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La verità nel platonismo e nel positivismo

psicologia



La verità nel platonismo e nel positivismo. Il tentativo nietzscheano di rovesciare il platonismo in base all'esperienza fondamentale del nichilismo


Diciamo platonismo, e non Platone, perché qui la corrispondente concezione della conoscenza non è illustrata in modo originario ed esauriente in base all'opera di Platone, ma viene soltanto estrapolato in modo sommario un tratto che essa ha determinato. Conoscere è adeguazione alla cosa da conoscere. Qual è la cosa da conoscere?? L'ente stesso. E questo, in che cosa consiste?? Da dove muove la determinazione del suo essere?? Dalle idee. Esse sono ciò che viene percepito se consideriamo le cose guardando all'aspetto che hanno, a come si presentano: guardando al loro che cos'è. Ciò che fa di un tavolo un tavolo, l'essere-tavolo, può essere scorto, ma non con l'occhio sensibile del corpo, bensì con quello dell'anima; questo vedere è il percepire ciò che una cosa è, la sua idea. Quello che così è visto è un non sensibile. Essendo però ciò alla cui luce soltanto noi conosciamo il sensibile, questa cosa qui come tavolo, il non sensibile sta al tempo stesso al di sopra del sensibile. È il sopra-sensibile, l'autentico che cos'è ed essere dell'ente. Pertanto, il conoscere deve commisurarsi al sopra-sensibile, all'idea, deve portarsi di fronte ciò che è visibile in modo non sensibile, in genere deve portarlo davanti a sé: deve rap-presentarlo. Il conoscere è un commisurarsi, rappresentandolo, al soprasensibile. Il rap-presentare puro, non sensibile, si sviluppa in una 212e45c mediazione che acquisisce il rappresentato. Il conoscere è essenzialmente teorico.



Alla base di questa concezione del conoscere in quanto conoscere teorico sta una determinata interpretazione dell'essere, e questa concezione della conoscenza ha un senso e una ragione soltanto sul terreno della metafisica. Dichiarare l'essenza eterna e immutabile della scienza è quindi o un semplice modo di dire che è il primo a non prendere sul serio quello che dice, o rimane altrimenti un misconoscimento dei fatti fondamentali relativi all'origine del concetto occidentale di sapere. Il teorico non è soltanto distinto e diverso dal pratico, ma è in sé fondato su una determinata esperienza fondamentale dell'essere. Lo stesso vale anche per il pratico che viene di volta in volta tenuto distinto rispetto al teorico. Entrambi, al pari della loro separazione, vanno capiti soltanto partendo dalla rispettiva essenza dell'essere, cioè metafisicamente. Il pratico non muta mai in base al teorico né il teorico in base al cambiamento del pratico, ma entrambi sempre contemporaneamente partendo dalla posizione metafisica di fondo.


Diversa, rispetto a quella del platonismo, è l'interpretazione della conoscenza del positivismo. È vero che anche qui il conoscere è un commisurare. Ma ciò che costituisce il parametro, ciò a cui il rappresentare deve anzitutto e costantemente attenersi, è diverso: è ciò che per primo sta lì dinanzi e che ci è costantemente preposto, ciò che è dato nelle sensazioni, il sensibile. Il modo del commisurare è anche qui un rappresentare immediato (un sentire) che si determina per mezzo di una mediazione che mette in riferimento fra loro i dati sensibili, è un giudicare.


Senza legare già adesso la concezione della conoscenza di Nietzsche ad uno di questi 2 indirizzi fondamentali (al platonismo o al positivismo) o ad una forma mista, possiamo dire: la parola verità significa per lui il vero, e questo vuol dire: ciò che è in verità conosciuto. Conoscere è cogliere in termini teorico-scientifici il reale, nel senso più ampio.

Con ciò si è detto, in generale, che la concezione nietzscheana dell'essenza della verità si mantiene nell'ambito della grande tradizione del pensiero occidentale, per quanto si discosti nel particolare dalle interpretazioni precedenti. Ma anche in riferimento alla nostra questione specifica del rapporto tra arte e verità abbiamo compiuto, già adesso, un passo decisivo. Ciò che qui viene messo in rapporto, secondo il chiarimento fornito dalla concezione direttrice di verità, sono a rigore

l'arte, da un lato

e la conoscenza teorico-scientifica, dall'altro

L'arte concepita nel senso di Nietzsche dalla prospettiva dell'artista, è un creare, e questo è riferito alla bellezza.

Corrispondentemente, la verità è l'oggetto a cui si riferisce il conoscere.

Di conseguenza, il rapporto in questione tra arte e verità, che suscita sgomento, dev'essere concepito come rapporto tra arte e conoscere scientifico, ovvero come rapporto tra bellezza e verità.

Ma in che misura questo rapporto è ora per Nietzsche una discrepanza?? In che misura per lui l'arte e il conoscere, la bellezza e la verità, entrano in un rapporto esplicito?? Certo non in forza delle ragioni molto esteriori che sono determinanti per le filosofie e le scienze della cultura abituali: cioè che c'è arte e, accanto, c'è anche scienza, che entrambe fanno parte della cultura e che, se si vuole stabilire un sistema della cultura, si devono indicare pure le relazioni di queste manifestazioni della cultura fra loro. Se il problema di Nietzsche fosse soltanto una questione di filosofia della cultura nel senso di stabilire un sistema armonico delle manifestazioni e dei valori della cultura, certo allora il rapporto di arte e verità non potrebbe mai diventare in lui una discrepanza, e tanto meno una discrepanza che suscita sgomento.

Per vedere come per Nietzsche arte e verità possano e debbano entrare in un rapporto esplicito, prendiamo le mosse da un nuovo chiarimento del suo concetto di verità; sull'altro termine di questo rapporto, l'arte, ci siamo già soffermati abbastanza. Per una connotazione più precisa del concetto di verità in Nietzsche dobbiamo domandare in quale senso egli concepisce il conoscere e che cosa ponga quale suo criterio. In che rapporto sta la concezione della conoscenza di Nietzsche con i 2 fondamentali indirizzi gnoseologici delineati, il platonismo e il positivismo?? Nietzsche dice una volta: "la mia filosofia è platonismo rovesciato: quanto più è lontano dal vero ente, tanto più è puro, bello e migliore. La vita nella parvenza come fine".

Per il platonismo il vero, il vero ente, è il soprasensibile, l'idea. Il sensibile non significa ciò che in assoluto non è, ma ciò che non può essere chiamato ente, anche se non è in assoluto un niente. In tanto e in quanto può essere chiamato ente, il sensibile dev'essere commisurato al soprasensibile; l'ombra e il residuo dell'essere il non ente li ha dal vero ente.

Rovesciare il platonismo significa allora: rovesciare il rapporto gerarchico; ciò che nel platonismo sta per così dire in basso e vuole essere commisurato al soprasensibile deve spostarsi in alto e porre viceversa il soprasensibile al suo servizio. Attuando il rovesciamento, il sensibile diventa l'ente vero e proprio, cioè il vero, la verità. Il vero è il sensibile. Questo è quanto insegna il positivismo. Sarebbe tuttavia affrettato far passare, come per lo più accade, la concezione della conoscenza di Nietzsche, e quindi la dottrina della verità che le corrisponde, per positivistica. Per Nietzsche, quello di pensare a fondo il platonismo fu ben presto un compito assillante, e precisamente sotto 2 punti di vista.

La sua professione iniziale di filologo classico lo portò per dovere, ma soprattutto per inclinazione filosofica, a Platone. Nel periodo di Basilea tenne più volte corsi universitari su Platone.

Ma anche qui si vede già chiaramente l'influenza filosofica di Schopenhauer. Schopenhauer stesso fonda in modo consapevole ed esplicito tutta la sua filosofia su Platone e Kant. Noi sappiamo quanto Shopenhauer abbia frainteso e reso grossolana la filosofia kantiana. Lo stesso accadde con la filosofia di Platone. Nei confronti del grossolano travisamento schopenhaueriano della filosofia platonica, fin dall'inizio Nietzsche, da filologo classico e da grande esperto, non era così sprovveduto come nei confronti dell'interpretazione schopehaueriana di Kant. Già negli anni giovanili (con i corsi universitari a Basilea), Nietzsche giunge nella sua interpretazione di Platone ad una ragguardevole autonomia e quindi ad una maggiore verità rispetto a Schopenhauer. Soprattutto egli respinge l'interpretazione schopenhaueriana del coglimento delle idee come semplice intuizione e sottolinea: il conglimento delle idee è dialettico. L'opinione di Schopenhauer sul coglimento delle idee come intuizione deriva da un fraintendimento della dottrina di Schelling sull'intuizione intellettuale quale atto fondamentale della conoscenza metafisica.

Sennonché, questa interpretazione di Platone e del platonismo, orientata piuttosto in senso filologico e storico-filosofico, è certo un ausilio, ma non è la via decisiva per la penetrazione filosofica di Nietzsche nella dottrina platonica e per il suo confronto con essa, cioè per l'esperienza e la cognizione della necessità di un rovesciamento del platonismo. L'esperienza fondamentale di Nietzsche è la crescente cognizione del fatto fondamentale della nostra storia. Esso è per lui il nichilismo. Nietzsche non si è stancato di esprimere appassionatamente questa esperienza fondamentale della sua esistenza di pensatore. Per i ciechi, per coloro che non sanno vedere e che soprattutto non vogliono vedere, è facile che le sue parole assumano un tono eccessivo, furioso. Eppure, se valutiamo la profondità della cognizione e se pensiamo quanto fosse vicino il fatto storico fondamentale del nichilismo che angosciava Nietzsche, le sue parole possono essere definite quasi tenere. Una delle formule essenziali per connotare l'evento del nichilismo proclama: "Dio è morto". La sentenza Dio è morto non è un dogma ateo, ma la formula per indicare l'esperienza fondamentale di un evento della storia occidentale.

Soltanto alla luce di questa esperienza fondamentale il detto di Nietzsche la mia filosofia è platonismo rovesciato acquista la sua ampiezza e la sua portata. In questo vasto orizzonte devono essere perciò capite anche l'interpretazione e la concezione dell'essenza della verità. Bisogna pertanto ricordare quello che Nietzsche intende per nichilismo e qual è l'unico senso in cui questo nome può essere usato come titolo di filosofia della storia.

Con nichilismo Nietzsche intende il fatto storico, cioè l'evento, che i valori supremi si svalutano, che tutti i fini sono annientati e che tutte le valutazioni si rivolgono l'una contro l'altra. Nietzsche ha presentato una volta questa contrapposizione nel modo seguente:

"si chiama buono chi segue il proprio cuore, ma anche chi ascolta solo il suo dovere"

"si chiama buono il mite, il conciliante, ma anche il valoroso, l'inflessibile, il duro"

"si chiama buono chi non impone costrizioni a se stesso, ma anche l'eroe dell'autocontrollo"

"si chiama buono l'amico incondizionato del vero, ma anche l'uomo della pietà, il trasfiguratore delle cose"

"si chiama buono chi ascolta se stesso, ma anche il pio"

"si chiama il buono il distinto, il nobile, ma anche colui che non disprezza e non guarda dall'alto al basso"

"si chiama buono il mansueto, colui che evita la lotta, ma anche il bellicoso e l'assetato di vittoria"

"si chiama buono colui che vuole essere sempre il primo, ma anche colui che non vuol avere nulla più di qualsiasi altro"

Non c'è più alcun fine nel quale, e mediante il quale, tutte le forze dell'esistenza storica dei popoli possano essere raccolte e per il quale possano essere portate a svilupparsi; non c'è nessun fine del genere, ossia che abbia al tempo stesso e soprattutto una tale potenza da costringere unitamente, in forza di essa, l'esistenza nel proprio ambito e da portarla allo sviluppo creativo. Per posizione del fine Nietzsche intende il compito metafisico dell'ordinamento dell'ente nel suo insieme, non soltanto l'indicazione di una direzione e di una finalità provvisorie. Ma una genuina posizione del fine deve al tempo stesso fondare il fine. Questa fondazione non può esaurirsi nell'evidenziare teoricamente le ragioni che valgono per la posizione del fine, cioè nel fatto che la posizione del fine è logicamente necessaria. La fondazione del fine è fondazione nel senso del destare e del liberare quelle potenze che conferiscono al fine posto la forza vincolante che tutto sovrasta e domina. Solo così l'esistenza storica può crescere originariamente nell'ambito aperto e delimitato dal fine. Di questo fa parte alla fine, cioè all'inizio, la crescita di forze che reggono, incitano e spingono al rischio la preparazione del nuovo ambito, la penetrazione in esso e l'ampliamento di ciò che in esso si sviluppa.

Nietzsche ha presente tutto questo quando parla di nichilismo, dei fini e della loro posizione. Ma vede pure, nella nascente decadenza di tutti gli ordinamenti sull'intera terra, la necessaria vastità degli effetti di una tale posizione di fini. Essa non può riguardare singoli gruppi, classi e sette, e neppure solamente singoli stati e popoli, ma dev'essere almeno europea. Ma questo non vuol dire: internazionale. Infatti è insito nell'essenza di una posizione di fini creativa, e nella sua preparazione, che essa, essendo storica, arrivi ad agire e a sussistere soltanto nell'unità della piena esistenza storica dell'uomo nella forma del singolo popolo. Ciò non significa isolamento degli altri popoli né oppressione degli altri. La posizione di fini è in sé confronto reciproco, apertura della lotta. La lotta genuina è però quella in cui i combattenti si sovrastano a vicenda e sviluppano da sé la potenza necessaria per questo sovrastare.

Questo genere di riflessione sull'evento storico del nichilismo e sulle condizioni del suo superamento radicale (la riflessione sulla posizione metafisica di fondo a questo necessaria, il pensare a fondo le vie e i modi per suscitare e approntare queste condizioni) Nietzsche lo chiama a volte la grande politica. Ciò suona come: il grande stile. Se pensiamo insieme le 2 cose come originariamente coappartenenti, siamo assicurati contro fraintendimenti della loro essenza. Il grande stile non vuole una cultura estetica, né la grande politica vuole un imperialismo sfruttatore secondo una politica di potenza. Il grande stile può essere creato soltanto con la grande politica, e la grande politica ha l'intima legge della sua volontà nel grande stile. Che cosa dice Nietzsche del grande stile??

"Ciò che fa il grande stile: farsi signore della propria fortuna come della propria sfortuna".

Farsi signore della propria fortuna! È la cosa più difficile. Farsi signore della sfortuna, potrebbe anche andare. Ma farsi signore della propria fortuna ..

Negli anni tra il 1880 ed il 1890 Nietzsche pensa e domanda con i criteri del grande stile e nell'ottica della grande politica. Dobbiamo tenere presenti questi criteri e questa ampiezza del suo domandare per comprendere ciò che è stato accolto nel primo e nel secondo libro della Volontà di potenza, cioè l'esposizione della cognizione che, per una posizione di fini, mancano la forza fondamentale dell'esistenza, la sua sicurezza e la sua potenza. Perché manca questa forza fondamentale di arrivare, creando, a stabilirsi in mezzo all'ente?? Risposta: poiché da lungo tempo essa è stata continuamente indebolita e rovesciata nel suo contrario. L'indebolimento principale della forza fondamentale dell'esistenza consiste nella denigrazione e degradazione della forza, fondatrice di fini, della vita stessa. Questa denigrazione della vita che crea, tuttavia, ha a sua volta il proprio fondamento nel fatto che al di sopra della vita è stato posto ciò che ha reso desiderabile la negazione della vita. L'auspicabile, l'ideale, è il soprasensibile, interpretato come l'ente vero e proprio. Questa interpretazione dell'ente è attuata nella filosofia di Platone. La dottrina delle idee è la fondazione dell'ideale, cioè del primato decisivo del soprasensibile nella determinazione e denominazione del sensibile.

Qui viene in luce una nuova interpretazione del platonismo. Essa risulta dall'esperienza fondamentale del nichilismo come fatto, e vede nel platonismo il fondamento iniziale e determinante della possibilità dell'avvento del nichilismo, del dire no alla vita. Il cristianesimo non è per Nietzsche nient'altro che platonismo per il popolo, ma in quanto platonismo è nichilismo. Con l'indicazione della presa di posizione di Nietzsche contro la tendenza nichilistica del cristianesimo, non è tuttavia esaurita la sua posizione complessiva nei confronti di questo fenomeno storico. Nietzsche è troppo lucido, ma anche troppo superiore, per non sapere e non riconoscere che un presupposto essenziale del suo atteggiamento, l'onestà e l'autodisciplina del domandare, è una conseguenza dell'educazione cristiana da secoli a questa parte.

Nell'orizzonte della riflessione sul nichilismo il rovesciamento del platonismo acquista un altro significato. Esso non è la semplice e quasi meccanica sostituzione di un punto di vista gnoseologico con l'altro, quello del positivismo. Rovesciamento del platonismo significa in un primo momento: abbattimento del primato del soprasensibile in quanto ideale. L'ente, ciò che è, non può essere valutato per quello che dev'essere e che gli è permesso di essere. In contrapposizione alla filosofia dell'ideale e alla posizione del dovuto e del dover essere, il rovesciamento significa però al tempo stesso: il ricercare e lo stabilire ciò che è; significa domandare: che cos'è l'ente stesso?? Se il dovuto è il soprasensibile, allora l'ente stesso concepito in un primo momento senza il dover essere (ciò che è) può essere solamente il sensibile. Ma con questo non si è ancora indicato in che cosa consista la sua essenza; si rinuncia alla sua definizione. È invece stabilito l'ambito di ciò che veramente è, del vero, e quindi l'essenza della verità, se il vero dev'essere ottenuto seguendo la via della conoscenza, come finora e come già nel platonismo è stato.

In questo rovesciamento del platonismo, provocato e guidato dalla volontà di superare il nichilismo, viene mantenuta come ovvia la convinzione, comune al platonismo, che la verità, ossia il vero ente, dev'essere assicurata per la via della conoscenza. Poiché, in conformità con il rovesciamento, il sensibile è ora il vero e poiché il sensibile, in quanto ente, deve fornire l'ambito fondamentale per la nuova fondazione dell'esistenza, la questione del sensibile e quindi lo stabilire il vero e la verità acquistano un'importanza maggiore.

La posizione della verità, del vero ente, come il sensibile è già formalmente un rovesciamento del platonismo, in quanto quest'ultimo afferma che è il soprasensibile l'ente vero e proprio. Ma questo rovesciamento, e con esso l'interpretazione del vero come ciò che è dato sul piano sensibile, debbono essere compresi nella prospettiva del superamento del nichilismo. Ora, però, anche l'interpretazione determinante dell'arte, se posta come il contromovimento che si oppone al nichilismo, si muove nella stessa prospettiva.

Contro il platonismo bisogna domandare: che cos'è il vero ente?? Risposta: il vero è il sensibile.

Contro il nichilismo bisogna mettere all'opera la vita che crea, cioè anzitutto l'arte; ma l'arte crea partendo dal sensibile.

Ora soltanto si chiarisce in quale misura arte e verità, il cui rapporto è per Nietzsche una discrepanza che suscita sgomento, possono e debbono entrare in un rapporto che è più della comparazione che risulta dalla loro interpretazione in chiave di filosofia della cultura. Arte e verità, creare e conoscere, si incontrano nell'unica prospettiva direttrice che mira a salvare e a dare forma al sensibile.

In vista del superamento del nichilismo, cioè in vista della fondazione della nuova posizione di valori, l'arte e la verità, e quindi la riflessione sulla loro essenza, acquistano lo stesso peso. Conformemente alla loro essenza, esse convergono da sé entro la nuova esistenza storica.

Di che tipo è il loro rapporto??





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