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L'AGGRESSIVITÀ E L'ALTRUISMO

psicologia



L'AGGRESSIVITÀ E L'ALTRUISMO


I comportamenti aggressivi e violenti possono essere spiegati non solo sulla base delle inclinazioni caratteriali degli individui, ma anche del modo in cui questi interpretano le situazioni contingenti, delle caratteristiche dei legami sociali, delle norme e aspettative che caratterizzano le culture.


  1. GLI ESSERI UMANI SONO "NATURALMENTE" BUONI O CATTIVI?

Per Hobbes, le persone sarebbero inclini all'aggressività verso i propri simili, quindi necessitano di istituzioni sociali in grado di reprimere le tendenze antisociali in funzione delle esigenze della convivenza civile.

Al contrario, Rousseau sostiene la concezione di una natura fondamentalmente buona, corrotta proprio dalle esigenze della civiltà.

Secondo Freud, invece, l'aggressività umana è inevitabile e frutto della tensione fra due istinti primari, quello di autoconservazione (Eros) e quello di autodistruzione (Thanatos), che emana un'energia distruttiva che dev'essere indirizzata verso l'esterno, ad esempio attraverso il comportamento aggressivo.

L'approccio etologico condivide con quello freudiano l'idea della naturalità dell'aggressività umana, in quanto funzionale alla conservazione della specie.



Perciò dovrebbe essere la società ad indirizzare le energie negative dei singoli verso forme di scaricamento socialmente accettabili (come le competizioni sportive) a 323b11d nche se non sempre dare la possibilità di manifestare comportamenti aggressivi diminuisce la carica di aggressività.

E anzi, essere esposti a comportamenti violenti aumenta la probabilità di una risposta di tipo aggressivo da parte dell'individuo.



  1. I LIVELLI DI SPIEGAZIONE DEL COMPORTAMENTO ANTISOCIALE

La frustrazione


La frustrazione può essere la causa di un comportamento aggressivo, cioè quando degli ostacoli si frappongono fra l'individuo e il raggiungimento dei suoi fini. Tuttavia, l'aggressività può anche non essere rivolta alla causa della frustrazione, in quanto nel corso dell'esperienza impariamo ad associare un determinato comportamento ad una conseguenza (ricompensa o punizione).

In questo caso, l'azione aggressiva non è vista come il prodotto di un istinto innato ma è pur sempre una modalità di scaricare pulsioni negative prodotte dalla frustrazione.

Le critiche all'approccio frustrazione-aggressività si appoggia sul fatto che ci sono casi in cui la frustrazione trova sfogo in forme di risposta non aggressive, come il pianto, la fuga, l'apatia.

Perciò Berkowitz propone la teoria dell'apprendimento sociale, secondo la quale ogni sentimento negativo può produrre aggressività, ma questa diventa la risposta dominante solo a determinate condizioni.


L'imitazione


All'inizio del '900 la psicologia delle folle introduce l'idea che l'aggressività prenda il via dall'imitazione, all'interno di vasti gruppi sociali: infatti, la situazione collettiva, inibirebbe le capacità critiche individuali percui le persone sarebbero facilmente manipolabili da qualcuno dotato di particolare carisma e prestigio.

Secondo la teoria dell'apprendimento sociale (formulata negli anni '60) l'aggressività sarebbe un comportamento sociale come gli altri, che viene acquisito e mantenuto a determinate condizioni.

Le condizioni per l'apprendimento di comportamenti aggressivi sono:

l'esperienza diretta;

l'osservazione di qualcuno che attua un comportamento in una determinata situazione e delle conseguenze che ne ricava (in quanto una delle principali fonti di informazioni su ciò che è appropriato oppure no in una situazione poco o per nulla familiare).


C'è sicuramente una relazione fra programmi televisivi a contenuto violento e livello di aggressività manifesto però non si sa se sono le persone violente a preferire quel tipo di programmi oppure sono i programmi violenti a causare comportamenti imitativi.


Le norme sociali


Comportamenti degli attori sociali inspiegabili sulla base della personalità o in termini di frustrazione possono essere dovuti a pressioni situazionali e a condizioni del contesto: infatti, in ogni cultura sono presenti varie norme sociali che hanno lo scopo di definire qual è il comportamento appropriato in determinate situazioni, ma non tutte sono orientate alla limitazione dell'aggressività. Per esempio, la norma del machismo prevede la necessità di una reazione aggressiva come autodifesa e ripristino dei diritti individuali violati.

Inoltre, se si considera che comportarsi in maniera appropriata è una condizione necessaria per essere accettati dal gruppo, si possono meglio comprendere fenomeno collettivi distruttivi di ampie dimensioni.



  1. LA DINAMICA DEL COMPORTAMENTO AGGRESSIVO

Sono molti i fattori che concorrono a far variare la probabilità che una persona in una data circostanza agisca in modo aggressivo verso qualcun altro.



Il processo che lo porta a fare questo è stato sintetizzato in uno schema la cui prima fase è la definizione dell'evento, cioè l'interpretazione che l'attore dà della situazione in cui si trova e dell'evento. In questa fase, un ruolo importantissimo è giocato dall'attribuzione di intenzionalità di ciò che sta avvenendo. La scelta della risposta che viene attuata è influenzata anche dalla percezione delle conseguenze, dal livello di attivazione emotiva negativa provocato e dalle norme che sembrano pertinenti al contesto.

Da questi fattori derivano la motivazione ad adottare una risposta aggressiva o neutra e la percezione della necessità di una risposta, che a loro volta influenzano la decisione finale circa il comportamento da mettere in atto.



  1. LIVELLI DI SPIEGAZIONE DEI COMPORTAMENTI PROSOCIALI

L'altruismo è una caratteristica individuale?


Forse secondo l'opinione pubblica l'essere umano sarebbe egoista e distruttivo soltanto per ragioni di autosalvaguardia, così spesso si sottovaluta il ruolo dei fattori sociali e situazionali nella determinazione dei comportamenti di questo tipo.

L'interesse per lo studio dell'altruismo, invece, è molto più recente e parte dall'ipotesi che la probabilità di attuazione di comportamenti altruistici sia governata non solo da fattori sociali (presenza o mancanza di valori) o individuali (come la tendenza personale all'aiuto o alla violenza), ma anche da fattori relativi alla situazione.

Nel caso in cui, in una situazione di emergenza non si attui un comportamento altruistico, una spiegazione (alternativa a quella che chiama in causa il disinteresse delle persone per la sofferenza altrui) può essere data facendo ricorso alla diffusione di responsabilità, cioè le persone pensano che qualcun altro abbia già provveduto al soccorso.

Al contrario, quando il soggetto sa di essere l'unica possibilità della vittima di ricevere aiuto, nella grande maggioranza dei casi, interviene.

Così come alcuni etologi hanno sostenuto che l'aggressività è funzionale alla conservazione della specie, altri hanno messo in evidenza che i comportamenti prosociali servono allo stesso scopo (basti pensare alle formiche e alle api, specie nelle quali gli individui sterili spendono la loro vita nell'aiuto e nella protezione di quelli fecondi, oppure agli animali che, avvistando un pericolo, emettono segnali per allertare gli altri individui della stessa specie), cioè alla sopravvivenza degli individui della stessa famiglia.

Questa osservazione però non è sufficiente a spiegare i comportamenti altruistici che gli umani attuano a favore di persone non consanguinee.

Si potrebbe quindi pensare che l'altruismo sia una dimensione della personalità, anche se in questo caso il fattore più importante sarebbe la percezione della propria efficacia (la credenza di essere in grado di agire positivamente nelle situazioni) ma in realtà questa non è sufficiente a prevedere la messa in atto di comportamenti altruistici.


Il ruolo dell'empatia


L'empatia è un'attivazione emotiva fatta di compassione, tenerezza, simpatia, da parte di una persona che osservi un'altra in difficoltà, grazie al fatto che l'osservatore assume la prospettiva della persona in difficoltà e prova uno stato emotivo simile al suo. È questa capacità a rendere probabile un intervento di aiuto.

Quindi la percezione di somiglianza, o anche di appartenenza allo stesso gruppo, favorisce l'assunzione della prospettiva altrui e quindi l'insorgere dell'empatia.

Infatti, le persone sono più disposte ad aiutare qualcuno che percepiscono simile a sé o che appartiene allo stesso gruppo.

Emozioni legate all'esperienza di empatia sono il disagio personale e la reale preoccupazione per la sorte dell'altra persona: entrambe possono motivare l'individuo ad agire, ma lo stato d'animo negativo può essere rimosso anche attraverso la fuga o l'evitamento della situazione. Quando l'evitamento non è possibile, l'aiuto può anche non essere il frutto di puro altruismo ma essere motivato dalla necessità di rimuovere il disagio personale. È questa la cosiddetta ipotesi del sollievo dallo stato negativo, la quale mette in evidenza che i rapporti prosociali derivano da una motivazione fondamentalmente egoistica: il desiderio di rimuovere l'angoscia che provoca la vista della sofferenza altrui. È per questo che gli individui non intervengono quando la situazione permette vie di fuga, per esempio nel caso in cui gli osservatori siano numerosi (diffusione di responsabilità).

Anche in situazioni in cui la fuga è possibile ci sono individui che scelgono di prestare il proprio aiuto, e sono i casi in cui il reale interesse per la sorte dell'altro prevale ed è il prodotto della capacità empatica vera e propria.

Infatti, secondo il modello dell'empatia-altruismo, la preoccupazione per le sofferenze altrui è una motivazione sufficiente per spiegare comportamenti prosociali.

Recentemente è stata ripresa la concezione dell'essere umano come fondamentalmente egoista, cercando di dimostrare che il fattore motivante non è tanto l'empatia e il genuino interesse per la sorte altrui, quanto il senso di unità interpersonale, cioè il fatto che, per la percezione di somiglianza, il Sé non è distinto dall'altro, quindi aiutare l'altro ha ripercussioni positive anche per il Sé.




Le norme sociali


Per la convivenza civile sono necessarie alcune norme che prescrivono aiuto e solidarietà verso chi si trovi in difficoltà e che sono apprese nel corso del processo di socializzazione, attraverso il quale l'individuo impara a riconoscere e distinguere quali sono i comportamenti socialmente adeguati ai vari contesti.

Nelle relazioni interpersonali, quindi, una delle norme principali è quella di reciprocità, secondo la quale bisogna restituire l'aiuto a chi lo ha offerto in passato o potrà farlo in futuro. Questa norma ha carattere universale, nel senso che in tutte le società umane è uno dei criteri fondanti della moralità e della vita collettiva.

Questo perché si tratta di una norma evolutivamente vincente poiché gli individui incondizionatamente altruisti sono destinati a soccombere a favore di individui incondizionatamente egoisti che ugualmente non potranno sopravvive una volta rimasti senza i primi.

Un'altra norma è quella della responsabilità sociale, secondo la quale ci sentiamo in obbligo di agire in favore di chi dipende da noi. Questa regola vige innanzitutto nella famiglia: i membri che non sono in grado di prendersi cura del proprio benessere (bambini, anziani, malati) sono accuditi e assistiti. Ma lo stesso obbligo può essere sentito, in generale, nei confronti dei membri deboli della società (i poveri).

Una norma che, al contrario, prescrive di non intervenire è la norma di protezione della privacy familiare: basta che l'osservatore interpreti un litigio come un conflitto fra coniugi o fidanzati per rendere l'intervento poco probabile.

Secondo Moscovici Tre forme di altruismo:

altruismo partecipativo, cioè i comportamenti che favoriscono la vita collettiva dei membri di una stessa comunità (famiglia, Chiesa, Patria), come il volontariato, i cui benefici si riflettono sull'intera collettività;

altruismo fiduciario, è il sacrificio finalizzato a stabilire un legame di fiducia e confidenza con l'altro, ad esempio nelle relazioni di vicinato;

altruismo normativo, basato sul principio di responsabilità e solidarietà, è quello garantito dalle istituzioni che ricoprono in modo esplicito la funzione di aiutare le persone in difficoltà, attraverso la cassa integrazione, la pensione sociale, il sussidio di disoccupazione.



  1. LA DINAMICA DEL COMPORTAMENTO ALTRUISTICO

Le fasi del processo che porta al comportamento altruistico iniziano con la definizione dell'evento che ovviamente presenta un margine più o meno ampio di ambiguità, quindi svolge un ruolo molto importante il modo in cui l'osservatore si rappresenta una persona come bisognosa di aiuto.

Questa è strettamente connessa con le attribuzioni di causa: infatti, a parità di azione richiesta per aiutare, le persone sono più disponibili ad attuarla se attribuiscono la causa della situazione di bisogno a fattori non controllabili dalla vittima.

Questo avviene perché le persone desiderano impegnarsi nell'aiuto solo se lo si merita.

Però possono verificarsi distorsioni nella formulazione delle attribuzioni causali: uno di questi è l'errore fondamentale di attribuzione, cioè la tendenza diffusa a sopravvalutare le cause interne nella spiegazione dei comportamenti altrui.

A questa distorsione si aggiunge la credenza in un mondo giusto: si tende a pensare che gli eventi negativi succedano agli altri perché in qualche modo se li sono meritati, il che rende meno probabile l'attuazione di comportamenti d'aiuto.

Mentre offrire il proprio aiuto aumenta la stima di sé, riceverlo genera un senso di debolezza e inferiorità: per questo colui il quale riceve aiuto può tendere a sottostimare l'intervento altrui. Se poi il fatto di ricevere aiuto viene percepito come una minaccia al Sé, il beneficiato può reagire negativamente verso colui che è intervenuto.

Quindi la definizione dell'evento che si sta osservando è un fattore fondamentale nell'attivazione dell'intero processo che porterà o meno all'intervento di aiuto.

Inoltre, di fronte ad un evento ambiguo le persone osservano il comportamento di eventuali altre persone che stanno assistendo alla stessa scena per darne una corretta interpretazione, senza considerare che anche gli altri fanno lo stesso. È l'effetto chiamato ignoranza pluralistica: ciascuno pensa che gli altri abbiano più informazioni di loro sulla situazione e questo porta ad un'alta probabilità di inazione.

Una volta definito un evento come un'emergenza, prima di decidere se intervenire o meno si ha una fase di valutazione del costo attribuito all'aiuto, influenzato da fattori relativi al contesto specifico, dall'empatia, dalle norme sociali e dalle tendenze di personalità.







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