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L'essere dell'ente come volontà nella metafisica tradizionale.

psicologia



L'essere dell'ente come volontà nella metafisica tradizionale


Per cominciare dall'ultima domanda: la concezione dell'essere come volontà è in linea con la migliore e più grande tradizione della filosofia tedesca. Se, partendo direttamente da Nietzsche, volgiamo lo sguardo indietro, ci imbattiamo direttamente in Schopenhauer. La sua opera capitale, che per Nietzsche fu inzialmente uno stimolo alla filosofia ma lentamente finì per diventare la pietra di inciampo, reca come titolo Il mondo come volontà e rappresentazione. Ma ciò che Nietzsche intende per volontà è qualcosa di completamente diverso. Non basta nemmeno intendere il concetto nietzscheano di volontà soltanto come il rovesciamento di quello schopenhaueriano.

L'opera capitale di Schopenhauer apparve nel 1818. È profondamente debitrice nei confronti delle opere capitali di Schelling e di Hegel, che a quell'epoca erano già apparse. La prova migliore di questo debito sono le ingiurie eccessive e di cattivo gusto che per tutta la vita Schopenhauer riversò su Hegel e Schelling.



In una delle sue opere più profonde, il trattato Sull'essenza della libertà umana apparso nel 1809, Schelling ha spiegato: "in ultima e suprema istanza non c'è alcun altro essere che il volere. Il volere è l'essere originario". E Hegel, nella sua Fenomenologia dello spirito (1807), ha concepito l'essenza dell'essere come sapere, ma il sapere come uguale per essenza al volere.

Schelling e Hegel erano consapevoli, interpretando l'essere come volontà, di pensare il pensiero di un altro grande pensatore tedesco, il concetto di essere di Leibniz; questi determinava l'essenza dell'essere come l'unità originaria di rappresentazione e volontà. Nietzsche stesso, non a caso, nella Volontà di potenza cita Leibniz.

Ora, però, non si può dire che la dottrina nietzscheana della volontà di potenza sia dipendente da Leibniz, da Hegel o da Schelling. Dipendenza non è un concetto che possa essere utilizzato per cogliere il rapporto fra grandi. Dipendente è sempre e soltanto il piccolo dal grande. Il grande pensatore è grande perché è capace di ascoltare l'opera degli altri grandi, traendone ciò che vi è di più grande e trasformandolo in modo originale.

Quando in merito alla dottrina del carattere di volontà dell'essere si rimanda all'albero genealogico di Nietzsche, con ciò non si intende ricavarne una dipendenza, ma solo accennare al fatto che una tale dottrina all'interno della metafisica occidentale non è soggettiva, ma forse addirittura necessaria. Ogni vero pensiero si lascia determinare dalla cosa stessa che è da pensare. In filosofia è l'essere dell'ente che dev'essere pensato. Tutte le scienze, invece, pensano sempre e soltanto un ente tra gli altri, un determinato ambito dell'ente. Poiché nel pensiero filosofico vige il più alto vincolo possibile, tutti i grandi pensatori pensano la stessa cosa. Ma questa stessa cosa è talmente essenziale e ricca, che mai un singolo la esaurisce, ma ognuno non fa che legare l'altro in modo ancora più rigoroso. Concepire l'ente nel suo carattere fondamentale come volontà, non è l'avviso di singoli pensatori, ma una necessità della storia dell'esistenza che essi fondano.







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