimazione è opera di alcuni individui che si dedicano esclusivamente a questo compito. Pertanto essa viene ad essere concepita come pura teoria. E se si tende ad interpretare lo stesso universo in modo differente, rispetto ai concreti interessi costituiti nella società, si parla di ideologia. Anche una legittimazione, se espressione di interessi politici ed economici è ideologia.

Per quanto concerne la realtà come costruzione soggettiva, essa si distingue in due fasi. La socializzazione primaria e la socializzazione secondaria. La prima è la più importante, durante la quale l'individuo vive la sua vita come "unico mondo possibile" interiorizzando i valori legati a quel mondo. La concezione del mondo passa da quella tout court a quella tra le molte possibili durante la socializzazione secondaria. Il soggetto acquisisce un ruolo preciso all'interno della società. La socializzazione secondaria può mettere in crisi gli assunti interiorizzati durante la socializzazione primaria. Così può nascere la figura dell'"individualista" , la cui definizione può avere un'accezione negativa e positiva, a seconda del tipo di sbocco si ha in relazione alla idiosincrasia dei due lati della personalità. Il merito maggiore di Berger e Luckmann è stato quello di storicizzare e quindi sociologizzare l'impostazione shutziana delle province finite di significato, affermando come la socializzazione primaria avvenga in una pluralità di modi diversi nelle società contemporanee dotate di un grado di mobilità interno molto elevato e quindi di una complessità di base molto evidente.

Questa considerazione sulla complessità sociale verrà ripresa da Berger, Berger e Kellner in "Mente senza dimora". Per quanto concerne questo problema gli autori rilevano che un tempo, quando non v'era complessità sociale e quindi pluralizzazione delle sfere di vita, esisteva un ordine gerarchico che integrava gli individui nella società: quello religioso. Gli individui, quindi, erano sempre gli stessi e si comportavano nello stesso modo in tutte le circostanze. Oggi le cose appaiono diversamente: molti soggetti occupano posizioni diverse e contrastanti e questo complica la situazione non solo nelle diverse sfere, ma all'interno delle stesse. Si pensi ai problemi che si possono affrontare nella sfera lavorativa, riguardo alla produzione tecnologica o con la burocrazia, per es.. Questo pluralizzazione riguarda la socializzazione secondaria ma solo principalmente. Infatti gli individui, appena nati, sono inseriti in questo contesto sociale per così dire "pluralizzato" e nascono "senza dimora" , senza un mondo che appartenga loro in modo integrato e indiscusso. Questo ha delle conseguenze sull'identità. Il mondo moderno non offre certezze ma anche quello interno, inevitabilmente, di riflesso, è instabile e soggetto all'anomia.

Il problema fondamentale di Berger e Luckmann è la loro imprecisione a chiarire cosa sia Istituzionalizzazione e oggettivazione (che per altri versi sembrano coincidere) e reificazione e legittimazione. Non è chiara l'accezione di "reificazione" perchè sembra riferirsi a più elementi. E poi: si può avere di fatto una società non reificata, se poi gli autori affermano che quella è la "condizione normale"? In caso affermativo, come è possibile? Non è indicato dagli autori come procedere in questo senso. Anche se emerge che la risposta possa essere più negativa che positiva. A questo punto non è nemmeno molto chiara la differenza tra reificazione e istituzionalizzazione. Non sono stati, inoltre, molto originali nella formulazione della loro sociologia della conoscenza. Se da un lato è compito degli intellettuali quello di legittimare allora sorprende l'affermazione secondo la quale "per definizione l'intellettuale è un individuo che rifiuta di integrarsi nella società". Sembra quasi che facciano riferimento a due tipi di intellettuali.



Coinvolgimento e distacco: Norbert Elias.


Elias, ex assistente di Mannheim, si è occupato di sociologia della conoscenza in un libro intitolato: Coinvolgimento e distacco. La sua concezione della sociologia della conoscenza è inserita in un contesto molto ampio di carattere evoluzionistico. La conoscenza dei fenomeni sociali e naturali si differenzia solo dal diverso tipo di evoluzione cognitiva, o per servirsi della terminologia dell'autore, dal diverso grado di coinvolgimento e distacco. Il coinvolgimento, nel pensiero di Elias coincide con la circostanza in cui gli uomini non possano avere alcun controllo del mondo esteriore. Esso è legato al timore e crea con esso un doppio legame, il doppelbinder, che in sostanza è un circolo vizioso costituito dall'impatto che il timore ha sul coinvolgimento emotivo che accresce e che a sua volta amplifica il timore. Il distacco invece è la capacità riconosciuta agli individui di riuscire ad avere un controllo sulla realtà. Elias conviene con l'idea di Levy-Bruhl, il quale parla dei primitivi che avevano una mentalità "prelogica". Nel discorso di Elias questo si traduce in un forte grado di coinvolgimento dovuto alle minori conoscenze delle popolazioni primitive rispetto a quelle moderne. A tal proposito egli rileva che la società umana sia passata da una situazione di coinvolgimento per la natura a quella per l'azione dell'uomo (a tal proposito cita il pericolo nucleare, opera dell'uomo). Man mano che la società si sviluppava, infatti, l'uomo si distaccava sempre + dai pericoli derivanti dalla natura grazie al controllo che poteva avere di essi, mentre esistono, nelle società in atto, pericoli non controllabili che derivano dall'attività dell'uomo. Elias sottolinea il processo di coinvolgimento e distacco sia un processo evolutivo e tal proposito fa un esempio relativo all'arte moderna e quella medioevale. Egli sostiene che in quest'ultima c'era un maggior grado di coinvolgimento, di carattere religioso, successivamente, poi l'arte tende a rappresentare oggettivamente la realtà, quasi ne fosse lo specchio, quindi c'è un maggior grado di distacco. Un altro esempio interessante che riguarda un processo di coinvolgimento non ancora sfociato in distacco è quello delle potenze internazionali in lotta tra loro non solo per motivi politici ma, dice Elias, anche per un grado di timore reciproco e quindi per un forte coinvolgimento. Al di là dei veli ideologici, continua, le potenze comunque sarebbero in lotta tra loro. Un'altra ragione che individua è l'atteggiamento nei confronti del proprio gruppo in senso positivo e del gruppo avversario che viene valutato negativamente.

Per Elias la conoscenza non è di per sè identica per tutti gli esseri umani, quanto è un processo sociale di un gruppo piuttosto che di un individuo. Si ricollega quindi alle sue concezioni evoluzionistiche, affermando che il livello di conoscenza dei primitivi è inferiore al nostro. Circa il discorso sul metodo egli afferma che non è possibile applicare il metodo delle scienze naturali a quello delle scienze sociali perchè ci sarebbe coinvolgimento. I sociologi, secondo Elias studiano i fenomeni che possono essere studiati piuttosto che i fenomeni che possano destare interesse per la loro "urgenza". Essi cercano di spiegare le società in base agli individui, non riuscendo a percepire le differenziazioni strutturali del gruppo.

L'evoluzione è percepita come naturale: un continuo processo di trasformazione, una fase di distacco che supera una di coinvolgimento. Ma poi afferma che questa sequenza non comporta sempre una fase evolutiva, ma, nell'ambito sociale, può comportare anche un'involuzione. Definendo il distacco come un superamento di una fase meno evoluta, infine, non ci sembra chiaro come sia possibile che affermi la necessità della compresenza di entrambi per un ordinato svolgimento di un sistema sociale. Dal un lato quindi il tentativo di riconoscere l'emotività nella vita umana e sociale e dall'altro la volontà di considerare il distacco come un più altro livello di sviluppo sociale rispetto a quelle fasi in cui prevale il coinvolgimento.


Sociologia della conoscenza e comunicazione sistematicamente distorta: Jurgen Habermas.


Habermas si rifà fondamentalmente alla teoria critica della società, almeno nel primo libro che viene pubblicato nel 62, nel quale egli punta molto l'accento sulla massificazione, l'industria culturale che vieta agli individui di sviluppare una coscienza individuale totalmente slegata da interessi economici e politici. Affronta poi anche il tema della società civile, la differenza tra sfera pubblica e privata che a suo parere non possono essere nettamente distinte dalla sociologia. Sottolinea anche come gli ideali borghesi abbiano di fondo un grande paradosso: si proclamano universali ma di fatto nascono da esigenze particolaristiche e si rivolgono solo alla borghesia.

In un'altra opera dell'autore che risale al 68, egli abbandona l'impostazione storica per abbracciare quella psicologico-funzionalistica. Riprende Berger e Luckmann, mentre nel volume del 62 si era rifatto a Adorno e Horkheimer e alla loro teoria critica della società. L'individuo non è riconducibile alla società, anzi. Se è vero che egli interiorizza gli orientamenti di valore nella fase della socializzazione primaria, che gli consentono di interpretare un ruolo nella fase di maturità, non è sempre detto che l'individuo abbia un atteggiamento di condivisione con quei valori e si identifichi necessariamente in essi. L'io ha questa capacità: di riuscire a restare fondamentalmente se stesso anche se minacciato da una crisi. E' l'identità che consente all'io di perpetuarsi. Essa è definita da Habermas come una capacità della struttura dell'io di risolvere le crisi mediante un'opportuna ristrutturazione.

Passa poi ad analizzare i risultati di una ricerca empirica che mettono in luce l'intelligenza, il profitto scolastico e la capacità di espressione delle proprie idee in relazione al proprio status di appartenenza. E' dimostrato empiricamente, quindi, che più elevato è lo status di appartenenza maggiormente sono sviluppati questi aspetti.

Egli esula da un tipo di analisi storica perchè riferisce che ciò comporterebbe una previa elaborazione del concetto di storia e questo non è un intento che intende svolgere. Così preferisce un diverso tipo di approccio "funzionalistico".

Egli poi passa a criticare l'ermeneutica come "verità che coincide con la tradizione". Se è vero che il pensiero si sviluppa mediante il linguaggio e nell'ambito dello stesso, da un punto di vista grammaticale trova gli strumenti idonei per trascendersi, è anche vero che per comprendere la tradizione, in un'ottica di relativismo culturale, non ermeneutica, è necessario che essa sia trasparente a se stessa e vengano trascesi i pregiudizi che ad essa sottendono. L'autorità e la conoscenza, dice Habermas, non coincidono. Il discorso contro l'ermeneutica di Gadamer viene ripreso in un saggio intitolato "la pretesa universalità dell'ermeneutica" (73). In esso Habermas afferma che la coscienza ermeneutica è incompleta fino a quando non abbia assunto in sè la riflessione dei limiti della comprensione ermeneutica. Il problema consiste nella comunicazione distorta. Essa è tale perchè deriva dalla tradizione. E' la sociologia   della conoscenza che fornisce la possibilità di individuare quegli elementi inconsci che viziano il linguaggio. La comunicazione non deve essere distorta, non solo in termini linguistici ma anche in termini politici. Per questa seconda ragione, forse, viene accreditato il ruolo della sociologia della conoscenza. Il discorso può essere fatto valere anche a livello individuale e in questo caso è compito della psicanalisi quello di superare i limiti di una comunicazione distorta.

Sociologia   della conoscenza e psicanalisi quindi, hanno il compito di riportare al controllo delle razionalità. Tale razionalità non va intesa in senso ermeneutico e quindi accettazione della tradizione come verità, ma piuttosto come libertà dai vincoli della stessa da raggiungersi anche attraverso la trasformazione politica.

In un'altra opera riprende il discorso delle identità individuali come il risultato della presa di coscienza della propria libertà di compiere delle scelte nell'ambito di una comunicazione non distorta, lontano dalla costrizione dei ruoli imposti. Parimenti per l'identità sociale essa è vista come libertà di distaccarsi dalla tradizione e compiere scelte che esulano quindi da essa. Parte dal concetto di sviluppo dell'identità di Kohlberg affermando che l'identità, sia quella individuale che sociale, deve proiettarsi verso una razionalità che si esplicità in un contesto "orientato verso principi etici universali", che devono essere autonomamente scelti, che fanno appello alla comprensività logica, alla universalità e alla coerenza. Essi sono, fondamentalmente i principi di giustizia, reciprocità e uguaglianza dei diritti umani. Fin qui il discorso di Kohlberg è condiviso da Habermas anche se poi egli vi aggiunge un'idea, tipicamente sua, secondo la quale i principi autonomamente scelti si formano in un contesto di comunicazioni linguistiche non distorte. Essi quindi non sono fissi, immutabili, relativi.

Habermas, infatti ha una visione ottimistica della storia che muove verso una sempre maggiore libertà e autonomia delle scelte individuali. E' opportuno comunque aggiungere che questa concezione della storia secondo cui le strutture comunicative acquisteranno significato e validità come basi dell'identità spontaneamente, senza costrizioni fisiche e psichiche non pretende in nessun modo di avere fondamenti empirici. L'autore infatti non pretende che questo avvenga già da subito. Infatti oggi ci troviamo in una fase di crisi del capitalismo maturo. Crisi è per Habermas una situazione in cui una struttura sociale non fornisce un numero adeguato di soluzioni a un problema. E' inoltre necessario che gli individui facenti parte la società in crisi avvertano l'impossibilità di conservare la propria identità sociale. A tal proposito egli fa una distinzione tra integrazione sociale e sistemica. La prima è quella che si attiva nella socializzazione, la seconda è la capacità del sistema di autoregolarsi di fronte a delle forze che tendono a disintegrarlo. Ma non è riconosciuta alle istituzioni la facoltà di poter modificare in toto l'identità sociale cercando di adeguarla alle esigenze del sistema economico. Habermas infatti, rispetto ai fondatori della teoria critica della società è più ottimista riguardo alla possibilità di libertà dell'individuo.

Per Habermas esistono due modi di intento comunicativo: l'agire comunicativo, che è libero fini di carattere strumentale ed è orientato al reciproco comprendersi, quello strumentale è invece un tentativo di orientato alla trasformazione della realtà esterna. Ovviamente egli condivide solo il primo e aggiunge, ribadendo concetti già esposti, l'esigenza di una comunicazione libera da coazioni, basata solo sul principio che a delle argomentazioni si risponde con altre argomentazioni.

Habermas è stato molto criticato per aver fatto riferimento a una situazione linguistica ideale. Ma egli replica a tale critica affermando che il suo carattere ideale è tale perchè non ha riferimenti empirici. Nella realtà sociale contemporanea la situazione linguistica ideale, l'agire comunicativo basato su argomentazioni libere, svincolate da veli ideologici o psicologici, serve da schema di riferimento che consente la critica. Sempre riguardo alla società contemporanea Habermas mette in luce quanto il suo schema linguistico ideale sia in realtà molto lontano dalla realtà sociale, formulando la teoria della colonizzazione del mondo della vita. Le forme di razionalità economica e amministrativa-burocratica inducono ad un impoverimento della possibilità dell'agire comunicativo libero da ogni condizionamento. L'esigenza di una razionalità comunicativa è comunque sempre sentita dall'autore, la necessità di ritrovare se stessi, nonostante da un lato egli propenda per una teoria evolutiva che indicherebbe, come si è detto, un certo parallelismo tra evoluzione individuale e evoluzione sociale e che comunque dovrebbe condurre a identità + libere e dall'altro veda però tali identità minacciate da una razionalità strumentale che tenderebbe se non ad annientarle, a "colonizzarle". E' questa una difficoltà dalla quale Habermas non sembra riuscire ad uscire nonostante affermi il carattere non empirico ma di schema di riferimento della situazione linguistica ideale.


La "resa" e la sociologia della conoscenza: Kurt H. Wolff.


Wolff, allievo di Mh, pur muovendo i suoi passi dalla sdc è andato poi elaborando una concezione + ampia della sociologia. Il suo contributo alla sdc è è il concetto di resa. Innanzitutto egli parte dal criticare la sociologia che ha scisso l'essere dal dover essere. Da sempre il nostro "essere" includeva anche il "dovrebbe", oggi la neutralità della scienza scinde nettamente i due momenti e pertanto non può dare indicazioni circa l'azione (come invece poteva fare il positivismo o il materialismo storico). Egli condanna anche la società contemporea, facendo vari esempi di pericoli indotti dall'uomo, come quello nucleare. Wollf dice che questa realtà che viviamo ci condiziona la vita e il pensiero. C'è una soluzione a questo, però, ed è appellarsi alla cultura per una critica, ma questa cultura è la stessa da cui è nata la possibilità, senza precedenti, di un'autodistruzione totale; per questo egli è piuttosto scettico. Allora la possibilità di una critica è legato al concetto di surrender e catch. Innanzitutto egli parte da presupposti affini alla fenomenologia husserliana. Ognuno di noi, afferma, si trova generalmente a giudicare se stesso e la realtà circostante secondo una serie di schemi interpretativi precostituiti che si ricevono, per lo più acriticamente, dalla propria cultura e sono confusi e identificati con una realtà che si presume "oggettiva". Vi sono momenti in cui questa ci appare però nuova e diversa da come potremmo conoscerla secondo i nostri schemi di riferimento. Da queste esprienze si giunge al concetto di resa.

La resa, surrender, è un momento eccezionale, un "amore cognitivo", che ci consente di perdere tutte le certezze di cui eravamo certi e tutti i vecchi schemi di riferimento. La resa non è un concetto originalissimo, anche se la sua denominazione si. E' da ritenersi, cmq, in senso ironico. E' un'esperienza particolarissima e imprevedibile anche se dalle parole di Wollf dovrebbe essere un metodo vero e proprio delle scienze sociali: accostarsi alle nuove realtà senza riserve e preconcetti, pronti ad assorbire quanto c'è di nuovo gettando totalmente alle spalle i vecchi schemi esplicativi. Il metodo delle scienze sociali è + propriamente chiamato da Wollf come "resa a". Poichè le circostanze storico-sociali sono palesemente sfavorevoli, Wollf si rivolge all'individuo e alle sue potenzialità autonome rispetto alla sua cultura a quello che è l'individuo nonostante la sua tradizione, prima di tutto un essere umano, "l'essere umano socializzato e acculturato", per criticare la realtà contro i pericoli del pianeta. E' questo il rapporto con la sdc: la denuncia della situazione nella quale si trova la mente dell'uomo e cioè di sottosviluppo, totale amministrazione di relativismo culturale. E una nuova chiave interpretativa della resa e cattura può essere proprio un tipo di superamento del relativismo culturale. Il problema del relativismo è stato spesso avvertito dai sociologi della conoscenza, e la resa è una risposta a quest'ultimo in quanto si tratta di un'esperienza assoluta, in quanto fa riferimento all'uomo indipendentemente dai suoi condizionamenti storico sociali.

Criticamente la resa rischia il suo carattere di esperienza totale e assoluta. Dobbiamo accettare tutto ciò che ci viene proposto? O effettuare una selezione? Allora, non si corre il rischio del relativismo culturale? Precisiamo che la "resa a" deve di necessità essere posteriore a una selezione che ci dica a che cosa e verso quali direzioni ci si deve "arrendere" per giungere alla "cattura". Anche per quanto riguarda il rapporto con la "buona sociologia" e il soggetto, Wollf dice che la prima deve arrendersi al secondo, percependolo in modo totalmente nuovo e arrendendosi a queste nuove percezioni. Tuttavia, per stesse parole dell'autore in questione, questo soggetto è di per sè alienato, minacciato dal totalitarismo, anomia, manipolazione se non proprio "distruzione". Quindi come conciliare questa necessità di abbandono al soggetto se la situazione storico sociale non consente quest'apertura?


L'ideologia secondo l'individualismo metodologico di Boudon.


Boudon si occupa della sdc cercando di affiancare questa disciplina Habermas. Con il termine individualismo metodologico si intende una disciplina caratterizzata da a) totale negazione della filosofia della storia, in senso positivistico o anche come concepito da Hegel e Marx; b) l'individuo non è mai riducibile a un mero riflesso passivo rispetto ai fattori che lo condizionano; c) l'analisi sociologica deve partire dall'individuo in interazione con altri individui, o in altri termini, un individuo socializzato, dove società e i suoi membri sono in continuo rapporto dialettico e vengono influenzati e influenzano reciprocamente.

Boudon s'occupa di conciliare questa teoria con quella della sdc. Priam di tutto, però, cerca di sottolineare i limiti della sdc tradizionale. Innanzitutto essa è malata di determinismo e irrazionalismo. La sociologia tradizionale, infatti, mostra una tendenza irresistibile a interpretare il fenomeno sociale come prodotto di comportamenti irrazionali. Ad esempio, il comportamento degli operai luddisti e il loro tentativo di opporsi all'introduzione delle macchine perchè potenziale causa del loro lincenziamento è stata giudicata dai sociologi una risposta irrazionale. Non c'è nulla di razionale, secondo Boudon, perchè per la loro realtà le macchine rappresentano effettivamente una minaccia per il loro posto di lavoro e per le proprie condizioni di vita. In questo caso egli si riferisce a un tipo di razionalità dell'h.omo economicus. Egli comunque ha una concezione + ampia della razionalità ed afferma che un'azione è razionale se l'azione è dotata di senso per chi la compie e che questo senso sia comprensibile. Questa è per Boudon la razionalità soggettiva. Ma soggettiva non significa solamente speculare ai propri interessi, ma anche ai propri valori; basti pensare a chi resta indignato per un delitto che non lo riguardi.

La teoria dell'ideologia di Boudon, invece, fa riferimento agli "effetti situazionali" che sono quelli di disposizione e di posizione. Sotto l'influsso di tali effetti l'uomo tende a percepire la realtà non per quella che realmente è ma deformata e parziale. Ma questo non è imputabile all'irrazionalità del soggetto, ma proprio agli effetti. Si parla di razionalità situata, razionalità quindi di posizione e di disposizione. Quella di posizione è indicata come l'agire che dipende dalla posizione dell'attore (l'operaio che viene licenziato per l'ingresso della macchine in fabbrica considera questa la causa della sua disoccupazione). Quella di disposizione è un po' + difficile da comprendere e sarà utile a tale fine portare un esempio chiarificatore: per un occidentale che assiste alla danza della pioggia esso è un atto magico, quindi non razionale. Per le tribù invece questo rito è tanto razionale quanto strofinare 2 pezzi di legno per accendere il fuoco. Le diverse concezioni delle cose dipendono dalla disposizione occidentale e da quella della tribù. L'azione è razionale in quanto il soggetto agente, data la posizione in cui si trova, o per le sue diposizioni, ha delle "buone ragioni" per comportarsi in quel modo. Rispetto all'ideologia Boudon prenderà in considerazione anche il carattere ideologico della comunicazione e della scienza. A proposito della scienza rileva come ad es. il marxismo abbia definito paradigmi e modelli di natura autenticamente scientifica, e questo è il credito accordatogli. Ma ha anche cercato di dare questi paradigmi come modelli di una validità e una portata maggiori di quello che meritavano. Di qui il carattere ideologico del marxismo.





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